La sconfitta in semifinale ad Indian Wells apre la crisi di Andy Roddick. Una sconfitta, quella contro Nadal, forse peggiore della batosta presa in Australia dal Re del Tennis, di quei soli 6 games racimolati in tre set che avevano seppellito definitivamente le speranze di competere con Federer. Una sconfitta che mina anche una delle speranze che Andy poteva ancora coltivare, quella di essere quantomeno il viceré sul cemento, la superficie sulla quale si è tennisticamente formato e quella che gli ha dato le maggiori soddisfazioni.
Posto in partenza che, quando si ha davanti qualcuno il cui bilancio slam sulla superficie dal 2004 ad oggi recita un parziale in progress di 46 vittorie ad una sola sconfitta, si gioca essenzialmente per la seconda piazza, essere il numero due significa quantomeno essere pronto a pigliarsi quello che residua quando il re è stanco,deconcentrato o si imbatte nella giornata no. E’ quello che fece a Miami 2004 l’ Andy migliore, quello sotto la tutela di Gilbert. Quello che pareva riavviato a fare sotto l’egida di Jimmy Connors a Cincinnati lo scorso anno. Speranze che Rafa Nadal ha spazzato via in due rapidi set, inducendo tutti a chiedersi se sia Federer l’unico vero complesso di Andy o se invece il ragazzone di Omaha non soffra di un complesso di inferiorità più vasto, esteso a tutti quelli che lo precedono non solo in classifica ma quanto a sicurezza nei propri mezzi.
Un complesso che porta ad una parziale svalutazione della finale raggiunta a New York lo scorso Settembre: è vero che in finale si vide per due set il migliore Andy possibile, e se quelle tre palle break del terzo set non fossero state sciaguratamente sprecate forse oggi narreremmo una storia diversa, ma va anche detto che Roddick nel cammino verso la finale si era trovato un tabellone autostradale. Il discontinuo Verdasco (col quale era sotto di un break ad inizio 5° set) , Becker, uno Hewitt stancato dalla maratona con Gasquet e ben diverso da quello 2004-2005,e ,soprattutto, si era giovato del mancato confronto con Nadal in semifinale, confronto evitato grazie al sontuoso rovescio e alle geometrie di un Mikhail Youzhny in versione deluxe . Certo, ragionare col senno del poi è esercizio facile, e non è difficile ipotizzare che col Nadal a corto di benzina di quel settembre e il Roddick che pareva rivitalizzato dal cambio di coach l’esito di quella semifinale sarebbe stato diverso da quello del match di tre giorni fa. Ma non esiste neanche la controprova, e poichè possiamo limitarci ad analizzare quello che vediamo,la teoria di un Andy sempre più a disagio non solo col Re ma anche con chi gli è più vicino, oltre a quella di chi vede sempre più sfumare “l’effetto Connors”, pare sempre più fondata.
Un Roddick a disagio mentale, oltre che tattico, che si incarta, che sbaglia praticamente tutto lo sbagliabile, coi grandi, perchè non sicurissimo già col resto del mondo. Anche la sua versione migliore, quella estate americana 2003 che infilava la tripletta Canadian Open-Cincinnati-Us Open, era ben lungi dal dare la sensazione dell’ingiocabilità su cemento. Doveva fronteggiare un MP a Toronto prima di battere un Federer non ancora entrato a pieno regime nel suo ruolo di monarca assoluto, subire per due set una lezione di tennis da David Nalbandian a NY prima di riemergere, doveva comunque battagliare con Ljubicic, Fish, Mirnyi. La spuntava grazie alle sue armi migliori, ad un servizio col quale otteneva quasi 80 punti diretti in semifinale allo US Open, ad una condizione mentale, di sicurezza in se stesso eccezionale dovuta anche alle grandi capacità di motivatore di Gilbert, ma non raggiungeva certo i vertici toccati su questa superficie da altri giocatori. Senza citare i mostri sacri, ma limitandosi all’ultimo decennio, il Korda dell’ Australian Open 1998, il Rios e il Rafter dello stesso anno, il Safin del 2000, il Gonzalez dell’ultimo Australian Open, persino Hewitt hanno mostrato picchi di qualità tennistica superiori a quelli di Roddick a livello medio-alto.
Se il Roddick migliore post 2003, come a detta di tutti è stato quello degli ultimi Australian e dell’ Ultimo US, rischia con Verdasco, impiega 5 set per battere Ancic e un Safin in crisi, va quasi sotto due set a zero con Tsonga, come si può pensare che tenga botta con l’Imbattibile? Ci è riuscito nella finale americana giocando a livelli molto superiori a quelli che poteva tenere, ha sfiorato la vittoria al Master (e forse lì, su quei tre match point mancati si è definitivamente interrotta la possibilità di giocarsela con lo svizzero), di più non è riuscito, verosimilmente non può. Che Federer fosse una ossessione per lui già anni fa era cosa di cui si era accorto anche Gilbert. Il divorzio tra i due, oltre che per dissensi col resto della famiglia Roddick e per il fatto che Brad non voleva svolgere il ruolo di preparatore atletico, che non riteneva di sua pertinenza, fu accelerato anche dal fatto che Gilbert aveva fatto intendere ad Andy che Federer giocava su un altro pianeta, che il massimo che si poteva ottenere era giocarsela alla pari con lui se lo svizzero era in modalità OFF. Dura, molto dura da digerire per un Roddick forse convinto dalla finale di Wimbledon 2004, da quell’equilibrio visto per tre set, in cui, in verità, si trovò davanti il Roger meno brillante del suo poker londinese, di potersela realmente sempre giocare. Così, al giocatore grezzo ma efficace che sfruttava i suoi punti di forza del 2003-2004 se ne è sostituito un altro sempre più ossessionato dal desiderio di migliorare i suoi punti deboli per competere col numero uno da giungere al punto non solo di non ottenere alcuni miglioramenti (progressi sul rovescio e da fondo campo evidenti, ma il gioco a rete è sempre rimasto disastroso), ma di perdere anche parzialmente l’efficacia dei suoi colpi migliori. Così, mentre Federer passava di trionfo in trionfo, Roddick perdeva sempre più sicurezza e posizioni, cambiando coach in serie prima che l’arrivo di Connors tamponasse questa emorragia di risultati e sicurezze. Ma l’apporto del valido Jimbo ha dato realmente i risultati sperati? Secondo chi scrive il “ritorno” di Roddick dell’estate 2006 presenta molte similitudini con quello di Safin 2004-2005. Una violenta fiammata destinata ad essere seguita dal silenzio. La differenza non lieve, anzi, ci passa l’Universo, è che per Marat quel ritorno culminò in gloria, con lo scalpo del numero uno e la vittoria australiana, per Andy, che non ha sicuramente la classe ed i colpi del Russo, la finale del settembre scorso pare definitivamente il limite invalicabile, il non plus ultra . Tant’è che da allora non ha più vinto un torneo, e ha perso anche con Nalbandian, Berdych, Gonzalez, Haas, Murray, tutti giocatori che in giornata possono benissimo sostituirlo nel ruolo di vicerè di cui si diceva all’inizio.
Ma allora, se Roddick, come pare certo, non può essere considerato stabilmente il numero due al mondo su cemento, questo numero due esiste realmente? È Nadal, Gonzalez, in futuro Murray o uno qualsiasi di costoro a seconda di stato di forma, tabellone e, condicio sine qua non, che Federer sia fuori dai giochi? è la domanda che giriamo ai lettori di questo Blog.