Rassegna Stampa - Dicembre 2007

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A nove anni è il re del tennis italiano

(Filippo Mora a Parigi per il torneo di Capodanno, vuole imitare il suo campione Nadal)

Massimo Rossi, Libero del 31-12-07

Se tra i giovani i nostri devono cedere il passo, ancora ima volta, a francesi e spagnoli, fra i giovanissimi forse qualcosa di buono l’abbiamo trovato. Lo dico sottovoce e incrociando te dita, ma un ragazzetto che a nove anni gioca come questo, forse in Italia non s’era mai visto. Parlo di Filippo Mora, freschissimo vincitore del master nazionale del Trofeo Topolino e in questi giorni a Parigi per partecipare, da Capodanno all’Epifania, al tabellone internazionale della sua categoria, quella dei più giovani. Bello questo trofeo Topolino alla sua prima vera edizione dopo il numero zero dell’anno passato. Soltanto in Italia ha raccolto settemila partecipanti fra maschi e femmine nelle categorie fra i nove ed i sedici anni. Merito dell’organizzazione di Rita Grande che, lasciato il tennis agonistico, ha trovato un bel modo di non fare solo la mamma. Ma torniamo a Filippo che gioca e si allena a Curno in provincia di Bergamo, dove papa Leonardo, già buon Seconda Categoria, fa il maestro di tennis e dirige una scuola - scusate se è poco – con 230 ragazzi. È lì che Filippo già a tre anni si è ritrovato con una racchetta in mano, non per forza, ma nello spontaneo tentativo dì imitare i gestì di papà e dei suo allievi. Da allora in soli sei anni è già diventato un giocatore completo e anche potente, con qualche puntata a rete per sorprendere l’avversario. Papa Leonardo, schivo il giusto secondo il miglior costume bergamasco, dice: «Quello che mi sorprende è il livello tecnico che è varissimo di tutti questi ragazzini. Ai nostri tempi ce lo sognavamo». Quasi fosse un fatto generazionale e non il frutto anche del suo lavoro di maestro, almeno per quanto riguarda Filippo. Un ragazzo timido, mi dicono, ma felice di giocare a tennis come di praticare qualunque altro sport, meglio ancora se ha a che fare con una palla che gira Ha scelto il tennis, Filippo, ma poteva riuscire bene anche in altro, cosi come succede a tantissimi ragazzi nei paesi che hanno una cultura sportiva più curata della nostra. Sarà forse per questo che Filippo Mora potrà farcela, da grande, dove tanti altri italiani giovani e meno giovani hanno fallito. Ma sempre a sentire papa Leonardo il ragazzo ha altre qualità che sembrano indirizzare verso un futuro da campione, come un’attenzione quasi maniacale ai particolari sia tecnici che tattici e una curiosità intelligente che lo porta a condividere i suggerimenti solo dopo che li ha capiti davvero. Un rapporto quello tra Filippo e il padre che ricorda molto quello fra Nadal - il suo campione preferito – ed il suo coach. Tanta voglia di migliorare in allegria, senza recriminare per una sconfitta, ma cercando di coglierne il positivo. Chissà che per il tennis italiano si la volta buona. Certo Filippo è in ottime mani se a Parigi papa Leonardo porta in finale anche un altro suo allievo, l’under 12 Tommaso Buffoni. Tira una buona aria per il tennis vicino a Bergamo se continua così forse abbiamo trovato un altro buon punto di riferimento oltre a quello di Massimo Sartori in Alto Adige.
Scandalo scommesse, che vergogna aver scaricato i nostri giocatori

(Gli azzurri vittime di dirigenti incompetenti)

Massimo Rossi, libero del 27-12-07

Dopo Di Mauro anche Potito Starace e Daniele Bracciali sono caduti nella rete giustizialista dell’Atp e sono stati costretti a patteggiare una pena, il primo sei settimane e il secondo 3 mesi di sospensione dall’attività. Al ridicolo non c’è mal fine. Il nostro numero uno aveva scommesso su partite di altri giocatori in tornei cui non partecipava la iperbolica somma di 90 euro complessivi nel 2005, mentre l’aretino - ben più spendaccione - di euro ne aveva persi ben 300 negli anni 2004 e 2005. Avremmo dovuto difenderli di più questi nostri tre ragazzi, anziché mandarli allo sbaraglio, vittime di dirigenti incompetenti e sempre più incompatibili con lo sport vero. Sospendere tre professionisti, impedendogli cosi di fare il loro lavoro, per un motivo tanto ridicolo non è serio e deve far riflettere. Peccato che una simile storiaccia abbia guastato il fine anno del nostro tennis, il cui bilancio sembrava avviato a consuntivi per molti versi accettabili, Rimane il problema del giocatore di vertice, la cui soluzione non sembra purtroppo vicina. E’ bello veder giocare e vincere Federer, Nadal, Murray e compagnia bella, ma ci pensate cosa sarebbe veder vincere - o almeno andarci vicino- un italiano? Allora sì che il calcetto restituirebbe lo spazio usurpato al tennis e a Treviso non ci sarebbe bisogno di affittare i campi per le preghiere dei fedeli islamici. Uno come Panatta però non nasce per caso, ma dall’impegno e dalla bravura di chi lavora sul campo con i giovani, dai maestri delle scuole dl tennis fino ai coach dei più promettenti, I nostri quattro moschettieri negli anni settanta avevano trovato uno come Mario Belardinelli, che faceva il coach senza saperlo, capace di trovare sempre la corda giusta per smuovere dentro ai suoi ragazzi quel qualcosa in più che li faceva vincere. Panatta, Bertolucci, Barazutti e Zugarelli adesso farebbero fatica a diventare quello che sono stati per tanti motivi, ma anche perché il cuore allora veniva prima di tutto e oggi non è più così. Se nel nostro piccolo e provinciale mondo del tennis nazionale si mettessero da parte le vecchie ruggini, oltre che a Corrado si potrebbe chiedere anche ad Adriano, a Paolo e a Tonino di dare e insegnare quel qualcosa in più ai nostri ragazzi. In fin dei conti loro sono stati gli ultimi destinatari di una ricetta vincente, e certo non l’hanno dimenticata. Ma forse è il clima delle Feste di fine anno che gioca brutti scherzi a chi scrive e allora aspettiamo che la Befana ci riporti i primi tornei d’oltre oceano, cosi potremo tornare ad ammirare campioni che parlano un’altra lingua senza neanche che i nostri possano provare a batteri! Sono e siamo tutti squalificati, ma brindiamo lo stesso all’anno che sta per arrivare, non si sa mai.

Ecco il Lemon Bowl record di iscritti per il futuro n°1

(Quest’anno si sono superati i 1700 iscritti, il precedente record era del 1992)

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 27-12-07

Sono 24 anni, portati splendidamente. Il torneo natalizio giovanile “dei limoni” scatta oggi sui 26 campi in terra rossa dei circoli New Penta 2000, Madonnetta Tennis Park, Polisportiva Palocco e Eschilo 2 zona Cristoforo Colombo. Se i profumi e i colori per tradizione sono sempre gli stessi. L’edizione 2007/2008 del «Lemon Bowl by Head Ttk» può vantare numeri da capogiro…. Quello degli iscritti è, infatti, il dato più alto mai registrato nella storia del torneo romano: fino al 6 gennaio (nel giorno della Befana si disputano tradizionalmente tutte le finali) 1726 ragazzi e ragazze, nelle categorie under 8, 10,12, 14, 16 e 18, si contenderanno le ambite coppe riempite da succosissimi limoni. Rispetto allo scorso anno il numero degli iscritti ha registrato un incremento di 250 partecipazioni, superando il primato dell’ottava edizione del 1992 (che vantava 1567 partecipanti), rimasta nella memoria degli appassionati per il nome della vincitrice della categoria under 12, Anna Kournlkova, esplosa poi da li a qualche anno, la bella russa è solo uno del grandi nomi ad aver raccolto sui campi di Roma le prime glorie. Oltre a molti azzurri (l’aretino Federico Luzzi ha trionfato nello stesso anno della Koumlkova), ncll’albo d’oro del Lemon Bowl spicca il nome della regina in carica degli Internazionali d’Italia, la serba Melena Jankovic (vincitrice dell’edizione 1997 nella categoria under 12), o dei campioni di Coppa Davìs croati Ivan Liubicic e Mario Ancic (nel 1995, rispettivamente nelle categorie under 16 e under 12), o l’ex regina del Roland Garros, la russa Anastasia Myskizia (nell’under 14 dell’edizione 1994). Oltre a tutte le regioni italiane, e al Team Italia ufficiale under 12 (In pratica i migliori azzurrini), al Lemon Bowl prendono parte 34 giovani atleti provenienti da Francia, Gran Bretagna, Germania, Svizzera, Bosnia, Serbia, Croazia, Slovenia, Romania, Bielorussia,, Bulgaria e Ungheria…… Ma perché proprio i limoni? Il torneo è nato nel 1985 e si rifà allo storico Orange Bowl di Miami (il prestigioso «torneo delle arance» che chiude la stagione agonistica giovanile mondiale e vinto in passato da stelle del calibro di Mc Enroe, Lendl, Sabatini, Henin e Federer, ndr). E’ stata una idea dello storico maestro Gianni Salvati, sempre molto attivo nella Capitale e capace di idee innovative e geniali. Volle creare un evento che potesse inaugurare la stagione e cosi, rimanendo in tema, ha dato vita al Lemon Bowl Nella prima edizione, a cui partecipavano solo i ragazzi del Lazio e delle regioni confinanti, parteciparono 488 iscritti, dopo qualche anno cominciammo a ricevere richieste dalle federazioni straniere. Fino al 31dicembre sono In programmale qualificazioni, con oltre 300 match ai giorno. Dal 2 al 8 gennaio la fase finale.
Mika e le lolite del tennis business

(Dopo appena 5 mesi di gioco, la giovanissima anglo-serba di quattro anni sta iniziando, forse, a scriversi il futuro da numero 1)

Stefano Semeraro, la stampa del 24-12-07

Le liste sono due. L’ultimo nome da aggiungere, capiremo poi a quale delle due, è Mika Stojanovic. Segnatevelo. Quattro anni, inglese, un sorriso luminoso disegnato dentro un visetto da bambolina più mediterranea che albionica, l’inevitabile racchettona impugnata a due mani II mese scorso mamma Simone, 26 anni, suddita di Sua Maestà, e papa Igor, 40 anni, uomo d’affari montenegrino con un passato da cestista, l’hanno iscritta ad un tornèo under 10 a Londra, il primo della sua - vogliamo già chiamarla: «carriera»? ovvero il Lawn Tennis Association’s Mini Orange Tournament, organizzato dal gym, in Squirrels Hèath Lane. Mika, sventolando rovesci e una coda di capelli crespi, ha vinto due incontri su quattro, battendo due ragazzine di otto anni, il doppio della sua età. Si, avete capita Mika è l’ultima arrivata di una serie infinita. Quella dei bambini prodigio. Un fagottino sorridente cui il Daily Mail ha già dedicato una pagina, e che Pat Gash, l’ex-campione di Wimbledon, ha già «prenotato» per una seduta di palleggio l’anno prossimo al Queen’s, giusto prima dell’inizio dei Championships. Qualcuno gli aveva parlato delle doti di Mika, lui si è fatto mandare una cassetta ed è rimasto - pare - basito dalla scioltezza dei colpi della minuscola Miss Stojanovic, tanto da chiamare al telefono la famiglia e assicurarsi lo ius prima palla. Un fulmine, il vecchio Pirata, visto che Mika ha iniziato a giocare da pochissimi mesi. «È rimasta affascinata guardando l’ultimo Wimbledon», spiega mamma Simone. «E appena dopo aver visto la finale dì doppio misto vinta da Jamie Murray e Jelena Jankovic (Un inglese e una serba, guarda caso, ndr) ha iniziato a giocare. Così l’abbiamo portata in un parco qui a East Ham, e ora non fa altro che giocare. Ha iniziato da cinque mesi ma sembra che si sia allenata per anni». Entusiasmo di mamma. Entusiasmo di papa: «Se gioca cosi a quattro anni, cosa potrà fare fra qualche tempo?», si chiede orgoglioso Igor. «Vogliamo solo nutrire il suo talento, e se questo significherà trasferirsi in America, lo faremo». Una decisione già presa. Mika l’anno prossimo volerà in Florida dove Oscar Wegner, ex coach di Gustavo Kuerten e delle sorelle Williams, ha già studiato per lei un piano quinquennale. L’ultimo entusiasmo è quello, scontato come le parole con cui lo esprime, di John Littleford, direttore della Modern tennis Coaching Àcademy di Gidea Park, nell’Essex, dove al momento è collocata la presunta piccola buddha: «Mai vista una giocare cosi alla sua età. Pura gioia. Ha il potenziale per raggiungere qualsiasi risultato. Mika è la prossima numero uno del mondo inglese, e noi dobbiamo solo occuparci di lei». II digrignante meccanismo della caccia alla predestinata, insomma, si è già rimesso in moto. Senza voler scomodare l’epopea ancora pienamente XIX secolo di Lottie Dod, la proto-Lolita che vinse Wimbledon a 15 anni nel 1887 e 88, gli esempi delle fanciulle prematuramente (prematuramente?) sbocciate nel tennis è lungo, e va, tanto per citare i casi più eclatanti, da Tracy Àustin, che quasi alla stessa età di Mika era finita sulla copertina della rivista specializzata americana «World Tennis» e che nel ‘79 diventò, a 16 anni e 9 mesi, la più giovane vincitrice degli Us Open, a Steffi Graf, Monica Seles, Jennifer Capiteti, Mary Pierce e Martina Hingis. Da Anna Kournikova, che a 9 anni era già un delizioso oggettino di marketing, a Jelena Dokic, la serbo-australiana che proprio a Melbourne, a gennaio, tenterà l’ennesima rentrée di una vita-carriera tormentata, alla meteora Alexandra Stevenson, alle Williams e Maria Sharapova. Tra i maschi basterà citare Andre Agassi, che ad allenarsi iniziò quando era in fasce, Michael Chang e più recentemente Richard Gasquet, che Tennis Magazine scoprì nella provincia francese, per battezzarlo futuro, fuoriclasse, quando il frugolo non aveva ancora 9 anni; o Donald Young, il fenomeno afro-americano riemerso l’anno scorso dopo stagioni di accecamento per eccesso di aspettative. Ma se un tempo a passare da innocenti e pigmaglioni erano i maestri, oggi l’impressione è che il ruolo di scout-pedofili sia passato ai media e agli occhioni elettronici. Le cassette, internet, l’e-mail, le fotocamere, la vetrina onnivora di You-Tube moltiplicano ed espongono i presunti Mozart dello sport in presa diretta. Addirittura, come nel caso di Mikà, a 4 anni e a cinque mesi dalla prima pallina centrata. Un record, probabilmente. Non sono invece originali la mappa genetica e l’itinerario previsto di Mika. Almeno una metà dì cromosomi dell’ est europeo, almeno un genitore ex sportivo, almeno un genitore-padrone (babbo Igor?) affettuoso a parole ma decisissimo a tentare di tutto pur di sfondare; quindi il trasferimento in una delle due grandi incubatrici di campioni contemporanee la Florida o la Spagna. Il tutto da shackerare con dosi equine di allenamento. O sei Federar, magari la Henin, sostengono i più realisti (o i cinici?), o per sfondare questa è la strada. Obbligata di ossessione, con un guardrail di sacrifici Stesa sopra le gioie e le coccole dell’infanzia. Per i campioni elencati nella prima lista, indubbiamente, ha funzionato così. Esiste però una seconda lista, meno nota, che nessuno pubblica e che riporta i nomi di quelli che non ce l’hanno fetta. Di chi dopo anni di fatiche ha capito .di non avere la stoffa per uno sport nel quale, per citare ciò che Yogì Berrà diceva del baseball, «conta per il 90 per cento la testa, e per l’altra metà il fisico»; o di chi semplicemente si è ribellato alla tirannia di genitori e coach. «So benissimo che non sarebbe giusto mettere pressione su mia figlia a quattro anni -assicura Mrs. Stojanovic - ma so anche che ha tutto per diventare una numero uno». Prima di Mika gli ottimi buddha segnalati, anche loro a 4 anni, erano stati quelli dell’americano Jan Kristian Silva o di Sonya Kenin, russa emigrata negli States. Jan, il «Tiger Woods del tennis» è stato accolto dall’accademia Mouratoglou, e il suo mentore francese è convinto che Jan «male che vada, vincerà qualche volta Wimbledon». Sonya ha 9 anni ed è la n°1 delle under 10 in Florida, e secondo papa Alex «è felice». Per capire su quale delle due liste finiranno, occorrerà aspettare ancora lunghi anni.
Scommesse di serie B tennis italiano a pezzi

(Da Febbraio probabili altre 25 squalifiche con qualche pesce grosso)

Stefano Semeraro, la stampa del 23-12-07

Tennisticamente – e non solo - siamo un paese di pesci piccoli. Vinciamo poco, scommettiamo poco, ma per il momento hanno beccato solo noi, che politicamente contiamo pochissimo. Di Mauro, Starace e Bracciali, il podio degli squalificati nel caso-scommesse nel tennis è tutto nostro. Vaglielo a spiegare, ai mondo, che si è trattato di puntate ridicole e innocenti, non di crimini. Gli scommettitori, i furbetti del quartierino, siamo noi, thè italians. Una tegola immeritata che cade sulla testa già fasciata di un tennis che da troppi anni si dibatte nella mediocrità, rimpiangendo gioie lontane. Relegati da 7 anni nella serie B di Coppa Davis, incapaci di strappare un risultato di spicco negli Slam, spesso costretti a emigrare all’estero (vedi i casi degli «spagnoli» Pennetta e Pognini), incapaci di darci un assetto stabile e credibile sul piano tecnico. Certo, non tutto è da buttare. Gli Internazionali d’Italia sono tornati in attivo (2.584.149 euro di incasso nel 2007), i tesserati agonisti dal 2002 sono in aumento costante (t-17,48%), le ragazze ci danno soddisfazioni. Eppure i venticelli postivi non riescono mai a trasformarsi in tendenza, a farsi sistema. L’azzurro, nel tennis, è ormai un colore fuori moda. Perché? «Noi italiani siamo provinciali e fatalisti - risponde Paolo Bertolucci, ex campine e capitano di Coppa Davis, oggi commentatore per Sky -, Nel ‘76, con la vittoria in Davis, si seminò bene, ma poi si è raccolto male. Abbiamo creduto che un nuovo ciclo sarebbe arrivato per diritto divino, ma non è stato così. Poi dobbiamo capire che il tennis professionistico è uno sport per pochi eletti: le risorse concentriamole su chi vale, e diamo carta bianca a maestri di valore». Riccardo Piatti, tecnico apprezzato in tutto il mondo, ha deciso di non rinnovare il contratto che lo legava alla Fit: «La gestione Binaghi sta facendo bene in molti settori -premette -. E il mio addio vuole essere uno stimolo. Possibile che l’Italia sia ancora ferma ai risultati di Panatta e Barazzutti? Io 4 anni fa indicai 4 obiettivi: vincere la Coppa Davis o la Fed Cup, una medaglia olimpica, uno Slam e piazzare un tennista fra i top 10. Obiettivi che quasi tutte le nazioni paragonabili a noi stanno raggiungendo. Invece, vinta la Fed Cup, ci siamo accontentati. Io alleno Ivan Ljubicic, che senza il talento di Panatta e senza una federazione è arrivato n. 3 del mondo. Perché, al contrario del tennis italiano, ha saputo organizzarsi e pensare in grande. Noi viviamo alla giornata. Siamo lenti». L’ultimo arrivo in Fit è Edoardo Infantino. L’argenti-no, ex coach di Camporese e Nalbandian, dovrebbe curare i giovani Fabbiano e Trevisan. Ma Fabbiano probabilmente seguirà altre strade, e comunque fino a febbraio Infantino è legato al suo attuale allievo Del Potrò. Risultato: Trevisan rischia di perdere mesi importanti. E’ stata poi anche annunciata l’apertura di un centro tecnico femminile a Formia, che peraltro sembra un doppione di quello maschile di Tirrenia. Insomma si naviga a vista, fra i mugugni di chi accusa il dittatoriale presidente Binaghi e l’attivissìmo Sergio Palmieri - direttore degli Internazionali e ora sostituto a interini di Piatti - di troppe ingerenze tecniche, mentre all’orizzonte non si profilano fuoriclasse. Se non fosse vietato, varrebbe la pena di scommettere sul tennis italiano: i bookmakers ora offrirebbero una quota molto vantaggiosa. A febbraio, si mormora, fra gli addetti ai lavori, scatteranno almeno altre 25 sospensioni per mano dell’Atp: secondo voci riguarderebbero anche gli altri italiani Luzzi e Galimberti, indiscrezioni annunciano inoltre che dopo gii Australian Open verranno fermati in maniera «cautelare» anche dei pesci grossi (Davydenko? Qualche belga e qualche tedesco?}, ma più per una serie di indizi che per prove vere e proprie.
Ma quando l’Atp condannerà francesi, russi e spagnoli?

(Tutta colpa degli italiani? Ma dai…….)

Piero Valesio, tuttosport del 23-12-07

Gli spagnoli implicati nell’Operacion Puerto? Desaparecidi, il losco figuro che riuscirebbe ad avere libero accesso alle players launge di mezzo mondo e che sarebbe uno dei sensali incaricato di organizzare matrimoni contro natura fra giocatori e gestori di investimenti illeciti? Desaparecido pure lui. Giocatori di primo livello che contali personaggi avrebbero avuto ben più di un fugace contatto? Non pervenuti. Però l’Atp ha ruggito come può fare solo un’organizzazione che è giudicata e giudicante nello stesso tempo e ha condannato, dopo Alessio Di Mauro, altri due italiani per aver scommesso on line. Potito Staraee a sei settimane di stop e 30.000 euro di sanzione: Daniele Bracciali a tre mesi e 20.000 euro. Gli altri due azzurri indagati, che sarebbero Federico Luzzi e Giorgio Galimberti, sono in attesa di sapere quale sarà il loro futuro, A quali tennisti iberici fossero destinate le sacche di sangue ritrovate negli uffici del dottor Fuentes non è dato sapere: in compenso Starace è stato condannato per avere scommesso 90 euro (più o meno due anni e mezzo fà) in botta unica su un pacchetto di cinque incontri di tennis: Bracciali ha investito, fino a poco meno di tre anni fa, nelle scommesse online la notevole” somma di 250 euro. Entrambi aprendo un account a proprio nome e con la propria carta di credito. Sorge un dubbio: che l’Atp abbia qualche pròblemino? «Sono stati fantastici - dice il presidente della Fit Angelo Binaghi - è come se, dovendo indagare su una rapina in banca, avessero arrestato e condannato quelli che avevano parcheggiato l’auto in divieto di sosta davanti alla banca stessa. E poi io dico: solo i giocatori scommettevano? E quei loro dirigenti che hanno accesso a informazioni riservate più e meglio dèi giocatori? Loro invece non hanno scommesso? Che dignità può avere un sistema di giudizio dove i giudicanti sono assunti a tempo e pagati dall’associazione sui cui membri devono emettere un giudizio? Ormai noi possiamo tirare un sospiro di sollievo: hanno rivoltato come un calzino i nostri giocatori e nulla ci può più succedere. Penso che altee federazioni siano destinate a trascorrere giorni meno sereni». In buona sostanza la realtà è molto semplice: Di Mauro, Starace e Bracciali hanno commesso ingenuità colossali ma sono tutt’altra cosa da coloro i quali organizzano il movimento dei match truccati e da coloro i quali a tale gioco sporco si prestano. Che continuano a restare nell’ombra. L’Atp, che agisce sempre con metodica non-trasparenza, pare abbia in calendario udienze con altri 40 giocatori, fra i quali francesi, spagnoli, argentini e magari anche quel Kohlsenraìber che i suoi stessi connazionali hanno già messo in croce. Ma tale Associazione appare sempre più come un vigile di quartiere che sì è messo in testa di arrestare i capi dei narcos colombiani Fra la messa in allarme dal fatto che il volume di scommesse legato al tennis ha raggiunto vette inusitate: alcune agenzie hanno fissato in una cifra oscillante fra i 500 milioni e un miliardo di euro il movimento che si è verificato sui siti di betting nella sola settimana del Master Series di Parigi Berey. Una cifra spaventosamente più elevata del monte premi del torneo medesimo. Intanto Starace si allenerà qualche settimane in più e Bracciali si opererà alla spalla che tanto lo ha limitato nel 2007. E noi consoliamoci con lo splendido cammino di cui si è reso protagonista uno dei nostri baby più pregiati, Matteo Donati, al prestigioso Orange Bowl dove è arrivato alle semifinali. Matteo è cresciuto nel circolo Canottieri Ignaro ad Alessandria, noto per aver dato i natali tennistici anche a Corrado Barazzutti. Un ragazzo su cui si può scommettere, se è concesso adoperare tale verbo.
Niente moschea sui campi da tennis

(Arrivano i vigili ma non trovano niente d’illegale)

Anna Sandri, la stampa del 21-12-07

Sfrattati dalla moschea di Vìllorba, ospitati una volta e mai più al Palaverde, cacciati anche dall’oratorio della chiesa di Paderno di Ponzano (che il parroco Aldo Danieli aveva concesso dimenticando di avvisare il vescovo), i musulmani di Treviso un posto per pregare non lo avevano più. Quella di mercoledì per loro era una giornata importante, la Festa del sacrificio, e a offrire uno spazio (anzi, ad affittarlo) ci ha pensato Bepi Zambon, ex campione di tennis e titolare di uno dei club più esclusivi della provincia, alle porte della città. L’avesse mai fatto. I 300 musulmani sono arrivati ma poco dopo sono arrivati anche i vigili urbani, inviati dal pro sindaco leghista Giancarlo Gentilini con l’ordine di controllare tutto, quello che poteva nascondere una qualsiasi infrazione del club. E, nel caso, di colpire senza pietà. È malizia pensare a un controllo mirato? Proprio no, perché Gentilini lo rivendica; «Studierò i verbali che mi hanno portato, se c’è anche la minima cosa che non va lo faccio chiudere. E se non hanno trovato niente, studierò qualche stratagemma». Lo spazio di preghiera non è stato invaso dagli agenti: nessuno è entrato a disturbare il raccoglimento nei due campi di calcetto contigui, uno per gli uomini e uno per le donne, attrezzati fin dalle prime ore del mattino, all’esterno i tavolini del Benvenuto dal quale ogni arrivato poteva prendere datteri, focaccia, caramelle. Ma appena sono usciti i musulmani hanno capito che cosa stava accadendo: controlli serrati sulla viabilità, richieste di documenti. Intanto, all’interno del club, tutto veniva passato al setaccio, dalle uscite di sicurezza al bar, con corridoi di fuga costruiti all’ultimo momento su disposizione di due vigili del fuoco, arrivati in corso d’opera assieme a un agente della Digos. «Un atteggiamento offensivo - dice l’imam Youssef Tadil - perché siamo stati disturbati durante una delle feste religiose per noi più importanti. Abbiamo sempre portato rispetto, avremmo voluto averne anche noi. Quello che è successo contrasta con lo spirito d’accoglienza dimostrato dal signor Zambon». L’ex amico il Bepi, in origine, sarebbe anche amico di Gentilini, ma quando si tocca il tasto dello straniero il prosindaco non guarda in faccia nessuno: «Se qualcuno si lascia andare ad atteggiamenti che non collimano con quelli del Comune, magari per guadagnare una lira, queste sono le conseguenze che deve pagare». Zambon ribatte: «Ho affittato i campi come faccio a chiunque li chieda. E in questo periodo affittare mi conviene, visto che proprio al Comune di Gentilini devo pagare 270 mila euro di oneri d’urbanizzazione per le nuove piscine che ho costruito. In più questi ospiti hanno lasciato i campi in condizioni molto migliori rispetto a tanti altri clienti». Costo per la comunità islamica 400 euro: il prezzo regolare di due campi affittati dalle 7 alle 11. La cerimonia di benvenuto è durata un’ora e mezza, 45 minuti il tempo della preghiera. Tra musulmani di Treviso e Tennis club Zambon il feeling è scattato, oggi ci sarà una nuova riunione di preghiera. Gentilini è furente. Non avendo trovato qualcosa d’irregolare nell’impianto, lo cerca tra le pieghe dell’Isiam: «Che bisogno c’è di stendere tappeti per pregare? Da qua la Mecca non si vede, preghino la sera a letto prima di addormentarsi, che va bene lo stesso. E se non va bene, tornino a casa loro tre volte l’anno a farsi le loro feste». Un atteggiamento dal quale in molti prendono le distanze, primo fa tutti l’assessore regionale forzista Fabio Gava, che pochi giorni fa aveva definito Gentilini «inadeguato» a far parte della Casa della Libertà: «Bisogna stare attenti a non confondere l’integralismo con questi incontri dì preghiera, che in un Paese in cui esiste la libertà di culto devono essere tollerati»

“Noi come Csi salviamo il tennis dal gioco sporco”

(Dal film alla realtà…sempre alla ricerca delle tracce che le giocate su internet lasciano)

Stefano Semeraro, la stampa del 21-12-07

Occorre un fronte unito contro le partite truccate, una delle grandi emergenze nello sport degli ultimi anni, in particolar modo nel calcio, nel tennis e nel cricket. E le compagnie di scommesse on-line possono essere un importante alleato. Lo ha detto ieri Jacques Rogge, presidente Cio. Per le Olimpiadi il rischio non è alto ma, come sostiene Paul Condon, ex capo del reparto anticorruzione del cricket sentito ieri dal Cio, «the bad guys», i cattivi ragazzi possono occuparsi di tutto il resto. La Uefa ha già passato 15 casi di partite sospette all’interpol europea, sono oltre 200 i tennisti sotto indagine. L’italiano Alessio di Mauro è stato già sospeso (ma soltanto per aver scommesso in proprio sul tennis) per 9 mesi, il numero 4 del mondo, il russo Nikolaj Davydenko, è da agosto nell’occhio del ciclone. Questa settimana la polizia indiana ha interrogato il sudafricano Nicky Boje ancora in relazione allo scandalo che nel 2000 scosse il cricket. «L’errore - spiega Mark Davies, managing director di BetFair, la più grande compagnia di scommesse via internet inglese, che abbiamo intervistato a Londra - è mettere insieme scommesse e crimine. Noi stiamo dalla parte dello sport, e grazie ai nostri software siamo come gli esperti di Csi, che rilevano le tracce sul luogo del delitto: possiamo fornire alle polizie gli strumenti per identificare i cattivi». BetFair è nata nel 2000 da un’idea rivoluzionaria di Andrew Blak e Edward Wray: il betting exchange. Accedendo al sito di BetFair non ci si collega ad un semplice allibratore, ma si entra in un «mercato» virtuale in cui sono gli utenti, e non il gestore, a fare le quote istante dopo istante e a «tenere banco» gli uni contro gli altri. Non c’è limite alle somme che si possono scommettere (per un match di cricket si è arrivati ad un totale di 28 milioni di sterline) anche mentre l’incontro è in corso, e BetFair si limita a trattenere una commissione (5%) del totale. Risultato: quote più favorevoli fino al 20% rispetto alla concorrenza e 5 milioni di transazioni al giorno, 15 volte il totale di tutte le borse valori del mondo. Quando però «qualcosa di strano» succede -puntate troppo elevate per l’evento o concentrate in maniera anomala - il mercato viene bloccato. Proprio come è successo, per la prima volta a BetFair, nel caso del famoso match dello scorso agosto fra Davydenko e l’argentino Vassallo Arguello. «So che Davydenko ha sostenuto che è stata una nostra mossa pubblicitaria», replica Davies. «Io posso solo dirgli che non ci conosce. Fra i nostri campanelli d’allarme ci sono gli scommettitori professionisti, che intervengono sul forum del sito quando notano eventi sospetti. Quel giorno il forum impazzì, e al momento della sospensione c’erano già 50 mila persone che si chiedevano cosa stesse succedendo. La verità è che i match truccati danneggiano noi per primi, che peraltro siamo indifferenti al risultato. Un tempo era impossibile controllare le puntate anonime nei negozi dei bookmaker. On-line ogni giocata lascia una traccia. In Australia nessuno può aprire un conto presso di noi senza prima essersi recato ad un ufficio postale con un documento. Il nostro messaggio alle istituzioni sportive con cui abbiamo stilato un protocollo di intesa è semplice: prevedete pene durissime per chi truffa, Abolire le scommesse legali nello sport, invece, non farebbe che dare ossigeno al mercato nero a cui noi strappiamo clienti». Ma il tennis è davvero così «sporco?». «Il tennis non ha più problemi di altri sport. Credo che i match sospetti non siano più di una manciata. Ma per la sua natura potrebbe avere problemi in futuro, e deve proteggersi. Non credo al coinvolgimento della mafia, e sarei sorpreso se qualche sportivo risultasse colpevole. Io, però, sono un’idealista…». Dei 1200 dipendenti di BetFair 40 appartengono al «risk investigation departement», che ha anche un settore anti-riciclaggio. «Con l’Atp come con altri enti sportivi - spiega il capo del dipartimento David Harris - scambiamo informazioni ogni giorno. Se Federer o Nadal scommettessero su una partita noi informeremmo subito 1’Atp, mentre a volte sono loro a fornirci elenchi da controllare. Gli atleti a rischio sono quelli a fine carriera e quelli all’inizio, perché si fanno avvicinare da finti amici che chiedono piccoli favori per arrivare al ricatto. Un software ci consente di mettere in relazione i risultati di un giocatore ad eventuali puntate effettuate in continuità sui suoi match, e non solo da lui, ma da suoi amici, parenti, conoscenti. Quanto è profondo il link? Quanto basta». Fra l’apparire di un’anomalia e l’apertura di un’inchiesta a volte passa solo mezz’ora. «Spesso avvertiamo prima dell’inizio di una gara che nell’aria c’è qualcosa di strano. Ma noi non giudichiamo, diamo solo informazioni, e a volte l’iter completo può richiedere 4 anni. 11 caso Davydenko? L’Atp è veloce, forse sapremo la verità a marzo o aprile». Abbiamo chiesto a Mr Harris se BetFair si aspetta la pubblicazione di altri nomi: «Noi i nomi li sappiamo. Ma non si aspetterà che glieli dica, vero?».

Treviso, campi da tennis affittati come moschee

(Una semplice trovata pubblicitaria o cos’altro?)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 20-12-07

Nella riconversione da tennis a calcetto, e ritorno, i campi da gioco delle racchette italiane hanno vissuto ieri una storica tappa intermedia. E per due ore e mezza sono diventati moschea. Per soldi, circa400 euro, ma anche per provocazione. Perché le due superfici indoor riciclate ieri mattina per la preghiera di circa 400 musulmani per «il Sacrificio» fanno parte dello Sporting Zambon, a Treviso, nel cuore del leghismo véneto, dove troneggia il simbolo dei sindaci integralisti, Giancarlo Gentilini. Che è decaduto solo dl nome. Come confermano i vigili in alta uniforme ed i minuziosi controlli sfoderati all’ingresso del club, preannunciati dalle dichiarazioni televisive degli ultimi giorni dell’ex primo cittadino…..Senza rispolverare le battaglie fra «Don Camillo e Peppone» di Guareschi, il boss del tennis locale, il popolare Bepi Zambon, si dichiara di “Destra, ma assolutamente apartitico quando si tratta di sport”. E, soprattutto, arrabbiatissimo con il Comune - e quindi indirettamente con Gentilizi - che per gli oneri di urbanizzazione per i quali ha pagato 270 mila euro per le 3 piscine dell’impianto multifunzionale di via Medaglie d’oro che raccoglie un migliaio di utenti al mese «da un anno all’altro ha decuplicato la tassa, invece di aiutarmi negli sforzi di mettere due piscine all’avanguardia a disposizione della comunità». Anche per far cassetta, l’imprenditore ha accolto la richiesta del rappresentante della comunità musulmana, Youssef Tadil, ospitando i fedeli che erano stati sfrattati dalla Curia dalla parrocchia di Paderno utilizzata da anni per le preghiere di gruppo. «Noi del circolo abbiamo un buon rapporto con i membri della comunità musulmana: hanno giocato più volte a calcetto da noi, e non hanno mai creato alcun problema», ha sottolineato il simpatico Zambon, maestro di tennis dal 1954. Che, dopo qualche lotta sotterranea e qualche vélata minaccia, ha concesso volentieri l’impianto per quest’insolita funzione, facendo un dispetto al governo della città e fornendo un argomento di “circola” in più nella piccola cittadina veneta….. «E’ anche un modo per far parlare di noi, e del tennis», ha aggiunto l’ultimo provocatore. «Anche nell’ottica del ‘Project Treviso Italy’ che varerò a Pasqua con ragazzi dai 19 ai 21 anni, offrendo loro tutto quanto occorre per l’attività agonistica purché facciano conoscere il movimentò tennistico che a Treviso è a zero. E invece i segnali di un rilancio a livello nazionale esistono, tanto che io sto tornando a smantellare i miei 11 campi di calcetto, che dal 1993 in qua hanno sostituito quelli di tennis (sposando l’erba sintetica), tornando alla tradizionale terra rossa. Cui seguirà il cemento». Miracoli del tennis, e dello sport. A Treviso, Italia.

Che flop il tennis azzurro. Per fortuna ci salvano sempre le nostre ragazze.

(Bilancio di una stagione in chiaroscuro, ma con gli under che vanno male…e Trevisan e Fabbiano dove li lasciamo)

Massimo Rossi, libero del 19-12-07

Il 2007 è stato tutto sommato un buon anno per i giocatori italiani che non hanno ancora trova la chiave per i posti alti della classifica mondiale ma che almeno sotto il profilo della quantità e della continuità hanno ben figurato, soprattutto le ragazze, con le capita ormai da anni. Otto atlete fra le prime cento sono una bella cosa e cinque fra le prime cinquanta ancor di più. Manchiamo fra le prime venti ma i rapidi progressi nell’anno di due giovani di talento come Karin Knapp e Sara Errani fanno sperare davvero. Fra i maschi Andreas Seppi ha ripreso in mano il suo tennis e riguadagnato un più che decoroso posto in classifica mondiale (50), ma il 2007 è stato l’anno di Simone Bolelli e Fabio Fognini. I nostri due giovanissimi finalmente approdati stabilmente in classifica. Rimane il fatto che cinque atleti nei primi cento e nessuno nei primi trenta sono pochi per il nostro movimento, a dimostrazione che a livello mondiale maschile siamo ancora un tennis di seconda fila. Purtroppo anche fra gli under 12 e 14 non brilliamo, e fa rabbia guardare in casa degli altri, soprattutto in quella Spagna latina che e più di noi, dove addirittura hanno trovato l’erede del pur giovane Nadal. Carlo Boluda da Alicante fra i quattordicenni vince tutto e soprattutto convince tecnici e pubblico; i nostri non vanno invece oltre i primi turni. Riccardo Piatti ha imputato a questa mancata crescita qualitativa la sua decisione di sbattere ancora una volta la porta andandosene dalla Federazione. Lamenta una non chiara suddivisione dei ruoli e la mancanza di obiettivi folli e ambiziosi da parte di un non meglio precisato “ambiente”. Certo è che di questo ambiente il buon Riccardo ha fatto e fa parte a pieno titolo, per cui, detto francamente, le sue lamentele sembrano pococoraggiose~Me¬glio farebbe a essere più chiaro lui per primo portando critiche concrete e costruttive. Poteva furlo dentro ma può farlo anche fuori dalla Federazione. Quello che sorprende è che il nuovo arrivederci del tecnico comasco arriva proprio mentre i federali lanciano, almeno sulla carta, un paio di progetti tecnici che sembrano andare nella direzione suggerita da Piatti, e cioè quella di un unico modello italiano di preparazione dal ragazzino della scuola a l’atleta professionista di vertice. Evidentemente il nostro ex responsabile della preparazione olimpica li ha considerati progetti un po’ troppo di carta e ha detto basta. Vi è però da chiedersi cosa abbia fatto Piatti nel suo ruolo di consigliere della Commissione tecnica federale, sia pure nei ritag1i di tempo che la sua attività di coach a Montecarlo e di allenatore di Ljubicic gli consentivano. Bando però a polemiche e malinconie,è Natale!Auguri a tutti.

Il tennis è uno sport pulito. Corruzioni? Niente prove

(Filo: “tutti parlano ma nessuno porta le prove…”)

Andrea Facchinetti, E-polis Roma

La semifinale raggiunta agli Internazionali d’Italia 29 anni dopo Adriano Panatta e gli ottavi di finale al Roland Garros sono il fiore all’occhiello del 2007 di Filippo Volandri, che ha chiuso al numero 40 del mondo la stagione più difficile degli ultimi anni per il tennis maschile mondiale. Scandalo scommesse, partite truccate. Il 2007 entrerà nella storia più per le vicende extra tennistiche che per le imprese di Roger Federer. E’ così malato l’universo della racchetta? “Sono convinto che il tennis rimanga un sport pulito. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a denunce di tentate corruzioni da parte di colleghi, ma nessuno di questi ha mai fatto nomi oppure mostrato prove. A me non è mai capitato, la storia è piena di risultati strani e san sempre così perché nel tennis moderno è difficile essere al top della forma per 30 settimane consecutive. Dopo la squalifica di Di Mauro, è calato il silenzio. L’ Atp sta preparando la contro offensiva? Di Mauro ha sbagliato ed è giusto che paghi, piuttosto mi sembra eccessiva la punizione nei suoi confronti. Alessio ha solo commesso una leggerezza. Sono curioso di vedere come verranno trattati gli altri casi. Quale sarebbe il metodo più efficace per combattere il fenomeno delle scommesse? Una ricetta potrebbe essere quella di impedire le puntate nei challenger e consentirle nei tornei maggiori soltanto a partire dai quarti di finale. Quando un torneo arriva alle battute finali, tutti i tennisti rimasti in gara vogliono solo vincere. Dopo cinque stagioni ha lasciato la leadership Italiana di fine stagione a Potito Starace. “Mi dispiace, ma nonostante tutto è stata una buona stagione. Ho raggiunto due volte il numero 25, poi qualche infortunio di troppo mi ha frenato. Starace è stato più continuo. merita la posizione che ha raggiunto, ma l’anno prossimo sono pronto a riprendermi lo scettro. Davis? Tornerà in Nazionale per la difficile trasferta in Croazia? Ho programmato la preparazione invernale sui campi in cemento per adattarmi meglio al veloce. Ho modificato il movimento del servizio, adesso più accorciato e con una spinta di gambe maggiore. Perciò, sono disponibile. Contro i croati sarà dura, loro non avranno Ljubicic ma rimangono comunque favoriti con Ancic, Cilic e forse Karlovic.
Amarsi, la grande impresa

(Le grandi storie d’amore nello sport, quasi sempre finite male)

Piero Valesio, tuttosport del 18-12-07

Senti questa, Laure. E’ una bella storia, finita magari male, come la tua; ma il fatto che si sia chiusa con un divorzio non ha imbruttito ciò che di bellissimo era successo prima. Quindi è una storia molto diversa dalla tua; anzi, dalle tue. In comune c’è solo il fatto che i protagonisti erano ragazzi che amavano lo sport, proprio come te e gran parte dei tuoi findanzati, passati e presenti. Lui si chiamava Harold Connolly, era nato il primo di agosto del ‘31 nel Massachusetts, quando ancora la crisi che si era mangiata i risparmi degli americani era qualcosa di piu di una memoria. Lei si chiamava Olga Fikotova, era nata a Praga nel novembre del ‘32. Lui lanciava il martello dopo essere stato un dignitoso giocatore di football, lei il giavellotto dopo avere praticato con un certo diletto il basket, Se guardi una delle foto d’epoca che li ritraggono mentre si tengono per mano ti accorgerai che il braccio sinistro di Harold era più corto di dieci centimetri del destro: un handicap mica da ridere per un atleta. Ma tu sai bene cos’è l’amore: quando arriva, arriva. I due s’incontrano a Melbourne nel novembre del ‘56 per le Olimpiadi. S’incontrano nel villaggio olimpico come Fabio Carta e la sua attuale fidanzata, tanto per fare un esempio, e s’innamorano. Ma lui è uno yankee che si mette le mano sul cuore quando sente l’inno e lei è cecoslovacca. Vive dietro la cortina di ferro. E come se non bastasse, pochi giorni prima i carri armati dell’Armata Rossa si sono concessi una lunga passaggiata lungo i viali di Budapest nella prima data di una tournèe che li porterà anche a Praga, 12 anni dopo. Non è un amore facile, non si può fare. Mentre sono in Australia i due s’inseguono: lei guida per 400 chilometri per stare vicino al suo nuovo amore qualche ora. Poi però le Olimpiadi finiscono, i due tornano a casa. Olga nella Praga affumicata di cui puoi cogliere gli odori, qualora t’interessi, nell’”Orgia di Praga” di Philip Roth o anche nell’ «Erba Rossa» di Clerici. Il loro amore diventa un caso mondiale. Lui non può entrare in Cecoslovacchia, lei non ne può uscire. Eisenhower e Krusciov si guardano in Casgnesco. Ci vuole un anno perché Harold riesca a ritrovare Olga e a sposarla fra il tripudio di 40.000 praghesi festanti e di milioni di lettrici di newsmagazine che si occupavano di quello che sta al gossip di oggi come un cercopiteco all’homo sapiens. La storia finisce male perché Olga si trasferì a vivere in America, la stessa rotta seguita anni dopo dalla sua concittadina Martina Navratilova. E non si impara facilmente a vivere in America anche se si è angosciosamente abituati a percorrere il ponte San Carlo lanciandosi un’occhiata alle spalle per vedere se c’è qualcuno che ti segue. I due divorziarono nel ‘75: lei prese parte ad altre 4 olimpiadi, lui a tre. E lei fu anche la portabandiera americana a Monaco nel ‘72. Parafrasando Gaber si potrebbe dire che il loro amore era finito come quello di (quasi) tutti gli sportivi che si trovano, s’incrociano in un villaggio, si amano, si rincorrono e un bel giorno di stancano di rincorrersi perché hai visto quella ragazza bielorussa, mi ha guardato, magari le chiedo di uscire. Non ce l’hanno fatta Bjorn Borg e la sua compagna di tennis Mariana Simionescu. E Chris Evert ci ha provato due volte, con Jimmy Connors e con John Lloyd. Il secondo l’ha anche sposato ma poi arrivederci e grazie. Ci sono quelli che al matrimonio ci vanno vicino come Flavia Pennetta e Carlos Moya o come Maurizia Cacciatori e Giammarco Pozzecco. I primi due si pensavano, anzi ci pensava più lei; e più lei ci pensava più a lui veniva la pelle d’oca. I secondi avevano preparato tutto ma c’è sempre un ultimo momento prima di quel giorno e checché se ne dica e sempre il momento più ostico da superare. Forse si, forse, no: no. E tutto va all’aria. Poi ci sono anche quelli che ci provano a far scoccare la scintilla ma non ci riescono: Katarina Witt ancora ricorda quel giorno che quel ragazzone sorridente e un po’ bislacco le si presentò in camerino con un mazzo di rose. “E’ Alberto Tomba, uno sciatore” le dissero. Lei, Katy, accettò i fiori, tentò qualche abbozzo di dialogo ma poi niente, niente scintilla. Vedi Laure, la storie fra gente di sport spesso finiscono. Ma non è scritto che debbano per forza, e con dolore, finire con un anello lanciato sul bordo di una piscina.

Qualcuno però c’è riuscito. Guardate Agassi e la Graf

(La coppia d’oro del tennios che investe in ristoranti)

Piero Valesio, tuttosport del 18-12-07

Poi ci sono quelli che tengono duro, le cui strade s’incrociano quando la parabola agonistica non è più al suo massimo, quando si comincia a guardare avanti. Per esempio Kornelia Ender, la mitica Konny che a Monaco ‘72 sembrava una top model ante litteraram e a Montreal 76 (quando vinse quattro medaglie d’oro accompagnate da quattro record mondiali e pure un argentino, così tanto per gradire) il Bibendum della Michelin, occupò paginoni di giornali grazie alla sua relazione con Roland Matthes, l’eccelso dorsista suo connazionale in DDR. Una relazione-stato che il Regime celebrò come simbolica dello sportivo nuovo made in Deutsche Demokratische Republik ma che naufragò quattro anni dopo il matrimonio e la nascita della piccola Franziska. A Konny andò decisamente meglio quando si risposò con tale Steffen Grummt, già decatleta e campione del mondo bob a 4 sempre per la Ddr. Godono di splendida salute MisterAndre Agassi e la sua consorte Steffi Graf, probabilmente, a tutt’oggi, la miglior coppia di sportivi che esista al mondo. Tutto liscio nonostante il labbro che l’anno scorso l’ex kid di Las Vegas ha distrutto alla consorte quando, durante un doppio misto per beneficenza, i due giocherellavano a rete a pochi centimetri l’uno dall’altra. Tre figli hanno i coniugi Agassi più un ricco portafoglio di attività comuni: dai ristoranti al settore immobiliare. Una coppia-azienda che funziona e rende. Forse forse, dicono, si amano ancora. Così come si avviano a diventare una coppia quasi darecord Sara Simeoni e suo marito Erminio Azzaro. Sono insieme dal 1972 da quando s’incontrarono durante un viaggio a scopo gara a Sochi ignari del fatto che quello stesso luogo un giorno sarebbero stati organizzate addirittura le Olimpiadi. Sara&Erminio sono una coppia italiana pieno titolo, felici di esserlo. Vanno avanti Diana Bianchedi e GianMarco Amore, entrambi fiorettisti, e Michela Figini e Ivano Camozzi, sciatori entrambi, svizzera lei e italiano lui. Chissà chi sceglierà o da chi verrà scelta Carolina Kostner, quando deciderà di avventurarsi in un salto assai più arduo di un loop o di un salchow: una vita di coppia. Chissà se il suo grande amico Lambiel…E tanto per chiudere nobilmente chapeau davanti al menage familiare di Alex Zanardi e sua moglie Daniela: loro sono stati e sono una coppia. Punto.


Continua la caccia ai talenti del tennis: il 27 dicembre parte il “Lemonbowl”

(Si rinnova l’appuntamento capitolino con le migliori promesse giovanili provenienti da tutta Europa)

Emiliano Leonardi, il giornale del 16-12-07

È ai nastri di partenza il «Lemonbowl by Head Ttk 2008», torneo per tennisti under 18 che festeggia quest’anno l’edizione numero 24 con la velata speranza di ripetere i numeri record delle passate annate, almeno per quel che concerne le partecipazioni. Sono infatti già 1200 (erano 488 nel 1985 quando la manifestazione si disputò per la prima volta) gli iscritti alla storica manifestazione, che si disputa (dal 27 dicembre al 6 gennaio) nel quadrilatero formato dai circoli «New Penta 2000» (via di Malafede), «Madonnetta tennis park» (via Molajoli), «Eschi1o2» (Fosso di Dragoncello) e «Polisportiva Palocco». (via di Casal palocco). Il torneo, versione europea dell’Orangebowl di stampo statunitense, è riservato ai giocatori e alle giocatrici delle categorie under 10 (nati negli-anni 1998 e 99), 12 (‘96 e ‘97), 14 (‘94 e ‘95), 16 (‘92 e ‘93) e 18 (‘90 e ‘91) con il patrocinio della Federazione italiana tennis, dell’Unione italiana sport per tutti e in collaborazione con il Comitato regionale Lazio. Per tutte le categorie (compresa l’under 10) sono previsti un tabellone principale da 32 posti, uno di qualificazione e uno di prequalicazione (che comincia proprio oggi), mentre va sottolineato che sono ammessi di diritto al tabellone principale i giocatori stranieri, eventuali tennisti italiani segnalati dal settore tecnico nazionale e gli otto atleti provenienti dalle qualificazioni. È in programma anche un concentramento di under 8, che radunerà i migliori tennisti in erba d’Italia. Tra i milleduecento iscritti vanno ricordati nella categoria under 12 femminile la testa di serie numero uno Diletta Griseffi, nell’Under 18 maschile il romano Andrea Massimo Volta (classificato 2-6) che viene allenato dal maestro Giampaolo Coppo (il coach di Francesca Schiavone e Mara Santangelo, per intenderci) e nell’under 18 femminile l’altra capitolina Martina Totò, già trionfatrice lo scorso anno. La storia racconta che il Lemonbowl è stato fucina di ottimi tennisti: Ana Kournikova vinse l’edizione under 12 nel 1992, stesso anno in cui, negli under 16 trionfò Carolina Boniek -(che vinse anche l’anno prima fra le under 14) e fra i maschietti (under 12) Federico Luzzi, mentre 5 anni dopo Jelena Jancovic trionfò nell’under 12. Da annotare, poi, le 4 vittorie di Yari Natali (che non vinse solo la categoria under 14) e i campioni uscenti: fra i maschi Merzetti (under 8), Borza (10), Harris (12), Cammarata (14), Spinnato (16), Gorgerino (18); fra le ragazze Pafundi (8), Perrone (10), Griseffi (12), Zauri (14), Mazzali (16) e Totò (18).

Piatti, Secondo divorzio dalla Fit “Noi non puntiamo al massimo”

(“La Fit non capisce quale sono i veri obiettivi da perseguire”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 15-12-07

Riccardo Piatti, già tecnico federale e poi pioniere dell’iniziativa privata, quindi coach di Ljubicic e Djokovic, e insieme consigliere della commissione tecnica Fit e responsabile della preparazione olimpica, non rinnova il contratto con la Federazione. Il «suo» Furlan diventa direttore generale delle attività del Settore tecnico federale — promoveatur ut amoveatur -? il tecnico itinerante coi giovani sarà per 3 anni 1’argentino Eduardo Infantino e il cèntrò tecnico federale si sdoppia ancora: uomini sempre a Tirrenia, donne a Formia (con Francesco Elia, già guida e marito di Silvia Farina?). Piatti divorzia dalla Fit perché non hanno confermto il pupille Brandi? «Anzi, sono rimasto per un po’ per continuare il discorso-continuità. La Federazione ha lavorato è sta lavorando, ha risanato il bilancio, ha un bel rapporto con il Coni, ma i passi che fa’ non sono veloci come io vorrei, e come la realtà dello sport dell’iniziativa privata vuole: c’è dispersione e manca una guida tecnica comune dall’under 10 a Starace, Forse io non sono adatto: mi faccio da parte senza polemiche, per dare uno scossone positivo”. Ma il tennis italiano è in crisi, o no? «In 2-3 anni può diventare molto forte, se ai avvale delle persone più valide. e più adatte e facciamo qualità subito, Abbino giovani come Miccini; Quinzi, Donato e Napolitano che sono potenzialmente molto forti. Ma l’ambiente frena, non punta ai 4 obiettivi che paesi come Croazia, Serbia, Belgio, Austria, Svizzera raggiungono, senza Federazione e tradizione: entrare fra primi 10 del mondo, vincere uno Slam, una Davis, una Fed Cup una medaglia olimpica». Anche lei però, per Furlan, puntò a ottenere il suo massimo. Non lo Slam. «Sbagliavo. Infatti poi a Ljubicic ho dato le armi tecniche e atletiche, e l’ho portato al numero 3. Io vivo a Montecarlo, dove non si sentono nostri freni e il tennis è internazionale».Cosa farà adesso Piatti. «Alleno Ljubicic, e magari fra qualche tempo un paio di italiani giovani. Mi faccio solo da parte perché 20 anni fa non capivo che io il fisioterapista lo trovo in un giorno e loro in 6 mèsi. Ma so che io faccio il tecnico, il presidente fa il presidente e l’organizzatore fa l’organizzatore..».
Piatti abbandona il tennis che affonda

(Una Fit che non ama gli uomini di personalità)

Stefano Semeraro, la stampa del 14-12-07

Sempre più difficile capire dove va il tennis italiano. L’ultima notizia è che Riccardo Piatti, super consulente della Fit, lascia la federazione. “Non ho rinnovato il contratto”, spiega Piatti. «Credo ché il tennis italiano possa puntare su risultati migliori, sulla qualità». Evidentemente par di capire, l’attuale gestione non, lo consente. Eppure. Proprio Piatti fino a qualche tempo era stato presentato come l’uomo, capace di traghettarci verso un avvenire pieno di vittorie nello Slam e in Coppa Davis. Non è stato rinnovato, ma da parte Fit, neppure il contratto a Cristian Brandi, che nell’ultimo anno ha seguito, con buoni frutti, Trevisan, Fabbiano e Lopez, i nostri migliori under 18. Lo accusano di essersi preso troppe ferie, lui ribatte di aver lavorato come un cane. «Ma l’unica cosa che conta è che Trevisan. cambierà il terzo allenatore in tre anni». Alla faccia della continuità didattica. Al suo posto, se il Consiglio federale di oggi approverà il contratto triennale, Edoardo Infantino, già coach di Camporese. Renzo Furlan, direttore del centro di Tirrenià, ieri cadeva dalle nuvole «Non ne so nulla». Insomma, una situazione sconcertante, proprio mentre si affollano voci, sulla possibile sospensione di Storace (un mese) e di altri tennisti italiani per il caso scommesse. In compenso il Presidente Binaghi ha annunciato: l’apertura di un centro tecnico femminile a Formia, Affidato a chi? Non si sa. Forte, prima di aprire centri, sarebbe meglio riempirsi la “testa di idee e direttive tècniche meno confuse. Di lavorare sui coach, di affidare la leadership tecnica a una personalità di spicco, e di lasciarla operare senza ingerenze. Ma a questa federazione, si sa, gli uomini di personalità non piacciono.

Scommesse sul calcio Starace fermo un mese?

(Per il nostro numero 1 a rischio gli Australian Open)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 13-12-07

Un altro tennista sarebbe stato squalificato nell’ambito delle scommesse. E, dopo Alessio Di Mauro, al quale tocca il triste riconoscimento di primo condannato in materia con 9 mesi di sospensione: e 40 mila euro di-multa per aver puntato on line su alcune partite del suo sport-, anche il secondo tennista fermato dall’Atp Tour sarebbe italiano. Si tratterebbe di Potito Starace – il numero uno azzurro della classifica mondiale,oggi numero 31-, sarebbe stato squalificato per un mese per aver avuto anche lui un conto su un sito di scommesse on line, che pure avrebbe utilizzato solo per giocare sul calcio. Così come hanno sostenuto tempo fa alcuni giornali francesi e un sito web statunitense. E come avrebbe confermato le stesso atleta, colpevole della leggerezza. DA LONDRA La voce, rimbalzata ieri da Londra, in Italia ha trovato conferma soltanto in mezze ammissioni. Per altro anonime. Perchè l’ Atp punisce chi rilascia dichiaarazioni in materia, perchè tutti temono di aggravare la posizione degli interessati e perché in fondo tutti quelli in odore di squalifica continuano a sperare di non cadere miracolosamente nella rete. Alla quale partecipa da un paio addirittura la famosa Scotland Yard, oltre ad esperti delle scommesse sull’ippica inglese. Comunque sia, lo stesso Starace avrebbe confidato ad amici qualche perplessità sulla partecipazione al primo Slam dell’anno, il 14 gennaio a Melbourne, in Australia. E la Fit sarebbe da tempo in fibrillazione su questa voce che riguarderebbe proprio il numero uno del nostro movimento….. L’indiscrezione non ha trovato ancora conferme ufficiali dal gruppo Starace. Perché dietro le quinte è in atto una contrattazione con l’Atp sulla squalifica, che doveva essere di 6 settimane e forse è rinviata 4, ma che evidentemènte si vorrebbe trasformare in una forte multa o in una sospensione simbolica. Insomma; con una semplice tirata d’orecchie. Del resto, come s’è visto nel caso Di Mauro, la procedura prevede una proposta di squalifica, un dibattito davanti a un giudice neutrale con la presentazione di contro deduzioni della difesa, e quindi una condanna di primo grado che Di Mauro ha impugnato davanti al Tas, il Tribunale d’appello dello sport. Sperando in uno sconto.
Venus, festa di laurea ora è anche stilista

(Con la testa tra i vestiti ma con il cuore già in campo per la prossima stagione)

Stefano Semeraro, la stampa del 11-12-07

Venus Williams si laurea. Non in tennis, perché da tetracampeon di Wimbledon non ne ha davvero bisogno, e poi le accademie sportive le ha sempre schifate. «Troppa personalità», dice papà Richard, l’orco-educatore. «Iscriverla ad una Academy sarebbe stato come metterla in gabbia». No, Venere giovedì prossimo si laurea in «fashion design», si prende un diploma da stilista all’Art Institute di Fort Lauderdale. Un corso iniziato nel ‘99, quando la maggiore delle Willìams non aveva neppure 20 anni. «Alla macchina da cucire e al computer ha la stessa determinazione che ha in campo», sostiene Andre West, il suo tutor. «E’ stata bravissima a tenere duro, a studiare fra una vittoria nello Slam e l’altra. Ci mancherà il suo sorriso alle lezioni». Stilista in realtà la ex-numero uno del mondo già lo è. Da tempo. Ad agosto ha lanciato una linea di abbigliamento per lo sport e il tempo libero. Nessuno dei 120 elementi della collezione, neppure le scarpe, supera i 20 dollari, a realizzarla e distribuirla è lo stesso marchio americano a basso costo, Steve and Barry, che segue anche i capetti firmati da Sarah Jessiea Parker, quella di Sex and the City. La linea si chiama «EleVen», perché, spiega la stilista, «la mia vecchia casa di Compton, dove sono nata, era al numero 11. E poi 1l va oltre il 10, che è il massimo dei voti, quindi significa l’eccellenza». Tredici tappe promozionali in altrettante città, da Chicago a Los Angeles, lo stesso numero di tornei giocati quest’anno dalla Williams. Una seconda professione. O forse la prima. Il suo vecchio sponsor, la Reebok, che nel 2000 le fece firmare un contratto record per un’atleta donna, 40 milioni di dollari per cinque anni, non è più in grado di rinnovare l’accordo? Benissimo, Venus i vestiti se li disegna. Del resto da anni è titolare di una società di decorazioni di interni, la V Starr Interiors, che ha curato gli allestimenti per il «Tavis Smiley Show» ed era stata incaricata di arredare gli alloggi per gli atleti dal comitato che aveva sostenuto la candidatura di New York alle Olimpiadi del 2012. Una self made woman, l’incarnazione del sogno afroamericano, nata in un ghetto di Los Angeles e diventata miliardaria. Una atleta-azienda, un po’ come Maria Sharapova, la sua rivale russa, che ormai è un «brand» più che una tennista e aspira a diventare produttrice televisiva. Venus, la «Michael Jordan femmina», come Maria, è un sorriso di velluto su un carattere di ferro. «Le russe», sostiene, «vincono perché come noi neri poveri vengono da un appartamento di una sola stanza». Quando Bill Clinton la chiamò per complimentarsi per la vittoria agli Us Open, nel 2000, lei ringraziò dolcissima ma aggiunse; «Veda di abbassarmi le tasse, Mister President». Si è battuta come per la parità di montepremi fra uomini e donne a Wimbledon, e quest’anno ha avuto ragione di una tradizione che risaliva al 1884. «Le pari opportunità sono qualcosa in cui mi impegnerò per il resto della vita», ha spiegato. Da poco è stata nominata ambasciatrice dall’Unesco, e quando ha assistito alla premiazione di due donne che a Kabul alla faccia dei Talebani hanno organizzato un progetto di calcio femminile, ha educatamente urlato nella cornetta del telefono al boss della Wta Larry Scott: «Queste sono le cose che dobbiamo incoraggiare anche noi del tennis». A fine stagione Venus ha dovuto rinunciare al Master, anche per un problema di anemia, ma ha già pronto un piano; «Sono a posto. L’obiettivo per il 2008? Semplice; non perdere neppure una partita»

NOTA - E certo dopo tutto quello che era successo al nostro amato tennis, negli ultimi 300 giorni, mancava solo lo scandalo sessuale francese per chiudere alla grande un 2007 a dir poco movimentato. Dopo lo scandalo doping (a dire il vero già datato qualche anno), quello delle scommesse che ci ha dato materiale su cui “lavorare” per diversi mesi, sembrava che con il caso del ritiro della Hingis immischiata con l’affaire “Cocaina” si potesse tornare a parlare solo di tennis giocato in campo con i bilanci di fine anno e con gli auspici per la nuova stagione 2008. Invece, è tornata oggi alla ribalta la notizia che il libro dell’ex tennista (top 35) Isabelle Demongeot dal titolo “Service volè” basato sull’esperienze vissute in prima persona dall’autrice ha messo in luce un mondo fatto di soprusi e di violenze a danno delle giovani promesse (spesso anche minorenni) del tennis d’oltralpe. Al centro di questo racconto c’è la figura di un “mostro sacro” dell’insegnamento del tennis nei centri federali della FFT Regis de Camaret che nel suo centro di Saint Tropez ne avrebbe commesse di tutti i colori. Certo in attesa che i giudici francesi si pronuncino sull’operato di Camaret ed altri maestri coinvolti nell’indagine, non sta a noi dar giudizi di merito. Resta comunque il fatto che dopo la pubblicazione di questo libro i commissariati francesi sono stati invasi da altre dettagliate denunce riguardanti i comportamenti, a dir poco strani, di alcuni maestri in questi centri federali. Dopo l’interessamento di Sarkozy la Demongeot è stata, anche, nominata consigliera per la lotta contro i soprusi sessuali nello sport dal ministero dello sport e la Federazione Francese ha dovuto predisporre un piano etico di comportamento che tutti i maestri francesi dovranno obbligatoriamente seguire nel 2008. Per fortuna che siamo arrivati quasi alla metà di dicembre…altrimenti chi sa che cosa avrebbe potuto ancora riservarci questo “sfolgorante” 2007.

Il piano etico del tennis francese “Basta molestie”.

(Molte le accuse di abusi piovute, dopo il libro-denuncia, sui maestri dei centri federali francesi)

Domenico Quirico, la stampa del 10-12-07

Un profumo di scandalo mette a sossopra il fragonardesco tennis (femminile) francese, tutto volée e firmate culottes. Colpa di un libro scritto da una bionda signora di 40 anni, Isabelle Demongeot, che è stata campionessa di Francia e una delle prime trentacinque giocatrici del mondo. Con Service volé si è trasformata in una scoperchiatrice di ipocrite mascalzonate, ha svelato che dietro le favole delle giocatrici che costituiscono la gourmandise degli appassionati si nascondono aggrovigliamenti sessuali da codice penale. Spezzando il silenzio mantenuto per anni sulla propria dolorosa storia personale, ha puntato l’indice accusatore contro le magagne di un mondo dove allenatori e coach speculano sulla fragilità psicologica e la dipendenza di campionesse giovani, vere, presunte e future, e afflitte da genitori assetati di gloria e guadagno. E si trasformano in capimastri della turpitudine, praticanti la molestia e talora anche la violenza sessuale. Palcoscenici di queste fiabe nere, i centri federali e laboratori privati del successo servizio e volée. Denuncia che fa chiasso anche per il nome dell’allenatore accusato dalla Demongeot, un architrave del tennis femminile francese, Régis de Camaret. Nel suo centro di Marres, a Saint-Tropez, con metodi che i detrattori descrivono caporaleschi e gli incensatori geniali, sforna fuoriclasse, l’ultimo nome è quello di Nathalie Tauziat. È un uomo di successo visto che insegnava il tennis anche a Giscard d’Estaing quando da Presidente scendeva alla residenza estiva del forte di Brégancon. Dopo che Isabelle Demongeot ha rotto il silenzio, un’altra decina di allieve lo hanno accusato di violenza e molestie: molte delle vittime tra l’altro erano minorenni. L’allenatore, che nega con vigore, dovrebbe essere giudicato nell’autunno del prossimo anno. Nel frattempo la Demongeot è stata ricevuta da Sarkozy, attento a tutto ciò che lo può accreditare come raddrizzatore di torti privati e universali, e il ministro dello Sport Roselyne Bachelot l’ha nominata consigliera per la lotta contro gli abusi sessuali nello sport. La federazione, che ha fatto dapprima finta di niente trincerandosi dietro l’idea che fossero birichinate, ha dovuto scendere in campo perché il fenomeno si è rivelato di vaste proporzioni. E annuncia un radicale piano di moralizzazione dei costumi tennistici. «Abbiamo bisogno di essere esemplari» radicalizza il presidente Jean-Francois Vilotte. Il piano etico, che costerà 200 mila euro nel 2008, prevede l’obbligatorietà di un contratto per gli allenatori federali: i tecnici si impegnano «a tenere una condotta al di sopra di ogni rimprovero nei confronti delle allieve e a non abusare della loro autorità, astenendosi da relazioni sessuali con le giocatrici o i giocatori». Sembrerebbe ovvio, ma il fatto che debba essere messo per iscritto dimostra che è urgente ricordano. Il contratto vuole tutelare 450 minorenni affidate ai centri federali ma anche le giocatrici di alto livello che sono 150. I quadri federali dovranno seguire una formazione psichiatrica per avere il diploma e le atlete incontreranno periodicamente psichiatri, il modo per scoprire in tempo se esistono problemi; visto che l’esperienza ha mostrato che i genitori spesso preferiscono non vedere. Infine ci sarà un numero di urgenza per raccogliere le denunce delle vittime di abusi sessuali tennistici. E pensare che una volta lo scandalo maggiore era che la Mauresmo si dichiarasse omosessuale!

Djokovic invita l’idolo Tomba: “Sembro io 20 anni fa”

(Albertone: “Novak, ama ridere e scherzare è un tipo che fa bene allo sport”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 10-12-07

Metti una sera a cena Novak Djokovic, il numero 3 del mondo che festeggia in famiglia il boom del 2007 e invita Alberto Tomba, idolo suo e di papà Srdjan, già in passerella a Belgrado per la Fila e per inaugurare la fiera Expozim. Aggiungi un posto a tavola per Snerna Jankovic, mamma di Jelena, l’altra numero 3 del mondo di casa Serbia. Aggiungi un altro posto per Janko Tipsarevic (il sosia di Gennaro Gattuso), anche lui protagonista all’esibizione di ieri sera per 15 mila persone alla Belgradeska Arena con i quarta tennisti serba delle meraviglie, Ana Ivanovic. E poi, sorpresa, alle 10, trova una sedia per Sasha Danilovic, ex mano d’oro della Virus Bologna, ora presidente del Partizan…. Canti, balli: che cena da favola, giovedì, al pittoresco Sesir Moj (Il mio cappello) Alberto Tomba è commosso: «Sembra una festa del ‘Tomba Club’, quando sciavo io. Djokovic, somiglia molto al Tomba ventenne: ama ridere e scherzare, magari viene frainteso e strumentalizzato, ma fa bene allo sport. E’ un bravo ragazzo dai valori familiari, si dedica al tennis e trova gli spazi per svagarsi Anch’io a 20 anni ero li lì per vincere l’Olimpiade. Si vedeva che avevo qualcosa in più da campione, come Novak». Nole rivela: «A maggio, al torneo di Roma, stavo parlando con John McEnroe proprio di quando sciavo e di Tomba, di com’era l’idolo mio e di papà, di quanto l’ammirassi per la forza fra i paletti, quando alle 6 del mattino lo guardavo in tv: Tomba il mio idolo sportivo, con Jordan e Sampras… John mi ha interrotto per salutare qualcuno che ha salutato anche me. Poi mi ha chiesto: “Mi prendi in giro? Quello era Tomba”. Abituato a vederlo in tuta, non l’avevo riconosciuto, ho girato tutto il Foro finché non l’ho trovato, e mi sono fatto una foto insieme. Ma mi hanno rubato la macchina fotografica…». Anche stavolta, nell’euforia della festa (combinata dal trio Selmi-Barbadilo-Lelli), fra un abbraccio e una foto, Djokovic si dimentica qualcosa: “Non ho avuto il coraggio di disturbare Alberto con le mie domande da tifoso di sci. Sarà per la prossima volta”. Comunque, a parte il piacere di conoscere il suo idolo, ne ricava qualcosa: è Tomba a presentargli il connazionale Danilovic, amico di Alberto dai tempi di Bologna. Sasha che dice: «Novak non può sapere chi sono, quando ho smesso io lui aveva 13 anni. Magari, se mia figlia di 7 anni ha davvero dei numeri come tennista, come dicono, ci rivedremo nei tornei».
Le regole non scritte che lo sport ha inventato

(Il calcio dovrebbe prendere lezioni di fair play da molti altri sport…compreso il tennis)

Gianni Clerici, la repubblica del 07-12-07

Iniziamo dal significato. Fair play significa, letteralmente, leale gioco, e cioè gioco leale. Lo Zingarelli lo definisce «comportamento corretto e gentile» e anche «capacità di trattare gli altri nel modo dovuto». De Mauro lo ritiene «comportamento signorile improntato a cortesia». Da questo termine, il mio amico Tommasi trasse il titolo di una trasmissione sportiva, e quando un collega gli chiese ragione della sua anglofilia rispose: «Da noi non esiste termine equivalente». A simili riflessioni mi ha spinto la decisione della Fiorentina di srotolare un tappeto sull’erba dello stadio Comunale, e di allinearvi i suoi calciatori perché stringessero la mano agli avversari: i vincitori interisti. Decisione -mi dicono amici toscani - vivamente disapprovata da molti tifosi, perché l’iniziativa avrebbe portato male. Pare adesso che la Lega Calcio sia stata favorevolmente impressionata dall’idea, e voglia rendere abituale la stretta di mano finale, comunissima non soltanto nel rugby, ma nell’hockey su ghiaccio, la pallavolo e altri sport. Abbandonati quarant’anni fa gli stadi quale controfigura di Gianni Brera, incapace di tollerare slogan criminali e comportamenti da codice penale, dubito che simile trovatina da palcoscenico possa cambiare la nostra Gomorra domenicale. Mi parrebbe utile, giacche ci siamo, far indossare agli ultras più pericolosi delle belle redingote con collo inamidato, e ai lanciatori, dei guanti in pelle candida. Esiste peraltro un rimedio che io ritengo migliore, per ovviare alla modesta conoscenza che gli ultras sembrano avere dell’inglese, e quindi del termine fair play. Prima di ogni incontro, le opposte tifoserie dovrebbero selezionare due team di cento rappresentanti. I volonterosi dovrebbero sottoporsi a controlli analoghi a quelli abituali degli aeroporti, e in più al taglio delle unghie, delle mani e soprattutto dei piedi. Superati così i controlli, i due gruppi partirebbero, allo scoppio di un lacrimogeno, dalle due estremità del campo, per scontrarsi nel mezzo, e iniziare vivaci corpo a corpo, che l’arbitro e i suoi aiutanti (ben inteso armari) avrebbero il compito di interrompere soltanto in caso di svenimento o ferite gravi. Niente di nuovo sotto il sole: qualcosa di simile si svolgeva, guarda un po’, proprio a Firenze, agli albori di quel che venne chiamato Calcio Fiorentino. La palla doveva essere portata a raggiungere la linea dalla quale era scattata la squadra avversaria, e ciò assegnava un punto, giusto come oggi il goal o la meta del rugby. Simile rozza pratica dei tempi eroici non era ignota nemmeno nelle campagne piemontesi, dove si impegnavano vivacissime colluttazioni festive tra paesi vicini, con lo scopo di una conquista simbolica, sempre tramite palla. Di recente, la televisione ha mostrato in molte case le immagini del mondiale di rugby, vinto dal Sudafrica. Per i non addetti hanno suscitato stupore vivissimo certi scontri da cavalieri antiqui, (quello dell’inglese Jason Robinson e del capitano dei Wallabies Stirling Mortlock l’ho negli occhi) dopo i quali gli omoni si sollevavano per stringersi la mano, e magari giungere ad un buffetto o addirittura a una carezza. Esempio, mi pare, di quel che significa la parola fair play lo stesso avevo avuto qualche perplessità il giorno in cui ero venuto a trovarmi sulla metropolitana della Porte d’Auteuil, subito dopo la fine di un Campionato di Francia tra il Tolosa e lo Stade Francais. Memore di una brutta avventura nei dintorni di San Siro, mi ero fatto piccino piccino, temendo mi si potesse scambiare per un partigiano degli sconfitti. Ma ero rimasto incredulo, nel vedere i sostenitori…..offrire birre ai tolosiani e deriderli tanto amabilmente da suscitare un allegro scambio di battute…..Ma nel mio amato tennis il fair play è da sempre la regola. Si ricorda un intervento presso l’arbitro del mitico barone Von Cramm, che non accettò un successo in Coppa Davis informando di esser stato sfiorato dall’ultima palla avversaria, finita out. Su su fino a Andy Roddick, che giusto due anni fa, sul Centrale del Foro italico, rifiutò la vittoria contro lo spagnolo Verdasco,vittoria dovuta all’errore di un giudice di battuta e finì per perdere la partita, ma non la stima di sé e di tutti gli spettatori. Vorrei chiudere con un piccolo episodio che ho già riferito su queste pagine. Nel corso della prima domenica di Wimbledon si giocava tradizionalmente un match di cricket tra giocatori e giornalisti. Ammesso tra i giornalisti, stavo pavoneggiandomi per l’ormai sicura vittoria, quando all’improvviso i nostri lanciatori iniziarono a passare la palla all’avversario armato di mazza. Incredulo, e anche un po’infastidito, chiesi al nostro capitano se fossimo ammattiti. «Per nulla - rispose lui - qui da noi è una tradizione che gli ospiti non possano essere battuti». Due volte fair play.
Torna in campo la Seles

(In assenza di grandi personalità il carisma di Monica la può far tornare protagonista)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 5-12-07

Monica Seles a 34 anni si sente ancora competitiva. Ha visto Lindsay Davenport tornare a giocare (e a vincere) dopo aver dato alla luce un figlio ed essersi fermata per un anno. Ha visto Dara Torres tuffarsi in piscina ad oltre 40 anni e riconquistare un posto per i Giochi Olimpici nella squadra di nuoto americana. E allora ha ripreso la racchetta ed è tornata ad allenarsi. «E’ guardando loro due che mi sono convinta a riprovarci. Quello che ha fatto Lindsay (Davenport, ndr) è stato davvero bello. E come non ammirare la grinta della Torres. Loro ci sono riuscite e io voglio rimettermi in gioco». Un rientro Monica l’ha già avuto. Aveva smesso dopo essere stata accoltellata da un folle ad Amburgo nell’aprile del 1993. Aveva vinto Otto degli ultimi dodici Slam che aveva giocato. Il dramma provocatole da Guenter Parche le restò dentro, ferita anche nell’anima. Aveva ripreso solo nell’agosto del 1995, riuscendo a conquistare il nono Slam in Australia l’anno successivo. Poi, solo due finale agli US Open e una al Roland Garros fino a quando nel giugno del 2003 (eliminata al primo turno da Nadia Petrova sulla terra rossa di Parigi) aveva detto basta.
Problemi alla caviglia e alla schiena le impedivano di esibirsi al meglio delle sue possibilità. Il responso dei medici era stato negativo: si sarebbe dovuta operare alla caviglia ed avrebbe dovuto aspettare almeno nove mesi prima di recuperare la migliore condizione fisica alla schiena. Adesso torna in pista. «Mi piace giocare a tennis, amo questo gioco. Spero di avere un’onorevole terza carriera. Non farò di certo l’intera stagione. Solo gli Slam ed i tornei maggiori. La mia caviglia non mi permette di più. Probabilmente ricomincerò da Miami (torneo che ha vinto due volte, nel 1990 e nel 1991, ndr). Un bel modo per festeggiare, anche se con qualche giorno di ritardo, il suo 34esimo compleanno (è stato il 2 dicembre). Sabato prossimo sarà a Los Angeles per disputare un torneo che avrà come protagoniste alcune celebrità. Ci saranno anche i fratelli doppisti Luke e Murphy Jensen che raccoglieranno fondi per beneficienza. In campo anche Jennifer Capriatj, Justin Gimelstob ed altri ex tennisti. Monica vive a Sarasota, Florida, ed è aiutata in questa preparazione al rientro da un gruppo di persone amiche: Jennifer Capriati, Martina Navratilova e Jimmy Arias. Quest’anno si è ritirata Mattina Hingis, l’ha fatto in modo brutale, annunciando l’addio perchè scoperta positiva (cocaina) ad un controllo antidoping dopo un match di Wimbledon. Adesso un altro annuncio scuote il mondo del tennis, rivedremo giocare Monica Seles (che contro la Hingis ha perso 15 volte su 20), dominatrice dei primi anni Novanta. Colpita a tradimento dalla follia di un ammiratore di Steffi Graf, la Seles ha perso il momento più bello della sua carriera. Ora ci riprova. Risentiremo le sue urla (i tabloid di Londra avevano inventato per lei in gruntometro), ma soprattutto rivedremo una ragazza intelligente tentare ancora la sorte. Non certo per soldi. Il tennis femminile è a caccia di nuovi personaggi. Le due Williams (Serena e Venus) non riescono più a riempire i vuoti e Maria Sharapova sembra entrata in un cono d’ombra. E allora la Wta accoglie felice (e ben disposta a concedere wild card) un’atleta del carisma di Monica. Non siamo favorevoli ai rientro, soprattutto quando giungono in età in cui altri lasciano lo sport agonistico. Ma crediamo che il tennis femminile abbia ampi spazi e Monica Seles abbia classe sufficiente per inserirsi e stupirci ancora.

Agassi sulla neve «Adesso mi diverto»

(Andre pur di non lasciare i figli soli ha imparato ad andare con lo snowboard)

Massimo Lopes Pegna, la gazzetta dello sport del 5-12-07

Si muove sulla neve come fosse su un campo da tennis. Tavola da snowboard sottobraccio invece della racchetta Buffo vedere Andre Agassi, imbacuccato per ripararsi dal freddo invece di short e maglietta, consegnare orologi al podio, della discesa maschile di coppa del Mondo. Andre racconta ai curiosi che lo sport invernale è sempre stato una sua grande passione, ma le ferree regole del tennis gli avevano impedito di mettergli sci ai piedi: «Soprattutto mio padre quando ero piccolo era irremovibile: aveva il terrore che mi facessi male». Ora Andre Agassi fase semplicemente il genitore assieme a sua moglie Steffi Graf e dice: “Mi hanno trascinato qui i miei figli. Ci sanno davvero fare con gli sci». E con la racchetta? «Decideranno loro che cosa fare nella vita. So che qualsiasi cosa sceglieranno faranno meglio del loro papà. Ho la sensazione, però, che nessuno dei due diventerà un tennista». Lei, come se la cava senza scarpe da tennis? «Quando ho visto i miei figli sciare, mi sono detto: ‘Non li lascerò andare da soli sulle piste”. E così ho preso lo snowboard e da gennaio è diventata una grande passione». Gli atleti dello sci li Conosceva? «Personalmente solo Bode Miller, gran personaggio. Un paio danni fa ha fatto un doppio con mia moglie agli U.S. Open per beneficenza, E’ bravo. Altri li conoscevo di nome, come Maier. Ho visto le gare, mi sono divertito molto. E pensare che io mi ritenevo un bell’atleta, ma questi ragazzi in confronto a me sono del mostri». E dopo il ritiro come impiega il tempo libero, a parte lo sci? «Diciamo che mi manca molto il contatto con il pubblico e con i miei colleghi di spogliatoio, ma non rimpiango lo stress e le tensioni che mi potevano creare certe partite. Ora mi sento libero di fare quello che mi piace. Per esempio la beneficenza Sono fiero della scuola che ho aperto a Las Vegas, ormai nel 1993, per bambini bisognosi e seguo tutte le attività della mia fondazione».

“Scommesse, ecco come si trucca il tennis”

(Addirittura, nel tennis le scommesse sono la regola? A detta di un nostro “anonimo” tennista di primo piano)

Giuliano Foschini-Marco Censurati, la repubblica del 4-12-07

ROMA -Vuoi sapere come funziona la cosa delle scommesse nel tennis? Te lo spiego io, è semplice: per noi italiani è più o meno come per quelli che giocano in borsa avendo le dritte da dentro le società. Per gli spagnoli e i russi, invece, è una cosa diversa. Loro giocano anche sulle loro partite. I russi, soprattutto; perché sono messi sotto dagli “esterni”. Gente che col mondo del tennis non c’entra niente e che è interessata solamente al business delle scommesse e che controlla tutto della vita dei propri tennisti». A parlare è un tennista italiano di primo piano, uno dei migliori, di quelli che trascorrono la maggior parte dell’anno in giro per il mondo a disputare tornei, che però accetta di parlare solo a condizione di mantenere l’anonimato. Quello delle scommesse è un brutto ambiente, non si può rischiare. Le sue parole, però, sono tutt’altro che anonime; descrivono un mondo che non ha nulla a che vedere con quello che dovrebbe essere e confermano i peggiori sospetti nati negli ultimi mesi, a seguito dei vari scandali che hanno travolto il mondo dello sport (dalle scommesse nel campionato italiano di calcio a quello di Davydenko, fino all’ultimo della serie, quello delle partite truccate nei tornei Uefa). Ne1 tennis i giocatori scommettono. E questa è la regola. È più facile farlo nei tornei challenger, quelli di seconda fascia, piuttosto che negli Atp. Nei challenger è tutto più semplice, perché risultati più o meno strani non danno nell’occhio e perche controlli dell’Atp sono minori. Si gioca sempre su internet. Per lungo tempo il sito più frequentato è stato interwetten.com, che poi è stato chiuso. Ora si gioca ovunque, dove capita. L’importante è seguire sempre il primo comandamento; mai giocare con il proprio nome. Per questo usiamo le carte di amici, fidanzate, oppure di qualcuno che gira intorno a noi. Alessio (Di Mauro, ndr) è stato fregato dal fatto che usava la sua carta di credito». Quanto gioca mediamente un tennista? «Ovviamente c’è chi spinge di più e chi spinge meno, Ma da un po’ di tempo a questa parte è consigliabile non esagerare con le cifre, perché l’Atp controlla i flussi delle scommesse. Noi in media giochiamo trecento, quattrocento euro alla volta con due, al massimo tre partite. Ma ho visto anche puntate da cinquemila, sei mila euro a match». Gli italiani però non truccano i risultati, non giocano sulle loro partite. «No, noi ci limitiamo a quelle sicure, in cui magari sai che c’è qualche collega infortunato, o stanco o fuori forma. Non credo che sia uno scandalo, è solo un modo per arrotondare un po’. Gli spagnoli invece si. E anche i russi e un po’ tutti i giocatori che arrivano dai paesi dell’ex Unione Sovietica». Per loro è diverso. «Sono completamente gestiti da persone che fanno capo a organizzazioni che controllano tutto della toro vita. Da quando si devono svegliare a quando devono andare a letto, fino al lavoro del padre o della madre. In quel caso condizionare le loro prestazioni sportive è più facile, e a quanto si dice nell’ambiente questa cosa succede molto spesso. Ma si sa di meno: noi non abbiamo mai avuto notizia di una partita ‘sicura” in cui giocasse un russo». I loro padroni, invece, sì.

Tennis Capri fantastico, è scudetto bis

(I campani si riconfermano campioni ma che fatica contro Seppi e compagni…)

Tiziana Tricarico, il mattino del 4-12-07

Il secondo è più bello ancora. Concede il bis il Capri Tennis Academy a un anno di distanza la squadra del presidente Roberto Russo vince di nuovo il titolo della Serie A1 superando per 4-2 il Tc Alba Cuneo. Il punto della vittoria porta la firma di Potito Starace e Giorgio Galimberti che nel secondo doppio superano al terzo set Andreas Seppi e Simone Vagnozzi dopo una maratona iniziata alle 10,30 e conclusa all’una e trenta di notte.
«Sono contentissimo - dice Starace, numero uno del tennis italiano (31 Atp) che ha chiuso con il titolo nazionale a squadre la sua migliore stagione di sempre – Credo di avere dimostrato in questa final-four di essere davvero attaccato alla maglia del Capri. Non volevamo assolutamente perdere ed abbiamo lottato per questo: siamo campioni e ce lo meritiamo. In tre giorni -aggiunge il 26enne di Cervinara - ho giocato cinque match: tantissimo per uno che si sta già preparando atleticamente per il 2008. Ma non potevo cérto tirarmi indietro: volevo un altro scudetto per la mia Campania e per tutti quelli che mi seguono con passione». A1trettantp soddisfatto Giorgio Galimberti, l’ex davismen milanese ha affiancato Potito nel doppio di spareggio vinto contro il Bassano in semifinale che in quello decisivo per lo scudetto: «Capri è un grande club: la fiducia del team mi ha dato la serenità per giocare ai meglio: ho 31 anni ma voglio vincere ancora. Questo club ha un presidente che crede nei suoi programmi e nei giocatori che giocano per lui. Spero che nel 2008 gli appassionati di tennis ritrovino il Galimberti degli anni passati, quello che pei anni è stato titolare in Coppa Davis». Come detto ci sono volute quasi quindici ore per assegnare lo scudetto 2007 nella finale disputata sul campo del PalaRuffini di Torino (rimesso più o meno a posto dopo i problemi palesati sabato): che sommate alle 11 della semifinale fanno la bellezza di 26 ore di gioco, seppure inframmezzate da una giornata di riposo. Tribune gremite -ma dei 2.500 spettatori presenti all’inizio dei match, alle 10.30, solo i più coraggiosi hanno resistito lino all’ultima palla, all’1 e 15- ed emozioni a valanga hanno cantterizzato la sfida tra i campioni in carica e dell’Alba che in Serie Al si erano già incontrati tre volte: nel 2006 nella fase preliminare ad Alba finì in parità mentre nella semifinale-scudetto di Novate Milanese i campani vinsero per 4-2; quest’anno nella fase a gironi a Napoli ancora un successo per 4-2 degli isolani. Nonostante i precedenti incoraggianti, la squadra guidata da Paolo Heinrich (“E andato tutto alla grande, ma quanta sofferenza: abbiamo creduto in questi ragazzi che hanno dato l’anima per il Capri, dal primo all’ultimo incontro”) ha dovuto sempre rincorrere i piemontesi nei singolari prima di far valere la maggior esperienza e sangue freddo nei doppi «in notturna». Per il tennis napoletano si tratta del quarto titolo di serie A: il ‘primo fu nel 1924 con il Tc Napoli, il secondo nel 1950 con il Posillipo, il terzo nel 2006 con il Capri. Ora l’ultimo trionfo. DIFFERITA IN TV - Rai Sport Satellite trasmetterà oggi (5 dicembre), dalle ore 17 alle ore 19, un’ampia sintesi registrata delle fasi salienti della final-four 2007.

Tennis Usa in festa la Davis della rivincita

(Merito più della superficie o di capitan Tarpischev?)

Gianni Clerici, la repubblica del 3-12-07

Le Immagini che ho rintracciate su internet dovrebbero rallegrare re chi ha a cuore il patriottismo. Non certo quello di Bush, ma il sano, ingenuo patriottismo di un gruppo di giovanotti americani, tanto fortunati da potersi dedicare alle simboliche guerre chiamate sport. Festosi per aver sommerso la Russia con tre vittorie a zero, eccoli tutti insieme ad agitare drappi a stelle e strisce, lanciare in aria l’abitualmente impeccabile Patrick McEnroe: oltre a Roddick e Blake, e ai goliardi gemelli Bryan, si avvinghiano l’un l’altro Ginepri, Fish, il moretto Young e, a sovrastare tutti i due metri e dieci di Isner. Niente male, quanto a sparring partner che avrebbero fatto da soli una buonissima squadra di serie A. A stringere la mano con sportività, si inchinano i russi con il capitano Tarpischev corretto ma probabilmente perplesso. Era andato contro classifica, lo stratega, sapendo Davidenko, n.4. del mondo, disadatto non solo alla Davis ma al fondo duro. E aveva tentato un azzardo memore del successo di Tursunov contro Roddick, nella Davis del 2005. Tutto è andato a rovescio, a dimostrazione di quanto ho scritto le mille volte. Uno slalomista mai sarà mai favorito contro un discesista, il che -significa che, mutando le piste, muta il più delle volte il risultato. Due anni addietro gli stessi russi oggi battutissimi sul rapido, avevano prevalso sul rosso, sollevando critiche piuttosto severe nei pochi scribi americani che avevano affrontato la trasferta: eccettuato il mio gemello Bud Collins che dal millenovecento sessantotto l’anno dell’Open, aveva mancato un solo match. I medici avevano dovuto faticare per trattenerlo a Boston, a rammendargli il cuore. Mi fa notare ora, al telefono, l’amico, che i russi hanno sostituito gli australiani nella storica rivalità che ha condotto gli Usa a trentadue successi. contro i ventotto degli Aussies. E mi sollecita a non dimenticare che la Fed, la Davis femminile, è stata vinta dalle russe. La vicenda, aggiunge l’amico, sarebbe stata diversa si fossero impegnate a parteciparvi entrambe le Williams. Viene in mente quel che disse di recente Svetlana Zvonareva, in un’intervista: «Le americane e le occidentali, nascono troppo bene, hanno un vita troppo facile, in confronto a noi. E’ per questo che noi siamo capaci di soffrire di più”. Questa Davis sembrerebbe dimostrare il contrario. I quattro americani, compreso il semi-nero Blake, son tutti ragazzi nati con la camicia. Già nel novantadue papà Roddick traversava mezza America con il suo piccolo Andy, per mostrargli una mitica squadra Usa vittoriosa sulla Svizzera: allora priva di un Federer. Nel team americano vincente non ci saranno certo future defezioni per ragioni economiche come più volte avvenne ai tempi di Sampras e Agassi. Ma sarà quasi impossibile che gli eroi di oggi riescano a ripetersi su un campo in terra, contro una squadra spagnola, o argentina, o russa. Due sport diversi, li chiamò il grande Big Bill Tllden. Tanto vero che Federerissimo non riesce a vincere Roland Garros.

McEnroe jr, la Davis per liberarsi di John

(Lui il poster e lui il post-it, ma lui ha vinto la Davis da Capitano)

Stefano Semeraro, la stampa del 3-12-07

La foto è datata 1971. “John McEnroe, settimo migliore under 12 americano”, dicela didascalia. «A destra suo fratello minore, Patrick, 5 anni». La battuta è firmata John McEnroe: “Già allora Patrick era il mio fratello minore”. Modo sgradevole, poco fraterno se volete, per dire: lo è sempre rimasto. Mica facile, uscire da un vestito così, ritagliarsi un destino complementare, magari, eppure indipendente. Tutti e due tennisti. Ma lui, Jonny Mac, il primogenito, il moccioso, sette titoli del Grande Slam, cinque Coppe Davis, numero uno del mondo per 170 settimane e the genius per l’eternità. L’altro, Patrick il mite, terzo di tre fratelli, sedici tornei di doppio vinti (anche un Roland Garros con Jim Grabb), al massimo numero 28 in singolare e 3 in doppio. Un bravo professionista, il fidanzato ideale che ha sposato la sweethear di sempre, Melissa Errico, attrice di qualche successo e dal sorriso pulito, conosciuta alla Buckley County Day school di Roslyn, New York, mentre Johnny andava di Tatum O’ Neal di jet-set, di “you cannot be serious” e altri eccessi. Lui un poster. L’altro il post-it. Per uscire dall’ombra servi ,a un lampo di luce. Un’ideona, uno stratagemma. Esempio: riuscire in qualcosa in cui il fratellone aveva fallito. Nel tennis? Quasi impossibile. Ma Patrick ce l’ha fatta: sabato scorso ha vinto la Coppa Davis per gli Stati Uniti da capitano, riportandola a casa dopo dodici anni di magra. Una Coppa magari svalutata, snobbata da Federer e da tanti altri, ma che ad un’America da anni non più superpotenza basta ora a far gridare al «rinascimento» tennistico. Anche il McEnroe originale si era seduto sulla panca yankee. Quattordici mesi fra 1999 e 2000, il tempo di incassare in semifinale dalla Spagna un 5-0, urticante per il suo smisurato e arrossatissimo ego, e sbattere la porta, nel solito frullare di riccioli e improperi. Non gli era riuscito di convincere i suoi ex-colleghi, Sampras e Agassi, a dargli una mano. A sudare per la sua gloria. «Patrick ha un carattere più adatto a fare il capitano», spiega papà John senior, avvocato di grido a New York. «John era capace di entrare in campo, togliere di mano la racchetta ai ragazzi meno esperti e dire: guarda, si fa cosi. Si sentiva frustrato». Patrick, che nel 2000 raccolse il ruolo di capitano proprio dal fratello, si è dato un compito e uno stile diversi. Lento, paziente, diplomatico. Ha costruito una squadra investendo su quelli che sette anni fa erano ragazzini. Andy Roddick, James Blake - e che ora lo amano e lo ringraziano. Lo trattano da pari, da fratello maggiore. Roddick, da quando Patrick lo fece esordire a 18 anni, ha saltato una sola convocazione, per infortunio: «L’ho fatto per Patrick, ammette, «anche se abbiamo avuto le nostre discussioni». Il capitano ricambia non invadendo la scena. «È il giorno più bello della tua carriera, Patrick?», gli hanno chiesto alla fine del doppio vinto dai gemelli Bryan che ha cucito il 3-0 sulla Russia nella finale di Portland. «Non c’entro io, questa è una vittoria del gruppo, sono i ragazzi che hanno fatto il lavoro grosso». Un nano secondo dopo il punto decisivo, sabato sera, Jobn avrebbe inondato di sé il Memorial Coliseum. Patrick ha applaudito, è caracollato in campo asimmetrico, con la spalla destra scesa, eredità di una vita da doppista bimane, gli occhietti un po’ stolidi che nascondono una mente analitica, laboriosa. Ha abbracciato i suoi e stretto la mano ai russi. Felice, non euforico. «Proprio come Jòe Torre», hanno gongolato i columnist americani, ricordando il grugno ieratico del manager degli Yankees. «Amiamo Patrick perché è un amico leale», dice Bob Bryan. «Ci chiama due o tre volte la settimana, è sempre con noi, si prende le sue responsabilità. Capisce che abbiamo i nostri coach e non esagera con i consigli. Sa quello che è importante dire, così quando parla tutti lo ascoltano». Un leader silenzioso, a suo modo carismatico. Ma non è stato facile. «Quando aveva tre anni - racconta papà McEnroe - Patrick non voleva saperne di usare una racchetta piccola, doveva essere uguale a quella di John. Era troppo pesante, e per quello ha iniziato a giocare il rovescio a due mani». Qualche primavera più tardi, durante un torneo juniores in Tennessee, a Patrick capitò di sbattere la racchetta contro la rete. «Era forse la prima volta in due ore - ricorda McEnroe senior ma la sera in tv nel notiziario mostrarono quella scena e commentarono: un altro McEnroe, sempre la solita storia». Fu allora che Patrick capì che sarebbe rimasto sempre l’altro McEnroe, ma non sarebbe mai diventato la brutta copia di John. «A 13, 14 anni mi accorsi che la gente mi guardava in modo diverso per il cognome che portavo, spiega. E siccome anch’io ho un carattere acceso, mi dissi che avrei fatto meglio a non perdere mai il controllo dei, nervi». Non ha mai perso neppure il senso dell’umorismo. Nel 1991, vaso di coccio fra vasi di ferro, arrivò a sorpresa in semifinale agli Australian Open (battendo il nostro Cristiano Caratti). Ai giornalisti che lo incalzavano rispose con una sventagliata di auto ironia: «Tutto come al solito, no? Edberg, Becker, Lendl e McEnroe». Contro il fratellone giocò anche una finale, sempre quell’anno, a Chicago. Vinse John in tre set, sul match point il trillare di un telefonino interruppe il gioco. «Papà, è la mamma, dille che sto per arrivare», berciò il Maggiore verso John senior che ridacchiava in tribuna. E il minore gli fece eco: «Dille che sto arrivando anch’io». È arrivato in effetti anche lui, alla fine, inventandosi una carriera orizzontale dopo il tennis, visto l’irraggiungibile asintoto che si trovava per fratello. Commentatore Tv, conduttore di talk-show, membro del consiglio tecnico della federazione, capitano di Coppa Davis, marito e padre, ruoli che riesce a gestire evitando conflitti di interesse. «I mio nome mi ha aiutato all’inizio, con la Davis e la Tv. Ma credo di aver dimostrato che meritavo quelle chance». Un vincente. O, come lo ha definito con acuto, irredimibile, sincero e insieme velenoso affetto suo fratello John, «un bravo aziendalista». Guarda caso, proprio quello che lui non è mai stato.

Lo storico bis del Viterbo. Vince lo scudetto femminile con Schiavone e Pennetta “dedicato al presidente”.

(Con questo sono 5 anni che una squadra laziale diventa campione d’Italia)

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 2-12-07

Il talento aiuta, ci mancherebbe, ma la vittoria dello scudetto 2007 da parte delle ragazze del Tennis club Viterbo viene soprattutto dal cuore. E nella finale disputata ieri pomeriggio a Torino, e vinta con un netto 3-0 sulle emiliane del Ct Albinea, le laziali anno dimostrato di averlo davvero grande. Il trionfo, che vale il secondo scudetto consecutivo del club in tre partecipazioni nella competizione, e il quinto di fila di una squadra della regione (dopo i tre trionfi del Tennis Club Parioli 2003-05), è arrivato dopo una fase di gironi caratterizzata dalla sfortuna se sulla carta, con una rosa che sembrava una sfilata di Fed Cup (ricordiamo che il Viterbo ha dovuto fare a meno della numero 3 azzurra, e 36 del mondo, Tathiana Garbin, costretta al forfait da un problema al tendine tibiale posteriore),lo scudetto sembrava cosa fatta, strada facendo le ragazze di capitan Paolo Ricci sono state costrette sempre a rincorrere per sistemare una situazione che si era fatta davvero ingarbugliata (complici una sconfitta e due pareggi nella prima fase). Ieri alla Sisport di Torino (la finale è iniziata con 5 ore di ritardo a causa di un problema con il campo allestito al Palaruffini, sede designata inizialmente per ospitare la finale) il Viterbo ha puntato sull’esperienza delle campionesse del mondo 2006, e vicecampionesse 2007 Francesca Schiavone (n. 24) e Flavia Pennetta (n. 39); ma il ghiaccio lo ha rotto la talentuosa 22enne ceca Sandra Zahlavova, più volte «salvatrice delle laziali in questa stagione, che ha aperto il «tabellino” con un netto 6-3 6-2 alla giovane Francesca Campigotto; a seguire la Pennetta ha superato con un doppio 6-4 la 20enne di Casale Monferrato Giulia Gabba, prima del 3-0 definitivo firmato dalla «leonessa» Schiavone. Nella sfida tra numero l con la top 70 del mondo Sara Errani, la viterbese è stata impegnata severamente nel 6-4 6-4 finale…. «Sono contenta per me - ha dichiarato la Schiavone - per la squadra, ma soprattutto per il presidente Giorgio Barili, con cui mi sono trovata benissimo. Il nostro rapporto è nato per caso, ma poi si è consolidato e ora sono molto legata a questo club. «Questo scudetto ha un sapore sicuramente più dolce - ammette il capitano Paolo Ricci -. Tutto girava male in questa stagione. Un pizzico di fortuna, nella terzultima giornata della fase a gironi, ci ha permesso di rimanere in corsa per i playoff, e poi la svolta c’è stata contro il Prato in semifinale. Li, con una Flavia non in perfette condizioni, siamo riusciti a spuntarla con le fortissime toscane e ci siamo aperti la strada. Oggi è andato tutto benissimo, eravamo al gran completo e non abbiamo concesso neanche un set». E poi le campionesse hanno fatto festa con una quarantina di amici fino a tarda notte in un ristorante torinese. Per Viterbo questa è un’altra giornata storica.

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