Rassegna stampa di Maggio 08-Giugno 08: Adesso Gulbis ci spaventa davvero (Valesio). L’Atp rischia la bancarotta (Semeraro). Bellezza al potere (Valesio). La Sergio Tacchini passa ai cinesi per 27 milioni (Libero Mercato). Garbin sceglie Palermo per la svolta: «Ho bisogno di ritrovare la serenità» (Di Natale).

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Rubrica a cura di

DANIELE FLAVI (Carta stampata)

ANGELICA (Web)

 

Adesso Gulbis ci spaventa davvero

Piero Valesio, tuttosport del 12-06-08

Al Queens si gioca sull’erba e questa non è certo una notizia. Dunque il fatto che il lettone Ernests Gulbis, 19 anni, identificato dai più come un giocatore da veloce più che da terra, abbia battuto, con una certa fatica peraltro, il nostro numero 1, Andreas Seppi, non dovrebbe suscitare sorpresa E’ nella realtà dei fatti che un giocatore veloce, giovane, fantasioso e dotato di un servizio potente abbia la meglio sul nostro volenteroso Andreas, specie se si gioca sull’erba; mentre l’altoatesino, notoriamente predilige un veloce indoor. Ciò detto ora è doveroso che l’Italia del tennis si ponga m stato di massima allerta. Perché Ernests Gulbis, astro nascente del tennis mondiale, figlio di un magnate lettone, ce lo troveremo di fronte a metà del prossimo settembre quando la formazione capitanata da Corrado Barazzutti dovrà disputare a Montecatini il play-off per restare nella sene B della Davis e non sprofondare negli inferi. Qualcuno potrebbe dire allarme ingiustificato, si giocherà sulla terra. Di questo parere è parso anche lo stesso Barazzutti quando, all’indomani della sconfitta di misura patata contro la Croazia a Dubrovnik, sostenne che sul rosso Seppi, Starace e Bolelli non avrebbero dovuto avere alcun problema. Il fatto è, però, che il buon Ernesto al Roland Garros, sul rosso più rosso che esista ha disputato, contro Djokovic, quella che è stata probabilmente la miglior partita del torneo. Uscendo sconfitto, e vero: ma palesando una capacita di concentrazione e un cipiglio da terraiolo guerriero davvero niente male. Dunque se Andreas ha perso ma combattendo ha vinto il secondo set al tie break ma poi, come spesso gli succede, ha ceduto abbastanza nettamente nel terzo concedendo all’avversano un break in apertura di set, Ernesto ha già detto che a Montecatini giocherà anche il doppio: lo stato di allerta e non solo un ‘opzione: è è quasi un obbligo.
L’Atp rischia la bancarotta

Stefano Semeraro, la stampa del 11-06-08

Fra Wimbledon e l’inizio delle Olimpiadi il tennis rischia una rivoluzione, ma non è quella che tutti pensano. La posta in gioco è più alta di un cambio al vertice della classifica mondiale: è la bancarotta dell’Atp, il sindacato che organizza e gestisce il circuito professionistico maschile. Per questo nella partita che si sta giocando ormai da mesi Federer, Nadal e Djokovic stanno tutti dalla stessa parte della rete. L’avversario si chiama Etienne de Villiers, il direttore esecutivo Geo, all’americana - dell’associazione giocatori. La sua colpa, secondo la stragrande maggioranza dei tennisti, da Federer in giù, è di voler governare da sovrano assoluto, sacrificando salute e ragioni degli atleti e perseguendo un business estremo. La miccia che potrebbe far saltare tutto è legata al calendario del 2009. Come ha già tentato di fare con Montecarlo, scatenando una reazione di Nadal e dei «terraioli» che ha poi condotto a un (pare) soddisfacente compromesso, De Villiers vorrebbe infatti escludere l’ultracentenario (1892) torneo di Amburgo dai nove tornei di élite - o «1000», come si chiameranno dal prossimo anno - che stanno appena un gradino sotto i quattro dello Slam, spostandolo per di più da maggio a luglio. Lo scopo è fare spazio al super-torneo di Madrid, ricchissimo di dollari e impianti, nel quale è coinvolto Ion Tiriac. Amburgo però è la vetrina della federazione tedesca e i teutoni, si sa, sono duri a mollare. Per difendere onore, prize-money e data in calendario hanno assunto fior di avvocati e portato in tribunale l’Atp. Il 21 luglio inizierà la causa, che dovrebbe durare due o tre settimane. In caso di vittoria tedesca - e ad Amburgo se la sentono già in tasca - salterebbe il calendario, l’ordine costituito. E l’Atp potrebbe trovarsi a pagare un risarcimento enorme. Si parla di decine di milioni di euro. «Una cifra di cui l’Atp non dispone - spiega Ivan Ljubicic, croato ex n.3 del mondo, presidente del Players Council, la rappresentanza dei giocatori nel Board, il governo del tennis -. Sarebbe la bancarotta, la fine del circuito. Noi tennisti siamo tutti meravigliati e sorpresi della piega che ha preso la faccenda. Che bisogno c’era di giocarsi tutto muro contro muro? E’ una situazione esagerata e ridicola. Nadal inoltre ha ragione quando protesta per l’affollamento dei tornei primaverili sulla terra, lo appoggio in pieno». Preoccupati dell’allarme Amburgo, indignati con «ET», come viene chiamato il sudafricano De Villiers, ex manager della Dysney, Federer, Nadal e Djokovic hanno deciso così di prendere in mano la situazione. A Miami avevano firmato insieme a un’altra ventina di colleghi una lettera che chiede all’Atp di riflettere sul rinnovo del contratto di De Villiers (che scade a dicembre). Alla vigilia di Parigi si sono candidati tutti e tre per il rinnovo del Council, che si terrà durante Wimbledon, fra due settimane. Hanno già cacciato dal Board Perry Rogers, storico manager di Agassi, l’anima nera di De Villiers, stanno per fare lo stesso con Jacco Eltingh e Ig-gy Jovanovic, altri due «filogovernativi». Vogliono decidere, contare di più. In attesa che a luglio si scopra se Amburgo punta semplicemente a fare cassa o a far saltare davvero il banco, magari aprendo la strada a una «lega» alternativa di tornei ribelli, gestita dalla Federazione Internazionale all’ombra dello Slam. Ma al tennis conviene davvero una nuova guerra


Bellezza al potere.

Piero Valesio, Tuttosport del 11-06-08

Se è vero che a salvarci sarà la bellezza allora conviene dedicassi ai tennis, trovate voi un’altra disciplina sportiva che possa vantare una percentuale così elevata di bellezze naturali. Non si vuole certo» in questa sede, sminuire il valore estetico delle tante splendide ragazze che si cimentano in altere discipline; e nemmeno dare corpo ad una teoria che arrivi a ritenere, per esempio, di minor valore un salto riuscito ma compiuto da una donna non bellissima rispetto ad uno sbagliato ma effettuato da una ragazza-copertina. Semplicemente si prenda atto che la bellezza nel tennis femminile è ampiamente diffusa ed è pure al potere visto che la prima giocatore al mondo, nonché freschissima vincitrice del Roland Garros, è Ana Ivanovie; e la seconda si chiama Maria Sharapova, sulle cui fattezze poco si può aggiungere a quanto è già stato detto, scritto e cantato, E a tanto possono essere aggiunti, senza timore di smentita, quelli di Jelena Jankovic, di Elena Dementìeva, di Daniela Hantuchova e dì Nicole Vaidisova tanto per restare alle prime venti posizioni della classifica Wta. Con la nostra Flavia Pennetta, immediatamente fuori da questo gruppo. E subito dopo, tanto per citare qualche altro nome, Maria Kirilenko e Caroline Wozniacki, accreditata di una liaison con Rafa Nadal. L’elenco potrebbe essere moti» più lungo. Due sono i nomi che hanno inaugurato questa tendenza: l’ungherese Andrea Melario di Anna Kounikova. Andrea ha avuto una carriera breve segnata da una fotografia passate agli annali, quella che la colse in campo (ancora non aveva preso il sopravvento la moda dei mutandoni sottogonna: una sorta di contraddizione concettuale) senza intimo o perlomeno con un intimo ridottissimo. Anna non ha mai vinto un torneo ma ha trascorso la vita: nel tennis preparando di fatto quella post-tennis, fatti di lustrini e campagna pubblicitarie. Ma, detto questo, la domanda resta ben viva: perché nel tennis si accasa tanta gradevolezza femminile con corpi perlopiù non sformati e anzi, in qualche caso, impreziositi? forse perché l’eleganza dei gesti ex bianchi contribuisce a valorizzare l’eleganza delle fattezze? Perché nel tennis (Karatantcheva a parte) le pratiche dopanti, si spera, sono fuori dalla porta d’ingresso? il dibattito è aperto.

La Sergio Tacchini passa ai cinesi per 27 milioni.

Alessandro Carlini, Libero Mercato del 11-06-08

Ora è ufficiale. L’Italia perde un pezzo importante e rinomato della sua moda sportiva. L’uomo d’affari di Hong Kong Billy Ngok, presidente del gruppo Hembly, specializzato nella distribuzione di prodotti per l’abbigliamento, ha annunciato di avere preso il controllo dell’italiana Sergio Tacchini. Come riporta la stampa britannica, il manager cinese avrebbe speso 27 milioni di euro per acquistare la ditta italiana ed ha subito immesso 33 milioni di euro supplementari per rilanciare la marca. Anche se si tratta di una piccola azienda, è un nuovo tassello dell’economia occidentale che viene conquistato dai cinesi, che stanno facendo molta paura ai governi europei e americani con l’attività di espansione dei loro fondi sovrani. Lo scorso ottobre, la Xinyu Hengdeli, maggiore azienda cinese degli orologi di lusso, aveva acquistato il 90% dell’italiana Omas, specializzata nella produzione di penne fatte a mano, dal gruppo LVMH. Si sapeva che la Sergio Tacchini era stata salvata dalla bancarotta con un’iniezione di capitali proveniente dalla Cina. Ma ora il top manager di Hong Kong ha preso ufficialmente il controllo dell’azienda di Bellinzago, con la promessa di un rapido rilancio. Fra l’altro, la sua Hembly in Italia ha già una sede in provincia di Treviso. Fra i piani della nuova gestione, c’è quello di lanciare il marchio Sergio Tacchini in Cina, aprendo 200 negozi nei prossimi tre anni. Entro il 2012, la Cina potrebbe rappresentare il 30% del fatturato globale dell’azienda. «La Cina sarà il motore della crescita di Sergio Tacchini», ha detto il nuovo proprietario. Il marchio italiano era nato inizialmente per il tennis, ma poi ha esteso le sue attività ad altri settori sportivi e al tempo libero: uno dei suoi meriti, secondo gli stilisti, è stato quello di aver introdotto nell’abbigliamento tennistico i colori, visto che fino ad allora la “mise” in racchetta era dominata dal bianco. Particolarmente in auge negli anni Ottanta, prediletta da campioni come Jimmy Connors, John Me Enroe e Uie Nastase, poi schiacciata dalla concorrenza dei colossi dello sportswear, nel 2006, su un fatturato di 100 milioni, pare che i debiti dell’azienda novarese ammontassero addirittura a 70 milioni. In un primo momento, si era ipotizzato il suo acquisto da parte del gruppo Orlando, il fondo guidato da Pierdomenico Gallo e Gianni Mion, poi invece il 4 giugno 2007 il marchio è entrato ufficialmente nel gruppo Tacchini H4T (Hembly for Tacchini), società cinese controllata da Billy Ngok, presidente di Hembly International Holding Limited. L’operazione aveva fatto scalpore perché si trattava della prima volta che i cinesi riuscivano a mettere le mani su un brand italiano di fama internazionale. Ora l’acquisizione fa praticamente parte della storia. E di lì a poco un altro pezzo dell’imprenditoria italiana è passato in mani cinesi: Omas. La società, con sede a Bologna, acquistata nel 2000 da LVMH, era stata fondata nel 1925 dal Cavaliere Armando Simoni. Con queste “incursioni” nelle imprese italiane di un certo livello, i cinesi puntano sull’estensione delle vendite, in un mercato di enormi dimensioni, scommettendo tutto sul “made in Italy”, che attrae in modo magnetico la clientela orientale.

Garbin sceglie Palermo per la svolta: «Ho bisogno di ritrovare la serenità».

Giovanni Di Natale, il giornale di Sicilia del 11-06-08

Dopo la pugliese Vinci, anche l’atleta veneta viene in Sicilia: si allenerà sui campi del Tc2 con Francesco Palpaceli e l’F2 Team almeno fino a gennaio del 2009 Garbin sceglie Palermo per la svolta: «Ho bisogno di ritrovare la serenità» un rapporto fantastico. Sono fermamente convinta che lavorare in gruppo sia la chiave per rendere meglio. In più il calore dei siciliani è noto in tutto il mondo, quindi posso solo essere felice di aver scelto un’isola per dare una scossa alla mia carriera. In fondo vengo da una città di mare anche io e se a Palermo dovessi trovare traffico sono pronta a scattare sulla mia bicicletta per andare a fare colazione a Mondello”. Senso dell’umorismo spiccato, battuta sempre pronta. Ma la Garbin ha scelto Palermo soprattutto per il tennis. Prima di tornare a giocare sulla terra, Tathiana cercherà gloria sui prati verdi di Wimbledon, nel tempio del tennis. Un’avventura senza troppi La mestrina cerca di risalire dopo 6 mesi in ombra. «A 31 anni devo dare urta svolta alla mia carriera» pensieri. “Mi piace giocare sull’erba continua la Garbin -, ma non ho mai raggiunto grandi traguardi. Quindi non mi aspetto troppo da questo viaggio a Londra, proverò ad andare più avanti possibile”. Nutre ambizioni diverse, invece, per gli Internazionali di Palermo, che si disputeranno al Country dal 7 luglio. Torneo in cui è arrivata in finale nel 2006. “Voglio migliorarmi - spiega -, mi piacerebbe vincere in Italia e soprattutto a Palermo, che diventerà la mia casa”. In tribuna a darle consigli, a Wimbledon come a Palermo, ci sarà Francesco Palpacelli, che l’ha già seguita negli ultimi 10 giorni. “Lavoreremo molto sulla tenuta mentale-spiega il coach. Un’altra campionessa azzurra di tennis sceglie Palermo. Tathiana Garbin, numero 1 d’Italia e 22 del mondo Io scorso anno, ha infatti deciso di allenarsi con Francesco Palpaceli! e Io F2 Tennis Team. Una decisione che è stata presa nei giorni scorsi a Roma e che vedrà la Garbin allenarsi sui campi del Te Palermo 2 almeno fino a gennaio 2009. “Ho già affittato la casa- confessa al telefono da Barcellona la Garbin -. A novembre mi trasferirò vicino al teatro Massimo, mentre perora sarà Francesco a seguirmi in giro per i tornei”. Palermo è stata la scelta per dare una svolta agli ultimi anni di carriera. La Garbin, 31 anni di Mestre, sta infatti cercando morale e risultati dopo sei mesi in ombra (14 successi e 13 sconfitte nel 2008). La classifica in questo momento non è soddisfacente, Tathiana è numero 77 e ieri è stata sconfitta al primo turno al torneo di Barcellona (dalla qualificata Ivanova 4-6 7-5 6-4), dove non è riuscita a dare continuità al successo ottenuto a Roma in un Itf da 75 mila dollari. Poca fiducia e tanta confusione in testa, ecco i nemici della tennista azzurra. “Ho bisogno di ritrovare serenità- conferma -, ecco perché ho deciso di voltare pagina (nell’ultimo anno ha avuto due coach, prima Giovanni Marra e poi Pier Francesco Pestelli). I cambiamenti aiutano a trovare energie nuove, danno stimoli. Francesco lo conosco da molti anni, siamo amici, ed oltre a srimarlo come tecnico lo apprezzo anche come persona. E poi c’è Roberta (Vinci), con la quale ho eh palermitano, 26 anni -. Tredici mesi fa Tathiana era numero 22 al mondo, quindi è inutile pensare di cambiare l’impostazione dei colpi. Deve tornare a divertirsi in campo ed i risultati arriveranno. Sono ottimista, e una sfida che possiamo vincere insieme”.
Nadal è diventato invulnerabile

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 10-06-08

«Per la prima volta ha giocato da pari a pari, senza timori riverenziali». Zio Toni è la bocca della verità. Chi ha fatto Rafael Nadal, come uomo prima che come tennista, parla poco, ma quando parla fa tremare. Tanto che, domenica al Roland Garros, sconvolto dal disastro di Roger, papa Federer, gli ha sussurrato: «Non parlare troppo coi giornalisti. Per noi è già così dura». Sportività Federer è il più stupito dei progressi di Nadal: «In difesa ha sempre avuto colpi in credibili. Ma ora è letale anche in attacco, e difficilmente sbaglia. E’ tutto merito di come si muove, meglio di chiunque altro. Da fondo, è come se giocasse due dritti: io non ci riesco, perdo campo, e così lui avanza e spinge ancor più forte. Eppoi è mancino. Eppoi… Io non credo di aver servito male male. Ma Rafa ha fatto enormi progressi alla risposta». Stuzzicato sul tema, Rafa, che ha occhio e reattività da gatto, ammette: «Ho risposto davvero bene, lui mi serviva fra i piedi, e io trasformavo tutto in passanti. Così lui non è riuscito ad entrare subito in campo con facilità. Mentre l’ho fatto io». E sul proprio servizio? «Sulla terra il servizio non è fondamentale, ma è importante», nicchia. «Io sono giovane, devo provare, devo continuare a migliorare, se voglio diventare il numero uno, perché ci sono tanti ottimi giocatori. E se non migliori continuamente scendi di livello». Bowling Due anni fa servizio e rovescio erano i punti deboli di Rafa, e la volée era un buco nero. Poi il maiorchino ha cominciato a frequentare i tornei di doppio — unico dei primissimi — ed a comprendere la variante della discesa a rete e i vantaggi del mancinismo. Perciò, pian pianino, ha liberato il braccio cercando l’ace piatto, di forza — soprattutto centrale —, e caricandolo invece di effetto a uscire o in top, quando batte da sinistra. Con ampi margini di miglioramento. Il rovescio, a due mani, prima era solo un colpo interlocutorio, d’opposizione, che Rafa cercava di evitare facendo sempre una gran fatica per girarsi e colpire piuttosto col fantastico dritto naturale. Oggi, invece, grazie allo strepitoso anticipo, e al lavoro in allenamento, può effettuare il colpo con gran varietà. E, anche se preferisce spararlo in diagonale, carico d’effetto, stacca volentieri una mano e lo trasforma in una micidiale palla corta. E il dritto, il colpo-guida, con quel top spin che fa saltare la palla di 3 metri, è talmente sicuro che, quando lo tira dal basso, lungolinea, sembra al bowling: effetto a rientrare, e strike. Appuntamento il 23 giugno a Wimbledon. «Oggi come oggi, è più facile che Nadal vinca Wimbledon che Federer ci riesca al Roland Garros», Ion Tiriac riassume il pensiero del tennis mondiale. Mentre Rafa frena: «Come si fa a dire che mi sono avvicinato a Roger sull’erba quando ci gioco appena 3 settimane l’anno? Aspettiamo i primi turni, vediamo il sorteggio. Roger è sempre il più forte del mondo».

Roger e Rafael in equilibrio Due classifiche, due numeri 1.

La gazzetta dello sport del 10-06-08

Le classifiche Atp Tour, cioè del circuito dei tennisti professionisti, sono due. Una è quella classica, tradizionale, la Entry System, che è nata nel 1973, insieme all’associazione dei pro, l’altra è la Atp Raee, che esiste dal 2000. La Entry System si basa sui migliori risultati dei giocatori nelle precedenti 52 settimane (13 tornei obbliga tori più 5 a scelta) e determina gli iscritti ai tornei (secondo la classifica di 6 settimane prima del via) e le teste di serie. Premiando così, globalmente, l’atleta più continuo ad alto livello. E quindi Federer che, fra i super risultati, vanta il titolo a Wimbledon (5° consecutivo) e Us Open (4° consecutivo), che Nadal non ha mai vinto. Anche se oggi il re, che è in sella ininterrottamente dal 2 febbraio 2004, ha appena 6675 punti contro i 5585 dello spagnolo, secondo, anche lui ininterrottamente, dal 25 luglio 2005. La Race somma invece aritmeticamente tutti i risultati degli atleti dal primo gennaio dell’anno, visualizzando chi sta vincendo di più nello stretto, e promuove i primi 8 alla Masters Cup (l’ex Masters) di fine stagione: quest’anno ancora a Shanghai, dall’anno prossimo a Londra. E in questa classifica, Rafael Nadal e Novak Djokovic si stanno avvicendando continuamente in testa, come premio delle ottime prestazioni dagli Australian Open in poi. Con «Rafa» che ha recuperato il primo posto e comanda oggi con 710 punti contro i 611 del serbo e i 500 di Federer. Ma quanto vale il campione d’inverno della nostra serie A di calcio v.m. Nella Entry System (quella tradizionale che determina partecipazioni e teste di serie) lo svizzero sempre in testa, nell’Atp Raee (ce dal 2000 e somma i risultati dal T gennaio) lo spagnolo allunga.

Anche i bookmaker scettici su Federer.

Corriere dello sport del 10-06-08

La batosta rimediata in finale al Roland Garros ha infatti “alzato” la sua quota in vista di Wimbledon: se qualche allibratore inglese lo offre ancora a 1,67, avendo modificato di pochissimo la “lavagna”, invece William Hill lo propone a 2,10. Sempre da Hill la quota migliore di Novak Djokovic, a 5,00, mentre Rafa Nadal è a 5,50 da altri bookmaker. Andy Murray si trova anche a 17, Andy Roddick a 21. Queste intanto le nuove classifiche dopo il Roland Garros: Atp: 1(1) Federer (Svi) 6.675,2. (2) Nadal (Spa) 5.585,3. (3) Djokovic (Ser) 5.225, 4. (4) Davydenko (Rus) 3.050, 5. (5) Ferrer (Spa) 2.905,6. (6) Roddick (Usa) 2.405, 7.(8) Blake (Usa)2.015,8. (7) Nalbandian (Arg) 2.000, 9. (10) Wawrinka (Svi)1.615,10. (9) Gasquet (Fra) 1.595; gli italiani-31. (32) Seppi 990,47. (47) Bolelli 761,58. (48) Starace 645,103. (89) Fognini440,120.(74)Volandri390,128. (119) Cipolla 360, 206. (205) Galvani 193, 211. (200) Luzzi 188, 215.(248)Lorenzi184,237. (284) Vagnozzi161. Wta:1. (2)lvanovic (Ser) 4.222 2. (1) Sharapova (Rus) 3.806,3. (3) Jankovic (Ser) 3.755,4. (4) Kuznetsova (Rus) 3.565,5. (8) Dementieva (Rus) 2.750, 6. (5) S. Williams (Usa) 2.676, 7. (7) V. Williams (Usa) 2.606, 8. (6) Chakvetadze (Rus) 2.541, 9. (14) Satina (Rus) 2.222,10. (9) Bartoli (Fra) 2.035; le italiane -18. (19) Schiavone 1.201, 22. (30) Pennellai.137, 39. (38) Knapp 695,61. (53) Errani 489,77. (56) Garbin 428, 137. (142) Vinci 249,142. (143) Camerin 243,153. (115) Santangelo 218,179. (177)
Irresistibile Nadal, Parigi è il suo regno.

Gianni Clerici, la repubblica del 09-06-08

PARIGI Avevo invitato al tennis mia figlia, che fa la commediografa in questa città, e suo marito, ottimo attore. Li vedo, prima del match, e lei, Carlotta, mi fa: «Ci inviti, e poi scrivi che temi si assista a uno one man show». «Lo penso - rispondo -ma non è che i monologhi riescono sempre male». «Ma qui dovrebbe trattarsi di un dialogo…». Scuoto la testa. Ho assistito, in questi ultimi anni, a non meno di cinque partite tra Nadal e Federer, sulla terra rossa. L’unica in cui il mio (povero) svizzero è arrivato a sciupare due match point è stato a Roma 2006. Un fondo, quello del fu Stadio dei Crampi, che era il più veloce, il più secco, il più duro, di tutti i Centrali rossi: che permetteva un tennis simil-cemento. Su altri tappeti rossi, non mi è mai capitato di intravedere una possibilità di Federer di portare a casa una vitto- Alla fine lo spagnolo quasi si scusa. Ed ova la sfida si sposta sull’erba. mali, che costringono tuttavia l’autore a lasciare scoperta la trequarti del campo alla sinistra di Federer. Ogni colpo di diritto anomalo porta con se un rischio molto vivo: o fate punto, o avete molte chance di perderlo. Un mancino capace di lift come Nadal, e cioè di rotazioni in avanti esplosive, potrà invece sommergere lo svizzero dall’angolo sinistro, o dal centro: buttandolo addirittura fuori campo, e riuscendo quindi spesso ad aprirsi un’area enorme, e difficilmente difendibile. Ci sono, oltre a questa, molte altre componenti che spiegano l’interazione dei due giochi, negativa per Roger. Sulla propria battuta, Federer deve per forza passare la prima, per comandare lo scambio. Oggi è riuscito a rimediare un modesto 49%, che già spiega molto. Ma è sulla seconda, che è arrivato il disastro: un 20% che son stato costretto a verificare tre volte, tanto mi pareva incredibile. Aggiungete a ciò che, sommerso a fondo campo, lo svizzero avrebbe dovuto, secondo molte anime semplici, tentar di più la via della rete, come a Wimbledon. A Wimbledon! Federer ha vinto i suoi Wimbledon soprattutto con le prime di servizio, il serve and volley, gli attacchi di diritto anticipati. Non certo con le volèe perché è si un attaccante, ma non un volleatore naturale. Oggi, a rete, Roger ha in tutto e per tutto ottenuto cinque punti. E quanto a un’altra ipotesi, la smorzata mentre Rafa si trovava sui teloni pubblicitari, non gliene è riuscita mezza. Ci sarebbe, ora, da affrontare una analisi contraria, quella di Nadal, ma mi accorgo di essermi spinto troppo in là con le considerazioni su Federer. Posso solo limitarmi a dire che ha commesso in tutta l’ora e quarantotto minuti del match sette errori gratuiti, una cifra paradossale se si pensa che ha cercato il punto vincente ad ogni occasione. Nadal raggiunge così Borg, che l’ha premiato, nella serie di quattro vittorie al Roland Garros. Lo avvicina vincendo il torneo senza smarrire un set. Raggiunge un disumano record di 115 match vinti su 117 sul rosso. E’ un fenomeno, non meno di quanto fosse Borg. Un fenomeno, per di più mancino. Finale: Nadal (Spa) b. Federer (Svi)6-l, 6-3,60

Rafael Nadal ExtraTerrestre a Parigi Federer, che batosta.

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 09-06-08

I1 diavolo si traveste di verde, ma è sempre il padrone della terra rossa e si chiama sempre Rafael Nadal, campione del Roland Garros come nel 2005, 2006 e 2007. Quattro anni di fila-record, come Björn Borg, che applaude il mancino spagnolo dalla tribuna, accanto agli altri nomi scolpiti nell’albo d’oro dello Slam più duro. Quello che «Rafa» domina senza cedere un set (proprio come lo svedese di ghiaccio che c’era riuscito nel 1978 e nel 1980), demolendo in finale il re degli ultimi 4 anni, Roger Federer, in un’ora 48 minuti senza storia, rifilandogli anche il primo 6-0 in 17 testa a testa. Imbarazzo Umiliato nel tennis e pesto nell’animo, il Fenomeno sembra un pugile che è appena andato al tappeto. «C’est moi» («Sono io»), comunica al microfono al suo pubblico o forse a se stesso. «Avrei voluto fare di più, ma Rafa è stato troppo forte». Orgoglioso e sicuro più che mai, Maciste sussurra: «Sorry, Roger, merci» («Scusa, Roger, grazie»). «Sei esemplare sia quando vinci che quando perdi». Senza esultare più di tanto. Prolungando così l’imbarazzo dei 18mila del Philippe Chatrier per il numero 1 del mondo che è incapace di contrastare il super-numero 2: di tennis, di fisico, ma soprattutto di personalità. Sensazione che Nadal tradurrà: «Quattro successi come Borg, il paragone mi fa piacere, ma lui era tanto più forte di me. I numeri dicono che sulla terra sono il migliore degli ultimi anni, non solo al Roland Garros. Non ho esultato anche per i buoni rapporti che ci sono fra me e Roger: per lui è una sconfitta dura». Lezione Roger non è all’altezza. Cede d’acchito il servizio, sfiora 3 palle-break dell’I-1, ma fa troppa fatica a inventare continue soluzioni contro Rafa, che picchia pesante, quasi di mezzo volo di dritto e con concretezza anche di rovescio, si muove come un gatto e ha anche una gran giornata alla battuta. Lo svizzero riesce a malapena a salvare il 3-0, quindi va a picco come uno qualsiasi, soffocato dal diavolo di Maiorca fino al 6-1 2-0 (parziale di 25 punti a 3). Souvenir di altri k.o.t., da Montecarlo, quando era stato avanti di due break nei due set, ad Amburgo, quando era stato, invano, 5-1 e 5-2. «E’ una sconfitta dura, Rafa non l’avevo mai visto così: ha giocato un torneo terrificante, dominando tutti, più forte sia in difesa che in attacco. Supremo, letale». Volata La finale più attesa gela il pronostico di Borg dopo 45 minuti, perché il re non è il re. Come sottolinea Mats Wilander, 3 trionfi al Roland Garros, oggi osservatore tv: «Rafa ha fatto il 99% dei punti servendo sul rovescio e Roger non ha mai provato a rispondere deciso da quella parte e, invece di andare a rete solo sulla seconda di servizio perché non ha rischiato due volte di fila?». Come ammette lo stesso Nadal: «Io ho giocato un match quasi perfetto, diverso da un classico match da terra rossa, stando dentro il campo, dettando i punti più che mai, aggressivo e insieme pieno di varietà. Ma se Roger perde così, vuoi dire che non ha giocato bene, ha sbagliato tanto: sono sorpreso di com’è andata». Occasione In effetti una speranziella Federer ce l’ha: recupera a sorpresa il 2-2 con un cross di rovescio al bacio e con la ritrovata prima di servizio e, sul 3-3, vede il miraggio di una palla-break: «Smorzata di Rafa ed errore mio di rovescio, è stata la migliore occasione, una piccola occasione, non so se avrebbe rovesciato completamente il match. Non mi sono mai sentito davvero vicino, e questo delude perché mi sembrava di giocare proprio bene. Comunque, vado avanti, spero che la seconda parte della stagione sia migliore della prima, e al Roland Garros ci riproverò il prossimo anno». Mai Wimbledon è sembrato così vicino, e pericoloso.

Rafa, killer gentile “Roger perdonami”.

Stefano Semeraro, la stampa del 09-06-08

«Scusatemi, ci riproverò Non o una questione mentale è stato più forte, tutto qui» e da piccoli nel cortile di casa vi siete trovati davanti almeno una volta un bullo che vi ha detto «tu non giochi», se almeno una volta vi hanno rubato la palla e buttato l’astuccio nella polvere, allora sapete cosa ha provato Roger Federer, ieri pomeriggio, nel cortile del Roland Garros. L’unica consolazione di Federer è che gli è toccato un bullo gentile. Il più gentile dei bulli. Rafael Nadal. «Sorry, Roger, merci». Prima lo ha smantellato, Rafa, poi si è scusato. Sorry, Roger se ti ho lasciato appena quattro game. Perdona se ti ho umiliato. Non volevo. Scusa anche per quell’angoscia di applausi piovuti dalle tribune dopo appena due game, ad incoraggiarti. Carezza atroce, che brucia, se sei il numero uno del mondo. Primo game, primo break. Tutti avevano già capito come sarebbe finita. Compresi Vilas, Pietrangeli, Santana, Noah, gli altri fuoriclasse del passato invitati alla mattanza. «Secondo me non fa più di otto game», mormorava cupo Ion Tiriac nel suo box. «Speriamo che ne faccia più di Almagro», mormorava Andres Comez, il vincitore del 1990. «Chissà se dura più di un’ora e mezzo», sorrideva amaro Victor Pecci, finalista del 1979, terz’ ultimo anno dell’Era Borg. Borg, lui, zitto. A tre metri dalla disperazione di Federer, dalla gloria trionfante di Nadal. Sabato si era lasciato scappare un brandello di ottimismo per Federer. Ma Borg, prima di ieri, non aveva mai visto dal vivo Federer schiantarsi sulla terra contro il muro Nadal. U suo erede, il suo clone bruno e mancino, l’unico che dopo di lui sia riuscito a vincere questo torneo per quattro volte di fila. Numeri, per capire. 28 vittorie su 28 match al Roland Garros. Undefeated, come direbbe la voce Michael Buffer, se fossimo su un ring a Las Vegas, se questa fosse boxe. Ha sbranato 115 delle ultime 117 partite sulla terra, il nino. Nei match al meglio dei cinque set il suo record è 40-0. Quest’anno nel torneo non ha perso un set, come qui nell’era Open era riuscito solo a Borg (nel ‘8 e nell’80) e Nastase (nel 73). Tre finali di Parigi consecutive asportate a Roger Federer. Le prime due erano state nette. Quella di ieri è stata un Lo. tecnico, un gancio che ti spedisce sulle corde. La differenza è che l’arbitro nel tennis conta solo i punti, non 1 e persone. Mai visto un numero uno del mondo perdere così, - 6-16-3 6-0 - in una finale di Slam. A Parigi solo Gottfried, nel ‘77, riuscì a fare peggio, 3 game in tutto. Ma Gottfried era un finalist» per caso, e dall’altra parte della rete, quella volta, c’era el senor Vilas. Mai visto Federer così falloso, rassegnato, impotente. Groggy. Perdente. In partita solo nei primi sette game del secondo set, quando si è buttato in avanti, corpo a corpo, faccia e anima sulla rete. All’ottavo game, alla quarta palla break, un passante di rovescio lungolinea, di controbalzo, l’ennesimo, disumano, lo ha crocifisso. Atterrato. Non ha più vinto un game, il campione. Un sei-zero non lo incassava dal 1999, al Queen’s, S contro Byron Black. Aveva diciassette anni. Alla fine è comparso persino qualche fischio, ingeneroso. Forse un filo di vergogna. Cinquanta errori non forzati, 5 punti appena guadagnati in tre set - con la seconda palla di servizio. Irriconoscibile, il Maestro. «Sono ancora io», ha esalato dal palco della premiazione, con un sorriso pallidissimo, eroico, alla fine della tortura, rendendosi conto della situazione, strappando una risata al pubblico. «Scusate per questa finale. Speravo di fare meglio». Un capolavoro di fair-play. E una cortesia da perdente. «Vorremmo tutti essere come Roger», ha provato a buttare lì Rafa, incapace di esultare come al solito, umile, compunto, quasi imbarazzato, «perché lui è sempre lo stesso, nella sconfitta come nella vittoria». Voleva essere un complimento. È sembrato un epitaffio. Per Sua Fluidità è la peggiore annata da molti anni. Ha vinto un solo torneino, all’Estorti, dove Davydenko gli si è ritirato davanti in finale. Ha perso in Australia da Djokovic, a Montecarlo, ad Amburgo - il suo feudo - e a Parigi da Nadal. E poi da Fish, Stepanek, Murray. Forse non è guarito del tutto dalla mononucleosi. Forse sta invecchiando. Di certo contro Nadal, sulla terra, ormai parte battuto. Lo sa lui, lo sa Nadal. Lo sanno tutti. «Rafa oggi è stato più forte, tutto qui», mugola educato, «Ma non è una questione mentale come pensate voi. Ho provato a resistergli sul piano fisico, non volevo concedergli troppi punti facili, ma è da due settimane che Nadal gioca in maniera incredibile. L’anno prossimo ci riproverò. Vincerò mai Parigi? Se volete che vi dica no, fate voi. Io dico di sì. Anche se sapere che Rafa sarà di nuovo qui non aiuta, lo ammetto». Nadal che ha 22 anni, cinque meno di Federer, e continua a migliorare. Taglia meglio il rovescio in back, passa meglio con quello piatto. Gioca più dentro il campo, in difesa sbianca le righe, lobba alla perfezione. È n.2 da 150 settimane. Cosa diremmo di lui, se non fosse capitato nella stessa pagina del Migliore? «Oggi ho giocato una partita perfetta, Roger ha sbagliato troppo. Un risultato del genere altrimenti non si spiegherebbe», ha spiegato in conferenza stampa. Negli spogliatoi, quasi schoccato da se stesso, chiedeva a chi gli stringeva la mano: «Non avrò esagerato?». La differenza fra lui e Borg, per il momento, è che Borg vinceva anche sull’erba. Per il momento. Negli ultimi due anni Nadal contro Federer a Wimbledon è comunque arrivato in finale, l’anno scorso si è trovato con due palle per andare 3-1 al quinto set. A soffio dall’impensabile. «La sconfitta più dura della mia carriera», dixit. Quest’anno Rafa è in forma come mai, è numero 1 nella Race, la classifica di stagione. Vesciche a parte, non ha mai fatto tanta paura. Non ha mai avuto tanta fame. «Sull’erba non perdo da cinque anni», ha tagliato corto Federer, con gli occhi pesti. Cinque anni, come Borg, l’anello di congiunzione. Federer ieri sera ha cenato a pane malinconia, per Rafa c’è stata festa con tutto il clan al Cafe de l’Homme, in faccia alla Tour Eiffel. Da oggi ci si sposti sull’ erba, fra due settimane inizia Wimbledon. Forse c’è una nuova storia, nel tennis, che sta per cominciare.

Tre ore di spettacolo. S’impone la Garbin.

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 9-06-08

Oltre tre ore di gioco, capovolgimenti di fronte, fughe, rimonte e match point annullati. Ad una partita di tennis difficilmente si può chiedere di più. L’azzurra Tathiana Garbin e l’austriaca Yvonne Meusburger hanno dato vita ad una degna chiusura della quarta edizione del torneo Itf da 75 mila dollari all’Antico Tiro a Volo. L’azzurra, 30 anni di Mestre, numero 56 della classifica mondiale, ha vinto in 6-4, 4-6, 7-6(6). Giunta in finale senza aver lasciato set per strada, la Garbin, favorita della vigilia, ha annullato tre match point nel tie break decisivo, prima di poter esultare per il primo titolo della stagione. Le emozioni «Me la sono vista brutta in più occasioni — ammette la Garbin — ma io non mollo mai. Sono molto felice perché da un po’ di tempo ho cambiato staff tecnico e questo è il primo risultato di rilievo. Ora vado a Barcellona con grande fiducia. Obiettivi: alla mia età comincio a pensare al futuro, ma credo di poter ancora puntare ad un titolo Wta». La Garbin, al nono titolo Itf in carriera (vanta il Wta di Budapest 2000), succede nell’albo d’oro del torneo alle azzurre Romina Oprandi e Anna Floris e alla belga Caroline Maes. Con la conclusione dell’Itf dell’antico Tiro a Volo il grande tennis internazionale «romano» da appuntamento alla prima settimana di luglio sui campi del Circolo Tevere Remo per l’Itf femminile da 25 mila dollari.

Ana ha avuto più coraggio di JelenaGianni Clerici, la repubblica del 06-05-08

PARIGI - No cheers in the press box, niente applausi in tribuna stampa. E’un vecchio slogan , che conoscono tutti gli scribi internazionali. Lo abbiamo contraddetto oggi, e molte volte, con più di un collega e soprattutto una Lea Pericoli che saltava su entusiasta a battere le mani, identificandosi con quella deliziosa tigretta di Ana Ivanovic. Sono, quelli di oggi, incontri alla fine dei quali si è, insieme, lieti per la vincitrice, e dispiaciuti per la sconfitta. Ma il fascino di questo nostro vecchio gioco, sappiamo bene, è che non ci può essere pareggio, tanto che gli inglesi, che l’hanno reinventato, scrivono spesso «he has survived», per dire che uno dei due è sopravvisuto, e l’altro simbolicamente morto. Simbolicamente deceduta, Jelena Jankovic è in questo momento sanissima e, uscita dalle mani del massaggiatore, si appresta ad offrirsi agli artigli degli avvoltoi da tabloid, che non vedono la partita, ma si assiepano in sala stampa per scoprire se, tra due ragazze della stessa città , la rivalità si corrompa in antipatia, o addirittura in odio. Ma si, ma certo. Sono ragazze giovani, esseri umani usciti addirittura da condizioni famigliari non facili, da una Serbia bombardata dalla Nato. Arrivate qui per circostanze un tantino romanzesche, Ana Ivanovic grazie a un ricco benefattore svizzero, Jelena Jankovic in seguito ad un incontro non meno fortuito con una Monica Seles che avrebbe intuito nel suo animo guerriero un discepolo ideale, una vincitrice interposta persona. Tutte e due belle, o almeno attraenti, se è vero che il viso irregolare di Jelena ricorda certi ritratti del Picasso cubista, mentre il profilo di Ana rivaleggia con quello della Fornarina. Atlete da far paura, dalla coda di capelli agli alluci, tipe che potrebbero benissimo affrontare una distanza di best of five senza svenire. Costretta sin qui la Jankovic a quattro long set su cinque match, sempre vinti in due. Ana capace di sorvolare il torneo con una media di quattro games perduti ad ogni incontro. Ma le implicazioni psicologiche, la comune nazionalità, la rivalità, sono troppo vive per non ottenere una continua levitazione, a tratti addirittura una sublimazione. E’ così accaduto che il nome della probabile vincitrice mutasse non meno di tre volte, prima di indicarne alfine una. Ana, che conduceva nei confronti diretti per ben sei a uno, è partita alzando il suo proprio rovescio su quella di Jelena, che è più regolare, se non più potente. Bloccato il colpo più pericoloso dell’avversaria, poteva così aspettare a scatenarsi in diretti vincenti, la sua specialità. Questo confronto tattico ha portato Ivanovic ad un vantaggio di un set a addirittura a palla di 4-1 nel secondo. Finito? Per niente, lì giunta Ana ha peccato di presunzione, volendo chiudere affrettatamente, e alzando di troppo il conto degli errori evitabili. Risorta da probabile sconfìtta, era Jelena a salire, fino a rovesciare le carte, con il secondo vinto e un vantaggio di 3 a 1 al terzo. E, mentre già si accennava ad una vittoria dilapidata, la Ivanovic ha trovato coraggio e talento, in eguale misura, per aumentare ancora una volta il ritmo, e chiudere questo match affascinante. Le tocca, ora, in finale Dinara Safina, capace di inattesi progressi ad ogni partita. Non certo di vincere il torneo. Risultati - Semifinali donne: Safina (Rus) b. Kuznetsova (Rus) 6-3,6-2; Ivanovic (Srb) b. Jankovic (Srb) 6-4,3-6,64

La Safina è uscita dall’ombra

Rino Tommasi, la gazzetta dello sport del 06-06-08

Da qualche giorno Dinara Safina non è più solo la sorella di Marat Safin, uno dei giocatori più amati e più discontinui del circuito, capace di imprese straordinarie ma ormai diventato quasi un ex atleta. Dinara è cresciuta (1.82, comunque) con discrezione all’ombra del fratello avviata ad una carriera dignitosa ma senza squilli, due quarti di finale in 22 piove del Grande Slam, una rapida e timida (n. 9) apparizione tra le prime dieci. Ebbene domani Dinara gioca sul centrale del Roland Garros la prima finale di un torneo del Grande Slam avendo vinto il derby con la più esperta Svetlana Kuznetsova, questa volta senza bisogno di miracolose rimonte come contro Sharapova e Dementieva. Ieri tutto è stato più rapido e più facile, forse la Kuznetsova ha sentito il peso del pronostico, comunque non c’è stata partita anche perché la Safina ha risolto a proprio favore tutti i game più complicati della partita. In finale trova Ana Ivanovic, che l’anno scorso era stata finalista in questo torneo e che non vorrebbe aspettare altri 12 mesi per vincere il suo primo torneo dello Slam.

Il golpe di Ana la bella batte la Jankovic e diventa numero 1

Stefano Semeraro, la stampa del 06-06-08

Dalle femminilissime rovine fumanti della semifinale balcanica del Roland Garros è uscita viva, lacrimante di gioia ma al solito splendida, Ana Ivanovic, la nuova n. 1 del tennis. La netta, sbrigativa sconfitta della orchessa Kuznetsova, crollata contro la sorprendente Sauna nella prima semifinale, quella «ail rusky», aveva reso di fatto il match fra il tubino rosso corallo di Ana e la tunica verde acqua di Jelena Jankovic uno spareggio per succede la Ivanovic spodesta Maria Sharapova «Ma l’ho saputo solo negli spogliatoi» re a Maria Sharapova, l’ex zarina detronizzata da una sconfitta troppo precoce. Le due ragazze di Belgrado, una cresciuta in Svizzera, l’altra negli States, diversamente forti Jelena più con il rovescio, Ana più con il dritto - e diversamente attraenti, non si amano. Non lo nascondono. «Fuori dal campo ho amiche più care», ha ammesso la Jankovic. «Credo che fra i maschi sia diverso, giocano e poi si bevono una birra insieme. Da noi ragazze non funziona così». Ana Ivanovic, 21 anni, serba Ieri le due care nemiche si sono prese a nerbate (e snervate) per 2 ore e 15 di grande qualità. Subito 3-0 Jankovic all’inizio, poi 6-13-1 per la Ivanovic, che però si è fatta scippare il secondo set ed è andata sotto pure nel terzo, 2-0 e 3-1, prima della seconda e definitiva rinascita. La morbida Ana, tutta occhioni verdi, dritti esagerati e sexy sudori, è così la seconda serba ad ascendere al soglio dopo Monica Seles, tredici anni fa. È alla sua terza finale di Slam, ha perso qui a Parigi dodici mesi fa con la Henin e a gennaio contro la Sharapova, ma stavolta se la giocherà da favorita: «Voglio fare inorgoglire la Serbia», ha detto, dopo aver mentito spudoratamente sul numero 1: «Non lo sapevo neppure, me l’hanno detto dopo che ero rientrata negli spogliatoi». Con quelle labbra, del resto, può dire ciò che vuole. Sabato però non potrà contare sull’ aiuto di coach Groeneveld, come l’anno scorso: ha lo stesso sponsor della Safina, non si può fare inquadrare dalla tv tifandole contro. L’outsider è Dinara, alla sua prima finale Slam contro le tre, due vinte, del fratellone Marat. Ha stroncato una dopo l’altra le paesane Sharapova, Dementieva e Kuznetsova, salvando in itinere anche un matchpoint, proprio come accadde a Marat agli Australian Open del 2005. Merita rispetto: «Marat è a Londra, non verrà per la finale. Ma se non vuole che lo uccida farà meglio a trovarsi una tv». Oggi le semifinali maschili. Prima lo spareggio-kolossal per il n.2 fra Nadal e Djokovic (che mercoledì si sono rilassati, rispettivamente, visitando Versailles e giocando a golf), poi Federer Monfils. Una vittoria di «Djoko» il serbo trasformerebbe il Bois de Boulogne in una petit Belgrade, ma sulla terra contro Rafa ha perso 4 volte su 4.

La strana sindrome della Dementieva.

Gianni Clerici, la repubblica del 05-06-08

PARIGI Dal giorno in cui la seguii, ipnotizzato, nella primavera del Novantanove mentre attraversava il Foro Italico, ho tenuto in cuore una viva ammirazione per Helena Dementieva. Ricordo che, pur di vederla da vicino, di meglio definire le sfumature azzurre dei suoi occhi ebbi a chiedere all’impiegata della Associazione delle Donne Professioniste una cosiddetta one to one, l’esclusiva intervista cara ai colleghi più zelanti, o magari privi di spunti. In un angolo smarrito della collezione di Repubblica, si potrà certo rintracciare quel che mi disse: non solo lei, ma la mamma, una squisita signora borghese miracolosamente sopravvissuta al Paradiso Sovietico. Andò a finire che, più che di tennis, mi parlarono di Roma. L’andavano visitando, e ne erano quasi incredule, tale l’ammirazione. Non vidi come non assecondarle, ricordando il record della Capriati che una volta, mentre la guida annunciava Notre Dame, ebbe ad esclamare: «Anche qui c’è una sede della famosa università del basket». Terminata quella conversazione, non mancai mai di bearmi alle elegantissime movenze, sui campi, di quella che si distingueva dalla maggioranza delle colleghe non solo per la bellezza, ma per la cultura. Ma, in tanta ammirazione, non potei evitar di notare che Helena era vittima di una sindrome nemmeno troppo rara, nel nostro mondo, se ne ho sofferto io stesso: la “doppiofallite”, la capacità di sbagliare le due palle di servizio nei momenti più disadatti, per solito quelli decisivi: esempio clamorosamente sollevato nel 2004, l’anno in cui riuscì a non vincere questo torneo, giungendo in finale ma assommando la sbalorditiva soma di sessantasette doppi errori. Intelligente com’è, Helena non si sarebbe rifiutata di rivolgersi a uno specialista: ma, invece di fissare un appuntamento nello studio del Dottor Jung, si sarebbe recato in California presso il maestro Fisher, specialista di meccanica tennistica. Infatti, nel corso di questo torneo, era parso anche agli statistici più attenti che la sindrome fosse scomparsa: non batteva certo come la Navratilova, Helena, e tutta via doppi ne offriva pochissimi. Ma la partita di oggi doveva rivelare che il doppio errore non era una causa, ma un effetto della sindrome. Infatti, dopo aver dominata quella bruttona della Safina, ecco d’improvviso la bella Helena, giunta al match point, contrarsi, trattenere la manina, sbagliare, una, due, dieci volte: diritti rovesci volé, non certo servizi. E, perduto il secondo set, rimanere in campo nel terzo quasi una controfigura di se stessa. Ahilei, e ahimè, che per seguirla avrei perso anch’io la possibilità di capire come mai Federer sia stato capace di offrire a un tennista privo di rovescio quale Gonzalez il primo set, per poi dominarlo, quasi si trattasse di un allenamento agonistico Rimane, in queste note tanto poco esaurienti, la piacevole necessità di sottolineare che una italiana e mezzo, Schiavone e la Dellacqua di ascendenza comacina, hanno raggiunto la finale del doppio femminile. Certo, il doppio è ormai una gara minore: ma sempre di Slam si tratta.

Il rap di Monfils infiamma Parigi.

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 05-06-08

PARIGI (Francia) Ma è lui o non è lui? E’ davvero Gael Monfils quello che doma la «pulce» di Spagna, David Ferrer e riporta la Francia alle semifinali del Roland Garros 7 anni dopo Sebastien Grosjean? E dov’è finito «Lamonf», l’istrionico compagno di merenda dei ragazzi di casa viziati dal talento, Gasquet e Tsonga, il vero figlio delle colonie: papa, ex calciatore, della Guadalupa, e madre della Martinica? Da junior, era capace di tutto, era numero uno del mondo 2004, dominava Australian Open (senza perdere un set), Roland Garros e Wimbledon (perdendone uno). Da pro, ha avuto mille infortuni (ginocchio, polso, caviglia, piede, schiena, adduttori) e si è fatto notare più per gli alti e bassi e per gli atteggiamenti da rapper: iPod alle orecchie e cappuccio calcato in testa da pugile, alto e dinoccolato (1.93 per 81 chili), con una spiccata attenzione per l’altro sesso. Fenomeno da junior, frenato dagli infortuni, è ripartito grazie a uno staff personalizzato: «Con Roger è come gara-6 di Lakers-Celtics. Ma io voglio la finale» Novità Da coach Benhabiles a Champion, e ritorno — Thierry per rispondere al grido di dolore del pupillo ha tradito di punto in bianco Mathieu — , «Lamonf» è cambiato. Il grande individualista ha trovato una band, pardon, una squadra, il Team La gardère, e quindi calore umano e organizzazione, con il preparatore fisico Rèmi Barbarin. L’ideale per chi non giocava da metà settembre 2007 a Stettino, in Polonia, quando si era ritirato contro Merde, e quando era rientrato a marzo, aveva solo perso. Almeno nel tennis, perché invece, nella vita, il 21enne aveva trovato l’amore con la collega Dominika Cibulkova. Poi, prima della crisetta di Indian Wells («Alla vigilia della partenza non volevo andare, non ne avevo voglia») e prima di ritrovare l’amata terra, e quindi coraggio e successi, a Montecarlo (battendo Verdasco e Karlovic), e al challenger di Marrakech (vinto), «Lamonf» ha comunicato a Champion: «Io voglio giocare come James Blake». Così ha sorpreso il Roland Garros — complice il tabellone con 3 avversari oltre il numero 92 del mondo — ha soffocato Ljubicic ed è esploso come ai vecchi tempi. Danza L’avete visto? Una danza alla Noah dopo il trionfo ‘91 di Davis, o alla Tsonga agli Australian Open di gennaio, una danza «imitazione di Soulja Boy, un rapper americano che adoro, con la canzone “Krank that”». Che ha fatto sorridere papa Rufin, dopo tante preoccupazioni per quel figlio pieno di problemi: «Gael ama la musica è un ragazzo del suk e lo fa bene, no?». E ha caricato il rapper contro il maratoneta Ferrer, stravolgendo la gerarchia del numero 59 del mondo che ha soverchiato il numero 5: «Che bravo è stato, Gael, e che forte fisicamente, ha meritato di vincere. Al di là del pubblico». Minaccia Ed ecco, finalmente «Lamonf», che getta la maglietta al pubblico, felice, e salta, e grida, e veste la T-shirt con l’anno di nascita, «86». Come farebbero gli eroi del basket Nba, che conosce a menadito, a cominciare da Tony Parker. Eccolo dire: «Posso fare di più. Al servizio e anche nelle discese a rete. Adesso c’è gara 6, sembra Lakers contro Boston: è dura, molto dura, forse il match più importante della carriera, ma voglio battere il numero uno. Mi alleno per anni per questo momento e non voglio perdere. Anche se il “big match” non è la semifinale, non è ancora gara-7». Il numero uno è il solito bersaglio, Roger Federer, che rispolvera le frecce: il rovescio lungolinea, le discese a rete, il servizio. E delude «mano de piedra» Gonzalez: dal 2-6 6-2 0-40, cede appena 4 punti su 41 alla battuta. E dice: «In finale rivorrei Nadal».

In Francia e Spagna si formano le nuove generazioni di tennisti.

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 05-06-08

PARIGI - Fernando Gonzalez era un puntino nero, l’ultimo superstite di una specie che sembra in via di estinzione. Quella dei giocatori extra europei. Finita l’epoca d’oro degli australiani, e stiamo parlando (con l’eccezione del solo Lleyton Hewitt) di più di trenta anni fa, anche gli americani fanno fatica a tenere il passo. Nei primi 50 del mondo sono 39 quelli nati in Europa. Il dato diventa ancora più inquietante se si passa alle donne: solo 8 extra europee nella Top 50. Era già accaduto agli Australian Open, si è ripetuto al Roland Garros: tutte e otto i semifinalisti vengono dal Vecchio Continente. Sulla terra il dominio europeo è ancora più netto. Finita l’epoca di Rios e Kuerten, sono stati gli argentini (Gaudio, Coria, Nalbandian) a contrastare l’armata spagnola. Ma anche loro segnano il passo. Gli americani, compresi i due Top 10 Roddick e Blake, preferiscono le superfici veloci. La terra rossa richiede pazienza, grandi doti fisiche e un maggiore tasso tecnico. Non si possono sparare solo gran botte dal fondo e sperare che la palla resti tra le righe. Tra le donne è più complicato trovare chi abbini talento e varietà di schemi (dopo l’uscita della Henin, la sola Scnyder è rimasta a reggere il bastone di un tennis veccliia maniera), ma questo non ha impedito che a Parigi tutte e sedici quelle che hanno raggiunto gli ottavi fossero europee. Ed è la prima volta che accade da quando il tennis è diventato open (1968). Il Roland Garros ha confermato la tendenza. L’Europa è diventata padrona. Ha aumentato le sue scuole (Francia e Spagna sono leader in questo campo), e adesso le giocatrici anziché volare in Florida (da Bollettieri o da Hopman) restano qui. A Valencia, Barcellona, Parigi si può lavorare bene senza andare lontano da casa. L’exploit della Serbia (Ivanovic, Jankovic e Djokovic), la maggiore confidenza con la superficie da parte di Federer, la forza mostruosa di Nadal e dei suoi amici spagnoli, la costanza su alti livelli della Kuzentsova. E’ grazie a loro che l’Europa non teme rivali.

La nuova vita della Dokic «Roma per me è un’amica».

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 05-06-08

ROMA Jelena è tornata a sorridere. E adesso la sua seconda vita sembra davvero iniziata. Jelena Dokic è una delle grandi protagoniste del torneo Itf da 75 mila dollari in corso all’Antico Tiro a Volo (oggi il secondo turno contro la rumena Mihalache); l’ennesima importante tappa romana della 25enne serba, naturalizzata australiana, impegnata in una difficile risalita nel tennis che conta. Regina degli Internazionali d’Italia 2001, la Dokic sembra aver superato la profonda crisi personale nella quale era piombata e aver cancellato il peso una figura paterna troppo ingombrante. Sbaglio o è tornata a pensare al futuro con ambizione «È vero, sto bene. Sto giocando il mio miglior tennis da qualche anno a questa parte. Spero sia l’inizio del imo cammino di ritorno». Quali obiettivi si è posta per questa stagione «Entro il 2008 voglio rientrare tra le top 100 e assicurarmi il main draw degli Australian Open. Ora vedo tutto in modo molto positivo, devo solo continuare così, l’importante è giocare con continuità e ritrovare le sensazioni di una volta». Già… una volta. Quanto è cambiato il tennis dalla sua «prima carriera» «Molte giocatrici con le quali mi misuravo non ci sono più. Oggi ci sono molte giovani agguerrite, ma tecnicamente il livello è un po’ più basso». Roma le ha regalato tante gioie… «Adoro questa città, e lo ammetto, mi ha sempre portato fortuna. Uno dei miei obiettivi è essere m tabellone agli Internazionali il prossimo anno». Dopo il successo e la gloria si è trovata a toccare il fondo. Che cosa ha provato «Ho passato dei momenti bruttissimi. Gli ultimi 3 anm sono stati caratterizzati dai problemi personali più che dallo sport. Mentalmente non avevo la forza per pensare al tennis e a volte ho pensato di lasciare tutto. Ma proprio in quei momenti dentro di me è scattato qualcosa che mi diceva di provarci. Ho pensato, se sono stata numero 4 una volta perché non provarci di nuovo. Ho lasciato a soli 22 anni, e con almeno 5 o 6 anni di tennis davanti a me mi sentivo in dovere di provarci». A Parigi si sta disputando il Roland Garros, quanto vede lontani gli Slam «Non mi pongo limiti. Quando avrò ritrovato tutti i tasselli del puzzle potrò puntare su un risultato di prestigio anche negli Slam. Tutti e quattro sono importanti, ma punto a far bene a Parigi e a Wimbledon». Quali sono i ricordi che hanno illuminato i suoi momenti bui «Il coraggio di crederci nasceva proprio dai ricordi dei match giocati a Roma, contro la Mauresmo nella finale degli Internazionali, e ancor prima contro la Martinez. Ero giovanissima e mi sembravano ostacoli insormontabili. E poi ovviamente l’exploit di Wimbledon 1999 contro la Hingis». È vero che mangia ravioli e parla italiano «Sui ravioli… vero, verissimo. Adoro la pasta e qui mi posso sbizzarrire un bel po’. Mi piacerebbe un giorno poter imparare l’italiano. Per ora lo capisco, ma magari la prossima intervista la farò nella vostra lingua». I NUMERI 4 II suo best ranking raggiunta nell’agosto 2002. La Dokic ha vinto gli Internazionali d’Italia nel 2001 269 II ranking attuale.

 

Nadal si allena solo Djokovic lo può fermare.

Gianni Clerici, la repubblica del 04-06-08

Grazie alla veneranda età, mi è stato chiesto mesi addietro di partecipare a un documentario che celebrasse gli ottant’anni del torneo, e che verrà trasmesso prima della finale di domenica dalla tv di qui. Hanno finito di montarlo giusto ieri, e mi sono accomodato in poltrona, a osservare una parte della mia vita. Dai miei antichi avversari Bernard e Drobny, al caro Pietrangeli e a Santana, su su fino a Borg e Lendl. Oggi ero in tribuna, un pochino assonnato per il banchetto che aveva seguito il documentario, e guardavo distrattamente quel che mi passava davanti agli occhi. Sul centrale intriso di grigio, Rafael Nadal stava allenandosi con un suo connazionale, Nicolas Almagro. Allenarsi, ho scritto e ribadisco, ancorché la vicenda fosse considerata, a tutti gli effetti, una regolare partita dei quarti, veicolo per un successivo match contro Djokovic. Prendevo distrattamente qualche appunto, notando che Rafa non sbagliava mai, arrivava sempre prima della palla, ricacciava il suo sventurato avversario contro i teloni pubblicitari. Dopo qualche decina di minuti ammirati, il pubblico stesso assisteva senza quasi applaudire, sottolineando con umanità i rarissimi punti del povero sparring partner. E’ stato li che, annoiato com’ero io stesso, mi son ritornate agli occhi le immagini dei successi di Björn Borg. L’avevo rivisto, ieri, in un montaggio delle sue più irresistibili partite, una finale in cui aveva lasciato a Guillermo Vilas cinque games, e in un’altra vinta diciotto a tre contro il mio povero amico Vitas Gerulaitis. Ma, di tutti quelli che mi accadde di definire allenamenti agonistici, il più impressionante sarebbe stato una vicenda del 1978, una semifinale contro Corrado Barazzutti. Riuscito miracolosamente ad evitare un triplice sei a zero, Corrado si sarebbe avvicinato allo svedese, avrebbe accennato un inchino per dirgli «Scusa se mi sono permesso di prenderti un game». Nonostante lo scarto degli abiti, tanto diversi, tra Borg e Nadal, le due partite mi son parse autentiche sovrapposizioni, l’una una sfocata immagine dell’altra. Ma, poiché mi sto occupando del presente, ricordo i risultati di Rafa: ha via via eliminato il brasiliano Bellucci 7-5,6-3,6-1 ; il francese Devilder 6-4,6-0,6-1, il finlandese Nieminen 6-1,6-3,6-1, il suo connazionale Verdasco 6-1, 6-0, 6-2, per finire col 6-1,6-1, 6-1 ad Almagro. Di questi match solo il primo ha superato le due ore di gioco. Mi par giusto sottolineare tutto ciò, nel momento in cui una radio svizzera mi chiede se Federer sarà alfine in grado di vincere almeno questa edizione del Roland Garros. Rispondo che mi pare impossibile, nonostante un tabellone molto più felice di quello di Nadal, al quale tocca in sorte il terzo incomodo, Novak Djokovic. E sottolineo che, questa, la semifinale, mi pare più complessa per Rafa della eventuale finale. Oggi Djokovic ha peraltro faticato contro il lettone Ernest Gulbis, nel match più attraente della giornata. In un mare di robot dell’est desiderosi di affermazioni e dollari, questo ex-Urss è ricco, bello, intriso di talento. Lo vedremo presto tra i Primi Dieci. Parola di Scriba.

Nadal, la forza del padrone.

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 04-06-08

Nadal tritura anche Almagro lasciando per strada appena 25 game «Pensavo anch’io che sarebbe durata più di un’ora e tre quarti, perchè “Nico” ha un bel servizio e ottimi fondamentali, ma ha il punto debole nei movimenti e il centrale e un campo difficile, molto grande e spesso ventoso difficile adattarsi, se non lo conosci» Djokovic stoppa l’esplosione di baby-face Gulbis dopo 3 ore di equilibrio, sfoderando lucidità e duttilità su tutti i punti importanti, nel match più bello del torneo Come lanciare meglio Nadal-Djokovic, la semifinale da sogno del Roland Garros che venerdì non decide solo il numero 2 del mondo di lunedì, ma molto di più Più e meno Nadal o Djokovic? Gia al primo scontro, proprio al Roland Garros 2006, il derby di personalità fra «Maciste» e «Tira e molla», regalo un ritiro mezzo tattico dell’orgoglioso serbo, con problemi di respirazione. Stessa storia l’anno scorso a Wimbledon. Finche «Nole» non ha colmato il divario fisico e, nelle semifinali di meta maggio ad Amburgo, ha subito il 4-0 sulla terra e il 7-3 complessivo nei precedenti, «ma giocando una delle partite più belle sulla terra, Roma contro Cartagine, con un grandissimo equilibrio», come sottolinea Giorgio Di Palermo, acuto osservatore dell’Atp e da allora il tennis, che ufficialmente non può scommettere, ha scommesso «Aprirei una scuola-Nadal, dove si insegna a non piangersi addosso, e a trasformare in energia positiva sia la vittoria che la sconfitta Mentalmente è fortissimo» suggerisce Mats Wilander, campione di 3 Roland Garros in 5 finali «Djokovic ha più alti e bassi di fisico, ma non partirà come gli altri avversari di Nadal, pensando ‘Vediamo cosa s’inventa Rafa” Un po’ come succedeva con Borg. Potrebbe essere il primo che adatta il suo gioco a Nadal e rompe questa magia il primo set sarà decisivo», sentenzia Vilas, re di un Parigi in 4 finali Applausi Oggi Nadal (22 anni) e il n 2 e Djokovic (21) e il 3, tutti e due scalpitano dietro Federer, il mancino di Maiorca sente le sirene di un certo Borg «Quando entrava in campo tutti pensavano che non avrebbe mai perso, sembrava di un altro pianeta è stato uno dei 3 più grandi del tennis, mi fa piacere se mi paragonano a lui, ma non l’ho mai visto giocare sulla terra vincere qui 4 volte di fila come lui non e una motivazione in più io devo giocare bene e vincere il Roland Garros» II serbo cerca di non esaltarsi troppo, dopo Gulbis «Ha un gran potenziale, per poter essere molto presto uno dei migliori del mondo, ma tutto dipende dalla sua stabilita mentale In certi momenti cruciali ha fatto errori gratuiti, ha bisogno di tempo ed esperienza» Tattica Nadal e lucidissimo «Preferisco affrontare Djokovic sulla terra che sul duro, ma lui e un ottimo giocatore anche di terra vittoria a Roma, semifinali ad Amburgo e a Montecarlo, sconfitte solo con me o Federer, seconda semifinale di fila a Parigi Può succedere di tutto per vincere devo giocare al 100% A che livello sono rispetto agli altri Roland Garros7 Non me h ricordo, penso migliore» Djokovic e lucidissimo «Nadal e impressionante, ha migliorato molto al servizio, tenta più vincenti, e poi ha forza e pazienza Ma non voglio accontentarmi di fare del mio meglio, io voglio vincere, e penso di avere qualità di gioco e possibilità Anche se lui e il favorito, posso batterlo solo se m’avvicino al match con la giusta attitudine Anche perchè ad Amburgo ho giocato un gran match, sempre aggressivo, e lui non può essere ancora tanto fortunato sulle palle-break Che sfida, per me, come numero 3 del mondo e campione del primo Slam dell’anno» .

Nadal o Djokovic? Gioisce comunque Benito

Daniele Azzolini, tuttosport del 04-06-08

Il primo finalista del Roland Garros si chiama Benito, e ha 40 anni. Benito Perez Barbadìllo, spagnolo di Jerez de la Frontera, casa a Montecarlo, professione manager di due tennisti. Uno è Rafael Nadal, l’altro Novak Djokovic, semifinalisti contro. Che vinca uno, o l’altro. Benito sarà in campo anche domenica. «Intanto vedrò la semifinale con voi - mette le mani avanti , vengo in tribuna stampa e resto lì, nascosto, fino a quando i due non avranno sistemato la loro vertenza». È la seconda volta, quest’anno. Prima Amburgo, ora Parigi, una Coppa Barbadillo su terra rossa in due semifinali. “Devo abituarmi in fretta - dice Benito -, Rafa e Nole si incontrano ad ogni torneo. Ma un bravo manager sa quando è il momento di farsi da parte”. E il momento è arrivato. Benito ha pianificato le prossime 48 ore dei “suoi” tennisti e sparirà dalla scena, verso Montecarlo. Tornerà solo per il match. «Rafa non ha intenzione di toccare la racchetta, almeno per un giorno. Andrà a Versailles, insieme con lo zio e gli amici abbiamo organizzato una macchina e una visita su misura per lui. Tornerà ad allenarsi domani». Nole ha preferito un programma più casalingo. se la prenderà comoda, starà con i suoi, albergo e riposo si allenerà, ma senza spingere troppo». LA TENSIONE Clan diversi, quelli dei due tennisti, per numero di affiliati e per il modo di seguire le vicende sul campo. Curioso: i sanguigni manacoriti sembrano più flemmatici dei freddi montanari di Kopaomk. Benito lascia intendere che vanno accontentati tutti. Occorre interpretare gli stati d’animo, e anticipare le richieste «Ora c’è più tensione nel gruppo di Nole, ma è normale. La semifinale vale molto, una vittoria può prolungare il bellissimo percorso cominciato in Australia, e consegna re a Djokovic la seconda piazza in classifica. La pressione si fa sentire. Dalla parte di Rafa c’è più abitudine a gestire momenti ad alto contenuto di adrenalina. Piuttosto, Nadal i nervi li aveva ieri, prima di affrontare Almagro. Quando incontra uno spagnolo diventa intrattabile ma in campo ha dato il massimo» Tre volte sei uno, che porta il conto totale a 91 game vinti e appena 25 perduti, cifre che accendono una sfida lontana nel tempo. Con Borg, capace di vincere il torneo lasciando solo 32 game agli avversar! Era il 1978, e quell’anno l’Orso di Svezia superò Barazzuttì in semifinale per 6-0 6-1 6-0. Una scenetta diventata famosa: quando i due si strinsero la mano, l’azzurro si rivolse a Borg col giusto sussiego: «Scusa se ti ho vinto quel game». Difficile che la storia si ripeta venerdì, nella semifinale di marca Barbadillo. Rafa e Nole sono alla alla replica, 7 finora i successi nadaloidi, 2 al Roland Garros. «I numeri direbbero Rafa - spiega Benito -, ma è un match che esce da qualsiasi logica. Sarà molto combattuto, molto aperto» Djoko ha regolato il giovane Gulbis, soffrendo persino e appare carico. La Serbia continua ad essere sugli scudi, ci sono anche le due semifinaliste Ivanovic e Jankovic, la vincente sarà la nuova n.l. Benito non tifa, non può. «È stato Toni Nadal a chiedermi di prendere altri tennisti, di non fermarmi al solo Rafa, con cui lavoro dal 2006. Scelsi Djokovic Qualche tempo dopo zio Toni mi venne a dire… però, te li sai scegliere bene i tennisti, eh?».

«Un giorno vincerò gli Internazionali a Roma».

Francesca Paletti, la gazzetta dello sport del 04-06-08

Mano, trapiantata da qualche anno a Barcellona, deve confermare le ottime impressioni date al Trofeo Bonfiglio (è arrivata in semifinale). «Penso di tornare stabilmente a Roma entro un anno — spiega — aspettiamo che mia sorella concluda gli studi all’Università e poi torneremo nella nostra città». Trasferitasi in Spagna con la madre Kristina per seguire la sorella Roberta, iscritta all’Università di Barcellona, Nastassja è una delle giovani più interessanti del panorama tennistico azzurro. «In Spagna si sta bene — spiega —, ma questa è casa mia e voglio tornarci». Dopo l’exploit di Milano anche gli appassionati l’hanno scoperta: «Mi hanno fatto tutti grandi complimenti, credo di aver fatto davvero un bel torneo ma in semifinale ho giocato male contro una tosta. L’attenzione della gente non mi pesa, anzi. Mi piace quando il pubblico mi incoraggia». Il maestro Seguita da Vittorio Magnelli, e protagonista degli ultimi campionati di Serie A del club pariolino, la Burnett debutta contro la lucky loser slovacca Lenka Wienerova, classe 1988 e numero 283 della classifica mondiale: «Non la conosco, ma non mi pongo obiettivi. Spero solo di andare avanti il più possibile». Alta, longilinea, e dotata di potenti fondamentali da fondocampo, Nastassja ha un sogno nel cassetto: «Riuscire un giorno a vincere gli Internazionali d’Italia — ammette ridacchiando — da romana non potrei desiderare altro. A livello Slam, invece, ho visto solo gli Us Open (lo scorso anno nel torneo juniores newyorkese ha disputato il secondo turno, ndr) e non è che sia proprio tanto male». Modelli Ammira Maria Sharapova e spera di ricalcarne le orme. Oggi il primo esame in un tabellone di tutto rispetto, guidato dall’azzurra Tathiana Garbin (vincitrice ieri dell’argentina Cravero con un doppio 64 64). Giunto alla quarta edizione, il torneo rappresenta il terzo appuntamento italiano internazionale femminile per montepremi (dopo i Wta di Roma e Palermo). Giocato lo scorso anno anche dall’astro nascente Alizé Cornet, la 18enne di Nizza finalista agli Internazionali d’Italia, è stato vinto in passato dalle azzurre Romina Oprandi e Anna Floris, rispettivamente nel 2005 e 2006, e, la scorsa stagione, dalla belga Caroline Maes.

Sharapova, il fascino non basta la ribelle Safina la sorprende.

Gianni Clerici, la repubblica del 03-06-08

PARIGI Le rose del giardino botanico di Auteuil, confinante col Roland Garros, sono in piena fioritura, e non cessano di stillare gocce. L’erba dei prati è non meno verde di quella di Wimbledon. Ho già perduto due ombrellini, ma non desisto. Cosi, come arrivo oggi allo stadio, ritrovo i campi difesi dagli impermeabili verdi, e, al bar, i miei due amici russi. «Di che vi state occupando?», domando. «Di cosa?». Ma della finale del campionato di Russia», ride lui. «Avete messo in campo diciotto tenniste» dico io. «Quale sarebbe la finale anticipata?». «Tra la nostra russa d’America e la russa russa. Sharapova e Safina. Tra l’altro si odiano». Da un tavolo vicino sento ridacchiare un collega americano. Scrive spesso cose da licenziamento, ma, in mancanza di un giornale tipo Bertoldo o Canard Enchainé, gliele pubblica un mensile. Chiedo di Maeia elegante e scultorea, Dinara priva di glamour ma mai doma patria. D. Piatti. N. 51. Abiti. M. Chicchissimo, blu, fessura dorsale. D. Da mercato rionale. Diritto. M. Elegante, arrotato. D. Da boscaiola. Rovescio. M. Bimane da gour met. D. Bimane da supermarket. Principale Handicap. M. Il fascino. D. Somiglianza con la mamma Raouza. Attività consigliata. M. Carla Bruni. D. Badante. Ringrazio l’amico bizzarro, casso le qualità positive e negative troppo audaci e mi avvio verso il campo intitolato al mio idolo Suzanne Lenglen. Mi giungono, da lontano, gemiti che farebbero pensare ad un incontro di wrestling, o peggio. Come mi affaccio, ecco Maria scatenata in tutto il suo fascino degno della Juliette del Divino Marchese, e la povera Dinara nelle vesti di Justine. Mostrando ad ogni punto gli aguzzi dentini, Sharapova strapazza l’avversaria. Le due russe si odiano e disprezzano al di là del semplice aspetto sportivo quasi si trattasse di una povera mugika. Ma la stirpe di tale rasdora dev’essere abituata da secoli a sopportare le sofferenze. Ed eccola quindi attaccare il suo carro all’elegante calessino di Maria, e starle appiccata fino al tie-break, nel quale, dopo un’ultima disperata risalita da2-5, rovina nella polvere di un 6-7. Ma cosa mai conteranno le cifre, in simile vicenda. Un regista come William Klein, capace di un memorabile film sul Roland Garros, saprebbe montare una successione di sguardi di autentico odio tra le due, di reciproco disprezzo, di implicazioni ben lontane da un semplice match sportivo. Si sprecano i pugni stretti, le maledizioni, gli sguardi di incredulità per una pallina che tocca il nastro e esce dal campo. Il pubblico si erge spesso a protagonista, quello femminile schierato in stragrande maggioranza contro il fascino presuntuoso di Maria: ha certo torto David Hume nel ritenere che «la bellezza sia nella mente di chi la osserva». Appare sommersa, la povera Dinara. Ma non si spegne, in lei, il fuoco della ribellione. Nemmeno quando, sul cinque a tre, la Bella si issa a match point. Ma è la disperazione a sottrarre Dinara dalla scomparsa: un diritto ad occhi chiusi che trova campo e insieme incredulità di Maria. Tutto pare rinviato al tie break, in cui Sharapova si issa tra i gemiti a ben cinque punti a due. Ma, qui giunta, un net le toglie un quindici decisivo, la costringe per un istante a dubitare, e il dubbio la spinge al doppio errore. Cosi, d’un tratto, una giocatrice a metà sepolta risorge, a una splendente vincitrice non riesce a tollerare una nuova immagine di se. Ancor prima che inizi il set decisivo il match è ormai deciso.

Sharapova urla Safin la spegne.

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 03-06-08

Cade la testa di Maria Sharapova III l’altezzosa, appena tornata per la terza volta sul trono. Ma la sorpresa c’è e non c’è. Perché la terra è la superficie dello Slam avversa alla siberiana di ghiaccio, e perché la sua castigatrice, Dinara Safina, ha le stimmate della predestinata. Al di là del precedente di 2 anni fa, sullo stesso campo (e rimontando da 2-5 al terzo) e dei progressi della numero 14 del mondo. Ma soprattutto del match che la 22enne di 1.82 strappa alla 21enne di 1.88 dopo 2 ore e 52 minuti, dopo un’ora e mezza fermi per pioggia, dopo 2 set point falliti nel primo tie-break dalla russa di Mosca, Dinara, dopo un match point mancato dalla russa di Nyagan, Maria, nel secondo set da… montagne russe, perso al tie-break da 5-2 (a 5-7). E dopo un terzo set con il pubblico complice di Biancaneve contro la regina cattiva. Che, l’anno scorso, domò Patty Schnyder e disse: «Non sono mica Maria Teresa di Calcutta». Affari di famiglia Finché il fisico gli ha retto, il fratellone di Dinara, Marat Safin, ha preso tanti numeri uno a sberle: due volte Hewitt (ad Amburgo e Bercy 2002), una Roddick (Australian Open 2004) e una Federer (Australian Open 2005). Senza contare quando aveva sorpreso re o ex re, come Agassi e Kuerten al Roland Garros ‘98, e Sampras agli Us Open 2000. E si caricava frantumando racchette al suolo. La sorellina Dinara, che l’ha imitato sin dalla scuola di Valencia, ha cominciato la collezione di regine a Mosca 2005 (Sharapova) e l’ha ripresa quest’anno: Il pubblico si schiera con la sorellina di Marat: «Metà del sostegno era per lui, la gente di Francia lo ama». La numero 1: «I fischi? Non posso accontentare tutti» a metà maggio, sulla terra di Berlino, eliminando Serena Williams, rimontando Justine Henin e convincendola al ritiro (da n. 1), e ieri buttando giù dalla torre Maria Sharapova, mettendone a rischio il freschissimo ritorno al vertice. Reazione Anche Dinara, sul 6-6 del primo tie-break, smarriti i set point, ha distrutto la racchetta: «Non sono una che tiene dentro le emozioni, pagherò molte multe, ma meglio così. E poi mi stavo troppo parlando e piangendo addosso, avevo bisogno di un avvertimento per star zitta e giocare». Anche Dinara, per vincere ha dovuto sfiorare ancora il baratro, come faceva sempre il fratellone: «Da 2-0 per me a 5-2 per lei, e poi 5-3 40-30. Ma sul match point ho tirato il vincente. Non avevo altra chance, non potevo più rallentare, non potevo più farmi dominare. Così, solo così, al tie-break ho potuto rimontare». Anche Dinara fa collezione di allenatori: da mamma Raouza Islanova ad Heinz Guenthardt (ex guida della Graf), a Zeljko Krajan. L’sms di Marat diceva: «Ben fatto, ben giocato». Dinara lo adora: «Sarebbe un sogno di tutta la famiglia se anch’io dovessi vincere uno Slam, ma devo lavorare un po’ più duro per arrivare dov’era lui». Dinara lo ringrazia: «Metà del sostegno era per lui, la gente di Francia lo ama. Ed era con me anche quando ero sotto 5-2». Sfortuna Maria Sharapova l’altezzosa fa la filosofa: «Ho avuto tante opportunità e non le ho prese o sono stata sfortunata. Succede. E’ uno di quei giorni no. La mia avversaria è molto forte sulla terra, ci sono andata vicina, ma non ce l’ho fatta. Spesso la linea fra vincere e perdere è molto sottile. Il pubblico? Non posso accontentare tutti: sono un’atleta e lotto tirando fuori il cuore, per questo la gente paga il biglietto. Starò giù qualche ora, poi imparerò dalle occasioni fallite e il lavoro duro mi ripagherà».

“Nadal è come Borg Ma ora Federer sa come batterlo”.

Strefano Semeraro, la stampa del 03-06-08

«Roger deve servire forte, rischiare e togliergli il tempo» Josè «Pep» Higueras, spagnolo trapiantato negli States, n. 6 del mondo nel 1983, passerà alla storia per due cose: per le sue interminabili battaglie con Corrado Barazzutti e per aver allenato giocatori enormi. Michael Chang, Jim Courier e, da due mesi, Roger Federer. Da allora non ha praticamente parlato alla stampa, ma ieri ha accettato di rispondere alle nostre domande. Cosa può insegnare, un coach, al più Grande «Ha ragione, non molto. Diciamo che i miei sono due occhi in più che guardano le cose. Aggiungo dettagli. Il vero problema, se sei un coach, è fare in modo che il tuo giocatore sappia trasferire in campo i consigli che gli dai». Intervista PARIGI José Higueras Partiamo allora da Chang: cosa gli ha insegnato «Michael aveva un fisico perfetto per giocare sulla terra. Ma era cresciuto sul cemento e correva solo in orizzontale. Doveva capire che sul rosso bisogna sprintare in tutte le direzioni». Courier «Grande agonista, grande picchiatore. Ma faceva un po’ di confusione in campo». Il problema di Federer è Parigi. È la terra «Niente affatto, basta guardare il suo record. A parte un giocatore, anche sulla terra Federer batte tutti. Il suo problema è Nadal. Sulla terra, per perdere, Rafa deve giocare male e trovare un avversario in giornata perfetta». Allora Roger non ha chance «Non ho detto questo. Nessuno è imbattibile. Se non pensassi che Federer non può vincere anche qui non lo allenerei. La forza di Nadal è che, come Borg, gioca tutti i punti con la stessa intensità e lo sa fare per cinque set senza mai calare». Allora come lo si manda in crisi? «Servendo forte, rischiando, obbligandolo a faticare sulla risposta. Togliendogli tempo». Sulla terra, più forte lui o Borg? «Ah, che paragone. Dico che si assomigliano. E che se Borg avesse giocato oggi avrebbe vinto come ha fatto ai suoi tempi. Nadal comunque è fra i 3 migliori di sempre su questa superficie». Il problema di Federer con Rafa è più tecnico o più mentale? «Un po’di tutto». Più facile che Federer vinca il Roland Garros o Nadal a Wimbledon? «Sono arrivati tutti e due in finale hi entrambi i tornei, no?». Nadal sostiene che il suo avversario di oggi, Almagro, può vincere. Vero? «Con il gioco che ha Almagro sulla terra può battere tutti. La domanda ‘è: può giocare al massimo per tutta la partita?». Federer ha 26 anni, quella di quest’anno è una delle sue ultime chance di conquistare Parigi «Un giocatore come lui ha chance fino a quando si diverte a giocare a tennis. Se resta in forma, secondo me Roger potrà giocare e vincere fino a 32 anni. Anche a Parigi». Come si allenano tanti fuoriclasse? «Ci vuole fortuna. Conosco ottimi allenatori che non l’hanno avuta». Perché in Italia non riusciamo a produrre campioni «Credo sia questione di cicli. Forse i vostri ragazzi oggi non hanno tanta voglia di giocare a tennis». Cosa si ricorda delle maratone con Barazzutti «Un torneo a Parigi, ma non il Roland Garros. Esausti, ci vennero i crampi nello stesso momento. Io lo guardavo terrorizzato ma lui non se ne accorse. E si ritirò un attimo prima di me».

Roland Garros, eliminata la Sharapova Federer va avanti con il minimo sforzo.

Roberto Lombardi, il giornale di Sicilia del 03-06-08

TENNIS. Un po’ infastidito dalla pioggia, e non ha fatto nulla per nasconderlo anche se il suo modo di esternare il disagio è sempre molto educato, Roger Federer alla fine è riuscito a qualificarsi per i quarti di finale battendo Julian Benneteau, uno dei 5 francesi qualificati per gli ottavi. L’asso svizzero avrebbe potuto chiudere tutti i set con maggior agio ma il campo appesantito, le palle meno veloci perché imbevute di terra e la solita pigrizia a cercare dentro se stesso la massima concentrazione anche quando non è strettamente necessaria lo hanno costretto a giocare qualche game in più a tutto vantaggio dello spettacolo. Ebbene sì perché si tratta di un Federer in grandissima forma. La condizione fisica era parsa eccezionale già all’inizio del torneo ma con l’incedere delle partite ha trovato ora anche la perfezione tecnica. In particolare con il rovescio riesce a dominare lungo la diagonale sinistra grazie a parabole molto profonde e cariche di rotazione che costringono l’avversario molto lontano dalla linea di fondo. Poi il primo colpo dopo il servizio, il diritto in particolare, ritornato ad essere decisivo. Per non parlare degli attacchi in contro tempo o delle palle corte improvvise che tagliano le gambe. Forse non erano questi gli schemi più adatti contro il francese migliore di rovescio e molto agile nei recuperi ma è come se l’uomo di Basilea giocasse contro Nadal o meglio sperimentasse contro altro avversario quegli schemi che gli serviranno per realizzare l’obiettivo: battere la propria Nemesi in finale. Nemesi che si chiama Rafael Nadal, l’unico vero avversario sul rosso, colui che lo ha battuto già due volte in finale al Roland Garros. Può rompere il duopolio Djokovic, che però ha un cammino impervio. Fuori Maria Sharapova, prima testa di serie, per mano di Dinara Safina colei che già due anni or sono nel torneo fu capace di risalire da 1 -5 nel terzo per concludere 7-5. Anche in questa occasione Maria ha avuto largamente la possibilità di chiudere sprecando un match point sul 7-65-3 e poi un vantaggio di 5-2 nel tie-break del secondo set. In pratica ha perso da sola perché non è riuscita a calmarsi nel momento determinante. Poco importa che i suoi colpi non siano del tutto adatti alla terra e la sua posizione a volo sia disastrosa. H match lo ha perso mentalmente contro un avversaria inferiore ma forse più adatta al rosso che a sua volta per riuscire a chiudere ha dovuto scacciare ripetute volte i fantasmi delle memorie negative (3 sconfitte in 5 precedenti).

 

Suarez, quell’antico rovescio indigesto alla Pennetta.

Gianni Clerici, la repubblica del 02-05-08

PARIGI Certe volte capita di sospettarlo. Quello che accadrà, voglio dire. Oggi sto aprendo il mio ripostiglio, e mi rendo conto che, sulla porta della sala stampa, c’è un vegliardo che cerca invano di entrare. Mi avvicino. E’ Neal Fraser, nientemeno. Uno che ha vinto Wimbledon. Gli impiegati che si occupano delle credenziali non ritengono di ammetterlo. Aiutato dal mio compagno Killcat lo introduco di frodo. «Nontel’avevo detto» gli domando. «Detto cosa?. Quella volta, a Wimbledon 1960. Se Laver ti batte Nicola in semi, vinci tu». «Verissimo. Con Nicola, probabilmente, avrei perso la finale». Antichi brandelli di vita vissuta ancora occupano le mie rugginose circonvoluzioni. Il giovanissimo Rod Laver era, sull’erba, in grado di far soffrire il grandissimo Nick con il suo clamoroso slice. Fraser, anche lui mancino, giocava più piatto, e Pietrangeli non lo soffriva. Com’è che vado a sciupare le mie quattro lineette con ricordi che possono forse interessare soltanto ad aficionados in pensione Mi riallaccio all’inizio. Qualche volta capita di sospettarlo. Di Carla Suarez Navarro, voglio dire. L’altro giorno, per essere capitato casualmente o era intuizione - su un campo secondario, mi è accaduto di vedere una sorta di giovanotta sommersa di muscoli e di capelli ricci. Tirava un rovescio ad una mano, di quelli che io chiamo a mantello (il gesto, spiego meglio, di chi lanci di fronte a se un mantello). Incredulo , mi informo presso i miei amici spagnoli, e apprendo che la giovanotta è sbarcata in Spagna direttamente dall’isola di Gran Canaria. Proprio quella in cui Colombo compì la prima tappa del famoso viaggio. Accade così che mi introduca nella press conference della stanza n. 3, riservata agli ignoti e, vedendo che la ragazza ignora l’inglese, le faccio: andarmene, dicendomi che questa isolana potrebbe diventare una nuova Conchita Martinez. Accade infatti che oggi, sul Suzanne Lenglen presidiato da drappelli di compatrioti incuranti dei prezzi dei bagarini arabi, la nostra amata Pennetta debba confermare il grande match giocato con «Como te permîtes jugar el rêves a un mano, ahora che todas la chicas lo juegan a dos?». Sorpresa, la poverina appare in difficoltà. Per poi rispondermi: «Gentile signore, al mio paese il rovescio lo insegnano ancora così». «Que dios te benoiga», concludo, per Ai quarti la spagnola con il suo colpo a una mano, gesto die oggi le ragazze non sanno più Care tro Venus Williams. Scende in campo con il bel faccino contratto di determinazione, la Penna, ma passa poco tempo che due rughe di fastidiosa preoccupazione giungono a solcare quelle dolcissime guance. Dall’altro lato, l’isolana invia rovescioni liftati in asfissiante successione, e la povera Pennina non riesce a rintracciare minimamente quel che mio zio Brera chiamava la «giusta contraria». Addio Penna, e avanti l’isolana, la settima nella storia secondo il collega Mancuso capace di partire dalle qualificazioni per approdare ai quarti di finale. E addio, anche, ai nostri eroi, come al solito incapaci di superare le colonne d’Ercole della prima settimana di gara. Con tutto il rispetto per i nostri tecnici del Centro di Tirrenia, mi viene da domandarmi come non ci si decida costringere le bambine al rovescio ad una sola mano. E’ tanto desueto quanto efficace. E’ un vantaggio sul bimane. Cosa si aspetta ad imitare l’isolana, amici

Pennetta disastro «Non si può giocare peggio di così»

Vincenzo Martucci e Luca Marianantoni, la gazzetta dello sport del 02-05-08

PARIGI Faccia pallida, sguardo fisso, gambe molli e quei brufoletti, da stress, vicino alla bocca: Flavia Pennetta ha perso la grande occasione dei primi quarti in uno Slam già prima del primo 15 contro la spagnola Carla Suarez Navarra, sosia di Arancia Sanchez. Che, certo, come dice la brindisina, «ha giocato anche una buona partita», mettendo in mostra il rovescio a una mano di qualità che già aveva sorpreso Amelie Mauresmo. «Sapevo che per batterla avrei dovuto stare coi piedi ben dentro il campo e dettare lo scambio — dice la Pennetta alla fine —, e comunque sarebbe stata dura batterla, per come sta giocando». Ma la diciannovenne delle Canarie coi dentoni alla Orantes è pur sempre, soltanto numero 132 del mondo, emersa dalle qualificazioni e quindi da una stagione di tornei minori, con sconfitte eclatanti, contro Flipkens, South e Dentoni. Lenta Infatti Flavia (numero 30 Wta), ammette: «Non sono mai entrata veramente in partita, non le ho fatto male nemmeno sul 3-3 palla del 4-3, stavo due metri dietro la riga di fondo e così non facevo il mio gioco, ma il suo. Eppoi mi sentivo stanca, correvo e non riuscivo a venirne fuori. Anche se ero lucida. E questo dimostra ancora di più la cretina che sono: una partita del genere non si può giocare così, ho fatto un disastro». Però appena finita la partita chiede com’è andata la gara di Valentino Rossi e tira un sospiro di sollievo: «Ha vinto? Almeno c’è qualcosa da festeggiare». Storia Flavia Pennetta fallisce così l’occasione di diventare l’undicesima italiana a qualificarsi ai quarti di un torneo dello Slam, la prima da Francesca Schiavone, proprio a Parigi, nel 2001; mentre solo Silvana Lazzarino è arrivata fino alle semifinali nel 1954. Uomini e donne comprese, l’Italia è a secco di semifinali nei tornei del Grande Slam dai tempi di Corrado Barazzutti (Roland Garros 1978); da allora, invece, ben 27 nazioni hanno avuto piazzamenti in semifinale. Gli azzurri chiudono il torneo parigino con due exploit (Bolelli contro Baghdatis e Pennetta contro Venus Williams) e cinque sconfitte che il computer indicava come evitabili. E’ in parità ora il bilancio azzurro nella storia del Roland Garros, sulla terra, che è la superficie più amica: 619 vittorie e 619 sconfitte.

I soliti italiani non arrivano alla 2a settimana.

Stefano Semeraro, la stampa del 02-05-08

“Maybe the problem is the Dolce Vita”, risponde scrollando il capo canuto Bud Collins, il decano dei tennis writer americani. «Forse voi italiani vìvete troppo bene a casa vostra. Forse non avete la mentalità giusta. Comunque, che non siate riusciti a secernere un semifinalista di uno Slam in trent’anni, né un topten, it’s a mistery. È un mistero». L’ultimo fu Corrado Barazzutti, qui, nel 1978. Centodiciannove Slam fa. L’ultima donna Silvana Lazzarino, nel 1954, sempre a Parigi. Cinquantaquattro anni fa. Flavia Pennetta, l’ultima sopravvissuta degli 11 azzurri in tabellone, ieri avrebbe potuto aggrapparsi a un quarto di finale. Campo Suzanne Lenglen, avversaria po FLAVIA SCIAGURATA Ko contro una 19enne qualificata «l’orche ha avuto paura?» chiede la giornalista spagnola tabile: Carla Suarez Navarro, 19 anni, n. 132 del mondo, qualificata. Risultato: 6-3 6-2 per la ragazzina di Gran Canaria. Match imbarazzante, puro bradisismo mentale. «Porqué Flavia teneva miedo?», chiede sgranando gli occhioni mori Neus, la collega catalana. Perché ha avuto paura di vincere, la Penna? Perché tengono siempre miedo, los italianos È la sindrome della seconda settimana. Arrivano i turni pesanti degli Slam, noi evaporiamo. Inadatti al grande tennis. Alle asfissie prolungate di uno sport diversamente feroce. A parte le superpotenze in declino o in ascesa - Usa, Australia, Francia, Germania, Spagna, Russia - negli ultimi anni sono emerse anche le Piccole Patrie del tennis. Cipro ha incassato un finalista di Slam, la Svizzera due n. 1 come il Belgio -, uno a testa Cile e Brasile. La Thailandia ha prodotto un topten, la Serbia ne ha attualmente tre. Noi abbiamo trivellato il nulla, o quasi. Una finale di Davis nel ‘98, una Fed Cup nel 2006, ma sono gare di squadra. Nessuna gioia in 18 anni di Masters Series. Spolverare i gioielli di famiglia non aiuta più di tanto. Pietrangeli vinse due volte a Parigi quando i migliori si scorticavano fra i professionisti. Panatta ci ha dato un Roland Garros e una Coppa Davis, ma complessivamente ha soggiornato fra i primi dieci per meno di un anno. Barazzutti ha resistito cinque mesi. Una tradizione risicata. Poi è stata Italoshima. Lo sboom, un fall-out di incompiutezze 119 TORNEI SENZA UNA SEMIFINALE «Il problema o la Dolce Vita Voi ve la passate troppo bene» azzarda il cronista americano che perdura da sei lustri. Nel frattempo l’Italia ha dominato nel calcio e nella pallavolo, sfiorato un’Olimpiade nel basket, vinto e convinto nell’atletica, nell’automobilismo e nel motociclismo, nel canottaggio, nella ginnastica e nella scherma. Nello sci e nel judo, nella lotta e nell’equitazione, nel tiro a volo, nella boxe. Nel nuoto, nella pallanuoto, nei tuffi. Nel ciclismo. Non ci mancano fisico e umiltà. A latitare è la fibra mentale, i neuroni dentati che servono a masticare il più coriaceo degli sport. Ad accettarne la routine cannibale, fatta di migrazioni continue e spossanti, di continui tête à tête con i propri demoni. Non è un caso se ora ci siamo aggrappati a Bolelli, il bolognese freddo dentro. E dire che avremmo potuto almeno annetterci Djokovic. «Vivevo in Italia, ero amico di Fognini, il suo coach promise di aiutarmi con la nazionalità. Ma è andata male. Anzi - ha aggiunto con un sorrisetto crudele Novak, il serbo che spaventa Federer -, è andata meglio». Dopo aver eliminato Venus Williams, Flavia Pennetta ha ceduto alla spagnola Suarez.

 

Crisi e declino sportivo è il triste mondo di Amélie.

Gianni Clerici, la repubblica del 30-05-08

PARIGI Amelie Mauresmo ha perso una nuova partita nel torneo di casa, quello che ogni francese bennato vorrebbe vincere, quello che, per svariate ragioni, riesce di solito maluccio agli “enfant du pays”, tanto che, dopo Marcel Bernard (1946) ce l’ha fatta soltanto Yannick Noah (1983), del quale si diceva che nei giorni pari fosse francese e in quelli dispari africano. Come per solito non faccio, mi sono presentato alla sua conferenza stampa. Nel nostro mondo, le conferenze stampa di svolgono in due parti: la prima in inglese, lingua che il novantacinque per cento degli scribi e dei tennisti conosce. La seconda, nel gergo nativo. Conosco solo poche lingue, ma trovo che questa seconda parte è l’unica di qualche interesse. Nella propria lingua il tono, addirittura le sfumature, sono significative. Attendo quindi che Amelie Mauresmo si sia assisa al banco e abbia risposto le solite cose ai giornalisti delle Premiate Agenzie Anglosassoni: non sono in condizioni, il campo era lento, la mia giovanissima avversaria Suarez Navarra è una delle poche che gioca il rovescio come me, a una mano, apre moltissimo il campo, diventerà forte. Rimasto solo con i miei amici francesi, chiedo scusa per l’intrusione, e dico: «Cara Amelie, sono il vecchio giornalista che, nel lontano 1985 si venne a trovare su un campo secondario, e si vide, quindicenne, vincere il primo set contro l’italiana Nathalie Baudone. Scrisse un articolo che venne titolato “Profumo di Lenglen”. Dicevo, in quell’articolo, che, prima o poi avresti vinto uno Slam, e questo sollevò l’ilarità di un paio di miei colleghi dell’Equipe». Amelie mi guarda, e sorride. Vorrei sapere, adesso, come mai non ti sei mai ripetuta proprio qui, in casa. Ti ricordi con chi sei riuscita a perdere? «Mi dica lei». Nel 2002 da un’altra Suarez, Paola, doppista. L’anno prima da un’indossatrice, la Kandahrr. L’anno scorso da una ragazzina, la Safarova. Amelie scuote la testa. «Sono anche arrivata in due quarti di finale, 2003 e 2004». Non riesco a spiegarmi. Cosa c’è che ti impedisce di essere te stessa, a Parigi? «Me lo saprebbe forse dire lei?». Potremmo provare a farlo, ma non qui. «Non lo voglio fare io. Ma, al di là della terra, Parigi non basta a spiegare. Ho perso altri match, simili a questi, che mi hanno fatto soffrire, negli ultimi mesi». Mi è parso di cattivo gusto insistere. Noi tutti abbiamo alle spalle dei traumi, e non sarò io a scoprire che non volersene rendere conto non fa che peggiorare le cose. Amelie ha avuto una vita non facile, dal giorno in cui ha scoperto la sua omosessualità, ha faticato a viverla e ha creduto, malconsigliata, di renderla pubblica in occasione di una vicenda éclatante, un coming out dopo la vittoria nell’Open d’Australia 2006. Si è separata dalla famiglia, è stata vittima delle peggiori considerazioni da tabloid, di una valanga di pettegolezzi. Mi dice un suo buon amico che, ora, è tutto risolto. Glielo auguro, da buon vecchio spettatore. Da critico, sospetto che non basti la terra rossa a spiegare tutto.

Avanza la nuova Pennetta «Ora sono più cattiva».

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 30-05-08

PARIGI (FRANCIA) ««Single, sono single». Il sorriso di Flavia Pennetta è meno luminoso, dopo la batosta con Carlos Moya, il collega spagnolo che ha sfregiato il suo amore. Ma dentro è più forte. «E’ diventata un po’ cattiva, soprattutto con gli uomini», sussurra chi la conosce meglio. «Forse prima, contro le più forti, partivo già battuta. Poi cresci e impari. Il tennis femminile si è livellato molto, vedi la Sharapova che quasi perdeva contro la Rodina. Quando hai di fronte una campionessa te la giochi, e qualche volta vinci. E poi ho 26 anni. Si dice che noi italiani diamo il meglio tra i 26 e i 28… Quindi, magari, ci siamo. Qui? Magari», azzarda lei. Qui, cioè sulla terra rossa del Roland Garros, nel terzo turno contro Venus Williams. Oggi Svolta Dopo tante promesse, e due stop e mezzo, fra tifo, operazione al polso e delusione di cuore, la bella «Fla» non è mai decollata. Regina di sei tornei, tutti di seconda fascia, con due ottavi toccati nello Slam (sull’erba di Wimbledon) e due scalpi Doc: Justine Henin, e proprio Venus Williams, battuta l’anno scorso sul duro, a Bangkok, dopo il netto k.o. di Seul. «Dopo tre settimane di fila, ero un po’ stanca. La terra è diversa, ma sto giocando sempre aggressiva, come mi piace. E a rete», mette le mani avanti la maggiore delle sorellone Williams. «Ricordiamoci che qui al Roland Garros ha giocato la finale 2002 con Serena», puntualizza la moretta di Brindisi, maturata in Spagna con coach Urpi. «La terra non c’entra, come il dritto e il rovescio, perché Venus fa male con tutti e due i colpi. Devo mettere i piedi bene in campo, fare io gioco e non farla dominare; devo servire e rispondere bene, perché l’inizio del game è fondamentale; devo giocarle al centro, perché con quelle braccia lunghe, lei e la sorella arrivano dappertutto. Comunque, vado in campo con la mentalità di fare match pari». Dubbi Se Flavia è diventata un po’ cattiva è l’ora di dimostrarlo per rilanciare la carriera, oggi da numero 30 della classifica mondiale. Forse l’allarme del primo set contro l’ex stella junior, la sedicenne russa Anastasta Pavlyuchenkova le darà la scossa: «Sul 3-6, ho smesso di fare a pallate, ho variato, ho alternato palle alte e smorzate». Forse è meglio che ascolti papa Oronzo: «Quando le cose vanno male, mi dice sempre: “Fai qualcosa, fai qualcosa”. Ma io per correttezza non mi fermo, non chiamo il fisioterapista: mi sembrano giochetti da bambini, per prendere tempo. Bisognerebbe cambiare la regola». Forse è meglio che prenda ripetizioni dalla Sharapova. Che intanto deve ancora sbrigare la pratica Mattek (sospensione per oscurità sul 6-3 2-3 a suo favore) prima di sbarrare la strada nel terzo turno alla Knapp, che intanto sogna: «Spero vinca, sarebbe meraviglioso trovarla sul Centrale».

La Pennetta respinge la nuova ondata dell’Est.

Daniele Azzouni, Tuttosport del 30-05-08

PARIGI. È sempre più lunga, l’onda che viene da Est Verrebbe da chiamarla orda, se non consigliassero altrimenti le più normali forme di rispetto. Siamo di fatto al quarto, forse il quinto flutto, autentici marosi tennistici che si abbattono su uno sport un tempo ristretto a poche inazioni protagoniste. I primi cavalloni russi hanno smosso le acque alla metà dei Novanta, portando con sé l’attenzione rinnovata di Paesi un tempo fuori dai confini del nostro sport. Le successive ondate hanno consegnato all’approdo lettoni e polacche, bielorusse e ucraine, poi le cinesi, le indiane… Il mondo in “ova” dice Flavia Pennetta dopo averne conosciuta una nuova. Una che, giura, «non sapevo neanche chi fosse». Anastassja Pavlyuchenkova, un nome che inguaierebbe qualsiasi titolista, se solo diventasse forte, e non è detto che non vi riesca. Ha dominato due stagioni del circuito junior, la russa impronunciabile, ma una volta tanto il passaggio alla maturità dei tornei che contano davvero non è stato imperioso. UN SET DOPO Flavia lo ha capito con un set di ritardo, ma non è questo che conta. Semmai la vittoria, quella sì è importante. Perché da tempo l’azzurra cercava credito, e non le bastavano certo le buone prestazioni sulla terra sudamericana, dove Flavia vince ormai da anni, a mani basse. «Sono tutte ragazze alte e grosse, che giocano a far male - dice la Pennetta, avveduta -, quando ho perso il primo set ho capito che dovevo sottrarmi a quel batti e ribatti, ed è bastato muovere un po’ la palla, cambiare ritmo, per indurla a commettere errori sempre più banali«. Ha vinto facilmente gli altri due set, l’azzurra, e insieme ha scoperto una profonda verità su questo popolo di tenniste m divenire, sempre più folto e aggressivo. Sanno giocare su un unico schema, la giovane Olga come la bellissima Sharapova. Il problema è sottrarsi alla stretta dei loro muscoli. Flavia vi è riusata II torneo prosegue.. I CONFRONTI E siamo al terzo turno. Lei, Flavia, e anche Kann Knapp, apparsa sicura contro la francese Olivia Sanchez, spagnola di origini. Ma al terzo per Flavia ci sarà Venus, per Karin invece la Sharapova (se supererà la Mattek), e lì il confronto non sarà solo di muscoli. Servirà anche un bel po’ di strategia «Ci conosciamo - dice Flavia -. Venus capisce bene l’italiano, anche se non lo parla con facilità. L’ho incontrata due volte nei tornei conclusivi dell’anno scorso. Sulla terra è diverso, e posso far valere le mie anm, la mia pazienza. Ma lei è una grande campionessa, seppure non più la numero uno». Infatti, la numero uno è Masha, anche se sulla terra rossa non sembra. «Se servo bene la metto in difficoltà - confida Karin -. H mio obiettivo è proprio quello di misurarmi per il possibile con le più forti. Magari perdo, ma la strada per crescere è solo una». NOVITÀ’ LETTONE Anche Bolellì potrebbe misurarsi con ü vento nuovo dell’Est È una possibilità, e insieme un augurio, dato che il confronto con Ernest Gulbis, se ci sarà, si proporrà solo negli ottavi. Ernest è lettone e ha gli stessi anni della sua giovane Repubblica, venti. Figlio di Ainars, miliardario, un impero fondato sui gasdotti. Lui, Ernest, è l’erede designato. Intanto, ha battuto James Blake ed è salito per la prima volta al terzo turno del Roland Garros. n suo sogno è battere una volta Fédérer e Nadal. Sul campo, si intende. Perché come reddito, il giovane Gulbis vale i due messi assieme, e forse molto di più.

Spavento Sharapova con la cocciuta Rodina

Gianni Clerici, la repubblica del 29-05-08

PARIGI Conduco un amico non addetto, un esperto d’arte, a dare un’occhiata al tennis. Cosa c’è di meglio, mi domando, che affacciarci al campo centrale, già gremito di folla? Lì’, nel bel mezzo, troneggia la regina, la prima tennista del momento, Maria Sharapova. Strette le belle membra in un abituccio blu cerchiato di bianco, racchiuso il visino roseo in un cappellino dello stesso colore. «Il gesto con cui fa battere la palla al suolo è degno di una modella del Botticelli», osserva l’amico. Un gesto, ribatto, che Vito Tongiani, l’autore della statua della Lenglen, si deciderà presto a immortale nel bronzo. Allontano un istante lo sguardo da quel corpo sublime per sollevarlo al tabellone, e trasecolo. La prima del mondo appare in difficoltà contro una per me sconosciuta comparsa, tale Rodina. Una pastorotta, una che, messa sui blocchi a fianco di Sharapova, già avrebbe perduto un metro prima di partire. «Chi è quella lì?» domanda l’amico. Gli risponde, da me sollecitato, un collega che sa tutto, spiegando che Rodina, la pacioccona, è anche lei russa, viene da Mosca, e che darebbe la vita per battere Maria: la star, infatti, non l’ha nemmeno salutata prima di entrare in campo, e come la pastorotta si è presentata le ha risposto «davvero, anche tu russa?». Un’occhiata al campo mi permette di stupirmi, e di rendermi conto che la sconosciutissima, cocciutissima numero 103 del mondo, sta vincendo. Maria, per suo conto, non è meglio di quella che, consigliata dal padre padrone, finì per ritirarsi nel nostro Torneo della Mutua, adducendo un pernicioso solletico al polpaccio sinistro. Sbaglia tutto il possibile, mala sua grinta è, per natura, superiore agli orrori che perpetra. Si trova, in quella, a3-4e 15-40, ma butta di là due sassate feroci, e si salva. Incredula, la paciocca Maria Sharapova prende a non sbagliarne mezza, e si ritrova, sul 5-4, a due punti dal match. Ma di nuovo la regina la fulmina, con un paio di saette intrise di disprezzo. E si sa come finiscono vicende simili: la star che da la colpa al vento, la pastorotta in lacrime. Nel mentre le Williams e le Serbiatte si dicono che non sarà Maria a sottometterle, vedo entrare sul campo un altro giovane sconosciuto, e il mio informatore mi suggerisce di rimanere, il ragazzo non è meno nuovo della Rodina, e ha appena vinto uno sull’altro tretornei challengers. E’ un mancino, un brasiliano di antica origine italiana, un Bellucci che rischia di oscurare la fama di Monica. Fa per un set partita eguale con Nadal, poi scoppia. Non ha, purtroppo, doppio passaporto, e quindi non saremo in grado di acquistarlo come facemmo con l’austroungarico Hubert de Morpurgo o con l’australiano Martin Mulligan. Per nostra fortuna ci resta in campo, oltre alle bambole Schiavone, Pennella e Knapp, l’italiano di Bologna Bolelli, sempre più convincerne, contro un ventenne che sia, anche lui, andando forte, Del Potro. Mi ero preoccupalo, all’inizio, ammirando il rovescio bimane dell’argenlino contenere, o addirittura prevalere, sul di rilancio del nostro eroe. Ma, via via che continuava il match, Simone avrebbe preso il comando del gioco, per non mollarlo mai. Bella partila, bella vittoria. Ed ora c’è Llodra.

La corsa di Bolelli «Questione di testa»

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 29-05-08

PARIGI (FRANCIA) «Freddo. Non eravamo abituati a un tennista offensivo e di qualità, ma freddo. Perché il talento con la racchetta, in Italia, fa rima con Adriano Panatta. E quindi con reazioni evidenti, sangue e arena. Cioè cuore. Poi è arrivato Simone Bolelli da Budrio. Freddo. Troppo freddo per regalare emozioni? La domanda è rimbalzata per un po’, finché la miglior notizia del nostro tennis da 30 anni in qua — Camporese e compagni ci scusino, ma parliamo di un papabile top ten — non ha trovato gambe e continuità. E, dopo il netto successo con Karlovic in Davis, ha piazzato la rimonta con Mathieu e la bella finale con Gonzalez a Monaco, le due secche affermazioni coi francesi Patience e Simon a Roma e, sulla scia, i primi due turni al Roland Garros, contro due signori giocatori come Baghdatis e Del Potrò. Freddo Simone ride dentro, mentre («in castigo»), sul campo numero 10, i tifosi italiani lo incitano e tiene botta con la grande speranza d’Argentina, un ragazzone di 1.96, frenato finora da problemi alla schiena. Soprattutto, il 22enne adottato da Roma, ride davanti ai frutti del duro allenamento con coach Pistoiesi e i preparatori fisici Ragalzi e Panichi: «All’inizio, Del Potrò mi ha sorpreso perché era aggressivo anche di dritto e mi rispondeva pure alla prima. Ma sono stato bravo a rimanere calmo e lucido, e a spingere sempre. Vedevo che mi sentivo sempre meglio e alzavo il livello e lui invece si poteva stancare. Insomma, il tempo giocava a mio favore». Che soddisfazione per chi un paio d’anni fa pagava proprio di fisico e viveva di sprazzi: «Sì, in queste cose gioca tantissimo il fattore mentale. Quando vedi che tu spingi e l’avversario spinge ancora di più, perdi fiducia. E così, io mi caricavo sempre più e lui invece scendeva, anche se alla fine, ha giocato alla grande ma io alla grandissima. Per cui sono molto soddisfatto del mio match. Alla fine mi sentivo sempre meglio, e mi divertivo, carico d’adrenalina e del bel tennis che stavo giocando». Lampi Anche Furlan e Gaudenzi hanno avuto acuti da protagonisti nei grandi tornei, Bolelli ha in più il genio offensivo, il pugno del k.o. Bolelli sigla con ace e servizio vincente il 5-0 nel tie-break del secondo set, che riequilibra il match: «II primo set è girato sul doppio fallo che mi hanno chiamato, ma lui ha meritato»; Bolelli lascia di stucco la platea con un passante di rovescio slice — «alla Federer», il Fenomeno cui somiglia nel gioco classico e nell’aspetto —, sul 6-5 del 3 ° set, poi vinto 7-5; Bolelli spara il dritto sul 3-1 del quarto set, chiuso 6-2, dopo 3 ore e 10 minuti. Freddo, come quando salva 11 palle-break, fra primo e secondo set. «Il pubblico francese? Aiuterà Llodra, come è successo con me a Roma. E’ sempre il campo a parlare. Piuttosto, lui è mancino e viene sempre avanti, ogni tanto sclera, ma mi sembra che non pensi tanto, e perciò fa giocate brillanti. Non so se era meglio giocare con Berdych». Freddo. Più di Llodra, il doppista tutto servizio-volée, che dice: «Ho battuto Simone in un Challenger indoor, ma dall’inizio dell’anno è tutt’altro giocatore. Sarà un match molto difficile, anche perché devo recuperare dopo i miei 5 set, ho speso molto. Comunque, lui mi piace. E’ simpatico». Simpatico: non avevamo detto freddo

Bolelli, che grinta.

Daniele Azzolini, tuttosport del 29-05-08

PARIGI Non era giorno di principeschi slanci tennistici, né di inebrianti riflessi nello specchio della propria bravura Era giorno di lotta, semmai, e di tribolazioni. Uno di quei giorni in cui il tennis molto somiglia alla boxe, ed occorre dispersi a schivare e attendere il momento buono per la replica, magari conquistando il centro del campo a piccoli passi e scoprendosi coraggiosi ogni minuto di più, mentre da dietro i guantoni si scrutano gli occhi avversari divenire via via inquieti, insicuri, infine arrendevoli. Occorre affrontarle una ad una le tappe della via crucis tennistica, per comprendere l’esatta misura di se stessi. Simone Bolelli non si è sottratto alla doverosa incombenza, anzi ha accettato il confronto con le difficoltà, mostrando alla fine il lato B del suo carattere, che è solido e determinato, ben più di quanto non si conoscesse. Ma soprattutto, vincente. Ne e sortito un match di molte sportellate, reso tortuoso dalla reciproca conoscenza, se non addirittura dall’amicizia che corre fra Simo e Jüan Martin del Potrò, che da giovane si allenava spesso sui campi dell’accademia di Cividino, gli stessi da cui Bolelli ha preso le mosse. Un match complicato anche dall’iniziale buona vena dell’argentino, che ha condotto un primo set racchetta in resta, quasi senza errori. Eppure, Simone ha saputo replicare, intuendo subito in che tipo di partita si fosse cacciato. Non ha peccato di presunzione, tutt’altro; ha messo da parte le felici costruzioni tennistiche che aveva mostrato contro Baghdatis, e si è disposto arcigno in difesa, attaccato al punto, pronto a ribattere una palla più dell’altro. «L’ho visto superare due momenti molto delicati», spiega coach Pistolesi, «e lo ha fatto con grande carica morale, con fortissima presenza di spirito. È lì che Simone ha ribaltato il risultato e cambiato il corso della partita». Due sussulti di un match già laborioso il suo, il primo giunto sulla palla break per del Potrò nel set d’avvio, quando Bolelli ha subito una chiamata per fallo di piede sulla seconda di servizio; l’altro, poco dopo aver perso il primo set, quando è stato costretto a restituire immediatamente il break che aveva guadagnato in apertura della seconda frazione. Due uppercut sui quali poteva finire kappaò. «Invece sono rimasto calmo, ho pensato che il match era ancora tutto da giocare - racconta Bole - Stavo giocando bene, lo sentivo, ma credo che ancor più dei colpi sia stata proprio questa mia disposizione a resistere che alla fine ha innervosito Jüan Martin». Resta il solo azzurro, Bolelli. La giornata ha strappato dal torneo Potito Starace, -battuto da un Andreev, tal russo più invidiato del circuito, da quando inciucia con la Kirilenko…), capace di due set quasi perfetti, Volandn e Seppi, si sa, avevano già timbrato il biglietto di ritorno. Schiavone, Pennetta e Knapp le ragazze ancora in gara. Pattuglia azzurra di molto ridotta, come si vede, ma ancora viva e combattiva. Per Bole è la prima volta al terzo turno di uno Slam, tanto per rimarcare la sua crescita. Avrà il francese Llodra, che ha battuto Berdych in cinque set, e sarà un match da campo Centrale. «Lui è uno che gioca d’istinto, senza pensarci due volte. Attacca su ogni palla, è mancino. Forse, preferivo Berdych, che è molto forte, ma più regolare». Llodra è anche un bel tipo di mattocchio, uno capace di nascondersi nudo dentro lo stipetto di Ljubicic, nello spogliatoio di Miami, per saltargli addosso quando il poveretto fece per aprirlo. In più, avrà il tifo dei francesi Ma questo preoccupa meno Simo. Anche lui piace da queste parti. Due match sono stati sufficienti per capirlo.

“Ora vi dico come si scommette nel tennis”

Gianni Clerici, la repubblica del 28-05-08

Al Roland Garros colloquio con un pionere del gioco e delle puntate live niere: in arte Pio». Pagine e pagine sono state scritte sulle scommesse, quasi tutte da parte di giornalisti incompetenti non meno di me. Si tratta, per spiegarmi meno peggio, delle vicende collegate a Betfair, l’organizzazione inglese che ha stravolto il mondo delle scommesse, consentendo non solo che avvenissero “on line”, ma che lo scommettitore potesse divenire al contempo puntatore e banker, che tradurrei allibratore. Tutto ciò ha trascinato ondate tali di puntate, che dovrebbero raggiungere quest’anno i venti miliardi di dollari. Scommettitori professionisti, come il mio Pioniere, sono stati accusati di valersi dei cinque secondi intercorrenti tra il punteggio de visu, e quello che giunge agli utenti tramite il satellite. «Ed ecco che Betfair—sorride Pio — ha scostato l’inizio della scommessa di cinque secondi per il tennis, e otto per i cavalli. Chi ci è andato di mezzo, invece, siamo stati noi. Dacché un supervisor svedese si è reso conto che, in un torneo, a bordo campo c’era un presidio di miei colleghi, ha fatto sì che i computer fossero resi illegali nelle tribune di tennis. Non c’è nessuna legge che menzioni simile decisione. Sarebbe come cercar di abolire la vendita del vino perché conduce all’alcolismo. E così, mi son visto costretto ad utilizzare un auricolare, e a comunicare alla svelta il punteggio ad un amico che usa il computer. I veri illeciti non sono di certo i nostri. Gli illeciti sono altri, sono gli eventuali accordi tra giocatori». Di questo si è parlato, e scritto. La Federazione Internazionale, e Sindacati donne e uomini hanno partorito un mattone di sessantasei pagine chiamato Environmental Review of Integrity of Professional Tennis. Sono stati messi sotto indagine 45 tennisti. Ma i soli che hanno beccato . Ero lì che mi domandavo cosa scrivere, quando sento l’altoparlante: scendo, e vedo un bel giovanotto intriso di pioggia, con il mio librane, 500 Anni. Ringrazio, estraggo la penna, e domando a nome di chi devo dedicarlo. «Meglio di no», risponde. La mia curiosità si ravviva, tanto da invitare il giovanotto per un caffè. Sa tutto di tennis. Mi spingo a chieder di più e: «Sono stato il primo a scommettere dal campo, io e un tedesco. Mi chiami pure Pio- sorride Pio — sono stati cinque poveri italiani, veri e propri capri espiatori. Tanto ingenui da scommettere con le loro belle carte di credito, con i loro nomi. Premiarli, avrebbero dovuto. Uno, Bracciali, aveva addirittura scommesso la somma di cinque euro. Peccato che le ricerche non siano state più approfondite, perché allora, forse, i nostri sarebbero diventati sei». Confido a Pio che il famoso match di Davidenko non finisce di lasciarmi perplesso. Come i più attenti aficionados ricorderanno, il russo, n. 4 del mondo, venne battuto dall’argentino Vassallo Arguello, n. 87.1 segugi del tennis misero i due sotto inchiesta, ma, nel proclamarsi più bianco del bianco, Davidenko rifiutò l’accesso ai tabulati della moglie e del fratello. Cosa ne pensa, Pio? «Le risponderò in modo indiretto — mi sorride — citando i mutamenti delle quote, che alla fine salirono a cifre sin lì sconosciute: dieci milioni di dollari, sul russo. All’inizio del match, il russo era pesantemente favorito. Come voleva lo scarto di classifica. Alle nove del mattino Vassallo Arguello era offerto a cinque, e Davidenko a 1,25. A mezzogiorno, Davidenko sorprendentemente a 2,6, mentre l’argentino era diventato ancor più sorprendentemente favorito a 1,6. E, dopo che Davidenko vinse, come pareva ovvio, il primo set, l’argentino rimase incredibilmente il favorito, sinché, all’inizio del terzoset, il russo siritirò, zoppicando». «Si era davvero fatto male?» domando. Pio sorride, come farebbe con un bambino. Arichiviati, almeno per me, i dubbi su Davidenko, non mi resta che domandare quali altre partite abbiano riscosso i dubbi di un professionista quale il pioniere. «Ce ne saranno una cinquantina», risponde. «Ma, grazie a dio, nessuna coinvolge tennisti di primo piano, che guadagnano già abbastanza. Il tipico match taroccato si svolge tra un tennista che è magari n. 120, e un altro che sta un pochino meglio, e che non ha niente da perdere, se non quattro o cinque posizioni. Lì, in una vicenda simile, una organizzazione disonesta può fare dei profitti notevoli». Non mi resta che ringraziarlo. La mia sprovvedutezza è un tantino meno assoluta.

La Pierce pensa alla terza carriera «Provo a tornare»

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 28-05-08

Un saluto qui, un abbraccio lì, una foto là, un’intervista qua. E sempre la stessa domanda: «Ma torni davvero?». A 32 anni e mezzo, l’ultima regina francese del Roland Garros, Mary Pierce, stiracchia un sorriso e risponde: «A febbraio i medici mi hanno dato l’ok, il ginocchio sinistro è guarito, subito dopo il Roland, riprendo la preparazione fisica. Per il tennis, vedremo». Marie, ha già avuto due carriere: perché ne cerca una terza «Già, il primo Slam vinto a 20 anni, agli Australian Open ‘95 (e diventai 3 del mondo), un secondo Slam a 25 anni, a Parigi 2000 (rientrai al 7), e due finali Slam a 30, a Parigi e agli Us Open 2005, nella miglior stagione (tornai al 5). Ma, dentro di me, sento che non è l’ora di chiudere. Tutto succede per un motivo, evidentemente anche la rottura dei crociati e del menisco nell’ottobre 2006, a Linz, mi porterà qualcosa di buono. Ma se vedo che non torno competitiva ad alti livello, non torno. Non mi divertirei». Chi è stato l’uomo più grande della sua vita «Papa, nei primi anni. E’ stato lui a spingermi a giocare a tennis, ma poi per 2 anni non volevo più parlargli e vederlo, ed è stato molto difficile. Ma l’ha fatto perché ha un cuore grande, e l’ho perdonato. Nel 2000 ho perdonato tutto e ho cambiato la mia vita quando ho creato una speciale relazione con Nostro Signore. Mi sono aperta all’esterno, mi sono mostrata come sono, nella semplicità e nelle paure, e mi sono fatta apprezzare ed amare anche dal pubblico. Così ho vinto il Roland, sul Centrale e sulla superficie che preferisco. Dove avevo giocato il match migliore, battendo Steffi Graf nel ‘94». E’ più americana o francese, è Mary o Marie «Sono nata in Canada, da papa Usa e mamma francese, vivo fra Parigi e Bradenton, da Bollettieri, in Florida: Mary o Marie per me è lo stesso, come le lingue. Amo Parigi per… il formaggio, i ristoranti, la sera, il modo di vivere, amo gli Usa perché trovi subito grandi parcheggi, puoi comprare sempre tutto, e la vita è facile». In bocca al Lupo, Marie. v

Gli italiani si ribellano.

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 28-05-08

PARIGI - Le autorità del tennis hanno stilato un programma anti-corruzione in 15 regole. 1. Tutti gli enti coinvolti forniranno un piano anti-cor ruzione. 2. Il piano sarà fecalizzato sulla prevenzione. 3. Sarà creata un’unità di integrità. Il direttore dell’unità preparerà un piano investigativo. 5. Resta in vigore la squalifica per i giocatori che han no scommesso. 6. Resta in vigore la squalifica per i rappresentati dei tornei che hanno scommesso. 7.1 commissari esamineranno i match sospetti. 8. Sarà rivisto il sistema di accredito per tutti i tornei. 9. Solo giocatori e personale dei tornei avrà accesso agli spogliatoi. 10. Sarà definito il significato di “informazioni interne”. 11. Ci sarà un modulo per la denuncia dei tentativi di corruzione. 12. Sarà uno solo il tribunale per le controversie sul tema. 13. Ogni giocatore colpevole sarà punito fino alla squalifica a vita. 14. Sarà stabilito una strategia di pubblicizzazione del programma. 15. Nel progetto saranno coinvolte le autorità di altri sport. Finora sono stati cinque i giocatori squalificati per avere scommesso online. E sono tutti italiani. Adesso i cinque (Di Mauro, Starace, Bracciali, Luzzi e Galimberti) si sono rivolti a un avvocato americano che, lavorando in sintonia con uno studio legale italiano esperto di lesione della privacy, dovrà valutare la praticabilità di una denuncia civile nei confronti dell’Atp (con relativa onerosa richiesta danni) per avere violato la privacy ncnieüenüo, trattando e utilizzando tabulati forniti da un ente di scommesse online (nel materiale inviato all’Atp non figurerebbero soltanto le puntate sul tennis, ma qualsiasi altro tipo di giocata). QUANTE GRANE! - E’ un periodo difficile per l’ente che amministra il tennis maschile. I giocatori sono in guerra con l’attuale presidente Etienne De Villiers. Gli organizzatori del torneo di Amburgo hanno fatto causa all’Atp per essersi visti modificare la posizione in calendario. Nikolay Davidenko ha più volte manifestato l’idea di chiedere un alto risarcimento per essere stato coinvolto nella vicenda delle partite truccate e poi assolto. E adesso potrebbe arrivare la denuncia del gruppo italiano, l’unico ad essere stato punito (pur avendo puntato cifre irrisorie) su uno scandalo che avrebbe invece coinvolto molti Paesi. Al RAGGI X - L’argomento scommesse è sempre attuale (lo scorso anno Betfair ha ricevuto puntate per 590 milioni di dollari su Wimbledon e US Open maschili). Prima degli Australian Open i tre enti ufficiali del tennis (Atp, Wta, Itf) e i quattro tornei dello Slam avevano affidato a due detective l’indagine sulle partite sospette. Dopo cinque mesi di inchiesta, Jeff Rees e Ben Gunn hanno ristretto da 73 a 45 l’elenco delle partite sospette. E su queste stanno lavorando. «L’analisi delle puntate produce forti sospetti sul fatto che gli scommettitori fossero in possesso di informazioni interne che facilitavano le loro giocate. Siamo dell’ideo di analizzare nuovamente quegli incontri, nel tentativo di identificare se i sospetti iniziali che rivelavano un tentativo di ledere l’integrità professionale del tennis, abbiano corrispondenza con la realtà. Il materiale raccolto indica che ci sono sufficienti ragioni per preoccuparsi dell’integrità di alcuni giocatori e di coloro che dall’esterno cercano di corromperli». I due ex detective di Scotland Yard hanno comunque escluso il coinvolgimento della mafia, russa o italiana, nella vicenda. Ammettendo però la presenza di bande criminali nel tennis. CONTRATTACCO - La Federazione Francese ha portato in tribunale Betwin, Betfair e Ladbrokes, nella speranza di evitare la possibilità di scommesse sul Roland Garros. Un giudice di Liegi ha dato pero’ ragione alle tre agenzie. La federazione ha cosi deciso di oscurare all’interno dell’impianto parigino tutti i siti che accettano scommesse. Una botta terribile per quegli scommettitori professionisti che si muovono all’interno di questo sport…….

II brasiliano Bellucci tiene in ansia Nadal.

Daniele Azzolini, Tuttosport del 28-05-08

PARIGI. Per una notte, il giovane Thomaz Bellucci da Tiete, città di fiume, Stato di Sao Paulo, Brasile, avrà modo di sentirsi alla pari con Rafa Nadal, che al Roland Garros è imbattuto e forse imbattibile I due sono andati a nanna sull’uno pari, primo set, e dato che si trattava del secondo match programmato sul Centrale, significa che un’altra giornata se n’è andata lasciandosi alle spalle una lunga scia di match e di problemi irrisolti. Qui due game della Mauresmo, là un set di Seppi, tre rovesci della Pennetta, un moccolo di Safin, il tutto condito dal caotico togli e metti dei teloni, e dal bivaccare del pubblico nelle zone coperte, subito trasformate in casbah Piove, e dicono che pioverà ancora, addirittura fino a martedì, dunque il torneo procederà fra sbalzi, sospensioni, recuperi, con i match frazionati in molte partite, ognuna con un suo inizio e una sua conclusione. Tanti piccoli scatti, nei quali il fisico dovrà mostrarsi reattivo e la testa in grado di sostenerlo. Un tennis diverso, che pone ai tennisti un problema in più e li costringe a un confronto persino brutale con se stessi. Prendete Seppi. Era dato in buonissima forma, ma l’attesa lo ha consumato. È entrato in campo tre ore dopo l’orario fissato, e Ancic lo ha costretto a difendersi ben oltre la linea di fondo campo, trattandolo come un birillo. Ha perso il primo, ma aveva finalmente ritrovato gli appoggi per combattere alla pan, riuscendo a mettere da parte un break che gli assicurava il comando nel secondo set, 62 14 il punteggio Lì il match è stato interrotto, e due ore dopo, quando Seppi e Ancic hanno ripreso la disputa, tutto quanto di buono aveva racimolato l’azzurro è stato smontato dalla furia del croato, che ha rimontato dal 2-5, ha portato il set al tie break e lì ha sbriciolato Seppi, tenendolo poi a distanza anche nel terzo. Insomma, è la pioggia che fa i match, che smonta le strategie, che obbliga a riscriverne di nuove. Certo ne terrà conto Nadal, che aveva fretta di vedere chi fosse questo Bellucci spuntato dal circuito juniores, di cui gli avevano detto un gran bene. Erano tre giorni che chiedeva a tutti se lo avessero mai visto giocare, e ne aveva ricavato un quadro d’assieme persino preoccupante, poi dimostratesi veritiero alla prova del campo. Niente che possa impedire a Rafa di ottenere la sua ventiduesima vittoria consecutiva nel torneone, ma le informazioni appaiono sufficienti per non sottovalutare il valore di un ventenne molto alto (oltre 1,90) e molto tosto, mancino come lui, gran colpitore, dotato di buoni schemi e di una certa improntitudine. Uno che molto ha dei predestinati, visto che in cinque mesi ha scalate 124 posizioni in classifica portandosi al numero 75 a suon di vittorie nei challenger (quattro, di cui tre consecutive. Santiago, poi Flonanopolis, Tunisi e Rabat). Bellucci è al suo primo Slam, e già fa paura, ne parlano come di un sicuro Top 20. Ha geni italiani nel sangue, ammesso che lo sappia, e potrebbe ambire al duplice passaporto, se la federbrasileira non avesse provveduto per tempo a schierarlo in Davis e ad assicurargli un posto nella squadra olimpica. Ma è storia vecchia, questa, seppure curiosa il suo . Si sa, molti dei nostri migliori geni tennistici sono finiti all’estero, insieme con le nostre famiglie di emigranti. La lista è lunga e va da Gabriela Sabatini e Mark Philippoussis, da Jennifer Capriati a Jüan Carlos Ferrero. E continua ora con Bellucci, giunta fra i grandi nell’anno dell’addio di Kuerten

Bolelli cresce ma non è ancora Pietrangeli

Gianni Clerici, la repubblica del 27-05-08

Non avevo più avuto occasione di rivolgere la parola a Marco Baghdatis dopo la finale degli Australian Open 2006, che aveva perduto contro Federer. Oggi mi sono ritrovato solo con lui, in una press room disertata dai più, dopo che era stato sommerso da Simone Bolelli, che gli aveva lasciato otto stracci games. «Cosa ne pensi di Bolelli?» gli ho chiesto con tutta la cautela possibile, incapace come sono di picchiare sulle ferite. Marco mi ha rivolto un’occhiata a metà interrogativa, a metà irritata: poi è parso riconoscermi, e ha sorriso. «Ha una velocità di braccio incredibile, soprattutto sul diritto, apre angoli spaventosi. Ma, anche di rovescio, non è male. Certe volte, mi ricorda Federer». «Fatte le giuste proporzioni», avrei aggiunto, riflettendo. Di fatto, nell’essere battuti tanto duramente, si prova qualche conforto a sopravvalutare gli avversari. E anch’io, con quel po’ di patriottismo che mi rimane, non potevo far altro che sperare in una reincarnazione di Nicola Pietrangeli. Ma pare giusto andarci piano, come peraltro mi diceva quell’eccellente allenatore di Claudio Pistolesi, che dopo il match era venuto in conferenza stampa, per sentirsi chiedere da me: «Scrivi ancora sull’Unità?». Saranno due anni che Claudio mi ripete che Simone c’è. Sappiamo tutti che nell’affermazione di uno sportivo, al di là di casi paranormali, contano le ascendenze, i luoghi di educazione, i maestri. E’ nato a Budrio, Simone, tanto che, nel presentarsi a Marco Tomba, si sentì dire: «Vengo dalle colline lì sopra. Quando c’era ancora la neve, ci ho fatto le prime curve». E’ figlio di papa e mammà borghesi-e il nostro ne dica quel che vuole il povero Bertinotti, è un gioco borghese - borghese la sorellina Simona che tiene l’indispensabile Elog, borghesi una cerchia di amici originar! dall’ottimo Country Club di Villanova. Ci sono anche altre premesse, che oso definire storiche, poiché da Bologna sono usciti non meno di tre grandi tennisti. Vanni Canepele, che fu campione d’Italia sia nel tennis che nel basket, il folle Neuro Cané, e il campione mondiale di tennis da fermo, Ornar Camporese. Città dunque eguagliata soltanto da Roma, che è un pochino più grande. E’ forse corretto, per il lettore affrettato, ricordare gli ultimi risultati di Simone, almeno per chi non sappia collegarsi al sito della Atp (Associazione Tennisti Professionisti). Ha battuto in Davis Karlovic (18). A Montecarlo Chela (36), a Monaco Mathieu (18), a Roma Simon (34) e a Dusseldorf Kiefer (38) e Lopez (34). Mi pare ovvio che l’attuale n. 47 stia strettino a Simone. Nell’istante in cui il malandato Volandri rischia di uscire, con la sconfitta odierna, dai Cento, ci si può augurare un ragazzo di casa tra i Primi Venti. E, in fiduciosa attesa, mi trattengo dall’eccedere in ottimismo. Risultati - Uomini: Bolelli b. Baghdatis (Cip) 6-2,6-4,6-2; Federer (Svi) b. Querrey (Usa) 6-4, 6-4, 6-3; Andujar (Spa) b. Volandri 6-7 (6), 6-2, 6-3, 6-3. Donne: Dulko (Arg) b. Errani6-4,4-6,7-5; Jankovic (Srb) b. Niculescu (Rom) 7-6 (3), 6-2; Knapp b. Muller (Cer) 6-0, 6-4; V. Williams (Usa) b. Obziler (Isr) 6-3,4-6,6-2. NUDA SU PLAYBOY La tennista americana Ashley Harkleroad, fresca eliminata a Parigi da Serena Williams, poserà nuda su Playboy. Sarà la prima tennista a farlo. Bolelli cresce ma none ancora Pietrangeli.

Coria perde una crisi infinita.

Rino Tommasi, la gazzetta dello sport del 27-05-08

Al contrario di Guga Kuerten, Guillermo Coria non ha giocato ieri la sua ultima partita al Roland Garros. Almeno le sue intenzioni sono quelle di continuare nel tentativo di recuperare classifica e condizione accettabili. La storia di questo giocatore contiene momenti di grande interesse per chi volesse studiare la delicata psicologia di questo sport. Pochi giocatori possono recriminare di non aver vinto un torneo del Grande Slam come Cono che nel 2004 ha perso proprio al Roland Garros contro il connazionale Gaston Gaudio, una delle più incredibili finali della storia. Se aggiungiamo la sconfitta nella finale del Foro Italico del 2005 contro Rafael Nadal possiamo almeno parzialmente capire come il giocatore, che ha appena 26 anni, sia precipitato in una crisi dalla quale non sarà facile uscire. Ci sono anche una squalifica di sette mesi ed una multa di 98.565 dollari per una positività al nandrolone riscontrata nel 2001, tra i suoi incidenti di percorso. Sta di fatto che la sua classifica attuale è numero 733. Ieri Cono ha perso in 4 set con Tommy Robredo. Gentilmente Robredo ha dichiarato che Coria, contro il quale aveva perso tre volte in carriera, tornerà quello di prima. Non sarà facile.

Eleganza e rovescio. E’ il sosia di re Roger

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 27-05-08

PARIGI (FRANCIA) ««Somiglia a Federer». Fra un applauso e l’altro del campo numero 2 del Roland Garros, traboccante di orgoglio italiano, il c.t. di tutte le nazionali azzurre, Corrado Barazzutti, non è il primo che paragona la grande speranza Simone Bolelli al numero 1 del mondo. «Ci sta, siamo simili nell’esecuzione dei colpi», si bea, giustamente, il 22enne di Budrio (a un passo da Bologna), finalmente capace di comporre il puzzle che non può essere solo talento tennistico, ma anche atletico e mentale. Test «Fisicamente sono molto cresciuto, ora corro più, copro meglio tutte le zone del campo e sono più resistente. Riesco a vincere anche in difesa e sento che pure sulla terra posso giocare bene», conferma Simone, il più grande talento offensivo italiano da Camporese, e quindi da 15 anni in qua, che supera agilmente Marcos Baghdatis, al rientro dopo due mesi e mezzo per problemi alle caviglie, ma pericolosissimo qui, nella seconda patria del cipriota, adottato a 14 anni dalla Mouratoglou Academy alla periferia di Parigi. «E’ da qualche mese che gioco molto bene e stavolta ho giocato in modo eccellente. Lo vedevo sempre con l’acqua alla gola: comandavo il gioco, soprattutto con il diritto lo spostavo parecchio e lui non riusciva a entrare nel campo, lo anticipavo e lo facevo soffrire anche sul suo servizio. Mi ha annullato tante palle break ma facendo dei punti incredibili». Applausi «Ma Bolelli somiglia davvero a Federer?». Il re risponde, serissimo: «Gioca molto rilassato e ha il rovescio a una mano, come me. Ha colpi e ha talento. Ci ho anche palleggiato 2-3 anni fa e ho subito visto che aveva qualità, ma allora mi chiedevo se avrebbe fatto il salto di qualità mentalmente. Si muove bene e penso che sia cresciuto sulla terra. Può giocare contro i più forti. Non mi sorprendo, gioca bene. Con giovani così non puoi dire dove può arrivare: i primi 30, i 20, o primi 5 del mondo. Dipende da lui… Quanti anni ha?». La voce tecnica di Sky, Paolo Bertolucci, suggerisce: «Gli somiglia molto nell’aspetto, il viso pulito, l’eleganza fra un colpo e l’altro e nei movimenti, il fisico non palestrato, quasi naturale. E in certe difficoltà negli spostamenti laterali». Sensazioni che Federer aveva trasmesso già anni fa a «monsignor» Vittorio Selmi, l’amico dell’Atp che gli procurava sempre giovani sparring partner italiani. La palla passa a Bolelli. Che i numeri tennistici li ha sempre avuti: da dritto e rovescio naturali, al servizio potente, ai movimenti fluidi che stanno acquisendo anche velocità e resistenza grazie agli allenamenti di Roma con coach Pistolesi e col preparatore atletico Panichi. Prossima fermata del n. 47 del mondo è il numero 68, Jüan Martin Del Potrò: «Gran servizio e rovescio, è un giovane forte, siamo amici: da junior, si appoggiava a Cividino, dove io mi allenavo. Dovrò essere aggressivo e farlo correre molto». Per superare finalmente il secondo turno di uno Slam. Paolo Bertolucci: «Sul rovescio a una mano, Federer ha un’impugnatura più chiusa, ma, come Bolelli, nella parte finale, chiude il colpo col polso. Questo movimento Federer lo usa molto prima dell’impatto: perciò lo stecca più spesso».

Bolelli emoziona e incassa gli elogi di re Federer.

Daniele Azzolini, il messaggero del 27-05-08

PARIGI - Simone Bolelh è un italiano che emoziona. Come Tomba. Come Valentino. Tipi nati a un passo, cuore di Romagna e un pizzico di dna cittadino, che fa più faccia tosta. Lui di Budrio, Albertone di Gastel de’ Britti: se chiedete a un bolognese vi dirà che sono concittadini, bolognesi anche loro, ma non è del tutto vero. Testa da città e piedi contadini, ben piantati in terra, la differenza è tutta qua. Se poi si restringe la ricerca al tennis, figurarsi, gli esempi sono anche più lontani. Appassionava il rovescio di Paolino Cané, che fu ribattezzato turbo rovescio da un Galeazzi ai suoi massimi nazionalpopolari. E il servizio tosto di Ornar Camporese, che se non fosse stato per quei piedoni da maggiordomo chissà dove sarebbe arrivato. Ma Bolelli sa come prendere il comando delle operazioni, ha un tennis sempre di prima intenzione, fronteggia l’avversano a testa alta. Come dite? Faceva lo stesso Panatta? Bè, se lo dite voi… Campo due, tribune raccolte, «si sente benissimo la palla». Lì, ieri, Bolellì ha battuto Marcos Baghdatis, finalista agli Open d’Australia 2006. Gli chiedono persino se non si senta simile a Federer (che subito ricambia, riconoscendo le qualità dell’azzurro: «Può arrivare ovunque»), di cui molto ricorda il modo di colpire la palla sul dritto. «Certo, il colpo piatto è nelle mie corde - risponde senza falsa modestia- ma lui è così lontano… Direi di aspettare, che ne dite?». Baghdatis ne è uscito a pezzi. Tutto ciò che ha tentato, Bolelli glielo ha rispedito con un più davanti. Ora Bole avrà Del Potrò, argentino lungo lungo. Intanto, in cima alla squadra azzurra che due ne salva (Belelli e Knapp) e due no (Volandri, Errani), ora c’è lui.


La brutta copia di Kuerten non ce la fa. Mathieu e malanni, ormai è al passo d’addio.

Gianni Clerici, la repubblica del 26-05-08

II contemporaneo ha sommerso la celebrazione dei primi ottant’anni di Roland Garros, stadio di tennis dedicato a uno sportivo vittima della Grande Guerra. L” anticipo a domenica ha mutato la tradizione , ma ha condono agli impianti, al solito straesauriti, quarantamila paganti in più. Una somma che non servirà tuttavia ad ampliare l’area attuale, in seguito al match perduto contro Londra, per le Olimpiadi. Senza Olimpiadi, l’ecologista Sarkozy non consentirà infatti un disboscamento del contiguo Bois d’Auteuil per la costruzione di un Centrale col tetto. Visto che, causa l’età, son stato costretto a partecipare a un film sugli Ottant’anni, mi son permesso di osservare che si sarebbe potuto imitare gli odiati Roast beef mettendo in cam po per primi i vincitori dell’anno passato. Mi è stato risposto che Nadal preferiva fare vacanza, mentre la Henin era già stata gentile nel venir qui ieri, e spiegare le ragioni per le quali si divene di più a giocare al club con alcuni (privilegiati) amici. Dopotutto, hanno ancora osservato i miei corrispondenti, abbiamo gettato uno sguardo sul passato, e uno sul futuro. Abbiamo messo sul Centrale uno che potrebbe essere il prossimo vincitore, Novak Djokovic, e un altro che, di titoli, ne aveva vinti tre, Gustavo Kuerten ormai al passo d’addio. Avevo assistito, dalle tribune Vip (Very Important Pigs) del Principato, ad una vicenda, se non proprio penosa, imbarazzante. Kuerten pareva, in qualche modo, una brutta copia dello splendido giovanotto ricciuto e barbuto del 1997, capace di stupire tutti, di vincere incredibilmente partendo dalle retrovie. Nemmen troppo diverso dall’altro, ormai conosciuto e addirittura favorito, che riuscì a sorvolare Roland Garros altre due volte, nel 2000 e 2001. Ammirevole non solo per il suo gran rovescio, che mi attentai a definire “a mantello”, e per la sua umanità, l’ammirevole relazione con il fratello hadicappato. Delizioso, Kuerten, anche nel corso di conferenze stampa che, gli dissi un giorno, apparivano simili a “conversazioni tra amici”: e non a quelle sofferte vicende quotidiane di politichese, domande mediocri e risposte vaghe. A Montecarlo la vicenda era andata decisamente male, sino a sfiorare la catastrofe: e ad evitarla, per merito di quel galantuomo di Ivan Ljubicic, che gli aveva, di fatto, regalato tre games. Oggi, opposto all’enfant du pays, Paul Henri Mathieu, Guga è stato meno infelice, ha addirittura sollevato qualche nostalgico applauso, sinché la coxartrosi non gli impedito di spostarsi decentemente. Per abbandonare i ricordi, o simili, e tornare al pre sente, par giusto riconoscere anche a Djokovic qualità umane e intelligenza non inferiori a Kuerten. Non lo aveva certo entusiasmato il sorteggio, che destina il N.3 contro l’uno o ildue, a caso. Gli era toccato proprio Nadal, e non Federer, sul rosso avversario preferibile. A chi gli ricordava che, dopotutto, era proprio lui il tennista ad aver accumulato più punti di tutti nella Raee, la classifica che inizia col primo dell’anno, aveva osservato che la Raee sarà certo una bellissima cosa, ma che, ci fosse una classifica specia listica, riservata alla terra, Nadal sarebbe sicuramente il primo. “Fare un punto, sul rosso , mi costa due tiri in più, e una doppia fatica”. In realtà, contro il tedesco Kohlschreiber, N. 37, Novak ha faticato a trovare geometrie atte ad uscire da un inizio in salita. Ma mi pare un po’ presto guardare tanto avanti. Ci sono ancora dodici giorni di vacanze parigine prima dei grandi scontri.

L’ultima di Kuerten. Un cuore in rosso

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 26-05-08

“Provaci ancora, Guga”. Un miracolo, questo implora invano la «Ola» del suo popolo di Parigi sul 3-6 4-6 2-5. «Provaci ancora», nell’ultimo match della vita, non solo del Roland Garros. Come, nel 1997, quando il lungagnone dai riccioloni e dalla magica forza veloce dei campioni, schizzava fuori come un delfino dalle onde della misteriosa Florianopolis, scalando a sorpresa il paradiso del tennis. Come nel 2000, quando riemergeva ben tre volte dalle sabbie mobili della terra rossa e sparava in mondovisione quel sorriso felice, da brasiliano di strada. Come nel 2001, quando si lasciava prendere per mano dalla folla, dalla generosa e crudele folla dello stadio Philippe Chatrier, e resuscitava da un match point, dichiarando a questa gente eterno amore. Realtà Ma Guga non è più Guga. Non gioca più al Roland dal 2005, non gioca più «da Kuerten» dal 2002 ed è scivolato al numero 1140 del mondo. Due operazioni alle anche lo hanno svuotato della sua prorompente vitalità: non può più uscire dallo scambio più duro con il rovescio lungolinea vincente, non ha più ripartenze, non ha più elettricità e sorrisi. Oppure sì. Miracolo della «ola»: il sole che ride tatuato sul polso gli illumina la faccia, risponde alla impossibile richiesta della gente, annulla un primo match point con un passante di dritto Doc, scherza con l’avversario: il ragazzo di casa, il «gran perdidòr», Paul-Henri Mathieu, pallido di vesti, di viso e di modi, e reo confesso di essere stato un suo fan. Ma è l’ultimo singulto. Kuerten si spegne, come la palla corta che azzarda, di rovescio, dopo un’ora e 49 minuti: «Sono molto soddisfatto, soprattutto per i ricordi del match che mi si fermeranno dentro. Ho giocato molto meglio di quanto mi aspettassi. Ho fatto tutti i colpi che volevo, quelli che ero capace di fare in passato, non con la stessa frequenza, ma almeno con la sensazione di averci provato una volta di più. Mi sono sentito di nuovo competitivo, ho avuto la miglior reazione possibile dal mio corpo». Cuore II tennis non è numeri e statistiche, il tennis è cervello, cuore, emozioni. «Sono contento di aver vinto tre volte Parigi, ma ancor di più dell’amore di tutti voi e di come vi ho coinvolto, col mio gioco e con me stesso: questa è stato il successo più importante. Nel torneo più speciale — il cuore che mi ha pompato il sangue nel corpo —, quello che più mi ha motivato e dove mi sono sempre sentito a casa». Il tennis è personalità e anche pudore: «Alla fine, quando mi sono coperto il viso con l’asciugamani e 14 mila persone mi applaudivano, ringraziavo per tutto quello che mi è successo in carriera. Mi sono preso un minuto per me, per andare nel profondo del mio io». Il tennis è vita: «Sono stato fortunato. Ho avuto tanto successo, ho raggiunto tutti gli obiettivi, anche il numero uno del mondo. Poi… poi è stata dura. Ma così sono cresciuto come persona e ho capito cosa vuoi dire aver altro con cui convivere». Come tutti i fortunati che strappano partecipazione e sorrisi, anche Guga ha una maschera a due facce: papa Aldo, morì nell’85 mentre arbitrava un match di tennis juniores, il fratello minorato Guilherme, è scomparso a novembre. Lui, un eroe semplice, come Senna, si è preso sulle spalle amici e parenti; ha affidato a mamma Alice l’Institute Guga Kuerten per bambini poveri, e ascolta sempre i consigli della famosa nonna Olga, magari sulla fidanzata, Caroline.

Sipario su Kuerten il tennis col sorriso.

Stefano Semeraro, la stampa del 26-05-08

Pensino i giornalisti hanno fatto l’ola. Cinque a due Mathieu al terzo set, tutti sul centrale del Roland Garros sapevano che quello sarebbe stato l’ultimo game della grande, un po’ sfortunata, sempre e comunque danzante e sorridente carriera di Gustavo Kuerten. L’uomo che disegnò un cuore nel tennis e ci si sdraiò dentro. Numero uno del mondo nel 2000, il primo brasiliano della storia, tre vittorie al Roland Garros, nel 1997,2000, e nel 2001. Il cuore Guga lo intagliò due volte nell’anno dell’ultimo trionfo, con la racchetta, sull’arguta di questo campo hi cui si sentiva a casa. Alla fine della sofferenza contro Michael Russel, negli ottavi, e dopo la finale strappata a Corretja. L’immagine di Guga coricato nel centro esatto del suo sogno fece il giro del mondo. I riccioli biondi, la bandana, il sorriso da carnevale. Il tennis che diventava brasiliano, solare, leggero, per merito del ragazzo di Florianapolis dal rovescio fatato che amava il surf e sapeva toccare anche le corde della chitarra. Segnato dal destino: il babbo morto quando Guga aveva 5 anni, il fratello Guilherme, cerebroleso, mancato l’anno scorso, cui dedicare ogni coppa, ogni trofeo. Ma incapace di ostentare cupezze, Gustavo, almeno in pubblico. A velargli il sorriso ci hanno pensato due operazioni all’anca, nel 2002 e nel 2003, la fine della carriera felice. Per quattro anni Kuerten ha provato a recuperarsi, poi si è arreso. A Montecarlo, in aprile, il via al tour dell’addio felice. Florianopolis, Miami, Costa do Sauipe. Ultima tappa Parigi. Ieri. Magliette giallo-oro ovunque, una torcida di cori e applausi. Anche lacrime per lui, nascosto sotto l’asciugamano alla fine del match. Comunque un trofeo da alzare, consegnategli in campo dal Presidente della federtennis francese, e la commozione per la festa organizzata negli spogliatoi dal maestro di cerimonie Djokovic, che ha strappato i colleghi dalla doccia per accoglierlo. «Nella vita c’è un tempo per giocare e un tempo per smettere - ha detto, l’Ecclesiaste paulista -. Capita a tutti. Oggi, su questo campo molto speciale, sono di nuovo felice come quando vincevo. Perché i trofei sono importanti, ma per me la cosa più bella è sempre stato l’amore che mi ha dato la gente, l’energia che io ho saputo trasmettere con il mio gioco». Rimpianti? «Nessuno. Ho attraversato grandi gioie e giorni difficili, il tennis mi ha fatto crescere. È il tennis che mi scorre nelle vene e nel cuore». Guga in Brasile è un’icona, dopo il tennis si dedicherà alla sua fondazione che ogni anno aiuta 4000 bambini disabili. Larry Passos, suo coach di sempre, ieri gli ha regalato una bottiglietta piena della terra del centrale. «Ti trasmetterà energia, tienila con te». Obrigado, Guga.

Nel suo mirino ci sono Nadal e… Maradona

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 26-05-08

PARIGI - Ha già in mente il regalo che chiederà. Se riuscirà a vincere il Roland Garros, Novak Djokovic si porterà a casa il premio da un milione di dollari, i mille punti che gli spettano, (probabilmente) il secondo posto nella classifica mondiale e vorrà incontrare il suo idolo: Diego Armando Maradona. Il suo uomo di fiducia, Benito Perez Barbadillo, glielo ha promesso. Vincere non sarà certo facile, la pensano così anche i bookmaker inglesi che lo danno a 6. Contro i 3/5 di Nadal, mentre quotano Federer a 3 e 1/2. Che non sia semplice mettere in fila Australian Open e Roland Garros lo testimonia anche la storia. Dall’inizio dell’Era Open (1968) a oggi soltanto in tre ci sono riusciti: Rod Laver nel 1969, Mats Wilander nel 1988 e Jimmy Connors nel 1992. Ma Djokovic è un tipo speciale. Ha interrotto il duopolio Federer-Nadal, la coppia non permetteva a nessun altro di entrare nell’albo d’oro degli Slam da undici tornei. Lui è andato a prendersi gli Australian Open, dopo essere stato finalista agli US Open (ultimo Slam della stagione 2007). II serbo è chiaramente un giocatore in ascesa. Uno che ha celebrato il suo 21° compleanno giovedì scorso. Il successo di Roma l’ha lanciato ancora più a ridosso delle prime posizioni della classifica. Novak ha stilato il suo programma, tre mosse e sarà in vetta. Il gradino iniziale l’ha già salito, andando a vincere il primo Slam della sua carriera. Qui a Parigi attacca la seconda posizione di Nadal. Poi, vorrà prendersi anche Wimbledon («E1 il mio sogno da quando ho visto Sampras sollevare il trofeo»). A quel punto sarà il numero 1 del mondo e potrà attendere con tranquillità gli US Open, quelli che dovrebbero chiudere il cerchio. Il sorteggio non l’ha favorito. E’ nella metà del tabellone che ospita anche Nadal. Se le cose andranno come si pensa, affronterà Rafa in semifinale. Fino ad oggi ha battuto solo tre volte lo spagnolo, sempre sul cemento. Ha perso sempre sulla terra, compresi i quarti del Roland Garros 2006 e la semifinale dello scorso anno. Tanto per aumentare il coefficiente di difficoltà, da quella parte del tabellone c’è anche David Nalbandian, cliente comunque scomodo. Esordirà oggi, contro il tedesco Denis Gremelmayr che quest’anno ha fatto soffrire Roger Federer (vincitore in tre set) nella semifinale del torneo dell’Estorti. Un avvio che potrà dirci subito quali siano le attuali condizioni del serbo che ha letteralmente dominato gli Internazionali BNL d’Italia andandosi a prendere un meritato (e anche fortunoso) trionfo.

 

Il poker di Nadal

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 24-05-08

Riecco il Roland Garros, tutto rosso, massiccio, temibile e assolutamente unico come Ayers Rock, la montagna sacra nel deserto australiano, la tappa di montagna più dura dei tennisti sempre più atleti e meno artisti. Il favorito è ancora lui, Superman Rafael Nadal, che punta al poker consecutivo, per eguagliare il record di Bjorn Borg ‘78-‘81. Il numero 2, a targhe invertite nei pronostici rispetto agli altri Slam, è sempre Roger Federer, non più intoccabile, ma sempre più convinto di aver trovato la chiave per scardinare il muro spagnolo contro il quale s’è infranto 8 volte su 9 sui campi rossi, e nelle ultime due finali di fila a Port d’Auteuil. E il numero 3 non è un ferraiolo, ma Novak Djokovic, portacolori dell’orgogliosa Serbia, che sul cemento ha già battuto il re detta classifica degli ultimi 4 anni e ha minacciato il secondo posto di «Rafa», ma si porta dietro il punto interrogativo di uria tenuta fisica non ancora da 5 set e da corsa a tappe come Parigi. Revival. Quanti anniversari. Sono passati 40 anni dal ‘68, cioè la rivoluzione studentesca e la caduta della falsa barriera fra dilettanti e professionisti, con la nascita del tennis Open e la mitica finale Rosewall-Laver. Ne sono trascorsi 25 dal trionfo di Yannick’ Noah: un francese sul trono, 37akni dopo Marcel Bernard. Sono 80 anni che la classica sulla terra rossa europea si disputa al Roland Garros, nello stadio intitolato all’aviatore Roland Garros per celebrare e ospitare le imprese dei mitici «Moschettieri» di coppa Davis: Borotra, Brugnon, Cochet e Lacoste. E cadono anche i 75 anni della nascita del marchio d’abbigliamento sportivo più ramoso, Lacoste, con il famoso coccodrillo verde. Adieu Dopo 4 successi, gli ultimi 3 consecutivi, Justine Henin getta la spugna alla vigilia dello Slam preferito. A 31 anni e con le anche che scricchiolano, Guga Kuerten chiude la sua favola dove l’ha cominciata, nel 1997, con il primo dei 3 Roland Garros vinti. E la Francia teme l’addio di Amelie Mauresmo, con nervi e muscoli sfilacciati. Sempre bocciata al Roland Garros.

Roland Garros al via occasione Schiavone

Piero Valesio, tuttosport del 24-05-08

OBIETTIVO minimo: avere un’italiano o un’italiana all’inizio della seconda settimana, Possibile ma non esattamente probabile. I tabelloni del Roland Garros, sorteggiati ieri, lascino ampi margini alla nostra speranza ma ci costringono anche ad essere realisti: sarà dura. Vediamo quali cammini attendono i nostri nello Slam parigino, quello più vicino alle abitudini e alle tradizioni degli italiani. SEPPI D n.l azzurro esordirà contro Ancic che sulla terra perde metà del suo potenziale; poi potrebbe trovare un I qualificato e al terzo turno Federer che lo ha battuto comodo ad Amburgo la settimana scorsa Cammino ripido. BOLELLI Subito Baghdatis (fattibile: sulla terra non graffia) poi uno fra Fabio Fognini, al rientro dopo l’infortunio al polso, e Del Potrò che a Roma si è ritirato. Il terzo turno contro Berdych è alla sua portata. Cammino aperto. STARACE Prima uscita contro Andreev che sulla terra è temibile assai. Dopo il vincente di Young-Ginepri e eventuale terzo turno contro psycho-Gasquet: a quel punto sarebbe sulla strada di Wawrinka. Cammino faticoso. VOLANDRI Parte contro lo spagnolo Andujar e contro Andujar potrebbe finire. Filo non pare in grado di reggere un torneo tre su cinque: dopo Parigi deciderà che fare del suo futuro. Cammino immobile. SCHIAVONE Craybas in primis (a Roma ha rischiato di perdere contro la 15enne azzurra Giorgi…) poi Kraiicek (stagione non buona) e Azarenka. E’ in direzione Kuznetsova che quest’anno non va. Cammino possibilista. PENNETEA Può battere l’ucraina Perebiynis: poi dovrebbe trovare la Salerni e al terzo turno, ahilei, Venere Williams. Sperando che stia bene. Cammino tortuoso. ERRANIA All’esordio può battere la Dulko ma poi si troverà di fronte Alizè Cornet, la francese recente finalista di Roma:per arrivare a sfidare la Jankovic dovrà tirar fuori dal cilindro due partite super. Cammino spinoso. GARBIN Inizio comodo contro la neozelandese Erakovic, poi però ci sarà la Jankovic. Cammino bloccato. KNAPP Subito la Muller, poi forse la Sanchez e infine la Sharapova. Ammesso che non sia quella di Roma il suo cammino è comunque definibile come bloccatissimo. CAMERIN E SANTANGELO La prima subito contro la Kirilenko; la seconda contro la Zheng e poi contro la Kirilenko. Cammini insuperabili.

II rivoluzionario Tiriac «Madrid più di uno Slam».

(Ion: “Roma è stato un mio grande errore”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 23-05-08

Domenica al Roland Garros parte l’ultima tappa della stagione sulla terra rossa europea se il torneo di Amburgo non avrà giustizia in tribunale, l’anno prossimo, il mega Masters Series di Madrid sarà l’ultimo appuntamento prima di Parigi (uomini e donne insieme come a Miami e Indian Wells), rivoluzionando il calendario e ancor di più lo farà in futuro Perchè, tutto quello che tocca Ion Tiriac diventa oro come ha confermato l’anno scorso la rivista Forbes classificando al n 840 del mondo, con 1.1 miliardi di dollari, l’ex atleta di hockey ghiaccio e tennis, poi allenatore e manager di tennis, quindi importatore d’auto m Romania e oggi imprenditore e proprietario di una banca Tiriac, è vero che lei vuole fare di Madrid il quinto Slam «Se mi danno la possibilità di competere, vorrei farne anche più di uno Slam Le regole dell’Itf non dicono che è vietato fare uno Slam al posto di un altro, ma io non ci riesco. Eppure se servissero 15 milioni di dollari, li metterei domani Non voglio 128 giocatori, voglio i migliori 56, uomini e donne, con 5-6 milioni di dollari di premi. Se ne salta uno per infortunio, recupero quello che è stato eliminato, così lo spettacolo non ne risente E magari farei giocare con la palla più grande, così da far diventare il tennis meno fisico». Madrid 2009 passa da ottobre a maggio, da cemento a terra, sostituendosi ad Amburgo e sminuendo Montecarlo e Barcellona, e forse Roma. I soldi battono anche l’altura. «Bisogna essere creativi, nel business La tv tedesca ha investito nel salto con gli sci e, da un prodotto nuovo, ora fanno l’audience del calcio. Voi italiani siete troppo classici lo so che il Foro Italico è bello, ma non basta, quando organizzavo io Roma e volevo comprare 10 ettari per spostare gli Internazionali, il presidente del Coni mi disse che ero matto perciò Roma è stato un mio errore e Amburgo non ha voluto competere 1450 metri d’altitudine di Madrid valgono come quando a Parigi si gioca allo Stade Français Madrid è una città con lo spirito di un nuovo sport, che supera i limiti di Parigi e Londra ha 3 campi che possono chiudere il tetto in 5′, più altri 11 e non penso che Sarkozy permetterà al Roland Garros di invadere Bois de Boulogne, o che Wimbledon potrà allargarsi tanto» Perché, dalla Germania, è emigrato proprio in Spagna «I tedeschi sono bravi a stare sull’onda quand’è grande, ti danno tutto, ma se vai giù, sei morto, anche se hai Kiefer e Haas. La Spagna ha Barcellona, torneo bello ma senza sviluppi, invece Madrid ha gente con voglia di fare, di investire 10 milioni di euro, con un progetto a lunga scadenza (dal 2009 al 2019) Potevo andare in Asia a far soldi, ma l’Europa guida non solo il tennis, ma lo sport».

IL ROMENO A Innsbruck ‘64 come hockeista Ion Tiriac è nato a Brasov (Rom) il 9 maggio 1939 Come giocatore d’hockey ghiaccio ha partecipato all’Olimpiade 1964 (Innsbruck), come tennista ha vinto il doppio al Roland Garros 1970 con Ilie Nastase, con il quale ha perso 3 finali di Davis. Ha guidato in campo e negli affari Vilas, Leconte, Panatta, Becker, Ivanisevic. Ha organizzato i Mondiali di nuoto di Roma, il Masters in Germania e il torneo di Madrid.

In partenza il Roland Garros assalto al trono di Rafa Nadal

(Chi riuscirà a fermare Rafa)

Stefano Tabusi, Dnews del 23-05-08

C’è sempre una prima volta. La considerazione, per lo più banale, suona oggi come una speranza per i suoi avversari che amano ripeterla mentalmente, convincendosi che persino lui, Rafael Nadal, può perdere una partita al Roland Garros che inizia domenica. Ci hanno provato un po’ tutti, qualche volta ci sono anche andati vicini, ma nei 21 incontri disputati sulla terra rossa parigina lo spagnolo non è mai uscito sconfitto. Le ultime tre edizioni del torneo portano il nome del maiorchino che da due anni si prende regolarmente il lusso di battere in finale Roger Federer. Sconfitte che hanno fatto vacillare il numero uno del mondo per il quale Rafa rappresenta una sorta di incubo. Come quello che lo svizzero deve aver vissuto sul vantaggio di 5-1 nel primo set della finale (l’ultima) di Amburgo dalla quale è uscito ancora una volta con le ossa rotte, con tanto di clamorosa rimonta fino al 5-7. Da dietro intanto si affaccia Djokovic, neo re di Roma e vincitore del primo slam stagionale in Australia senza dimenticare le ambizioni di Davydenko e magari Nalbandian o Fernando Gonzalez. C’è poi il capitolo italiani: Seppi, visto lo stato di forma, è la speranza principale, mentre per Bolelli il torneo parigino rappresenta l’esame di maturità. In campo femminile l’assenza della Henin riaccende le speranze di Sharapova, Jankovic, Serena Williams e Ivanovic. Stamattina il sorteggio del tabellone.

Seppi a Portschach contro un incubo. Ritrova Dudi Sela che lo beffò in Davis

Piero Valesio, tuttosport del 22-05-08

Andreas Seppi si troverà oggi a dover affrontare l’esame di maturità. Nel secondo turno del torneo austriaco di Portschach scenderà in campo contro l’israeliano Dudì Sela un nome che agli appassionati di tennis italiani è destinato ad evocare per lungo tempo pensieri negativi. Poco più di un anno fa infatti, a Ramat Hasharon nei pressi di Tel Aviv, Andreas affrontò Sela (fino a quel momento noto soprattutto come doppista) in Davis: e fu una di quelle partite che un giocatore ci mette parecchio a metabolizzare Sotto di due set a zero sa rimontare disputando due set ad alto livello e facendo emergere la certo non eccelsa levatura tecnica dell’avversario’ ma poi, sul classico più bello, crollò proprio nel set decisivo spalancando le porte al successo israeliano. Da quel giorno i due non si sono più incontrati e nel frattempo Seppi è cresciuto parecchio anche se lo ha dimostrato a corrente alternata. In un torneo di quelli che gli vanno a genio (renda al meglio nei luoghi ove la lingua madre ed tedesco). Andreas deve oggi dimostrare di aver elaborato quella sconfitta. CIAO VIERIN Natahlie Vierin e stata sconfitta nel secondo turno del torneo di Istanbul dalla bielorussa Govortsova per 7-6 (3) 6-1. ROBY E CORINNA, NO Nelle qualificazioni per il Roland Garros Roberta Vinci è stata sconfitta dalla slovacca Rybarikova per 26 7-6 (8-6) mentre Corinna Dentoni è caduta per mano della Larsson per 6-2 3-6 62. BONFIGLIO AZZURRO Nel torneo junior bene Federico Gaio e Martina Trevisan: Matteo Vierin fratello di Nathalie, ha portato al terzo il favorito del torneo, l’australiano Tomic. FLAVIA NEI QUARTI Flavia Permetta è nei quarti a Strasburgo: dopo la Dechy ha battuto anche la Cohen Aloro (6-3 4-6 6-3) e ora è attesa dalla Medina Garrigues.

Roland Garros per tutti

Corriere dello sport

Un centrale ricreato in formato ridotto. E accessibile agli amatori PARIGI I big sui campi del Roland Garros, i semplici amatori sulla spianata dell’Hotel de Ville, il Comune di Parigi. Una riproduzione in dimensioni ridotte del celebre stadio del tennis sarà sistemata dal 4 all’8 giugno davanti al municipio per un’operazione inedita in omaggio agli Open di Francia che scattano domenica. Il mini stadio è stato riprodotto fedelmente con un campo centrale in terra battuta, una sedia per l’arbitro, raccattapalle e una copertura per proteggersi dalla pioggia. Il campo, che sarà accessibile a tutti gratuitamente, è stato realizzato con fondi della Federazione francese di tennis.

 

Novità da Amburgo tra i big del tennis c’è un posto per Seppi

Massimo Rossi, libero del 21-05-08

Prima di tutto bisogna dire - bene - di Andreas Seppi e del suo coach Massimo Sartori. Ad Amburgo il nostro ragazzo è approdato alla sua prima semifinale in un Masters Series giocando un tennis perfetto e lottando come un leone contro il beniamino di casa Kiefer, nei quarti, in una bolgia infernale e non lasciandosi innervosire dalle troppe e troppo vergognose decisioni casalinghe dei giudici di linea. In semifinale ha ceduto a un Federer tornato sui suoi livelli, ma va bene così. Intanto Andreas guadagna posti in classifica e migliori tabelloni in futuro. Guadagna anche soldi, che lui e il suo coach si strameritano perla serietà con la quale hanno portato avanti un progetto fatto di attenzione, amore per i dettagli, fatica e sacrifici. Da loro è giusto aspettarsi ancora grandi cose, così come da Simone Bolelli. Anche il giovane bolognese è infatti giocatore buono per tutte le superfici e si avvale di un coach altrettanto bravo qua! è Claudio Pistolesi, che di Sartori ha la stessa professionalità ma anche la stessa dirompente simpatia, come ben sa chi ha potuto godersi le sue buffe recite sul campo, in combutta con quell’altro mattacchione di Alberto Castellani. E da lì forse ha imparato Djokovic per le sue apprezzate imitazioni. Dell’ennesima finale tra Federer e Nadal è già stato scritto e detto tutto. Molti hanno sottolineato l’aspetto mentale delle sfide tra questi due grandi quando si gioca sulla terra, per concludere che Roger soffre di una malattia incurabile: la nadalite. Non sono d’accordo. Concordo invece con quello che ha detto lo svizzero dopo il match, e cioè che i margini delle sue sconfitte sulla terra con Nadal si stanno sempre più restringendo e che questo lo rende ottimista già per il prossimo Roland Garros. In effetti un Nadal che va sotto 5-1 nel primo set e 5-2 nel secondo è un Nadal che può perdere. Perché questo non succeda occorre qualcosa che si avvicina al miracolo, e cioè un equilibrio perfetto tra forza mentale, gioco impeccabile e fortuna. E’ quello che Rafael è stato capace di cucinare fino adesso al suo amico Roger ogni volta che si è trovato nella situazione, ma il numero uno però è sempre lì e non molla, anzi ogni volta guadagna centimetri. Sono sicuro che è molto vicino a farcela. Non ce la faccio a chiudere senza aver espresso il mio quasi definitivo disappunto per il bassissimo livello di gioco che sta esprimendo il tennis femminile. Per la verità non ho mai amato molto la versione gentile di questo sport e mi sono sempre chiesto quale possa essere l’interesse del pubblico rispetto a prestazioni che per tecnica, velocità, potenza e mobilità sono nulla se paragonate a quelle dei maschi. Non riesco a darmi una risposta, salvo che non si voglia prendere per buona quella che rimanda a un certo voyerismo ben poco edificante.

«Nadal bestia nera? 90% problema tecnico 10% psicologico»

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 20-05-08

Dici bestia nera e pensi a Rafa Nadal. Soprattutto dopo l’ultimo collasso di Roger Federer, nella finale di domenica ad Amburgo, contro il mancino di Maiorca: avanti 5-1 nel primo set (perso) e 5-2 nel secondo (vinto, ma solo al tie-break). Dici bestia nera, e torni ai giorni eroici italiani, 30 anni fa, quando Bjorn Borg perdeva due sole volte sulla terra del Roland Garros e sempre contro Adriano Panatta, nel 73 e nel 76; altrimenti trionfò sei volte su sei. Panatta, l’allergia a un avversario è più psicologica o tecnica? «Molti mistificano il fatto psicologico, ma al 90% è tecnico. Ed è così anche per Federer contro Nadal». Qual è l’arma paralizzante di Rafa? «Roger gioca talmente bene a tennis che le sue soluzioni sembrano così ovvie agli altri, ma soprattutto a lui, che, se invece gli torna una palla di più — come gli succede con Nadal —, si sconcerta.. E, magari, non trova altre soluzioni. Non sulla terra rossa. Perciò: o lo spacca, e sul rosso è quasi impossibile con il tennis di oggi e al meglio di 5 set, oppure può anche ritrovarsi a un passo dal set e non trovare più la via d’uscita». E allora il problema diventa psicologico. «E allora si vede un giocatore sempre positivo e grintoso, e l’altro remissivo e rassegnato. Federer è molto forte psicologicamente, ma se non riesce a superare l’ostacolo tecnico.,.». Fatte le debite proporzioni, Borg sta a Nadal come Panatta sta a Federer: lei come faceva a battere l’Orso svedese? «Con la varietà, come feci giocare Canè contro Wilander, in Davis: alternare continuamente traiettorie ed effetti, attaccare spesso e chiamare anche a rete l’avversario, non dargli punti di riferimento, farlo giocare male, a costo di snaturarsi. Invece, col rovescio in top, Roger non da fastidio a Rafa, perché allo spagnolo piace colpire la palla alta; e, quando alza il ritmo, l’altro si esalta, con quella mobilità fuori dal normale, e tira anche il vincente». Fuori dal campo, Federer e Nadal sono amici, come una volta Panatta e Borg. Che diceva Bjorn dei vostri duelli? «Siamo ancora amici. Ma, in generale, non ha mai amato parlare di tennis, e non mi ha mai detto come si sentiva quando giocava contro di me. Ma io lo so, lo sentivo. Non potevo leggerglielo negli occhi, perché lui, svedese, non esterna, ma in campo gli davo fastidio. E gli altri mi raccontavano che, quando guardava il tabellone, cercava sempre da che parte stavo io. Mentre io avevo sempre una grande fiducia. Anche perché, a differenza di Vitas Gerulaitis, che aveva velocità e tocco, ma ci perdeva sempre, io avevo anche la potenza. E anche quella a Borg dava molto fastidio». Anche Panatta aveva la sua brava bestia nera, che però non era un regolarista. Nemmeno di grande qualità, come Borg.«Io soffrivo il francese Jauffret: mi rubava il tempo, mettendomi pressione e presentandosi sempre a rete. Poi, una volta, mi dissi: “Adesso basta”. E mi è passata». Quindi anche Federer può battere Nadal sulla terra, magari proprio a Parigi? «Ha tutte le qualità. Ma deve capire davvero la situazione, decidere la tattica e crederci fino alla fine».

Parigi, 40 anni fa, il 68 del tennis

(Quando il Roland Garros divenne il primo Grande Slam dell’era Open)

Stefano Semeraro, la stampa del 19-05-08

Era Parigi. Era il maggio del 1968. Quarant’anni fa. Una rivoluzione dentro la rivoluzione. «L’atmosfera era quella di una grande festa», spiega Richard Evans, tennis writer inglese. «Come se una terribile lite di famiglia fosse finita e tutti fossimo di nuovo fratelli e sorelle. I giocatori vagavano attorno ai campi del Roland Garros imbattendosi in quelli che erano vecchi avversari e vecchi amici allo stesso tempo, ed esclamavano: che gioia rivederti! Non posso credere che sia vero, e tu?». Era vero. Dopo quasi un secolo il tennis era finalmente «open», aperto, senza più sciocche e tartufesche barriere fra falsi dilettanti ed esecrati professionisti. Il Roland Garros del 1968 fu il primo Grande Slam dell’era contemporanea, il primo giocato da tutti. La chiusura di uno scisma antico. I «professionals», i gaglioffi che confondevano business e loisir, affari e diletto, erano stati banditi dal tennis già dagli Anni ‘80 dell’Ottocento. Wimbledon aveva pochi anni, le signore si esibivano in cappellini e sottane immacolate. Lo sport era considerato un passatempo per «gente bene» che poteva permettersi di oziare sgambettando su un praticello ben tagliato, senza prospettiva di lucro. Non tutti però la pensavano così. I primi match professionistici ufficiali risalgono al 1910, fra il ceco Karel Kozeluh e il tedesco Roman Najuch. Albert Burke nel 1924 vinse un «Campionato del mondo prò», due anni più tardi Charles «cash and curry» Pyle, organizzò la prima grande compagnia di giro eticamente scorretta del tennis made in Usa, imbarcando anche l’imbattibile Suzanne Lenglen. La Divina addentò 38 match a 0 contro Mary K. Browne, incassando - pare -100.000 dollari, poi tornò in Europa. Dopo di lei, un diluvio di fenomeni. Bill Tilden, Bobby Riggs, Fred Perry, Jack Kramer, Pancho Gonzalez, Lew Hoad, Ken Rosewall, Rod Laver, John Newcombe, mille altri. L’aristocrazia del gioco, dopo aver mostrato miracoli fra gli amateur, accettava le basse proposte degli organizzatori dei circuiti prò - spesso, come nel caso di Tilden, Kramer e Riggs, insieme attori e impresari - e disertava. Per oltre quarant’anni il tennis abitò così due mondi paralleli, fra i quali si viaggiava a senso unico. Chi «tradiva» veniva esiliato dai grandi tornei, escluso dalla Coppa Davis, bollato d’infamia. «In Australia - ricorda Nicola Pietrangeli nel bel libro di Lea Pericoli (”C’era una volta il tennis”) - Mervyn Rose e Pancho Gonzalez vennero da me e Sirola pregandoci di dichiarare che erano stati ingaggiati come allenatori dalla Federazione italiana. Erano disperati! Non li lasciavano allenare in nessun circolo». Una fatwa, lanciata e ribadita per decenni dai parrucconi della federazione Internazionale. In realtà gli «shamateurs», da «shame», vergogna, e «amateurs», dilettanti, guadagnavano, eccome: lucrando sui rimborsi spese concessi dai tornei, sulle collaborazioni con i giornali, su compensi taroccati da innocenti regalie. Quando Frank Sedgman, l’uomo che aveva riportato la Davis in Australia, nel 1952 rinunciò al salto fra i prò, un quotidiano gli fece pervenire, attraverso una raccolta pubblica, quasi 10.000 dollari sotto forma di «regalo di nozze». Kramer nel 1960 tentò di arruolare Nicola Pietrangeli nella sua troupe, che in Italia era gestita dal grande Carlo della Vida, con un acconto di 5000 dollari: l’anticipo di un appartamento, o il costo di una Maserati. Il presidente della Fit Gorgio De’ Stefani convinse il campione a restare «puro», la Ignis gli offrì un contratto. I mercenari, nel frattempo, si sudavano il salario. Affrontandosi in posti anche improbabili, per compensi a volte discutibili. A Karthoum, in mezzo alla rivoluzione, per mille dollari. A La Paz, per un orologio. A Nottingham, su un campo più lungo di 60 centimetri. A Berkeley, dove l’incasso non era stato sufficiente, per una pacca sulla spalla. Mike Davies nel 1960, al suo primo match da professionista, schifato dal misero spogliatoio chiese dove poteva appendere gli abiti. Tony Trabert piantò un chiodo nel muro e gli rispose: «qui». Tournée di 60 match in 80 giorni, spostamenti folli in macchina. «Ma eravamo professionisti, avremmo giocato su dei cocci di bottiglia», ricorda Laver. «I tennisti di oggi non possono neppure immaginare le condizioni in cui si trovavano a giocare i migliori di quell’epoca», sospira Rosewall. Laver rimase nel limbo 5 anni, Rosewall 11. Quanti altri Slam avrebbero potuto vincere, i campioni del mondo? Nell’estate del 1967 la BBC, stanca di trasmettere un Wimbledon di serie B, e lo stesso All England Club forzarono la mano alla federazione internazionale, organizzando sulla sacra sindone del Centre Court un torneo ad inviti aperto anche ai prò, vinto da Laver su Rosewall. Il 14 dicembre la federtennis inglese votò a favore del tennis Open. Il 22 aprile del 1968, sui ventosi campi in terra di Bournemouth, il tennis si riunificò ufficialmente, il montepremi era di 5490 sterline, Mark Cox fu il primo dilettante a battere un professionista, Gonzalez. Ma in finale fu il prò Rosewall a prendersi la rivincita sul prò Laver. Poi venne il Roland Garros. Parigi era in piena rivolta studentesca: «II clima era elettrizzante ed esasperante insieme», racconta Laver. «I trasporti pubblici non funzionavano, la benzina non si trovava, nessuno andava a lavorare. Così la gente camminava fino al Bois de Boulogne per vedere il tennis. Giocavamo davanti ad una folla immensa». Come scrisse Lance Tingay, «il pubblico, stanco di vedere i poliziotti picchiare gli studenti, preferiva guardare Laver picchiare delle palline». Anche 34 tennisti, fra cui Hoad e Pietrangeli, non riuscirono a raggiungere in tempo Parigi; in finale arrivarono i soliti due, e questa volta Ken, il Piccolo Maestro, vinse in quattro set su Rod il razzo, 6-3 6-1 2-6 6-1. L’era Open era iniziata. Per i più bravi erano in arrivo gloria, comodità e soldi. Quando nel 1969 l’eterno Rosewall si ripresentò in finale (perdendo con Laver) a Parigi, gli chiesero se pesasse come nel 1953, quando, ancora da dilettante, aveva trionfato lì per la prima volta. «Sono più pesante nelle tasche», rispose Kenny con un ghigno snello.

La Jankovic acciaccata fa il bis e consola baby-Cornet in lacrime

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 19-05-08

Come tutti i gialli, anche agli Internazionali Bnl d’Italia pieni di colpi di scena più fuori che dentro il campo di tennis, la verità viene fuori all’ultimo. Quando Jelena Jankovic, già oppressa dagli antibiotici e dall’allergia, si fa massaggiare alla base del collo con la finale ormai in pugno, sul 6-2 4-1. Ecco svelato l’arcano: l’unica, autentica infortunata al 100% era lei, la bella atleta serba, ma era anche l’unica che non poteva disertare, pena la perdita dei punti del successo 2007. Infatti è anche l’unica delle primissime (ieri 4 del mondo, oggi 3), che rispetta il contratto e fa il bis al Foro, con il 6-2 6-2 in un’ora e 23 minuti. Pianto Come in tutti i gialli, il pubblico di Roma merita un colpo di scena. Che è il pianto disperato di baby Alizé Cornet, 1 Senne di Francia, arrivata a sorpresa in finale — la prima di sempre dalle qualificazioni —, come n. 34 del mondo, la Cenerentola del torneo che aveva infilato due top ten Kuznetsova e Chakvetadze. «Avrei voluto giocare meglio, ma ero stanca», avrebbe spiegato a chi non l’ha già vista piangere più e più volte dopo le sconfitte. Star La cosa bella è che la francesina continua a disperarsi anche nel pre-premiazione: «Sono molto delusa, perché non riuscivo più a fare quel che volevo, ma la prossima volta sarò più forte». Tanto che quella roccia della Jankovic, allevata alla scuola militare di Nick Bollettieri, si intenerisce e la consola un po’: «Ho più esperienza e ho imparato a controllarmi». Per poi tornare star: «Vi amo, amo Roma. Sono molto felice di aver vinto nuovamente. Ma non è stato facile perché avevo tutta la pressione addosso, mentre lei non aveva nulla da perdere. Comunque, malgrado il nervosismo iniziale e poi il dolore al collo non ho mai pensato di abbandonare. Vedevo il traguardo vicino, volevo vincere e alla fine ce l’ho fatta». Nel segno della Serbia, dopo l’urrah di Novak Djokovic: «II mio obiettivo è diventare la numero uno del mondo e, se continuo così, credo di essere sulla buona strada». v.m. Internazionali Bnl d’Italia a Roma (1.340.000 dollari, terra), finale: Jankovic (Ser) b. Cornet (Fra) 6-2 6-2. ALBO D’ORO Recente ‘90 Seles (Jug); ‘91-92 Sabatini (Arg); ‘93-96 1996: Martinez (Spa); ‘97 Pierce (Fra); ‘98 Hingis (Svi); ‘99 V. Williams (Usa); 2000 Seles (Usa); 2001 Dokic (Ser); 2002 S. Williams (Usa); 2003 Clijsters (Bel); 2004-05 Mauresmo (Fra); 2006 Hings (Svi); 2007-08 Jankovic (Ser).

Jankovic, la regina del torneo della mutua.

Gianni Clerici, la repubblica del 19-05-08

Ha vinto, come lo scorso anno, Jelena Jankovic, ma ci è mancato poco che il nostro Campionato della Mutua facesse una vittima vera, dopo le molte immaginarie. Contro la piccola Alizé Cornet, debuttante emozionatissima, la serba stava compiendo una strage, quando d’un tratto l’ho vista portare una mano alla spalla destra, e poi al collo. Dopo un minuto di incertezza, arrivava sul campo la fisioterapista Ashley Keber, che ha circondato il collo della tennista, ed ha iniziato a massaggiarlo. Ci risiamo, mi son detto, mentre Tommasi, notoriamente religioso, si chiedeva come mai non si fosse invitato, almeno una volta, uno specialista dell’esorcismo, per mettere in fuga le potenze infere. Fortunatamente per tutti, la piccola Cornet, immersa in un pianto disperato, non era stata in grado di intendere cosa il destino le stesse riservando. L’emozione di una campo centrale, pur disertato dai più, e la fatica di sette partite, partendo dalle qualificazioni, l’avevano certo spinta a smarrire un minimo di lucidità. Era partita in modo disastroso, la piccina, con una serie di errori gratuiti clamorosa, qualcosa come venti nel solo primo set, inclusi tre servizi smarriti. Non pareva che, all’inizio del secondo, qualcosa dovesse cambiare se è vero che la Jankovic si issava a quattro uno. Proprio li, d’un tratto, l’avrei vista rallentare, e al cambio di campo, chiedere l’intervento della fisioterapista. Una tennista meno confusa e più esperta della piccola Alizé avrebbe certo approfittato dell’incidente. Ma la piccola, ahilei, era scesa in campo battuta. Terminavano così, in piscem, due settimane tanto inattese quanto scoraggiami, che mi hanno spinto a ribattezzare gli Internazionali Torneo della Mutua. A contatto quotidiano con civili aficionados, mi son sentito più volte rivolgere suggerimenti da spettatori frustrati, che avevano magari sborsato cinquanta euro per assistere a un solo match, e non proprio esaltante. La vicenda è molto complesso, e purtroppo non sarò io a risolverla. Per quanto riguarda l’ultimo forfeit, quello della Sharapova, una scuola di pensiero fa notare che, in un Grand Slam, la tennista avrebbe rischiato il polpaccio che accusava un non meglio precisato dolorino. Ciò è molto probabile, ma i rimedi sono modesti. I più severi ritengono che il comico certificato emesso dalla stessa Women Tennis Association, andrebbe sostituito da un altro, stilato da un medico neutrale, che magari assegnasse alla cosiddetta malata una settimana di convalescenza, o meglio due, costringendola a saltare il Roland Garros parigino. Altri suggeriscono il ritiro dei premi, ma cosa volete che importi a una tipa che guadagna trenta milioni di dollari l’anno lasciarne per strada poche miglia la: argent de poche, non è vero? Temo non ci siano autentiche difese, contro i capricci dei divi malati, se non un principio contrario alla filosofia del gioco, che assimila la sconfitta ad una morte simbolica. Riammettere la giocatrice battuta dalla ritirata. Ma il nostro, della Mutua, resterà sempre un mezzo Slam. Di più, di meglio, purtroppo non meritiamo.

Una tv per il tennis italiano

Mario Viggiani, il corriere dello sport del 19-05-08

Come sempre, ieri il presidente federale Angelo Binaghi ha dato i numeri. Quelli del torneo, ovvio. Ma stavolta non solo, nel senso che ha annunciato una novità importantissima legata al tennis nazionale. CANALE TV - In autunno diventerà operativo sul satellite (canale 224 del bouquet Sky) un canale tutto dedicato a questo sport in partnership con Rai Trade, il più importante produttore italiano di canali tematici dedicati allo sport (firma infatti quelli di Juventus, Inter e Roma). Si chiamerà “Super Tennis”, come la rivista Fit, e avrà una programmazione-standard quotidiana della durata di quattro ore, comprensive di due Tg, che verrà replicata sei volte a copertura dell’intera giornata (in questi giorni sono stati girati gli spot augurali dei giocatori più importanti). L’obiettivo primario sarà quello di dare visibilità al tennis italiano , attraverso la copertura televisiva di una trentina tra challenger maschili e degli Itf femminili (che i garantiscano livelli qualitativi di ripresa Tv all’altezza) che si disputano in Italia: con una novantina di appuntamenti all’anno, siamo il Paese che organizza il maggior numero di appuntamenti internazionali. E attraverso accordi internazionali, si cercherà di seguire i professionisti italiani quando disputeranno all’estero semifinali o finali dei tornei Mtp e Wta (esempio: Flavia Pennetta ad Acapulco). Ci sarà poi spazio per una disciplina emergente e promozionale come il beach tennis. Nicola Pietrangeli e Lea Pericoli, con Massimo Caputi, saranno alcuni dei “volti” della nuova Tv, che comporterà una spesa di 2,5-3 milioni di euro tra promozione, allestimento studi e redazione, INTERNAZIONALI - Tornando invece agli Internazionali BNL d’Italia, dal 2011 diventeranno un “combined event”, con uomini e donne che giocheranno contemporaneamente nello spazio di dieci giorni: venerdì e sabato qualificazioni comuni, domenica primo turno di tabellone principale solo femminile, da lunedì a venerdì programma “misto”, sabato finali femminili, domenica finali maschili. Rispetto al passato, ci saranno due campi in più per consentire un adeguato svolgimento del torneo. Binaghi ha poi parlato di questa ennesima edizione a successo degli Internazionali, che dal 2003 a quest’anno hanno fatto registrare un +107,3% complessivo del pubblico pagante (115,1% per ü torneo maschile, 82,89% per il femminile). Anche senza il risultato di ieri della biglietteria, sono stati venduti 162.327 tagliandi per un incasso di 3.122.000 euro Gli spettatori “privati” della semifinale femminile della Sharapova godranno di uno sconto del 40% sull’acquisto dei biglietti delle semifinali femminili del 2009 (500 spettatori “privati” delle semifinali maschili hanno invece utilizzato il proprio biglietto per acquistarne uno per le semifinali maschili con il 50% di sconto). E’ stato pure annunciato che i titolari di abbonamento 2008 che lo rinnoveranno per il 2009 entro luglio usufruiranno di uno sconto del 10%.

Genitori (di un tennista) il mestiere più difficile

Vincenzo Martucci , sport-week del 17-05-08

Genitori imprenditori per m sport. Anzi, per tennis. Nel Mondo e in Italia. anzi, in un fazzoletto di 20 chilometri nelle Marche: fra Macerata, Porto Recanati e Porto San Giorgio, per lanciare i talenti Camila Giorgi, Giacomo Miccini e Gianluigi Quinzi, e poi esportarli, all’accademia di Patrick Mouratoglou, a Parigi, e a quella di Nick Bollettieri, in Florida (Usa). Per inadeguatezze strutturali del tennis italiano, per puntigliosità e ambizione dei padri? Il risultato è comunque quello di trasformare la vita di tutta la famiglia, in funzione del campioncino di casa per fornirgli tutti gli strumenti, dagli allenatori ai compagni d’allenamento. Sergio Giorgi, argentino di genitori italiani come la moglie, dal ‘97 al 2005 è diventato un imprenditore. Camila Giorgi. 16 anni, si allena all’accademia di Patrick Mouratoglou, a Parigi. Globetrotter: un anno a Pesaro, un altro a Milano, un altro ancora a Como, quindi in giro in Spagna, fra Barcellona, Valencia (alla scuola di Ferrero) e Palma di Maiorca (da Van Harpen), Parigi. Lui, mamma e 14 figli, Antonella (oggi 21 anni), Leandro (18), Garrula (io) e Amadeus (12). I soldi7 Un po’ dal lavoro di mamma Claudia all’Università di Macerata, un po’ dal suo, come preparatore atletico: «Poi ho “venduto” Camila ai circoli: allenamenti gratis con la promessa che avrebbe giocato da loro». Gli ostacoli? «Trovavo solo business, più quantità che qualità, ho anche rifiutato l’offerta di Nick Bollettien che voleva Camila a 9 anni. Ma non è solo colpa degli altri; spesso siamo noi genitori a chiedere troppo ai figli». E dopo tre anni di scuola, pure il mecenate Mouratoglou ha protestato per io mesi di vacanza dai tornei che Camila si è concessa; «Lo capisco, ma io so qual è il bene di mia figlia, so quando fermarla e quando pressarla, infatti non s’è mai infortunata, e ora non deve giocare i tornei juniores, ma quelli più grossi». Camila ha vissuto undici anni da kamikaze. «Con qualche problema, qualche discussione con mia moglie Claudia che voleva tornare a Macerata». E la solita certezza: «Verrà fuori, e sarà la prima italiana fra le top 10 del Mondo perché ha talento e si allena tutti i giorni dalle 6 del mattino». Anche se, a 16 anni, è ancora 573 del mondo pro, apparentemente ferma all’immagine della prima italiana che spinge a fondo e cerca presto la volee, “la prima che sembra Agassi”, come disse Adriano Panatta. Forse la si vedrà giocare al torneo Bonfiglio di Milano, con wild card della Fit TUTTI IN FLORIDA Miccini e Quinzi, allievi italiani della Nick Bollettieri Academy, in Fionda, hanno stone più “facili”, anche grazie alla solidità economica dei papa imprenditori d’industria. «Un tennista giovane costa dai 30 ai l00 mila euro l’anno, e tanti sacrifici. Perchè il tennis, al di k dei primissimi del Mondo, paga poco ma costa tantissimo c’è tanta competitività ed e uno sport mondiale, senza avere il mercato e l’organizzazione del calcio», giudica Luca Quinzi, papa del miglior 15enne del Mondo Perchè, dopo la quantità, i genitori-imprenditori ALL’ESTERO Giacomo Miccini, 15 anm, e un allievo dell’accademia di Bollettieri m Florida hanno programmato la qualità, Quinzi junior e emigrato già a 8 anni perche troppo precoce nel sistema italiano che, a quell’età, prevede palle pm grandi e campi pm piccoli, e da subito non ha pagato la retta della scuola Bollettien, in nome del suo talento (più giovane borsista della famosa accademia), Miccini junior c’era andato a 12 perchè non riusciva a conciliare studi e sport, e quindi dopo un tentativo a Barcellona (alla scuola Sanchez), ha sposato m un amen la Fionda «Doveva restare un anno, anche per imparare l’inglese, ma e diventato presto anche lui un allievo non pagante Eda quattro anm e li», racconta papa Gabriele Mamma Quinzi e mamma Miccini hanno seguito i figli in America. Papa Quinzi dice «Oggi per formare un talento ci sono solo due strade, quella della scuola (alla Agassi) e quella della famiglia (alla Nadal)» Papa Miccini spiega «Arrivare fra i primi 100 e come vincere la lotteria, 1000 under 18 che fanno i tornei Itf, 2000 che fanno quelli Atp, e tutti che puntano ai primi 50 del Mondo Giacomo prova 2-3 anni, fa l’High School in America, impara inglese, spagnolo, giapponese e cinese, e poi tiriamo le somme» Non è una vacanza. I ragazzi del camp Bollettien, emuli di Maria Sharapova, si svegliano alle 6 30, fanno 45 minuti d’atletica, 2 ore di tennis, pranzo, match, ancora atletica, scuola a casa, e alle 21 30 a nanna. Sognano di vincere Roma, Parigi, Wimbledon E i genitori7 «Sperano, coi piedi per terra», dicono in coro.

 

Maledizione ritiri anche la Sharapova salta la semifinale

Gianni Clerici, la repubblica del 18-05-08

ROMA — Bisogna essere autentiche dive per rimanere al centro dell’attenzione, attrarre le luci della ribalta anche quando non si recita. Avevo lasciato venerdì notte una Maria Sharapova in feroce emissioni di gramoli (ruggiti+rantoli), opposta alla solita, deliziosa, creativa ma troppo piccina Patty Schnyder. Era stata in vantaggio, la Patty, ma alla stretta finale del secondo set aveva dovuto arrendersi sotto la pioggia di missili della russa. Nel raggiungere oggi il mio loculo televisivo mi dicevo che, vista la Maria di iersera e la Jelena Jankovic del match convenus, avrei assistito ad una finale anticipata, un gran bel match. Ma non facevo in tempo ad aprire i miei libri, a ripassare la lezione, che giungeva una staffetta sconvolta, ad annunciarmi che la Sharapova si ritirava. Nell’incredulità, nella generale sorpresa, si infittivano, da ogni parte le domande, mentre i referenti, i ragazzini della Women Tennis Association, tacevano, certo preoccupati di un problema troppo grande per loro. Da molte fonti non ufficiali, si veniva via via a sapere che la stessa diva sarebbe venuta più tardi, a suo talento, a spiegarci perché. Dopo aver subito, beninteso, l’abituale visita della Mutua, che avrebbe preso atto della sua impossibilità a spostarsi, colpire, insomma competere. Nel mio ruolo di servitore di due padroni, mi vedevo però costretto ad anticipare la ferale notizia via satellite. C’era, negli immediati dintorni, un amico, specialista in intercettazioni, indagini, insomma un detective. Con il suo aiuto, sarei riuscito nella non facile impresa di mettere le mani su un documento compromettente, un documento del quale non sono in grado di segnalare la fonte per non ritrovarmi in tribunale. Lo riproduco, con qualche perplessità. «Nel mentre indossavo il reggicalze per recarmi al night, si è pericolosamente sfilato un deduttore della coscia, tanto da costringermi a rinunciare al ballo notturno. Questa mattina, dopo un ultimo disperato tentativo di un amico professionista, sono stata costretta a tentare il tutto per tutto, e a dirigermi verso San Pietro, nella speranza che una papale benedizione riuscisse a risanarmi. Purtroppo il titolare non era in grado ricevermi tempestivamente, e sono stata così costretta a ritornare al tennis e a rinunciare ad un torneo al quale tenevo più di ogni altro al mondo, Wimbledon incluso». Simile decisione contribuiva a fare del nostro un torneo record, l’unico al mondo nel quale tre delle quattro semifinali, maschili e femminili, si fossero concluse con un ritiro. Consci e orgogliosi di ciò, gli spettatori avrebbero pazientemente assistito ad un doppio femminile giocato da quattro ignote, per poi entusiasmarsi ad una semi degna la più di un secondo turno, nel corso della quale la russa Chakvetadze, pareva dapprima imporsi facilmente alla piccola francese Cornet, per iniziare poi all’improvviso, da un set e tre zero, una serie negativa che si prolungava sino alla fine della sorprendente vicenda. Con l’aiuto del mio detective continuo le indagini, per sapere se, magari, non si sia infortunata pure lei.

Scandalo a Roma: si ritira anche Sharapova

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 18-05-08

Scandalo al Foro. Salta il terzo semifinalista su quattro, uomini compresi. Scandalo per chi ha acquistato il biglietto per vedere la bella Sharapova agli Internazionali Bnl d’Italia, e Maria ha già gettato la spugna: «L’anno scorso ho giocato Parigi senza una spalla e sono arrivata in semifinale. In uno Slam fai tutto quel che devi, prendi anche un paio di antidolorifici in più, ma una settimana prima di uno Slam è difficile metterti in quelle condizioni». Realtà «Masha» non gira attorno alle parole. Mentre il comunicato ufficiale del torneo si appella agli organismi internazionali «per tornare a promuovere i valori etici e sportivi» del tennis. E diventa terribilmente complicato compilare un referto ufficiale dello stiramento al polpaccio sinistro denunciato dalla sibcriana. Che domani ridiventa numero 1 del mondo e, al di là della stanchezza accumulata venerdì notte contro la Schnyder («Dopo quasi 3 ore di massaggi, sono andata a letto alle 3.24: ho guardato l’ora perché sapevo che me l’avreste chiesto»), non aveva voglia di rischiare contro la regina di Roma ‘07 e i difensori del Tour. «Per recuperare per Parigi, obiettivo di tutti». Povertà Nell’unica semifinale, al di là della simpatia dei 5000 di Roma per il nasino all’insù di Alizé Cornet, la francesina e la russa Anna Chakvetadze confermano limiti caratteriali e tecnici, in una brutta sfida. Prima il 6-3 3-0 della 21 enne numero 8 del mondo (parziale di 7-0) e i lamenti della 1 Senne numero 34: «Non volevo perdere in 50 minuti, ho cercato di mettere la palla in campo e sono arrivati i suoi errori». Poi il 6-41-0 della pianista di Nizza (parziale di 7-1), la prima finalista di Roma che viene dalle qualificazioni: «So solo che ho cominciato a lottare». Infine, dopo il tira e molla di paura e incertezza, la biondina russa con la coda di cavallo regala il break a zero alla biondina francese con la visiera, e il 6-3. «E’ difficile fare un punto alla Jankovic che corre dappertutto, ho già battuto 2 “top ten”, perché no una terza?». I bookmaker la danno a 3.35, contro l’1.25 della regina in carica.


Sharapova ritiro scandalo, in finale Jankovic-Comet,

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 18-05-08

ROMA - Uno scandalo. Maria Sharapova si è ritirata dagli Internazionali BNL d’Italia (e con questo siamo all’ottavo forfait al Foro tra uomini e donne, tre in semifinale! Un record) ed ha candidamente confessato: «Ho un dolore al polpaccio. Credo di aver preso la decisione più intelligente, soprattutto perché c’è un grande torneo in arrivo». Le abbiamo chiesto: “Se avessi avuto lo stesso tipo di infortunio al Roland Garros, ti saresti ugualmente ritirata?”. Ci ha risposto: «Lo scorso anno a Parigi ho praticamente giocato senza una spalla e sono arrivata in semifinale. In un torneo del Grand Slam sopporti tutto, prendi qualche antidolorifico in più ma vai avanti». Ecco, a nostro avviso lo scandalo è qui, in queste parole. La Sharapova non ha alcuna remora ad ammettere che avrebbe potuto andare avanti, ma ha preferito non farlo. Il tennis non è un gioco di squadra dove sostituisci un giocatore con un altro. In questo sport se ti ritiri, non ci sono rimedi. Il torneo è falsato, gli spettatori sono penalizzati dallo spettacolo mancato; organizzatori, sponsor e televisioni pagano un danno economico pesante. Cinque ritiri nel maschile, tre nel femminile. Una sola semifinale su quattro giocata sino alla fine. Ieri il colpo definitivo, il forfait della giocatrice più seguita: Maria Sharapova. «Ho avuto due match di notte, dodici ore sono poche per recuperare energie. E poi la cosa più importante è essere pronta per Parigi». CAOS - Qui a Roma viene il meglio del mondo, ma anche gli Internazionali BNL d’Italia, come il resto dei tornei in calendario, sono continuamente a rischio. Le giocatrici hanno bisogno del Grand Slam (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon e US Open), gli altri tornei hanno bisogno delle giocatrici. Questo genera il caos nei comportamenti, nelle scelte, nelle decisioni. Il calendario è l’alibi delle giocatrici che lamentano un affollamento di date, ma poi non saltano un evento. Il tennis, l’abbiamo già detto, ci sembra sempre più come il Titanic. Si continua a ballare, senza guardare gli iceberg pronti a fare affondare la nave. Maria Sharapova dice di avere accusato i primi dolori durante il quarto di finale contro Patty Schnyder. Aggiunge di essersi sottoposta a tre ore di massaggi dopo quel match, di essersi addormentata solo alle 3.24 di ieri mattina. Al risveglio, appena poggiato il piede sinistro per terra, ha capito che non avrebbe potuto giocare. Anche Jelena Jankovic ci è rimasta male. La russa confessa candidamente «La cosa importante è essere pronta per il torneo dello Slam» Nel tennis se ti ritiri non c’è alcun rimedio Chi tutela spettatori, televisioni, sponsor e organizzatori le. Oggi sarà in campo per difendere il suo titolo, a sorpresa, contro la qualificata Alizé Cornet. «Volevo giocare, ero pronta per un’altra sfida». Jelena non si è tirata indietro. Ha avuto grossi problemi nei primi turni, difficoltà di respirazione che l’avevano anche spaventata. Ma è andata avanti. E per la prima volta nella sua carriera ha conquistato la possibilità di battersi per un titolo senza giocare la semifinale. La Sharapova si è ritirata. Le hanno diagnosticato uno stiramento al polpaccio sinistro, consigliando tre giorni di riposo. Dopo l’infortunio di Serena Williams non c’era stato alcun referto medico ufficiale. Ieri, dopo ripetute richieste, la Wta ha finalmente mostrato un formulario compilato dal medico responsabile del torneo femminile. IMPUNITA’ - II tennis è un’anomalia clamorosa nel mondo dello sport. E’ l’unica disciplina in cui gli atleti si autogovernano. Le pene per forfait alla vigilia dei tornei sono ridicole, soprattutto in rapporto ai guadagni delle giocatrici. In corso di svolgimento si può abbandonare per infortunio, senza pagare alcuna penale. E quando si arriva a considerare normale la dichiarazione di ritiro in vista del prossimo torneo, il livello di guardia è al limite della sopportazione. La speranza è che la Federazione mondiale (l’Itf) riesca a regolamentare il movimento. Ma forse questa è solo un’illusione. Salgono a otto gli abbandoni tra uomini e donne Tre semifinali su quattro saltate nei due tornei! CIAO CIAO Maria Sharapova, 21 anni, saluta in stile militare il pubblico dopo l’ottavo di finale contro la Wozniacki:

Sharapova fa la Diva di un tennis minore.

Lea Pericoli, il giornale del 18-05-08

Roma - La grande Diva del tennis ieri non è scesa in campo per colpa di uno stiramento al polpaccio sinistro Aveva finito di giocare molto tardi contro Patty Schnyder venerdì sera ed era rimasta fino alle 3 d! notte nelle mani del fisioterapista Cosi almeno ha raccontato lei, m conferenza stampa, appuntamento al quale e arrivata sorridente con 40 minuti di ritardo facendo indispettire i giornalisti «Ho provato a correre questa mattina però avevo male» Conoscendo il tennis mi permetto di dire che sarebbe stato più leale entrare in campo contro la Jankovic prima di decidere invece la bella Maria ha anche detto incautamente «Lo scorso anno ho giocato Parigi praticamente senza una spalla, imbottendomi di antidolorifici, ma quello era un torneo del Grande Slam’» Prima di andarsene si è lasciata premiare con it Compeed Award premio eleganza attribuitole dalia stampa internazionale, lo stesso che ìa scorsa settimana e stato consegnato a Federer La finale oggi vedrà opposte Jelena Jankovic alla francesina Alize Cornet autentica sorpresa che at secondo turno (che peccato) ha battuto Francesca Schiavone 6-3,6-2 E mentre rimpiango S occasione per le italiane mi domando cosa sarebbe accaduto se in semifinale nel lontano 1967 Mana Bueno si fosse ritirata contro di me Allora e erano solo coppe e niente denaro pero le campionesse non se ne andavano cosi facilmente

Amburgo la terra di Federer

Rino Tommasi, la gazzetta dello sport del 18-05-08

Come non provare un po’ di invidia per il torneo di Amburgo che, come Montecarlo qualche settimana fa, avrà oggi l’ennesima finale tra Rafael Nadal e Roger Federer? Sconfitti a Roma, Federer da Stepanek, Nadal dalle vesciche, i due campioni sono risorti immediatamente e sta pure attraverso percorsi e difficoltà diverse (maggiori quelle dello spagnolo) si ritrovano ancora una volta ma sull’unico campo dove l’anno scorso Federer è riuscito a battere il rivale sulla terra battuta. Il bilancio su terra delle sfide tra Nadal e Federer è di 7 vittorie a una per lo spagnolo. Basteranno il clima di Amburgo ed il precedente dell’anno scorso a modificare un rapporto che appare ormai codificato La stona di questa rivalità, se limitata alla terra, mi ricorda quella tra Borg e Connors. Ad un certo punto Borg ha cominciato a battere puntualmente l’avversario che però andava ogm volta in campo convinto di vincere. Credo che anche Federer, senza confessarla, abbia la stessa convinzione a meno che la lezione di Montecarlo (perché di lezione si è trattato) gli abbia fatto cambiare idea.

La Jankonvic batte Venus soffrendo

Piero Valesio, tuttosport del 17-05-08

ROMA. Se non fosse per Filippo Volandri che l’anno scorso al Foro ha raggiunto una storica semifinale, si potrebbe dar ragione a Serena Williams. La quale per giustificare il suo ritiro dal torneo romano ha ieri affermato, con una dose di quel particolare tipo di eleganza molto presente nel dna della sua famiglia: «Sarà l’aria dell’Italia». Vicende williamesche a parte, di cui si riferirà fra poco, la frase di Serena potrebbe essere applicata con successo alla vicenda sportiva di Andreas Seppi: che se a Roma ha perso in modo disarmante da James Blake ieri ad Amburgo ha invece battuto, dopo un quarto di finale durato oltre tre ore, Nicolas Kiefer e si è conquistato il diritto di affrontare oggi Roger Federer nella prima semifinale di un Master Series della sua carriera.

VOODOO Il destino degli Internazionali d’Italia pare questo: Roddick si è ritirato dopo aver fermato con un match-capolavoro il cammino di Simone Bolelli; ieri Serena manco è scesa in campo dopo aver battuto, il giorno prima, Sara Errani; Nadal e Federer hanno perso match che dovevano vincere giocando con un stecca da biliardo e Andreas Seppi, che è ora il nostro n.1, ha trovato sulla terra tedesca invece che su quella nostrana, il risultato più prestigioso della sua vita. C’è arrivato alla Seppi, intendiamoci: cioè mostrando la consueta difficoltà nel gestire le situazioni di vantaggio, specie quando astronomiche. Era in vantaggio di un set e 5-2 nel secondo: si è fatto rimontare uscendo letteralmente dal match. Per fortuna sua però dall’altra parte del campo c’era il rissoso tedesco che sul 5-3 a suo favore nel terzo ha a sua volta rallentato i colpi: e Andreas ha infine trasformato il terzo match point a suo favore.

SEGNALI Tre semifinalisti di Master Series in 18 anni (l’altro è stato Gaudenzi sconfitto da Muster a Montecarlo nel ‘95) non sarebbero granché se non fosse che sono arrivati negli ultimi due anni: è un segnale, niente più di questo, ma un buon segnale. Nel 2008 Seppi (prestazione romana a parte) è cresciuto, ha vinto il Challenger di Bergamo dove il tabellone era impegnativo e ha battuto Nadal a Rotterdam. Contro re Federer ha un solo precedente: l’anno scorso a Montecarlo perse dopo due tie break. Il Roger visto ieri è buono ma non buonissimo. All’allievo di Massimo Sartori si può e si deve rivolgere solo una richiesta: di non sentirsi appagato dall’aver raggiunto tale match ma di giocarlo.

VENTI E Serena? Già Serena. Si correva il rischio di dimenticarla. Si è ritirata, secondo più secondo meno, due minuti prima di scendere in campo. Giustificazione ufficiosa: improvviso blocco della schiena. Certificazione ufficiale: non pervenuta. Mise delle medesima al momento della sua ricomparsa, circa un quarto d’ora dopo il ritiro: borsetta a tracolla, incedere normale. Affermazione più simpatica (si fa per dire, figuratevi le altre): sono pronta e in forma per il Roland Garros, devo solo giocare qualche altra partita. Già che c’era poteva fare uno sforzino e giocare pure quella di ieri. Dichiarazione meno simpatica (appunto): quella citata in apertura. In effetti il Ponentino di guai ne combina; ma che bloccasse schiene di atlete possenti non s’era mai sentito. E ieri manco soffiava, il Ponentino.

Roma, fuori entrambe le Williams

Giovanni di Natale, il giornale di Sicilia del 17-05-08

ROMA. Sorelle sempre. Anche nell’uscita di scena. Serena si ritira, Venus perde. Le Williams fanno discutere anche quando lasciano il palcoscenico del Foro Italico. Erano arrivate a Roma con l’obiettivo di vincere, il tabellone le aveva addirittura tenute lontane fino ad una ipotetica finale in famiglia. Ambizioni e prospettive cancellate ieri. Una delusione per i tanti tifosi italiani delle “sorellone”, giunte a Roma con papà Richard e mamma Oracene (sono separati) al seguito.
Serena si è arresa ad un improvviso mal di schiena, che l’ha spinta a non giocare il match contro la rivelazione francese Alize Cornet. “Ho aspettato fino all’ultimo – ha affermato l’americana – prima di annunciare il mio forfait. Volevo giocare”. Il ritiro, comunque, è un giallo: la spiegazione dell’infortunio è apparsa poco convincente e comunque stravagante, in perfetto stile Williams (che non dichiarava un forfait dal 2004). “Forse è colpa dell’aria italiana” ha detto l’americana a chi le ha chiesto se ci fosse un nesso tra il suo forfait ed i cinque ritiri del torneo maschile della settimana scorsa (nel femminile sono 2). “Mi sento in forma – ha concluso Serena -, a Parigi farò un buon torneo”. Qualcosa non torna, ma poco importa. Venus, invece, ha perso con onore contro la campionessa uscente degli Internazionali Bnl d’Italia, Jelena Jankovic. Tre set di spettacolo, la mig lior partita del torneo. Ha vinto la tennista più in forma, la numero 4 al mondo, che dopo l’intervento chirurgico al naso ha quasi risolto i problemi respiratori che l’affliggevano. È lei la favorita principale per la conquista del titolo. Un bis consecutivo che nell’era Open è riuscito soltanto a Chris Evert, Gabriela Sabatini, Conchita Martinez e Amelie Mauresmo.
Cerca di entrare nella storia degli Internazionali d’Italia anche Alize Cornet. La francesina di Nizza, diciotto anni lo scorso gennaio, e numero 34 al mondo. Se riuscisse a battere questo pomeriggio la russa Anna Chakvetadze, numero 6 del torneo e 8 nel ranking Wta, sarebbe la prima qualificata a raggiungere la finale del torneo di Roma. Impresa mai riuscita prima. Ma non impossibile per chi non ha ancora perso un set, qualificazioni incluse (unica tra tutte le semifinaliste). La Chakvetadze, invece, è “miss terzo set” visto che vince soltanto alla lunga distanza.

Instancabile Sharapova avanti con l’orgoglio

(Cosa deve fare il “vecio scriba” per ammirare Maria)Gianni Clerici, la repubblica del 16-05-08

Oh Maria, Maria. Cosa mi fai fare. Ti ho vista iersera, ho faticato a trovar sonno, per poi rivederti sul campo, e in conferenza stampa. Se fossi Tommasi saprei esattamente quanti minuti ho passato a guardarti, ma cosa dico, ammirarti, a pendere da quelle tue labbra da bambina golosa. Ieri serai trovavo al ristorante, felicemente assise tra i protagonisti de Le Rose del Deserto, Monicelli e Haber, e Missoni, loro consulente nella qualità di prigioniero di guerra. Miglior compagnia non era facile trovare. Ero avanti anche con il rosso, e insomma la tarda serata si presentava incantevole, anche perché, dopo una decina di giorni, sono vittima di intossicazione da tennis. Senonché, d’improvviso, mi squilla il maledetto telefonino. Rispondo riluttante, ed ecco la voce del mio partner, Tommasi. Vieni subito, mi ordina. La Sharapova sta perdendo. Che altro potevo fare. Ho salutato a malincuore gli amici, e via di corsa al Foro. Nella luce dei riflettori, la sublime Maria sia ggirava quasi smarrita, su quelle sue gambe incantevoli, dai muscoli sfilati, dalla pelle di raso. Il tabellone luminoso indicava un incredibile due a zero al terzo perla sua avversaria. Era questa una delle mille Ova che stanno sommergendo il circuito, una piccolotta bruttina, tutta rovescio bimane liftato. Tra un colpo sotto la rete e un gemito, Maria sarebbe d’un tratto riuscita a tener dentro qualcuno di quei suoi diritti esplosivi, sarebbe risalita e, dal 5-4, avrebbe sommerso la slovaccotta con quattro colpi ancor più infastiditi che decisivi. L’avrei seguita nella notte sino alla conferenza stampa, per sentirla mentire: «Ho giocato così tante partite serali nella mia carriera che non mi disturba, ancorché questa è forse la più serale di tutte». Era ormai troppo tardi per consegnare all’ultima edizione queste sue affermazioni, che non mi restava altro che coricarmi, e sognarla, sotto la doccia, e poi tra le mani di un masseur che, miracolosamente, aveva preso le mie sembianze. Erano passate poche ore, e l’avrei rivista sullo stesso Centrale. Non meno affascinante, in un abituccio questa volta blu, con un sottanino che il vento le avvolgeva spesso ad una coscia, quasi golosa giarrettiera. C’era questa volta, di fronte a lei, un’altra bambina che veniva da terre tennisticamente inesplorate, una 17enne chiamata Carolina Wozniacki, figlia d’arte di calciatore e pallavolista. Dimentica dì una terribile batosta di due mesi addietro, Carolina non pareva disponibile a subire, e riusciva invece incredibili serie di rovescio, mentre Maria sembrava ancor più incerta della notte precedente. Avrei voluto scendere in campo, secondo i regolamenti che lo consentono ai coach e suggerirle di tener semplicemente la palla in campo, liberandosi dalle tossine notturne. Ma era tale, l’orgoglio di questa aristocratica Maria, da non farle cercare altro che il colpo vincente, spesso vanificato da incredibili errori. In quella altalena di altari e polveri, Maria sembrava alfine imbattersi nell’ispirazione chiudendo un malcerto primo set con una serie di tre games. Ma, fosse caparbietà o stanchezza notturna, una cascata di errori issava Carolina sino al cinque a uno. Qualsiasi altra tennista si sarebbe rassegnata a ricominciare tutto daccapo, con il terzo set. Non Maria. Racchetta in resta, riprendeva d’un tratto a colpire come sa, come la irresistibile vincitrice di Wimbledon, polverizzando la pur bravissima piccina nel tie-break. E qui mi fermo: troppo affascinato per non provar compassione nei momenti infelici, esaltazione in quelli trionfali.

Janokovic: «Grazie Roma mi hai salvata»(Jelena: “voglio vincere Roma e comprarmi un aereo”)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 16-05-08

Jelena Jankovie è la campionessa in carica degli Internazionali. Lunedì sarà nomerò 3 del mondo. Ma lei mira più in alto. E’ un tipo allegro questa serba dal sorriso contagioso. E’ una a cui piace giocare, divertirsi. Vuole comprare un aereo, un piccolo velivolo per brevi spostamenti. Resta il fatto che qualcosa che vola l’ha già pilotato. Lo scorso anno in Nuova Zelanda ha guidato l’elicottero di un amico. Lei non avrebbe voluto, visto che era alla vigilia della finale, ma la mamma (la signora Snezana, che in italiano si traduce Biancaneve) ha detto che forse era il modo migliore per rilassarsi. Non pensava che il pilota a un certo punto le avrebbe lasciato i comandi. Lei ha cominciato a sudare, a tremare, ma alla fine è andato tutto bene. E quel torneo, ad Auckland, l’ha vinto. Ieri questa bella ragazza dal volto orientale ha distratto Maria Kirilenko, lasciandole due game. Dopo aver girato il mondo senza un coach fisso al suo fianco, da qualche tempo ne ha trovato uno, Ricardo Sanchez. Dice che le ha cambiato la vita, le ha insegnato a giocare sulla terra. Per una che punta al numero 1 del mondo, non è cosa da poco. L’abbiamo incontrata, ci siamo fatti raccontare speranze, emozioni, desideri. E abbiamo scoperto che ha Roma nel cuore.

ROMA - Jelena Jankovie, fino a quando giocherà a tennis? «Smetterò il giorno in cui non mi divertirò più». C’è stato un momento nella sua carriera in cui ha pensato al ritiro? «Due anni fa avevo deciso di smettere. Stavo male, non riuscivo a vincere, non mi divertivo più. Andavo sul campo, ma avevo perso il sorriso. Non trovavo più le motivazioni, non ero la stessa persona che ero sempre stata. Sentivo il bisogno di tornare ad essere una ragazza che si riappropriava della sua vita. Adesso la storia è cambiata, sono tornata a divertirmi. Voglio fare bene, diventare la numero 1 del mondo». Chi l’ha aiutata ad uscire dalla crisi? «Mia madre, i miei genitori. Sono sèmpre stati al mio fianco, ma devo ringraziare soprattutto mia madre che ha un ruolo importante nella mia carriera e nella mia vita. Lei mi ha sempre detto di pensare positivo. Anche quando attorno a me era tutto nero, dovevo cercare la parte positiva. Credere in me stessa, continuare a lottare. Arrendersi era la strada che avrebbero preso i perdenti, io dovevo spingere per tornare quella che ero. Mamma mi ha portato in giro per Roma, la bellezza di questa città mi è stata di grande aiuto per uscire dal tunnel». Justìne Henin non c’è l’ha fatta a reggere la pressione e si è ritirata. «Ho appreso la notizia alla tv ed ho pensato che forse non era vero. Mi sono detta: è un’indiscrezione o uno scherzo. Sapevo che stava pensando se ritirarsi o meno, ma scoprire che lo aveva ufficialmente deciso, mi ha sorpreso. Quando si ritira un campione è un momento triste. Ci mancherà, le auguro il meglio». Cosa le piace del tennis? «La soddisfazione che provo dopo una vittoria. Giocare davanti a tanta gente, godere l’atmosfera particolare di alcuni tornei». Lei ha detto che punta al numero 1 del mondo. Quanto pensa di dovere aspettare per realizzare il suo desiderio? «Non posso predire il mio futuro, il mio destino. Non so se sarà quest’anno o il prossimo. So solo che lavorerò duro per diventare una giocatrice migliore». Jelena, quella croce che porta al collo significa che ha una forte religiosità? «Sono religiosa, ma non così tanto. Questo è semplicemente un regalo, fattomi dal pope di un monastero in Serbia, un paio di settimane fa». Quanti giorni in un anno può dedicare completamente a se stessa? «Non tanti. Gli unici periodi dedicati al divertimento, sono da fine novembre a metà dicembre. Più una decina di giorni subito dopo Wimbledon. Il resto sono viaggi, allenamenti, partite. Ma non mi lamento di certo». Lei gira continuamente il mondo. C’è un posto dove si sente veramente a casa sua? «A Belgrado, la città dove sono nata. Ho comprato un terreno a San Diego, ci farò costruire una casa. Ne ho una anche a Miami. Buoni investimenti, bei posti. Ma sono semplicemente delle basi di lavoro. Soltanto in Serbia mi sento a casa». Non c’è un’altra città che le regala le stesse emozioni? «Dopo Belgrado, è Roma la città che amo di più al mondo». Torniamo alla corsa per il numero 1. Chi sono le altre contendenti? «Sharapova e Ivanovic, ovviamente. Ma anche Kuznetsova e le sorelle Williams. Sarà un lungo anno». Crede che Venus e Serena siano ancora in corsa? «Lo sapremo al Roland Garros». Il torneo di Parigi sarà più incerto senza Justine Henin, «Era la rivale che soffrivo di più, adesso le porte per me sono aperte. Avrò una grande opportunità. Ho un allenatore nuovo, Riccardo Sanchez. Lavoriamo duro per migliorare il mio gioco». Qui a Roma, soprattutto dopo aver visto come ha travolto la Kirilenko, iei si è confermata come favorita. «Sono soddisfatta di questa partita, ma sono ancora sotto antibiotici. Ho passato lo scorso week end in ospedale. A volte sento che mi manca il respiro, mi sembra di morire. Contro la Pennella c’è stato un momento in cui ho anche pensato di ritirarmi. Ho fatto gli esami del sangue, aspetto il responso. Spero non sia un’allergia, spero non sia niente di preoccupante». Fisicamente come si sente? «Meglio, rispetto al primo giorno».Chiudiamo con una domanda fuori dal tennis. C’è un sogno che vorrebbe realizzare?«Mi piacerebbe comprare un piccolo aereo per volare nei posti che amo. Vorrei pilotarlo io. Ma c’è tempo per quello che oggi è solo un desiderio. Sono giovane, ho tante altre cose da fare prima di questo».

Sharapova: “Mi fischiano perché sono la più forte”
(Maria: “cerco di avere il tempo anche per il fidanzato”)

Egizio Trombetta, metro del 16-05-08

Maria Sharapova accede ai quarti di finale degli Italian Open femminili di tennis battendo 6-4, 7-6 (3) la danese Caroline Wozniacki. La dea siberiana (è nata a Nyagan, Russia), è ed tra le poche tenniste che riesce a sposare vittorie e sex appeal. Marla, è ufficiale, fra quattro giorni diventerà la regina del ranking? II ranking non mi ha mai importato, l’obiettivo vero è sempre stato quello di vincere il più possibile. La Henin ha detto basta, cosa non va nel mondo del tennis? Non credo che lei abbia lasciato per colpa del mondo del tennis. Justine ha vinto tanto e guadagnato molto. È stata fonte d’ispirazione per molte giocatrici ed è stata la n°l senza essere né la più alta né la più forte. Così come succede spesso a Nadal, il pubblico le tifa contro. Come se lo spiega? Non mi tocca se il pubblico sostiene le mie avversarie, fa parte dello sport. Il pubblico paga e vuole vedere incontri combattuti e fa il tifo per il più debole e siccome sono sempre io la favorita. Nella sua vita c’è spazio per un fidanzato? Quando sono a casa cerco di stare insieme alle persone che amo, ma il mio tempo è limitato, quando smetterò. Il suo colore preferito? Da bambina il rosa, ora giallo e arancione. Ha giocato sempre con tanta intensità? Si, sono perfezionista e competitiva, ma l’allenamento è tutto.

Ciao, cara Henin tormentata regina e splendida solista

(“perché non darle ad Honorem un piatto d’argento cesellato”)

Gianni Clerici, la repubblica del 15-05-08

Giunge dal Belgio la notizia del notizia del ritiro della Numero Uno, Justine Henin, e tutto il mondo dei tennis appare esterefatto, e i giornali che si occupano spediscono i loro segugi, per capire. Chissà cosa risponderà Justine, che con gli scribi, specie quelli del suo paese, non ha mai intrattenuto grandi rapporti. Chissà se riterrà di rivelare ragioni tanto riservate da tenerle nel profondo. Non ha avuto una vita facile, questa grandissima tennista, dotata di genio e priva di muscoli, addirittura gracile, e all’apparenza disadatta agli sport. Ha dietro ai suoi pochi anni, Justine, un’infanzia complicatissima, turbata, per quanto un estraneo ne possa sapere, da un padre con cui non era possibile convivere. Sostituito, il genitore, da una figura paterna, al contempo allenatore, a nome Carlos Rodriguez. Uno capace di gestire un talento troppo grande, e quindi pericoloso, soprattutto in una ragazza turbata, incerta sino alla confusione, all’autolesionismo.Una vita, quella della Henin trapunta da scelte e immediati pentimenti, su su fino al tentativo di imitare i più, gli altri, con un matrimonio borghese, un bel giovanotto qualunque e squattrinato che mol ti avevano presto soprannominato Monsieur Henin, figurarsi. Matrimonio terminato con un precoce divorzio, e alimenti allo sposo. Non rappresenta una novità che la vita privata delle dive sia disseminata da ripetute ferite. Né oso credere a qualcuno molto vicino a Justine, che mi parlò un giorno di propositi suicidi. Quel che vorrei scrivere oggi è una sorta di biglietto di auguri, un biglietto intriso di gratitudine per gli straordinari istanti dei quali le sono debitore, nel mio ruolo di passionato spettatore. Ho dedicato non meno di due anni della mia lunga vita nel rintracciare memorie e documenti di un’altra tennista, Suzanne Lenglen. Dopo giorni e giorni spesi negli archivi di Pathè film sono addirittura riuscita a rintracciare una serie di fotogrammi graffiati dal tempo. Posso serenamente confessare che, della Lenglen, Justine è stata l’unica che mi è parsa in grado di ripetere i suoi gesti. Gesti sublimi, simili a quelli di un Nijinsky donna, lanciata in un etrechat huit. Ma mi spingo addirittura oltre. Al rovescio. Nel gesto meno naturale del gioco Justine è stata la sola a innovare a completare un disegno nelle mente geniale da meritare la firma di Leonardo da Vinci. Gesto mai immaginato da essere umano, le dita della mano sinistra aperte nell’aria, la mano destra chiusa sul manico spinto dal pollice, il tallone sinistro alzato a formare, con la pianta del piede, un arco mirabile. Mi è accaduto, in tribuna stampa, di balzare in piedi a applaudire, nella disapprovazione di colleghi soprattutto anglosassoni, no claps in the press box, isn’it? Rispettavano le regole, e insieme avevano torto. Perché un acuto della Callas, o un volteggio della Duncan non si possono non applaudire, se si è autentici aficionado». Consapevoli che da quelle straordinarie esecutrici ci giunge un dono, qualcosa di irripetibile, divino. Justine era una delle grandi, era diversa, tanto che rilutto a ricordare le sue vittorie nei Grand Slam, la inavvicinabile supremazia al Roland Garros, le incertezze su altri campi meno congeniali, finché, nell’ultimo biennio, non giunsero anche le ultime consacrazioni. Con l’eccezione, che mi pare incredibile, di Wimbledon, del Torneo che possiamo assimilare alla Scala. Sarebbe una buona idea, mi pare, che le assegnassero ad honorem il grande piatto d’argento cesellato. Nessuno l’ha meritato più di lei.

Henin, addio da n. 1 “Esaurite le emozioni”

(I grandi ritiri eccellenti nello sport)

Stefano Semeraro, la stampa del 15-05-08

No mas. Basta cosi. Ma non perché qualcuno ti ha tirato un cazzotto troppo forte, corre più veloce di te, colpisce meglio una palla. Basta così perché l’avversario viene da dentro, ha la forma dì un vuoto e proprio non sai come batterlo, non hai on piano per affrontarlo. Il nemico che ti lascia fermo quando hai raggiunto il massimo è un dribbling del pensiero. È la domanda che prima o poi spiazza tatti i nomadi di classe: cosa ci faccio qui? Justin Henin era impegnata da tempo nell’anatomia delle sue inquietudini Ieri, a 26 anni ancora da compiere, da numero uno del tennis, ha annunciato il ritiro. L’ultimo colpo di bisturi «È la fine di una avventura meravigliosa, del mio sogno da bambina, ma ci stavo pensando da molto tempo», ha detto serena durante la conferenza stampa a Bruxelles, mentre a fianco singhiozzava il suo coach Carlos Rodriguez. «Lascio da numero 1, ed è importante farlo quando sei ancora al vertice. Ho vissuto molto e dato tutto. Non sono triste ma sollevata. È solo una pagina che si gira. Ho sempre basato la mia carriera sulle emozioni, dal Masters dì Madrid a dicembre non ne sentivo più. La decisione l’ho presa dopo la sconfitta di Berlino la settimana scorsa. In un primo tempo avevo pensato di prendermi una pausa, ma non sarebbe stata la decisione giusta». Usando come fionda e scudo il suo rovescio perfetto ha vinto quasi tutto, Justine la tormentata. 7 Slam, fra cui 4 Roland Garros, 41 tornei, 19,4 milioni di dollari, un’Olimpiade. Le mancava solo Wimbledon. «Vincere anche a Londra non mi avrebbe reso più felice», .ha spiegato, mentendo forse appena un po’. La verità è che la bambina ferita dalla morte precoce di mamma Francoìse, che l’aveva portata dodicenne a vedere la Graf, dopo la riconciliazione dell’anno scorso a Parigi con il lungamente disprezzato papa Josè e con il resto della famiglia si era ricongiunta con se stessa, il tennis per la belga dal sorriso magro è stata una lunga cura, un lento ma potente rilascio di autostima. Raggiunta la guarigione, anche le terapie migliori rischiano di intossicare. Justine è la prima donna a mollare da .regina del tennis, non un caso raro in assoluto. Bjorg Borg evaporò la prima volta a 26 anni, da numero 2, solido fuori ma deserto dentro. Dopo le sette medaglie d’oro di Monaco ‘72 Mark Spìtz si chiese cosa avrebbe mai potuto, fare di più a mollo in una piscina. Jean-Claude Killy, nel 1968 abbandonò dopo tre ori olimpici e una Coppa del Mondo, ed era lo splendore dello sci. Herbert Elliot, mai sconfitto sui 1500 metri e sul miglio, si fermò a 23 anni. Quattro grandi Michael Platini, Jordan, Johnson e Schumacher - si sono ritirati (almeno la prima volta) da vincenti. Zidane da miglior giocatore di un Mondiale, Rocky Marciano nella boxe addirittura imbattuto, dopo 49 vittorie da campione del mondo dei massimi. A 32 anni avrebbe potuto demolire ancora, ma dietro i guantoni non vedeva più un orizzonte sensato da colpire. La stessa vertigine che ha raccontato Barry John, il grande numero dieci del Galles ovale, ritiratosi a 27 anni. Grande Slam nel Sei Nazioni, vittoria nella tournée australe con gli Ali Blacks. In prima pagina persine sul New York Times. «Quando un giorno entrai in banca e l’impiegata mi fece l’inchino, capii che da rugbista non potevo diventare più forte di quello che ero». Una nausea da successo più pericolosa ha attraversato Boris Becker: raggiunto il numero 1, sì ritrovò con i piedi in equilibrio sul balcone di un grattacielo, gli occhi trenta piani più in basso. Boris si è salvato continuando a recitare da divo, dentro e fuori il campo. Justine è un caso diverso, «A me piace la semplicità dello sport, invece sono diventata una superstar. Non fa per me. Ora potrò viaggiare, fare altre cose, finire gli studi come avevo promesso a mia madre prima che morisse». Nella vita non voleva più essere un numero, Justine. Neppure il primo.

Henin ritiro choc «Ho dato tutto»

(Una Justine bruciata e fusa abdica da numero 1)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 15-05-08

«Metto fine per sempre alla mia camera agonistica. Che è anche la fine di una storia meravigliosa, del sogno dì una bambina. Ma non torno indietro: chi mi conosce lo sa. Non decido sulla spinta delle, sconfitte delle ultime settimane, ho cominciato a; pensarci lo scorso anno, al Masters di Madrid che. considero l’apoteosi della mia carriera. Ho vissuto è ho dato tutto, e sono giunta alla fine del mio percorso. Perciò voglio lasciare a testa alta. Ho già girato pagina, mi dedicherò ad altre cose per respirare finalmente e vivere una vita da donna, metter su famiglia, occuparmi della mia fondazione, della scuola tennis. Ho ancora tante belle cose da vivere fuori dal campo»….. Bruciata, Fusa. Come Bjorn Borg, e più ancora dell’Orso, il ritiro di Justine Henin, il primo di una giocatrice al numero uno (e giocatore: Borg non era primo in classifica) gela il tennis, prendendolo alla sprovvista. Anche se le analogie fra l’addio agonistico dei due fenomeni sono molte: dai successi precoci e dalla marcata singolarità dello stile e della persona, al modo, drastico, improvviso, nel chiudere una pagina così importante della vita, all’età del distacco, 25 anni, lo svedese, 26 da compiere fra 2 settimane, la belga. Diversa Semplicemente, Justine non ce la fa più a contrastare lo strapotere fisico delle avversarie, lei così piccolina (1.67 per 57 chili), malgrado il super-lavoro con il mago dei muscoli Path Etcheberrry, malgrado uno sforzo psicofisico costante, in tandem con l’unico uomo che non l’ha mai tradita, coach José Rodriguez, che la segue dai 14 anni. Mentre è andata malissimo con papa José, con i fratelli David e Thomas che ha comunque ritrovato l’anno scorso dopo una dolorosa frattura —e con Pier Yves Hardenne, dal quale ha divorziato al culmine di un burrascoso rapporto. Gemelli. Menomata dall’ennesimo problema fisico (stavolta un ginocchio), frustrata dalla sconfitta della settimana scorsa con Safina nel secondo turno di Berlino (contro la quale non aveva mai perso un set in 5 coni fronti), «la Federer delle donne» se ne va proprio all’anti vigilia del Roland Garros, che ha vinto 4 volte negli ultimi 5 anni. Come aveva promesso a mamma Francoise, la sua prima tifosa, scomparsa quando lei aveva 12 anni. E se ne va nel segno dei Gemelli, imprevedibili nell’umore, come nel talento. Con quell’incantevole rovescio a una mano, con la magica abilità di trasformarsi in un attimo da difensore in attaccante, con fiondate improvvise e fulminei scatti a rete. Curiosamente, un anno dopo la rivale e connazionale Kim Cljisters. Gridando, finalmente, «chi se ne frega», alla classifica mondiale: se lei stessa non manderà una richiesta ufficiale di essere depennata, resterà regina, almeno finché un’altra non la sorpasserà.

Il Foro Italico perde la sua Regina

(Ana Ivanovic abbandona Roma)

Massimiliano Morelli, libero del 15-05-08

Roba da non crederci, la regina è caduta al primo turno; Ana Ivanovic è stata eliminata a sorpresa all’esordio dalla bulgara Tsvetana Pironkova (6/4, 5/7, 6/2). Nessuno se l’aspettava, specialmente dopo le dichiarazioni rilasciate pre-torneo «Mi auguro che diventi un torneo serbo», chiaro il riferimento alla vittoria nel maschile del connazionale Djokovic e visto il ruolo di favorita d’obbligo che occupava. Gli organizzatori si augurano che le don-ne non replichino le nobili cadute registrate nella prima settimana del torneo (Federer e Nadal estromessi ai primi turni) e per il momento sì consolano con chi mantiene le promesse. Per le italiane è stata una giornata da lacrime e sorrisi. Male è andata a Tathiana Garbin sconfitta dall’ucraina Kateryna Bondarenko 7/5, 6/4. Meglio invece s’è comportata Flavia Permetta anch’ella impegnata con una connazionale di Shevchenko: in tre set (6/7, 6/3, 6/1) l’azzurra si è sbarazzata di Olga Savchuk. Peccato solo che nel secondo incontro della giornata….la brindisina sia stata sconfitta dalla serba Jelena Jankovk (6/1, 6/4).Altrettanto bene è andata a Sara Errani, che si è qualificata agli ottavi dopo aver annichilito le resistenze dell’ungherese Agnes Szavay, n.11 del torneo, In due set 6/0,6/3. «È stata una gran bella partita»,ha sussurrato a fine match la tennista azzurra. Che ha poi aggiunto: «Sono concentrata e ho portato a casa il match. Battere facile la n.15 del ranking è una grandissima soddisfazione…..
Papà Bartoli «Marion è forte solo grazie a me»

(“Il tennis è uno sport di osteopati, agenti, manager e massaggiatori”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 14-05-08

ROMA - Ma papa non ti manda sola. Non nel tennis. Non papa Walter Bartoli, che prende il testimone dai famosi Graf, Sabtini, Capriati, Dokic e Williams. Anche lui unico, diverso, ma convintissimo e vincente, fino a portare la sua Marion al numero 9 del mondo due anni fa, con 3 titoli Wta e l’onore della finale a Wimbledon 2007. Anche lui così protettivo, con la pioggia (come ieri per tutta la giornata degli Internazionali Bnl d’Italia) o con il sole (che è annunciato solo da domani) : «Perché queste atlete restano comunque ragazze che, finita la partita, si ritrovano magari da sole, magari dall’altra parte del mondo, magari infortunate o deluse per una sconfitta, e devono avere accanto qualcuno di cui hanno totale fiducia». Stregone Papa Bartoli ha iniziato la figlia al tennis a 6 anni, da medico generico: «Ho studiato la tecnica con l’INSEP, l’Istituto francese dello sport e dell’educazione fisica, e il resto l’ho appreso strada facendo, insieme a Marion. Ma partivo avvantaggiato: diventare coach di tennis è molto difficile senza avere cognizioni di preparazione fisica, fisiologia e psicologia, io queste cose le conoscevo già. E ho imparato a farle funzionare tutte, insieme alla tecnica. Perché altrimenti, senza una cosa, danneggi l’altra». Dal 2000, d’accordo con moglie e figlioletto, ha lanciato la scommessa firmando subito Orange Bowl e Us Open juniores. «Prima ho dato credito a 3 tecnici e a 3 preparatori fisici di nome, e con nessuno ha funzionato. Il tennis è pieno di osteopati, agenti, manager, massaggiatori: specialisti sulla carta che in realtà non hanno conoscenze. Allora ho lasciato il lavoro — tanto potrei riprenderlo quando voglio—e ho cercato di aiutare io mia figlia. Come altri padri e madri, che non si fanno manipolare». Errori Papa Bartoli ha studiato la muscolatura di Marion: «Che non è un’atleta nata come Dementieva, Serena Williams, Sharapova o le due serbe, Jankovic e Ivanovic, e quindi deve lavorare di più e in modo più continuativo di altre». Federtennis Ha rotto i ponti con la potente Federtennis francese, ed è diventato lo zimbello del Tour, con allenamenti condotti facendo servire Marion con scarpe rialzate, oppure correndo coi pesi, o ancora giocando con una racchetta più pesante: «Ammetto, ho cambiato molte volte, ho fatto errori, ho anche causato un infortunio a mia figlia al polso. Ma è stato l’unico. E a differenza di me, quale famoso allenatore ammetterà di aver sbagliato? Quale giocatrice si fermerà davvero, come ha fatto Marion davanti al calendario folle di quest’anno che, con l’Olimpiade e la Fed Cup, è un’istigazione al doping? Medicalmente è impossibile e mia figlia ha detto no». Un pazzo, l’ennesimo padre-padrone? «No, per niente. La Bartoli è veloce ed ha qualità, ma ha dimostrato disciplina e ha fatto risultati», risponde Daniel Panajotti, il coach argentino di Francesca Schiavone che, sull’ignoranza dell’ambiente potrebbe scrivere un libro di barzellette. Come tanti altri.

Bel gioco e mobilità la rinascita della Vinci

(Il dilemma dei teloni romani)

Rino Tommasi, la gazzetta dello sport del 14-05-08

A congiurale contro l’edizione femminile degli Internazionali, già sacrificata dall’infelice sequenza che la colloca dopo quella maschile, ci si è messa ieri anche la pioggia che negli ultimi anni aveva dimostrato molta comprensione per il tennis. L’acqua ha inevitabilmente riaperto l’antica polemica sull’uso dei teloni che al Foro Italico vengono stesi durante la notte ma non vengono utilizzati di giorno anche quando sembrerebbero utili. Gli organizzatori sono convinti che i teloni, almeno quelli in dotazione, peggiorerebbero la situazione facilitando la formazione di pozze più difficili da eliminare nelle operazioni di ripristino. In realtà per essere davvero utili i teloni dovrebbero essere sistemati come a Wimbledon, dove sono stati obbligati a trovare soluzioni ottimali. Nel poco tennis che la pioggia ci ha concesso ieri c’è stato fortunatamente il tempo per la promozione al secondo turno di Robertina Vinci, la nostra specialista del doppio e dell’erba. Di fronte alla giunonica Kaia Kanepi, numero 49 in classifica, la Vinci ha ottenuto una vittoria molto utile per il morale e per la classifica. Una serie di infortuni (spalla, ginocchio) l’hanno fatta precipitare al numero 156 (due anni fa era 37) ma la brindisina non si è persa d’animo. Ieri, dopo due set piuttosto equilibrati, ha imposto la sua maggiore varietà di colpi e, la sua mobilità! Ora trova la Radwanska, dodicesima testa dì serie, ma intanto un primo passo è stato fatto.

Molti rovesci di acqua ma Vinci non scivola

(Roberta: “voglio tornare più forte di prima”)

Andrea Antognoni, E-Polis del 14-05-08

A un certo punto la sala stampa trema sotto i colpi violentissimi della pioggia, che penetra dai punti deboli della tensostruttura allestita per i giornalisti. Siamo neanche alle 17 ma il messaggio è chiaro: il maltempo sarà il protagonista assoluto della seconda giornata degli Internazionali femminili. AL FORO ITALICO concludono, a fatica, appena quattro partite su 13, tra cui quella, vittoriosa, di Roberta Vinci. Poi tutti a ripararsi, in attesa di proseguire. Non si proseguirà più. In serata, quando l’acqua concede una tregua, si capisce che rimettere a posto i campi in tempo è impossibile. E figuriamoci se Venus e Serena scenderebbero in campo in simili condizioni. Le due sorellone debutteranno allora oggi, in un programma che prenderà il via alle 11 (con Pennetta e Garbin rispettivamente contro le ucraine Savchuk e K-teryna Bondarenko) e che vedrà in campo, tempo permettendo, anche le attesissime Ana Ivanovic e, alle 20.30, Maria Sharapova. A illuminare la giornata di ieri, per i colori azzurri, è stato il bel sorriso di Roberta Vinci. La pugliese, otto mesi dopo l’intervento al ginocchio, sì è qualificata al secondo turno battendo l’estone Kanepi. Un match complicato per la 25enne Vinci, contro un’avversaria che ha tenuto duro nei primi due set (6-4, 4-6) per poi crollare nel terzo, vinto a zero dall’azzurra. «Aver superato un turno dopo l’intervento per me è già tanto, sono contentissima», ha detto la Vinci. Ottima doppista, e italiana anomala perché molto più a suo agio sul veloce che sulla terra, la Vinci è precipitata al numero 156 a causa del lungo stop. E ora che è pronta a ripartire, confessa di sentirsi un po’ miracolata: «Durante la riabilitazione, quando ho ripreso a giochicchiare ho avuto sensazioni disastrose: io mi sentivo pesante, il campo lo vedevo enorme e la palla non la sentivo più. Mi sono detta “qui non gioco più”. Se ce l’ho fatta devo dire grazie al mio allenatore, alla famiglia e al mio ragazzo». Per rivedere la Vinci del 2006 - terzo turno a Melbourne e vittoria in Fed Cup - la strada è ancora lunga. Ma a Roberta la grinta non manca: «Sono ancora al 60 per cento ma voglio tornare tra le prime 50 del mondo. Anzi spero di superare il numero37, che è il mio best ranking». E c’è spazio anche per un messaggio a Barazzutti: «Spero che mi riconvochi per la Fed Cup». Domani, dopo Pennetta e Garbin, che in caso dì vittoria in mattinata giocheranno il secondo turno nel pomeriggio, in campo anche la stessa Vinci, Francesca Schiavone e Sara Errani.
Ragazze spente solo la Schiavone riscalda Roma

(Prima giornata del femminile molto moscia)

Gianni Clerici, la repubblica del 13-05-08

Desolante. Seguito al brillante Torneo della Mutua, con i suoi feriti, ma anche trapunto di sorprese, match interessanti, tennisti nuovi o quasi, l’avvio del femminile mi ha costretto ad affrontare un pomeriggio di vivissimi rimpianti per le mancate visite a Renoir e Sebastiano del Piombò. Non era accaduto spesso che un innamorato di tennis quale sono si rivolgesse a un amico addirittura maniaco come Tommasi, sussurrandogli, a microfono spento: «E adesso, che diciamo?». Giungeva, la risposta, insieme ad un gesto di impotenza, i palmi delle mani levati al ciclo: «Io dico il punteggio». Di fronte ai nostri schermi visitati con disperati zapping passavano le immagini di ripetuti singolari in cui le protagoniste si distinguevano soltanto per i colori degli abitucci, o qualche singolare capigliatura. Giocavano, queste giovani e giovanissime protagoniste, quasi fossero state prodotte in laboratorio. Un servizio privo di stravaganti rotazioni veniva ribattuto da un diritto arrotato, oppure da un immancabile rovescio bimane. E, a quei primi due tiri, non facevano che seguirne altri esattamente identici, sinché una delle protagonisti non destinasse la palla in rete oppure oltre la riga di fondo. Per non cadere in depressione, mi sarei allora rivolto al mio senso patriottico, cercando di trovare identificazioni estranee alla tecnica, all’estetica. Nel mezzo del Centrale deserto si ergeva nel suo metro e ottantacinque l’amata Mara Santangelo, la tennista da me scoperta in un indimenticabile match con incluso set point di fronte a Justine Henin sul Campo Rod Laver, a Me-bourne. Retrocessa dal numero 27 mondiale, Mara, ad un impresentabile 103, causa una insolita, duplice presenza di un osso nella pianta del piede. E a conseguenti atroci infiammazioni, dette edemalinfatico, tali da scoraggiare qualsivoglia deambulazione. Non era certo in grado, la nostra convalescente, di impegnare un’atleta in salute quale l’ucraina Alona Bondarenko. Ma il deprimente pomeriggio si rischiarava, all’idea di rivedere Mara, quantomeno, tra le partecipanti ai futuri tornei. Altra delusione sarebbe giunta da Karin Knapp, altra nostra bambina annunciata in progresso, sommersa da una delle cento biondone dell’est, Olga Govortsova. Ma , nel mentre disperato pensavo di rivolgermi a Viva Radio2, nel cui programma la Pennetta aveva ottenuto vivo successo, ecco giungermi in aiuto Francesca Schiavone, la Leonessa. Di nuovo ruggente, contro una tipa presuntuosa la sua parte, testarda nel tentativo di colpire ad ogni palla un winner: la boema Lucie Safarova. Non piccolo conforto, l’amata Leonessa, di una giornata talmente negativa da esser certi che non possa essere ripetuta.

Sharapova e Ivanovic insidiate dalla Vives

(Che cosa non si farebbe per i soldi)

Piero Valesio, tuttosport del 13-05-08

ROMA, Se vi aspettavate che in questa sede si sarebbe riferito di Maria Sharapova e Ana Ivanovic, della loro lancinante e diversissima bellezza, dovrete avere un po’ di pazienza. Perche prima bisogna citare Nuria Llagostera Vives. Non certo perché la simpatica spagnoletta, capace di conquistare uno dei punti che hanno costretto l’Italia di Fed Cup allo spareggio salvezza, possa rivaleggiare con le divine (con buona pace di Suzanne Lenglen, l’unica che nel mondo del tennis possa fregiarsi della «D» maiuscola) sul piano del glamour ma piuttosto perché ha, indirettamente, lanciato loro una sfida. Loro sono belle, ricchissime, inseguite, con un presente e un futuro nella moda? E io che non ho nessuno che mi insegua per fermi firmare un contratto di sponsorizzazione, ebbene io mi spoglio. Del tutto. Sulla rivista spagnola «Interviù» è stata infatti pubblicato un servizio fotografico con la simpatica Nuria come mamma l’ha fatta, circondata da palline. Lo scopo? La Llagostera fa parte di quel gruppo di tennisti più o meno «oscuri» di cui nel maschile Davydenko e Karlovic sono i simboli: atleti che si dannano l’anima e che non hanno uno sponsor. «Chissà se adesso qualcuno mi noterà» ha detto Nuria. REGINE Avesse visto le regine del tennis accolte per l’appunto da regine al momento della loro apparizione ufficiale al Foro, ieri pomeriggio, forse un po’ di’ sana invidia l’avrebbe provata. La bionda e la bruna sono arrivate dopo qualche giorno di soggiorno romano durante il quale l’una, la bionda, ha girato uno spot dedicato alla promozione del prossimo Master donne di Doha; l’altra, la bruna, è andata in giro per Roma a piedi e in carrozzella come una Audrey Hepburn qualunque ma senza Vespa e senza Gregory Peck. La bruna è di una simpatia naturale ed è pure più longilinea rispetto all’anno scorso («Se ho perso chili? Non sono domande da porsi ad una ragazza…Comunque, se proprio ci tenete, ho lavorato tanto e può darsi che abbia guadagnato muscoli a scapito di un po’ di…rotondata». La bionda è in piena fase di autopromozione: frangetta alla Caterina Caselli e avvolta da veli vezzosi bianchi e neri ha deciso di scongelare la sua immagine: «Sono stata a letto malata 5 giorni e solo da una settimana sto bene: ma penso che l’Italia sia un paese straordinario e esserci mi fa molto piacere». GLAMOUR Anche la bruna si è concessa all’occhio delle macchine fotografiche e delle cineprese, davanti al Pantheon. «A me vivere in Europa piace e poi non vorrei mai andare troppo lontano dalla Serbia, dalla mia famiglia. Certo qui adesso sarà dura per me, dopo che Djokovie ha vinto: ma so che mi volete bene e forse mi darete una mano». Ana è arrivata in semifinale a Berlino la settimana scorsa: una faticacela. «Imparare a muoversi bene sulla terra è durissimo: alla fine del torneo provavo dolore a tutti i muscoli. Ma adesso sto bene e sono pronta». Le elezioni in Serbia, Ana? «Non voglio farmi coinvolgere dalla politica». Le Olimpiadi, Maria? «Sarà bellissimo andarci. Da bambina mi sono svegliata più volte all’alba per guardare la cerimonia d’inagurazione. Il villaggio olimpico? Non so se ci andrò». Non esageriamo, perbacco. VITTORIA In sintesi: Maria Sharapova, testa di serie a2 degli Internazionali d’Italia, n.3 del mondo, vincitrice di tre prove dello Slam, giocherà domani contro la vincente di Dulko-O-bulkova. Ana Ivanovic, testa di serie alla Roma, 2 del mondo, finalista l’anno scorso al Roland Garros, giocherà domani contro la vincente di Zakopalova-Pironkova. Nuria Llagostera Vives, n. 84 del mondo a Roma non c’è e per trovare uno sponsor si è fatta fotografare nuda. Nel giorno delle bellissime ha vinto lei che bellissima non è: ma coraggiosa sì.

Pennetta tra Fiorello e baby fans

(Che sorrisi per Flavia)

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 13-05-08

ROMA «Ma come fai ad essere sempre cosi bella?». Mentre le regine Ana Ivanovic e Maria Sharapova si contendevano i flash dei fotografi, Flavia Pennetta da Brindisi si immergeva nel bagno di. entusiasmo dei piccoli fan del Foro Italico. Per loro la più bella e la più brava è, senza ombra di dubbio, la numerò 2 del tennis azzurro. «Altro che quelle stangone — sembravano dire — a noi ci piace Flavia e la sua bellezza tutta italiana». Ostacolo Nel secondo match in programma oggi sul Pietrangeli la Pennetta farà il proprio esordio negli Internazionali d’Italia 2008. Dall’altra parte della rete la lucky loser ucraina Olga Savchuk, dopo il forfeit della slovena Srebotnik che ha lamentato una gastroenterite. Flavia è reduce da un ottimo inizio di stagione: ha vinto due tornei sulla terra rossa, a Vina del Mar ed Acapulco, e a Roma vanta un quarto di finale, nel 2006, sconfitta solo dall’ex n.l del mondo Martina Hingis. La vigilia della sua prima uscita è stata all’inségna del sorriso: prima con la visita a Fiorello negli studi di «Viva Radio 2» e più tardi con il simpatico abbraccio dello «Young Village», l’iniziativa rivolta ai giovanissimi partecipanti al Foro che ogni giorno hanno l’opportunità di palleggiare con i loro idoli. La Permetta, in un eventuale secondo turno, avrebbe ad attenderla la vincitrice in carica Jelena Jankovic: «Ma non ci penso, è presto…». Flavia ama Roma e gira voce che, appena possibile, adori tuffarsi su un piatto di carbonata. Magari, fra qualche giorno per festeggiare qualcosa» Le altre Insieme a lèi, oggi fanno la loro prima uscitala corregionale, bandiera del Tc Parioli Roberta Vinci (nel match che apre il programma del Centralino affronta ; l’estone Kaia Kanepi) e la mestrina Tathiana Garbin (attesa dalla. più giovane delle Bondarenko, Kàteryna). La Garbin, che non aveva partecipato a Italia-Ucraina di Fed Cup, andata in scena qualche settimana fa a Olbia, non ha mai affrontato in precedenza l’ucraina, numero 51.Wta. Nel programma odierno ci sarà l’esordio della testa di serie n.8 Marion Battoli, della bella ceca-Nicole Vaidisova (contro la russa Makarova) e della vincitrice dell’edizione 1999 Venus Williams (contro l’australiana. Stosur). il match clou serale del Pietrangeli è affidato a Serena Williams e alla maggiore di casa Bondarenko, la numero 24 del mondo Alona.
Djokovic, trionfo a Roma pensando alla sua Serbia

(“Nole” veramente un gran bravo ragazzo)

Gianni Clerici, la repubblica del 12-05-08

La finale maschile è appena finita, e come previsto da tutti quanti abbiano un minimo di dimestichezza col tennis, Novak Djokovic non ha potuto fare a meno di vincerla contro un onestissimo ragazzo privo di talento qual è Wawrinka. Ho appena percorso le scale della gabbietta televisiva che mi ferma un aficionado, uno di quelli che seguono tutto, e spesso ne sanno più di me. «Mamma mia, che torneo- esclama, per aggiungere e che finale noiosa». Lo guardo, e mentre mi affretto a dargli ragione, richiamo dal deposito degli oggetti smarriti qualche vecchio ricordo. Uno di questi mi consegna l’immagine di un piccoletto che pare preoccupatissimo del rovescio tanto cerca di evitarlo per accanirsi in un gesto di vetero-arrotata: faticosamente mi sovvengo del nome Jimmy Arias che da numero tredici o quattordici del mondo riuscì a sconfiggere quel soporifero tennista di Pepe Higueras, ora consulente di Federer. Mi dico quindi, come quel prelato molto critico col Re di Francia Enrico Quarto, e giustamente punito, che non si possono sempre gustare pernici. Dopo tutto lo stesso pubblico, fittissimo e civile, è parso soddisfatto dello spettacolo, tanto da applaudire ritmicamente entrambi gli attori, tra uno scambio e l’altro, come ci hanno insegnato, via televisione, scandinavi e anglosassoni. I giocatori, Novak Djokovic e Stan Wawrinka, sono parsi, in realtà, dignitosissimi, anche se il vincitore, il serbo, era meno creativo del solito: tanto da rifiutare, alla fine, la sua solita irresistibile imitazione, richiestagli dalla Signora Pericoli. Aveva iniziato, Novak, seguendo un curioso schema tattico nel quale primeggiava la smorzata. E sembrava, al contempo, dimentico dell’utilità di attaccare quei tiri dello svizzero che cadessero nel rettangolo di battuta. Per canto suo Wawrinka veniva messo in grado di esibirsi nel suo colpo nativo, quel rovescio ad un mano di gran lunga migliore di un diritto che si sarebbe via via dimostrato falloso: un po’ troppo falloso per sperare di condurre a lungo il match. La connessione tra simili accadimenti avrebbe fatto sì che Stan riuscisse abbastanza serenamente nella conquista del primo set. Un set che, in fondo, sarebbe parso doveroso assegnare allo svizzero ai tempi delle partite ad handicap. Ma, dopo quell’incerta ora d’avvio non era difficile intuire che Novak era lontanissimo dall’idea di mancare la sua terza vittoria in un torneo Semi-Slam. Pian piano, il suo gioco prendeva consistenza, i suoi schemi si facevano articolati, e la maggior lucidità lo spingeva a non evitare qualcuna delle discese a rete che molti tiri corti di Wawrinka sollecitavano. Non mi pareva ancora, Novak, al suo meglio, simile al tennista che avevo ammirato nel corso dello Australian Open. Mala partita era ormai risolta, ancorché mancasse una buona mezz’ora alla cerimonia finale della consegna dei premi. Nella successiva conferenza stampa, saremmo anche venuti a sapere che, all’avvio di questa per lui memorabile giornata, Novak aveva svolto il suo dovere di buon cittadino, recandosi a votare, all’ambasciata, in favore degli europeisti di Tadic. Una notizia che conferma la sua lucidità anche fuori dal campo. Non rimane che augurargli altri successi nella futura qualifica di cittadino europeo.

Dentoni, fuga da Beirut in taxi sfuggendo agli Hezbollah!

(Cosa si è disposti a fare per giocare a Roma)

Pasquale Di Santillo, il corriere dello sport del 12-05-08

ROMA - Il confine tra coraggio e incoscenza lo traccia sempre la possibilità di raccontare gli effetti dell’utilizzo di questa virtù dell’anima. Di certo, a Corinna Dentoni, una delle giovani promesse del nostro tennis femminile, non fa difetto. E’ uscita in fretta e furia dall’inferno di Beirut sfruttando il passaggio di un taxi, arrivando dopo un lungo giro a Roma, dove ieri è uscita nel tabellone delle qualificazioni femminili con la ceca un set (il primo, 6-0 ndr) poi mi sono mancate le forze……Per capire meglio, un passo indietro: la storia di Corinna, toscana di Massa Carrara, inizia il primo venerdì di maggio quando arriva a Beirut per un torneo da 50.000 dollari di montepremi. Passa il primo turno, poi perde al secondo. Nel frattempo la situazione di Beirut si fa caldissima: «Abbiamo cominciato ad avere notizie preoccupanti, ma pensavo si trattasse di qualcosa di superabile. Quando ho visto tornare indietro delle nostre amiche perché l’aeroporto era stato chiuso, ho capito che la situazione si faceva complicata». Alternative? «Gli organizzatori parlano di allestire un pullman per portarci tutti in Siria. Il progetto tramonta presto perché arriva la notizie che sono state chiuse anche le frontiere». Con i rumori di battaglia che si sentono in lontananza, Corinna non si perde d’animo e trova un’altra soluzione, mentre l’amica Nicol Clerico è ancora in attesa di prendere la nave che la riporti in Italia: «La Farnesina consigliava di non muoversi, le frontiere sempre chiuse ma io volevo andare a Roma. Cosi troviamo un taxi e con Stefano Panni, il mio allenatore, una giocatrice austriaca e la mamma partiamo. Dovevano essere sei ore di viaggio, ma nel tragitto ci dicono che hanno riaperto le frontiere. L’autista andava ai trecento all’ora per paura. E dopo un’ora e mezza e quattro posti di blocco degli Hezbollah siamo in Siria, tra una pila di gomme incendiate. Da Damasco aereo per la Giordania e poi subito un altro per Roma dove sono arrivata sabato pomeriggio. Ai miei genitori ho raccontato tutto all’arrivo. La sconfitta? “A Beirut avevo mangiato qualcosa che mi aveva fatto male”. Beata gioventù!

A Roma trionfa Djokovic “Diventerò il numero 1″

(Novak trova il tempo anche per andare a votare per la sua Serbia)

Egizio Trombetta, metro del 12-05-08

Settantottesima edizione degli Internazionali d’Italia, in un torneo maschile purtroppo falcidiato dagli infortuni (ben cinque ritiri), è il serbo Novak Djokovic a prevalere. Ventuno anni, numero 3 del seeding, vincitore degli ultimi Australian Open, “Djoko” ha sconfitto in finale la rivelazione del torneo, lo svizzero Stanislas Wawrinka 4-6 6-3 6-3. Ma nel primo set il serbo si è trovato praticamente spalle al muro «Lui ha meritato di essere arrivato in finale - sottolinea - sarà presto un top-10, io però diventerò il numero uno al mondo». Prima di vincere Djokovic ha avuto anche il tempo di raggiungere l’ambasciata e votare (in Serbia si tengono le elezioni politiche). Da oggi spazio alle donne, occhi e speranze puntate sulla numero uno italiana Francesca Schiavone che se la vedrà contro la ceca Lucie Safarova.

Più medici che tennis Roddick e Stepanek ko

(“Il vecio scriba”, è meglio darsi alla poesia per descrivere la bellezza di Gabriela Sabatini)

Gianni Clerici, la repubblica del 11-05-08

Rimarrà questo Rometta Open 2008, nella storia del tennis grazie allo straordinario doppio ritiro nelle semifinali. Si è infatti ritirato Andy Roddick, causa un colpo della strega al dorso. Non contente, le divinità infere scacchiate dal campo dei Crampi si sono ripetute, questa volta con Stepanek, vittima di una congestione da colpo di sole, secondo il Dottor Di Giacomo. Mentre inizio a sfiorare i tasti, tutti i colleghi assediano Luca Marianantoni un nipotino di Rino Rommasi, i massimi statistici mondiali. Vogliono sapere, i volonterosi scribi, se mai simile fenomeno sia accaduto nei tornei dello Slam, e in quelli che chiamerò Semi-Slam. E, dalle profondità del suo computer, Marianantoni ci assicura che è questo, dei due ritiri, un record mondiale. Fiero di questa nuova prodezza negativa di un paese in cui San Francesco sembra travolto, per non parlar di San Gennaro, mi domando se sia il caso di sottrarre qualche riga al Giro d’Italia, o all’Inter, o alle automobiline da corsa. Ma inatteso, ecco giungermi un invito per un ricca cena, nel corso della quale verrà consegnato un premi do una specie di Halle of Fame romana, premio ambitissimo chiamato La Racchetta d’Oro. Gli eletti sono due, e di grande classe, Gabriela Sabatini e Manolo Santana. Di Gabriela quasi tutti gli afìcionados ricordano non solo il talento ma le grazie. Benedetta da un solo Slam, per una battuta molto inferiore al sex appeal, si sentiva tanto di casa a Roma da non stupirsi per striscioni inalberati sul Centrale, in cui il territorio veniva ribattezzato Gabyland. Non era soltanto di origine da San Severino, nelle Marche, ad assimilarla a noi: era anche la bellezza totale, l’attrazione alla quale nessun spettatore, e più di una spettatrice: non riusciva a sfuggire . Ebbi io stesso la fortuna di esserle vicino più di una volta, nel corso delle sue affermazioni, tanto che, sapendomi anche poeta (vedi “Postumo In Vita”, uno dei miei insuccessi) ebbe a chiedermi di dedicarle qualche verso che celebrasse la sua fine di carriera. Mi pare questa, priva di tennis giocato, l’occasione per riferirne alcuni. «Oh caro cul che tra do collinette/in circolo ti xe tondo e perfetto/Un vaso ti me par pien de zibetto/messo in conserva in quelle to gaspette/ti me par un melon taggià in do fette/Che vegna anca el più celebre architetto/per dio che noi può far più bel grappette che con natura l’arte se ne mette/O caro culo o macchina perfetta. Ed eccone una seconda: «Oh che tett! Oh che ciapp plus quam perfett! Collogaa a voeuna a voeuna de par lor/Sald al post, senza zent, senza farsert/che parean fa da tornitor”. E si potrebbe forse continuare, non dovessi dedicare ammirata attenzione anche a Santana, dopo aver confessato che quei versi alto dialettali non sono certo miei, ma dei grandi scribi Giorgia Baffo e Carlo Porta. Manolo dunque, sui qui ci mas grande de Espana, incluso anche il bravissimo Nadal. Sorta di fratello piccolo di Nicola Pietrangeli, suo avversario nella - per me - indimenticabile finale di Roland Garros. Quella che impedi al nostro eroe di conquistarne tre, di consecutivi Campionati di Francia. E, di nuovo, nel 1964. Inventore, Manolo, del lob liftato, colpo fine mai immaginato, quasi impossibile da eseguire con le racchette di legno e il loro sweet spot grande quanto un’arancia. Capace, Santana, non soltanto di essere il primo sulla nativa terra rossa, che l’aveva visto raccattapalle (oh yes), ma di incantare tutti anche sull’erba di Wimbledon, e su quella di Forest Hill. Non vinse Santana, solo sul cemento, perché fortunatamente quello schifo di superficie non esisteva, e non massacrava i tennisti, come succede ai nostri tempi.

Roma, sabato nero «Si gioca troppo»

(Troppi infortuni, solo sfortuna o c’è qualcos’altro?)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 11-05-08

ROMA Non nascondiamoci dietro un dito, il sabato nero degli Internazionali Bnl d’Italia è il sabato nero di tutto il tennis, troppo fisico e troppo fitto di obblighi, sulla già dura terra rossa europea. E lo storico record negativo di Roma, 5 rinunce prima del via, 5 getti della spugna in corsa, più Nadal che è rimasto in campo per orgoglio, con 2 semifinalisti che alzano bandiera bianca — non è un caso, dopo i 23 abbandoni nelle ultime 4 settimane e i 43 di quest’anno, ma è il record negativo di uno sport con i cerotti. Braccio di ferro Cosi suggerisce il grande favorito della finale di oggi, il sopravvissuto Novak Djokovic, il n. 3 del mondo che negli ultimi 2 match ha giocato appena 15 game: «Nello sport può succedere di tutto, ma Roma è un’altra conferma che la stagione è dura, specialmente quest’anno con l’Olimpiade, Non critico nessuno, ma tutti noi giocatori siamo scontenti della programmazione di quest’anno e non,è che ci infortuniamo senza motivo. Dobbiamo cercare tutti insieme di rendere il nostro sport più popolare e migliore lavorando per il meglio. E’ molto importante salvaguardare la salute degli atleti e non scontentare il pubblico». Così non concorda il re degli organizzatori, Ion Tiriac, nel ricordare i tempi eroici quando lui giocava con i piedi sanguinanti per le vesciche: «II giocatore, o meglio il suo manager, deve scegliere, non può giocare tutto. Contesto che ai nostri tempi, in campo, ci mettevamo meno energia, ma giocavamo meno». Così non concorda l’Atp Tour che, ai primi 50 del mondo, impone almeno i 4 Slam, i 9 tornei Masters Series, 2 International Gold Series, ed eventualmente il Masters (si possono saltare 2 Masters Series, ma con zero in classifica). E che quest’anno ha compresso il trittico sulla terra rossa Montecarlo-Roma-Amburgo fra il 21 aprile e 18 maggio. Stress Strappando strappando, Bum-Bum Andy Roddick è destinato a rompersi. E infatti, dopo tutto quel flettere ad arco la schiena per sparare servizi a 200 e passa, e quel torcersi di spalle per picchiare ogni palla, si becca una contrattura nella parte alta della spalla sinistra, dopo solo tre game della semifinale, promuovendo lo svizzero di riserva, Stanislas Wawrinka fra i primi 10 del mondo. Andy: «Peccato. Finalmente, sulla terra, mi sentivo a mio agio nel mix fra gioco da fondo e discese a rete. Sapessi rifarlo ogni settimana…». Per «A-Rod», i ritiri di Roma sono «coincidenze». Ma, saltando lui all’improvviso, nei 27 gradi con il 37% di umidità del centrale del Foro Italico, a Radek Stepanek, più che Roger Federer battuto venerdì, sono rimasti forse sullo stomaco la pasta e gli straccetti ai piselli ingoiati poco prima. Anche se lui fa sapere: «Sono dispiaciuto, soprattutto per il pubblico, ma non sono riuscito a concludere il match. Mi sono sentito male già dopo l’allenamento della mattina, e durante il match sono stato sempre peggio». Coincidenze di certo è andato talmente in tilt, sotto il grandi-, nare di passanti e risposte di Novak Djokovic, da mandar giù a forza un 6-0 1-0 e ritirarsi dopo una mezz’eretta nella toilette degli spogliatoi. Anche per il medico del torneo, Giovanni Di Giacomo, sono coincidenze: «D’accordo col giudice arbitro, ho imposto la fine dell’incontro. Il giocatore accusava una sindrome da sovraccarico con nausea, crampi allo stomaco e debolezza. Ha vomitato subito tutto, poi è rimasto sotto endovena monitorizzato per qualche ora. E’ stato un caso fortuito, come per Roddick». Tutto è talmente straordinario che chi presenta la matrice del biglietto delle semifinali maschili avrà lo sconto del 50% sui tagliandi del torneo femminile che scatta domani.

Nel tennis che spacca vince chi sopravvive

(43 ritiri da inizio anno ad oggi)

Stefano Semeraro, la stampa del 11-05-08

Adesso che non c’è più lo «stadio dei crampi», il penultimo, scomodissimo centrale del Foro Italico, a Roma si spaccano i giocatori. Cinque ritiri nel torneo, gli ultimi 3 fra venerdì sera e ieri pomeriggio. Le semifinali non sì sono praticamente giocate. Prima Roddick bloccato dal colpo della strega dopo due giochi con Wawrinka, poi Stepanek congestionato sul 6-01-0 per Djokovie. Appena uscito dal campo Radekc ha vomitato gli spaghetti al sugo e gli straccetti ai piselli che sì era (incautamente?) mangiato un’ora e mezzo prima ed è finito sotto flebo negli spogliatoi. «Sindrome da sovraccarico», dice Giovanni Di Giacomo, da 14 anni medico degli Internazionali. Il caldo (ieri 27) e l’umido teverino non aiutano, ma non sono i veri killer. Nei turni precedenti ci avevano rimesso la salute Del Potro (schiena), Gonzalez (adduttori) e Almagro (il polso, nel quarto contro Djokovic). Al bollettino ospedaliere si possono aggiungere poi la vescicona-canyon di Nadal, il ginocchio Swarowsky di Volandri, i 5 forfait della vigilia. Un grande torneo senza semifinali è un inedito nell’era Open, ma Roma non è che l’ultimo lazzaretto della serie nera 2008:23 ritiri nelle ultime 4 settimane. A perderci sono anche - soprattutto - gli spettatori, che ieri si sono dovuti accontentare di 52 punti giocati. Chi vorrà potrà ottenere b sconto del 50 per cento per il torneo femminile. Grama consolazione. Di chi è la colpa? Di un’associazione a distruggere. Sicuramente il calendario-garrota denunciato da Nadal pesa, specie per la stagione su terra, che quest’anno è stata compattata eliminando una benefica settimana di stop. Negli Anni 50 e 60, poi, si giocava anche di più, ma su superfici meno traumatizzanti (erba, terra rossa) rispetto al cemento. E soprattutto a velocità molto più basse, con poco stress e una tecnica infinitamente meno devastante per le articolazioni L’unico vero infortunio professionale e cronico era al gomito, mentre oggi «questi ragazzi di cronico hanno un po’ tutto», spiega Di Giovanni «Sa di toro conservo dei report clinici alti così. Spalla, schiena, specie la zona lombo-sacrale, e caviglia sono i bersagli più comuni Si preparano al meglio con training, dieta, medicina sportiva, ma negli ultimi 5 anni i carichi di lavoro sono aumentati moltissimo, e il corpo finisce per usurarsi. Non c’è prevenzione che tenga». I tennisti però non sono solo vittime. La regola Atp impone ai top-50 di giocare un minimo di 15 tornei (Slam, Master Series, due Gold series), molti spesso si fanno ingolosire dai danè. Nadal, ad esempio, nel 2007 ha giocato 20 tornei Atp (Davydenko 30!), più una competizione nazionale e varie esibizioni. Troppo, secondo il manager ed ex davisman romeno Ion Tiriac: «La mia generazione era diversa, io persi una finale al quinto set con il sangue che faceva cic-ciac nelle scarpe. Giocare tanto può a volte favorire gli infortuni, ma allora basta fermarsi, scegliere. Servono buoni consiglieri. Uno come Nadal dovrebbe limitarsi ai grandi tornei. Se vuole infilarci dentro anche Barcellona, non deve poi lamentarsi troppo». Chi ricucirà il tennis?
Federer, brutto colpo lezione da Stepanek

(Roger insicuro: “non so cosa mi sia successo nel tie-break del secondo set”)

Vincnzo Martucci, la gazzetta dello sport del 10-05-08

ROMA «Solo 6 dei 9000 testimoni oculari in tribuna avevano scommesso contro Roger Federer allo stand Batter del Foro. E solo uno ha rischiato 10 euro vincendone 65, puntando contro, qui nei quarti degli Internazionali Bnl d’Italia. Gli altri, a parte il dandi quello strano tipo di Radek Stepanek, erano convinti che il re avrebbe portato a casa il successo in tre set, come aveva battuto il numero 27 del mondo le ultime 4 volte dei 5 confronti. E anche stavolta Roger fa più punti in tutti e due i set, ma li perde. Mononucleosi. Il re ha perso il primo tie-break, sbiellando troppi rovesci (alla fine saranno 17), accusando la pressione delle discese a rete del ceco dal gioco antico, arretrando sempre più dietro la linea di fondo. «Roger-Express» ha dovuto recuperare da 3-5 e poi da 4-5 con l’altro che ha servito per il match. Ma il fenomeno svizzero è anche arrivato fino al 5 -2 e poi al set point sul 6-5, e sembrava davvero vicinissimo all’ennesima impresa, spinto dai boati della folla a ogni punto e dai buhh calcistici all’avversario. Ma, al di là del set point fallito sbagliando un passante di dritto, Federer non è Federer dalle semifinali degli Australian Open di gennaio contro Djokovic. E alla fine ha perso in quasi due ore, con due tie-break. «E’ particolarmente lento, così come con Hidalgo a Montecarlo. Gli dura un giorno, il giorno dopo va veloce come prima», sottolinea la voce tecnica di Sky, Paolo Bertolucci. Quasi a indicare quell’anomalo gonfiore sullo zigomo del re per dire che la mononudeosi non è davvero debellata. Vulnerabilità Ii re è ferito, il re è dubbioso: «Non so se è stato soltanto il rovescio, ho fallito tante opportunità durante il match, ero avanti di un mini-break in tutti e due i tie-break, in genere quando è così non me li lascio scappare, stavolta non so cos’è successo. Non è stato lui, anche se ho sempre sofferto il suo servizio, ci ho già giocato in passato, sono stato io che dovevo giocare un po’ meglio, soprattutto sui punti importanti. Perciò è una dura sconfitta. Ma non significa che il servizio-volée sia il sistema per vincere Parigi». Personalità I k.o. di Pederer, già sei in 7 tornei del 2008, non fanno più scalpore. E fa male il re se pensa di poter cambiar musica fra Wìmbledon e Us Open, all’inseguimento dei 14 Slam-record di Sampras, perché rischia delusioni ancor più cocenti. Fa scalpore invece questo Radek Stepanek, attaccante classico servizio-volée, classe ‘78, passaporto ceco, amori celebri con le colleghe Mattina Hingis interrotto a un passo del matrimonio) e Nicole Vaidisova (ieri in tribuna a tifare per lui), tanti gesti strani anche provocatori in campo, con inno alla gioia finale che sembra un tuffo in piscina: «Così ho festeggiato il primo titolo Atp (a Rotterdam 2006), era piaciuto a tutti in un’esibizione a San Antonio, mi hanno chiesto di rifarlo, e ho pensato che fosse la volta giusta: non c’è niente di meglio che battere il numero uno del mondo davanti a uno stadio pieno, è una sensazione straordinaria».Segreto. Il mentore, Petr Korda, re di un Australian Open poi stoppato all’antidoping, festeggiava i punti facendo la bicicletta in aria. «A fine 2001 ho vinto 2-3 tornei di doppio, ma in singolare sono scivolato al numero 547, gli ho chiesto aiuto, e lui mi ha garantito: “Se mi ascolti, agli Us Open sarai in tabellone ed entrerai nei primi 70 del mondo”. Ho lavorato duro e ce l’ho fatta». Arrivando al numero 8 nel luglio 2006, sempre contro corrente: «Il mio stile si adatta a tutti i campi. E’ diverso da quello del 95, forse del 99% degli altri giocatori: io non corro sul fondo e tiro solo la palla di là. Cerco di creare, faccio servizio-volée, accorcio lo scambio, lavoro con la palla. E questa terra di Roma, che è sempre un po’ più veloce, aiuta il mio gioco aggressivo». Ma il segreto di «Steps» è un altro: «Divoro le biografie di atleti celebri, da Ali a Becker, e penso molto, sì, cerco sempre di pensare la cosa giusta. Ma da bambino, dovendo scegliere se seguire mamma, nella libreria dove lavorava, o papa, sul campo da tennis, ho scelto papa. E la mia scuola di vita è diventata la strada».


Addio Federer, sei vulnerabile

(Stepanek sceglie la tattica vincente)

Gianni Clerici, la repubblica del 10-05-08

Nella mia ammirazione non solo per il campione, ma per l’uomo Federer, avevo sempre sottaciuto un segreto noto a pochissimi, una specie di elementare abracadabra per inoltrarsi nei suoi segreti recessi, ed averlo di fronte indifeso da quella sua aura di presunta invulnerabilità. Non lo dicevo, sebbene me l’avesse chiesto più d’uno, da coach poco immaginosi ad avversari tanto soggiogati da divenir miopi, prima ancora che scorati. Anche oggi, all’inizio del suo match contro Radek Stepanek, che commentavo nell’ombra di Tommasi, ero rimasto muto, mi ero mantenuto sulle generali, non avevo indicato la tattica con la quale un buon giocatore di serve and volley, servizio rete, avrebbe potuto non solo mettere in difficoltà un Federer retrocesso alla normalità, ma addirittura batterlo. Quel Radek Stepanek, mi dicevo, è certo tipo intelligente, capace di tattiche, non solo di serve and volley ma di chip and charge, che in italia non si potrebbe tradurre taglia e attacca. Ma anche lui, come gli altri, non deve essersi reso conto dell’unica tattica possibile, non solo per mettere in difficoltà il Fenomeno, ma addirittura per batterlo. Battuto l’aveva, in realtà, un sola volta, ma nel lontano 2002, quando ancora Federer era una bellissima speranza, ma non l’invulnerabile. Erano poi seguiti altri quattro incontri, nei quali Stepanek aveva in tutto raccolto tre set. Nel corso di quelle partite, molto probabilmente, il boemo doveva tuttavia essersi convinto che un modo c’era. E si era deciso, proprio alla fine della carriera, ad una prova del nove. Ecco dunque che, al prime turno di battuta, Stepanek aveva preso a spingersi verso la rete apparentemente ignaro dei rischi che pareva comportare quella sua novissima tattica. Rischi immaginali, si erano d’un tratto resi conto tutti quanti non fossero soggiogati dai luoghi comuni di una quantità di esperti, per i quali la storia del tennis è iniziata al più da cinque o sei anni. Il presunto miglior giocatore di tutti i tempi pareva incapace di ribattere mezzo passante di rovescio, e non solo sulle prime avverse, ma sulle traiettorie composite dei secondi servizi, e gli attacchi di un ottimo Stepanek. Veniva in mente a chi avesse conosciuto Roger bambino la sua straordinaria disinvoltura nel servirsi di un grande diritto, di un velocissimo ritorno avambraccio polso, qualcosa di irresistibile. Ma anche si ricordava il lavoro artigianale al quale era stato costretto il suo primo allenatore australiano, Peter Carter, per costruirgli un rovescio fin lì inesistente. Simile rovescio Federer avrebbe via via appreso a colpire di contro balzo, nei giorni felici addirittura con una sorta di mezza volata. Un colpo non irresistibile, ma anticipato, utile nell’attesa di colpire con l’irresistibile punch di diritto. Deciso ad evitar disunire simili schemi, Stepanek aveva preso ad attuare un gioco d’attacco tradizionale, che a volte si trasformava addirittura in pressing. Riusciva così ad issarsi felicemente al tiebreak, nel quale Roger non era in grado di sfruttare un vantaggio di tre punti a uno. Non erano pochi ad aspettarsi un rovesciamento della vicenda nel secondo set, ma si vedeva, sin dal 3 a O per Stepanek, come ciò fosse impossibile. Il passante di rovescio di Federer continuava ad apparire casuale, velleitario, fragile. A questo punto, soltanto l’emozione, o la mancanza di fede, avrebbero potuto privare il boemo della vittoria. Ma Stepanek era il primo a sapere che stava giocando contro un campione curiosamente privo di passante. Un colpo che l’assenza di grandi attaccanti aveva, sin qui, permesso di ignorare. E anche nel secondo tiebreak il vantaggio di quattro punti a uno per Federer era presto vanificato. Addio.

Roma perde i pezzi: Federer eliminato e da Henin non viene proprio

(Stepanek, la forza dell’amore)

Piero Valesio, tuttosport del 10-05-08

ROMA. Avrebbe perso anche sul ghiaccio. La terra non c’entra. Roger Federer ha detto addio al titolo del Foro. Il giustiziere di turno è stato Radek Stepanek detto Dracula. Un vero indemoniato reso tale da una presenza in tribuna: quella di Nicole Vaidisova. Sua nuova fidanzala dopo Martina Hingis. Roger si arreso alla potenza dell’amore? Forse. Ha steccato l’insteccabile di rovescio. Dove Dracula l’ha martellato. Ha compiuto pochi miracoli. Si è fatto pressare a rete. Però, sotto di un set e 1-4, ha recuperato. Si è issato al secondo tic break. E’ andato avanti 5-3 e si è fatto riprendere. E’ andato 6-5 e ha fallito la palla set. Ciao Roger. «I miei problemi col rovescio? Cerco di eliminarli da dieci anni» dice lo sconfitto. Uno svizzero in semifinale c’è comunque: Stanislav Wawrinka che affronta Andy Roddick. Oggi partono anche le qualificazioni donne. In campo sette azzurre fra le quali la 15enne Camila Giorgi contro Jill Craybas. La simpaticissima Justine Henin non verrà a Roma. Perché è stanca, ha detto. E ha pagato i 20.000 dollari di multa.

Roma perde Bolelli e l’Italia

(Peccato Simone, ma il campione si sta facendo)

Stefano Semeraro, la stampa del 9-05-08

La macchina del tempo ieri Simone Bolelli è riuscito farla funzionare per un set, il primo contro Roddick. Il progetto era tornare a 12 mesi fa, alla semifinale di Filippo Volandri, magari anche ai fasti più antichi, visto che le rarissime uscite precoci di Nadal provocano sempre, nei sogni dei sopravvissuti, maree di speranza. Invece no, il crononauta Bolelli non è ancora scafato quanto servirebbe. Agli ottavi anche lui, l’ultimo dei 7 italiani in tabellone, è stato sputato fuori dagli Internazionali. Battuto, non bocciato. Contro il numero 6 del mondo ha cucito più stoffa, più gioco, lasciandosi scappare però punti decisivi Soprattutto nel primo set, il peggiore di Roddick. Avanti 3-1, Simone si è fatto riprendere al sesto gioco, scialando tre dritti, poi anche al tie-break non è riuscito a monetizzare un minimo teso-rette, 3-2 e due servizi, pagando anche un pizzico di sfortuna, il cattivo rimbalzo sul 5-5 che gli è costato il set point.
L’ultimo treno è passato nel secondo set, quando Simone ha rosicchiato due palle break insperate per riagguantare Roddick sul 3 pari, ma una almeno l’ha gettata malamente, di rovescio. L’americano, in versione semi-pallettaro, di suo ci ha messo il proverbiale servizio, e più calma, più cinismo, meno nervosismo. Non più tennis. Lo spiegano anche i numeri: 23 colpi vincenti a testa, ma 15 a 7 per Simone con il dritto - il dritto, contro Roddick - 7 a 2 con il rovescio. Andy ha piazzato però 8 ace e molti servizi vincenti, vinto il 79 per cento di punti (contro un misero 56 di Simone) con la prima di servizio, commesso ben 14 errori gratuiti in meno. «Bolelli ha tutti i colpi», ha ammesso Andy. Peccato che ne sbagli ancora qualcuno di troppo - dritti banali e dropshot avventati, quando la tensione lo mummifica. Non bisogna però pretendere troppo da Bolelli, che veniva dalla finale di Monaco, e che negli ultimi due mesi ha perso solo contro avversari meglio classificati di lui. Sta migliorando a vista d’occhio, lunedì entrerà fra i top-50 e soprattutto possiede gesti, intuizioni, personalità sul campo come in un tennista italiano non si vedevano dai tempi di Camporese, forse di Panatta. «Con Roddick ho scontato la mancanza d’esperienza - ha detto -. Anche se ormai ho capito di potermela giocare alla pari anche con i top-10. Nella pagella del torneo mi do un 8,5, puntare al n°1 d’Italia invece non mi interessa tanto, ho obiettivi molto più alti». Non a torto, per quello che si è visto sin qui.

Fremito Federer è la volta buona

(Roger: “si è vero si giocano troppi tornei”)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 9-05-08

ROMA - Rafa non c’è. E questa è una buona notizia per Federer, anche se lui prova a ridimensionarne l’effetto («E’ un vantaggio per tutti»). Una volta a Roma, il due a Parigi, tre a Montecarlo. Nadal gli ha negato per sei volte in finale il successo in un grande torneo sulla terra rossa. Adesso Rafa è a Manacor, a casa, a pensare come recuperare in fretta per jl Roland Garros. Roger è invece a Roma, più che mai in corsa per mettere per la prima volta anche gli Internazionali nella sua collezione di trofei. AVANZA - E’ nei quarti di finale. C’è arrivato attraverso un percorso non semplice. Ieri si è trovato davanti i 208 centrimetri di Ivo Karlovic, il croato che (come dice Potito Starace) “tira dal terzo piano a fa diventare un incubo ogni partita”. E’ difficile giocargli contro, sul suo turno di battuta non ti concede molto. Spara servizi sopra i 210 kmh e sta a guardare quel che succede. Nei momenti migliori segue a rete e chiude il punto. SOFFERENZA - Federer l’ha affrontato sei volte ed ha sempre vinto, ma ogni volta ha dovuto faticare più che contro altri avversai! Anche ieri, per l’intero primo set, è andata cosi. Quando lo svizzero è riuscito a rispondere bene e a mettere assieme tre palle break (è accaduto sul 4-3 per lui), il croato ha tirato fuori quattro ace più un servizio vincente ed ha chiuso il conto. E’ stato ancora un ace ad annullare il primo set point (6-5 e vantaggio) di Roger. E’ davvero una strana partita quella che ti trovi a giocare contro un gigante così, uno che sa anche muoversi bene a rete. Se piazza la prima e riesce a venire avanti, la giornata può sembrarti davvero dura. Anche perché tentare di passarlo con un pallonetto, sarebbe come pretendere di segnare a Buffon da sessanta metri. Non provateci neppure, eviterete una brutta figura. E quando va al Servizio, l’incubo è appena cominciato. Karlovic si muove tranquillo lungo la linea di battuta. Ha una faccia apparentemente senza espressione, il cappellino complica le cose rendendo quasi impossibile guardarlo negli occhi. Indossa una casaccona senza sponsor, una sorta di maglietta della salute formato gigante, e due braghe con cui si vestirebbe la popolazione di un villaggio bisognoso di aiuti. Completa l’abbigliamento un paio di scarpe numero 49 che segnano il campo, lasciando orme facilmente identificabili. Lancia la pallina e poi spara bordate terrificanti. Affrontarlo non è cosa, semplice. FREDDEZZA - Ma Roger Federer è l’uomo di ghiaccio, uno che non conosce l’emozione, il fenomeno del tennis. Figuratevi se potevano essere i 2.08 di Karlovic a creargli dei problemi. Lui dice di essersi sentito sotto pressione, a vederlo dalla tribuna non sembrava fosse così. Passava il croato sia di dritto che di rovescio lungo linea. E nel secondo set non gli ha concesso neppure il tempo di godersi i suoi ace (alla fine saranno 12), «Adesso che non c’è Rafa, il torneo è più aperto», ha finalmente ammesso Federer a vittoria raggiunta. Poi, si è detto d’accordo anche sulla denuncia di Nadal: «E’ vero, si giocano troppi tornei, il calendario è troppo fitto». Infine, ha cominciato a pensare a Radek Stepanek, l’uomo che cercherà di negargli l’accesso alla semifinale. RIPRESA - Sta giocando a buoni livelli Roger. Dopo un avvio di stagione disastroso, ha ritrovato la condizione proprio sulla terra rossa. Vittoria ad Estoril, finale a Montecarlo, (per ora quarti) a Roma, il pubblico del Foro lo ama, anche ieri quasi ottomila spettatori si sono stretti uno accanto all’altro sul Centrale a fare il tifo per lui. Stepanek (che ha perso quattro delle precedenti cinque sfide, vincendo solo la prima nel 2002 sul veloce di Gstaad), non si può dire goda della stessa simpatia.

Fornelli e racchette: silenzio, battono i vip

(Scolapasta d’Oro, entra nel vivo il Torneo dei Vip dedicato ad Ugo Tognazzi)

M.G., il romanista del 9-05-08

Dopo ben ventisette armi torna lo “Scolapasta d’Oro”, il mitico torneo di tennis riservato al mondo dello spettacolo che nacque negli anni ‘70 da un’idea di Ugo Tognazzi in risposta all’insalatiera di Coppa Davis riservata ai professionisti. Il tor-neo, che vanta più di venti edizioni, ha visto sempre la partecipazione di nomi illustri del jet set internazionale e non, da Luciano Pavarotti a Paolo Villaggio, da Anthony Quinn a Vittorio Gassman, da Verdone a Claudio Amendola. Quest’anno il torneo si disputa in concomitanza con gli Intemazionali d’Italia e saranno ben quattro le squadre impegnate, per un totale di 35 “vip”. “Credo che papà sarebbe orgoglioso del ritorno di questa manifestazione durante gli Open di Roma -ha detto Ricky Tognazzi, figlio del grande Ugo,all’inaugurazione dell’evento. Per mio padre le tre “T” rappresentavano le sue grandi passioni: tavola, teatro e tennis”. I nomi delle formazioni in gara sono tutti presi da alcuni dei più celebri film di Tognazzi.esi va da “Amici Miei” con Bonolis. Caputi e Scanagatta, a il “Vizietto” con Insegno e Abatantuono, per passare a “I Mostri” con Ricky Tognazzi, finendo con “La Grande Abbuffata” rappresentata da Max Giusti e il pugile Cantatore. Le sfide del torneo, che andrà avanti fino a domani, sono iniziate ieri. Ad aprire il programma ci hanno pensato le coppie Max Vitale-Anna Pettinelli contro Giuliana de Sio – Luca Pocaterra, con la vittoria di quest’ultimi giunti stremati al termine dell’incontro, per 9-2. Negli altri match sono arrivati i successi delle coppie Scanagatta-De Sio, Letta-Conticini e Pezzulli-Vendittì. Ed oggi, ovviamente, si torna ad incrociare le racchette. Non solo tennis, però.Sempre ieri, infatti, alcuni vip si sono sfidati ai fornelli per mettere in mostra tutte le loro doti culinarie. Le serate dedicate ad Ugo Tognazzi, comunque, proseguiranno anche dopo lo “Scolapasta”, Martedì 13, ad esempio, risarà lo show del comico Beppe Braida della trasmissione “ColoradoCafè”, mentre mercoledi va in scena un’altra sfida culinaria tra personaggi famosi travestiti da donna, che si preannuncia divertente e altamente spettacolare più dì quelle viste sui campi del Foro Italico.
Un piede malandato e il calendario folle fanno fuori Nadal

(La resurrezione di “Mosquito”)

Gianni Clerici, la repubblica del 08-05-08

C’era una volta un ragazzo che si chiamava Juan Carlos Ferrerò. Uno smagrunzio, un tipo che, non avesse trovato in un cantuccio di casa una racchetta avrebbe potuto, al più, dedicarsi alla maratona o al tiro con l’arco. Questo ragazzino così taciturno da sfiorare l’introversione aveva nella sua stanzetta una vecchia foto ingiallita di un altro tennista chiamato Manolo Santana. Un tipo più vecchio di suo papa, uno che aveva vinto due Roland Garros, un Wimbledon, e addirittura un Forest HilIs. L’inventore di un lob liftato che, sin lì, non si era ancora non dico visto, ma immaginato.Voleva, il piccolo Juan Carlos, diventare come Manolo, e me ne resi conto un giorno di dieci anni fa, vedendolo in campo nella finale junior del Roland Garros. Non possedeva nessun colpo da ko, con quei pochissimi muscoletti, figurarsi. Ma le sue gambette da maratona lo portavano sempre in anticipo sulla palla, tanto da piazzarsi al meglio, e non sbaglia rne mezza. Aveva anche quella particolare intelligenza che noi scribi definiamo a volte senso tattico, mentre è per solito istinto puro. Pian piano, a furia di correre e non sbagliare, divenne veramente l’erede di Santana, e di un altro spagnolo che lo affascinava meno, ma che rispettava, detto Manolo Segundo, al secolo Manolo Orantes, vincitore a sua volta di un US Open. Prese a vincere, e molto, e insieme a perdere, e poco. Si guadagnò il nomignolo di Mosquito. Era ovviamente sul rosso che si sentiva a casa, e infatti annesse un Roland Garros, un altro lo smarrì incredibilmente, due volte si fermò alle semifinali. E sempre sulla sabbia annes¬se due Montecarlo, e un Roma, giungendo anche, un po’ di sorpresa, a una finale dello US Open, e ad una trionfale Davis contro gli Australiani, in una Barcellona stravolta da incombente sciovinismo. Era diventato, insomma, una sorta di idolo spagnolo, quando, improvvisamente, dall’isola di Maiorca giunse un altro tennista, un tipo che pareva in grado di inventare gesti novissimi: alla Santana, insemina. Con questo bambinaccio Ferrerò ebbe a confrontarsi la prima volta nel 2005, a Valencia, e raccattò in tutto tre games. Da quel giorno la sua stella apparve cadente, tanto che, in successive sei partite, riuscì miracolosamente a raccattarne uria, sul cemento, che Nadal, incline a tendiniti alle ginocchia, non ama. Era, nel contempo, Ferrerò, retrocesso dalle luci della ribalta a modesti palcoscenici riservati alle comparse, e faceva sinceramente compassione, tanto che gli ricordai una volta «nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria». Scosse la testa, e ancor non mi rendo conto se non capì, o capire non volle. Oggi, mentre stavo scrivendo un pezzo inneggiante a Simone Bolelli, unico italiano capace di entusiasmare gli spettatori del Foro, qualcuno mi ha suggerito di alzare gli occhi al video, sul quale campeggiava il risultato di un Ferrero incredibilmente in vantaggio di un set, e 4-1 nel secondo. Avrei, a questo punto, cancellato la mia storia di Bolelli, del suo allenatore e mio amico Pistolesi, delle future speranze di un confronto con Roddick, per rivolgere le mie incostanti attenzioni a quanto avevo di fronte. Ma, improvvisamente, un blow up di Sky mi avrebbe mostrato la raccapricciante immagine di un piede sanguinante, di una enorme vescica squarciata che un impotente fisioterapista si sforzava invano di rappezzare. Un cronista più puntuale avrebbe doverosamente approfondito la vicenda di Ferrero, e magari l’avrebbe liquidata con un certificato medico, e una vibrata dichiarazione di Nadal contro quel pirla del Ceo dell’ATP, De Villiers, capace di stilare un calendario demenziale. Preferisco immaginare la storia della rivincita di Ferrerò, e mi riservo di occuparmi di Bolelli in un futuro molto prossimo.

Nadal, addio Roma “Calendario assurdo”

(Simone alla prova del nove contro Roddick)

Stefano Semeraro, la stampa del 08-05-08

L’ avversario che è riuscito ad avere ragione di Rafael Nadal sulla terra rossa è piccolo, crudele e abituato a sputare sangue. Blister, in inglese. In italiano: vescica. Piazzata appena sotto l’allucione destro e ieri inquadrata dalle telecamere fetish di Sky sul 4-1 del secondo set contro Juan Carlos Ferrerò. Lo sbandamento in diretta della tormentata estremità del tricampeon di Roma ha disvelato urbi et orbi la magagna che gli intimi del n. 2 del mondo già conoscevano da lunedì, il day-after della vittoria del nino a Barcellona. «Mi sono svegliato alle 6 di mattina», ha raccontato Rafa, «ho provato ad appoggiare il piede a terra e ho scoperto che non potevo farlo. Ho subito chiamato il trainer, poi sono volato qui. Mi sono allenato pochissimo, stamattina ero convinto di non poter giocare. I medici hanno provato a proteggermi con bendaggi e anestetici, ma in campo non potevo appoggiare il piede, non avevo forza, giocavo troppo corto». Quello che si è visto per due set contro Ferrero (il connazionale capace di infilzarlo 7-5,6-1) non era, palesemente, il miglior Nadal. Di certo non il Nadal capace di vincere 17 dei 18 tornei giocati sul rosso fra la primavera del 2005 e quella in corso. Fanno 103 vittorie, e fino a ieri solo due sconfitte, in tre anni, e tris ripetuti sul mini-Slam dell’argilla, MonteCarlo, Barcellona, Roma e Parigi. Se il killer materiale è la bollicina vanamente cauterizzata dai cerusici dell’ Atp, il mandante dell’assassinio agonistico di Rafa viene però da lontano. E ha un nome e un cognome. «Questo calendario è impossibile», ha sorriso mestamente Rafa. «A MonteCarlo avevo detto che giocare 4 tornei importanti sulla terra in 4 settimane consecutive è un’ assurdità. Molti si erano chiesti perché. Purtroppo adesso tutti lo sanno. Se ne parlerò con Etienne De Villier, il direttore esecutivo dell’Atp? Non ho più nulla da dire a quell’uomo. L’anno scorso ho sprecato un sacco dì tempo a cercare di capire il motivo delle sue decisioni. ma è impossibile riuscirci. Parlargli ancora sapendo di non ottenere nulla sarebbe stupido, no? Io so quanto è duro vincere tante partite. Ogni volta che vado in campo sono preparato a perdere. Ma perdere così, in un torneo importante e a cui sono affezionato come Roma, è amaro. Ora non mi resta che curarmi e andare ad Amburgo, perché saltare due Master Series di fila mi ucciderebbe davvero». Rafa contava qui di incalzare Federer, mentre se Djokovic dovesse vincere il torneo Nadal ora si ritroverebbe il serbo a -180 punti, pronto ad azzannare. Nella giornata in cui Volandri ha annunciato che il malanno al ginocchio sinistro è più grave del previsto (necrosi ossea), e potrebbe costargli un lungo stop o addirittura la carriera, non si può insomma che fraternizzare con i terricoli. Servirebbe un calendario più equilibrato, meno asfissiante ma a De Villiers, lo sciagurato agit-prop della lobby americana, già propugnatore sbugiardato del round robin, non sembra stare a cuore più di tanto il destino degli iscritti al suo patronato. Fuori Nadal, il Foro per ora si consola con Simone Bolelli, che ieri ha respinto Simon su un centralino innamorato e stracolmo. Era da tempo che un italiano non mostrava un tennis così completo e fascinoso, da brividi sottili. Oggi, nell’ottavo di Simone contro Roddiek, capiremo se abbiamo un campione.

Roma scopre super Bolelli

(Simone, porta l’Italia al terzo turno)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 08-05-08

ROMA - Ha giocato una grande partita. Simone Bolelli ha pagato per qualche game l’emozione, poi ha preso fiducia ed ha cominciato a fare quello che gli riesce meglio. Ha sparato il dritto, in modo letale quando è andato ad incrociare; ha tenuto alta la percentuale di servizio; ha avuto il coraggio di osare anche nei momenti più delicati; ha capito che le palle corte avrebbero potuto essere una chiave di lettura vincente e le ha usate senza parsimonia. Davanti aveva Gilles Simon, 34 del mondo. Cliente scomodo, regolarità convinto, rivale tenace. Lo ha costretto alla resa tenendo sempre in mano il pallino del gioco, gli ha sfilato una ad una le sue certezze. E quello prima ha imprecato contro se stesso, poi ha risposto all’ennesimo grande punto di Bolelli con un applauso di scherno, alla fine è rimasto a parlare con se stesso. Si sarà chiesto perché non fosse riuscito a rimandare in campo le frustate di dritto di Bolelli. E non avrà trovato risposte da darsi. E’ un tennis anomalo per il nostro mondo quello del ragazzo di Budrio. E’ come se il pugilato italiano avesse trovato improvvisamente un picchiatore o il rugby azzurro un mediano di mischia. C’è entusiasmo attorno a lui. Ieri il Centralino del Foro era esaurito, quattromila persone pigiata una sull’altra («Un’atmosfera particolare, potevo sentire ogni commento. Daje Simo’, daje che è morto. Ci sono abituato, è la lingua di Pistolesi»). La gente impazziva per questo giovanotto che teneva botta, chiudeva con il colpo vincente scambi prolungati. Alla fine esultavano tutti. I genitori, il manager, il coach, gli amici. E la gente del Foro che sperava di aver trovato l’uomo giusto. Anche lui esultava, ma solo per un attimo. Bolelli è fatto così. «All’inizio ero contratto. Poi ho giocato meglio. Sono contento perché sono stato aggressivo, ho sempre fatto quello che volevo, ho comandato la partita, sono riuscito a rischiare quando era necessario. Avrei però dovuto usare prima la smorzata, lui si muoveva dietro la riga di fondo. Ho fatto qualche errore di troppo nel primo set. Cercherò di migliorare». Oggi c’è Andy Roddick. Numero 6 del mondo. La terra rossa non è la superficie che preferisce. ma resta comunque un cliente decisamente pericoloso, «Dovrò cercare di rispondere bene, di farlo muovere, di essere aggressivo. Posso dargli fastidio, posso giocarmela». Ace, il secondo della partita. Così Bolelli ha chiuso il game decisivo, vincendo a zero il servizio. La sintesi della sfida è tutta qui. Nel coraggio e nella forza del ragazzo di Budrio. Un’ora e 28′ per risolvere la questione. Un sorriso enorme riempiva il volto di coach Pistolesi. E’ una vittoria anche sua. Simone viene dall’Emilia, ma da due anni si allena con lui a Roma. Al Forum Center, dove vive. E’ un romano d’adozione, uno che a 22 anni sta trovando la sua dimensione. Troppo bello per crederci. Bolelli ha fisico e mezzi per salire in alto. Ma ha soprattutto la capacità di regalare spettacolo. Mercé rara di questi tempi. Ora arriva il momento più duro. La stanchezza comincerà a farsi sentire (la scorsa settimana è approdato in finale a Monaco, ieri sera ha giocato anche il doppio), Andy Roddick (una semifinale e un quarto a Roma) fa paura. C’è il rischio di una brusca frenata. Ma sembra che Simone si trovi bene quando c’è da rischiare, non ha paura di osare. E’ la volta giusta per tentare il colpaccio. Nel giorno dell’uscita di Rafa Nadal, è stato un ragazzo emiliano a riempire il vuoto del Foro Italico. La speranza (che è quasi una certezza) è che lo si possa trovare sempre più frequentemente tra i protagonisti.
Rai lancia un canale per lo sport

(Anche “mamma Rai” debutta finalmente sul digitale terrestre)

Sergio Torrisi, il corriere della sera del 8-05-08

ROMA—Presentato ieri il nuovo canale Rai Sport Più, che sarà visibile in chiaro sul satellite, sul digitale terrestre e sulla piattaforma Sky. Le trasmissioni partiranno sabato, in concomitanza con la prima tappa del 91° Giro d’Italia, evento che Rai Sport Più seguirà con ampi notiziari, rubriche e approfondimenti dalle 9 di mattina a tarda notte. Oltre alla corsa rosa, il creatura di viale Mazzini prevede nei prossimi mesi gli Europei di calcio, le Olimpiadi di Pechino, il tennis della Coppa Davis e il basket Ncb. Rai Sport Più si aggiunge sol digitale terrestre al pioniere Rai Gulp, dedicato ai bambini, e farà da ponte tra il vecchio analogico e le nuovissime tecnologie che tra 4 anni, a detta del direttore generale Rai Cappon, «porteranno un cambiamento epocale nel settore».
Un buon Federer sogna il sorpasso

Rino Tommasi, la gazzetta dello sport del 7-05-08

ROMA- Tra i pochi tornei che Roger Federer non ha mai vinto ci sono, insieme al Roland Garros, anche gli Internazionali d’Italia. Il nostro torneo il campione svizzero avrebbe potuto vincerlo due volte, la prima nel 2003 quando è andato in finale da grande favorito contro lo spagnolo Felix Mantilla, la seconda due anni fa quando ha mancato due match points contro il suo eterno rivale Rafael Nadal. La prima sconfitta fu attribuita alla sua giovane età. Federer aveva appena 21 anni e solo qualche settimana dopo si sarebbe affermato come campione vincendo il suo primo Wimbledon. La terra battuta gli aveva già procurato qualche delusione tanto è vero che nel 2002 era stato eliminato in due set al primo turno dal nostro Gaudenzi. La sconfitta contro Nadal, in una delle più belle finali mai viste al Foro Italico, fu invece attribuita a sola sfortuna inducendo molti a credere che prima o poi Federer sarebbe riuscito a battere Nadal anche al Roland Garros. Che non sia stata solo sfortuna lo abbiamo capito più tardi ed in molte occasioni, l’ultima a Montecarlo pochi giorni fa. Tuttavia negli anni Federer si è creato un esercito di ammiratori e questo spiega perché ieri, al suo esordio, le tribune del Foro Italico fossero quasi gremite dopo essere rimaste semivuote il giorno prima. Insomma c’era curiosità di vederlo anche perché l’avversario, l’argentino Guillermo Canas, che vantava nei suoi confronti un record positivo di 3 vittorie e due sconfitte, comprese due partite giocate l’anno scorso negli Stati Uniti, era certamente credibile. Tra l’altro i due non si erano mai incontrati sulla terra una superficie che in linea generale avrebbe dovuto favorire l’argentino. Ebbene Federer, senza giocare il suo miglior tennis, ha disputato un’ottima partita, una delle migliori viste a Roma dove l’anno scorso era stato sconfitto anche da Volandri, liquidando Canas con un doppio 6-3. La sua prestazione ha naturalmente bisogno di una verifica ma intanto il suo partito già sogna un possibile sorpasso su Nadal già prima del Roland Garros.

Murray scozzese di fuoco

Vincenzo Martucci, Gazzetta.it

ROMA, 7 maggio 2008 - Nel cricket si insultano da subito, e in lingua inglese. Nel calcio, “l’affaire” Materazzi-Zidane ha mandato in sollucchero soprattutto la stampa british. E, in generale, dalle Maldive (Malvinas o Falkland?) in qua, le relazioni fra i sudditi di Sua Maestà e gli argentini sono disastrose. Ma nel tennis, quando la grande speranza Andy Murray s’indigna, avvampa, rimonta l’avversario trasformandosi in “Braveheart” nell’umida notte di tennis a Roma, l’offesa a mammà diventa giallo, scandalo, offesa nazionale. “Quell’argentino ha detto qualcosa su mia madre, Judy, la persona più simpatica del mondo”, rivela l’eroe dopo la rimonta da 5-7 a 6-4 1-0, fino al getto della spugna del cattivone Juan Martin Del Potro, distrutto da un nuovo guaio alla schiena. “Non m’era mai successo, nel tennis. E comunque non avevo mai avuto problemi con lui, lo conosco dai 13-14 anni, o forse sì, dopo un match da juniores, a Parigi. Poi, però, ci eravamo anche sentiti via internet, mi proponeva di giocare il doppio assieme. Mah, proprio non capisco. Secondo me andava punito. Mi avevano appena ammonito perché imprecavo e lui sparla della mia famiglia e se la cava così? Io non ho mai urlato in faccia all’avversario, e non gli dico certo quello che Juan Martin mi ha detto quando ci siamo incrociati al cambio campo, dopo il secondo set”.
BRAVEHEART - La stampa brit, che accompagna Murray dappertutto fino a Wimbledon nella speranza di salutare il nuovo re di casa dopo Fred Perry (nel 1936…), capisce e non capisce. Colpa delle differenze fra un inglese e uno scozzese. Colpa dell’importanza diversa che ha la mamma per Andy-Braveheart: “Da quel momento, da quell’insulto, non avrei più potuto perdere quel match. Poteva dirmi qualsiasi cosa, ma prendersela con mia madre… E sul campo da tennis…”. Anche perché chi ha visto il match sa che i due si erano già beccati durante il match, con il simpatico Del Potro che, sul 4-4 del secondo set, aveva tentato di decapitare il meraviglioso Murray - con quell’aria sempre schifata e sofferente -, e non gli aveva chiesto minimamente scusa. Del resto l’altro, il lord scozzese da quel momento aveva cominciato ad auto-incitarsi per due-tre punti come se l’avesse morso una tarantola. Eccetera, eccetera. Ah, curiosamente in coppa Davis, l’Argentina ha battuto la Gran Bretagna 4 volte su 4, persino sull’erba di Eastbourne. E l’ultima volta, a febbraio, Andy Murray ha disertato la disfatta sulla terra di Buenos Aires per la bua a un ginocchio. Fortuna che oggi a Roma il numero uno brit affronta uno svizzero - “uno dei miei migliori amici” - Stanislas Wawrinka, il vice Federer.

Bravi Seppi e Starace a Gasquet serve Jung

(Andreas “doma” il mago Santoro)

Gianni Clerici, la repubblica del 6-05-08

Pioveva. Nell’osservare, dalle transenne metalliche sovrapposte alle statue, una ruspa che stancamente divorava i resti dello Stadio dei Crampi, mi è venuto a mente John Curry, il presidente di Wimbledon. «Sinché ci sarò io nessun osceno tetto potrà mai ricoprire il prato del Centre Court mi diceva quel gentleman. Siamo inglesi, non certo australiani o, peggio, yankees». Infatti. Dall’anno prossimo, un tetto retrattile consentirà tennis no stop nel più antico (1878) court del mondo. Guardavo il paziente lavoro della nostra ruspa, mentre il gioco, al Foro, si era interrotto per la seconda volta, mi domandavo se non fosse il caso, invece di accanirsi con il ponte di Messina, di dotare il futuro Centrale di un bel tetto avanti-indrèe. Aveva interrotto, la pioggia, il match che avevo scelto quale piano forte della giornata. Match in cui si esibiva il tennista che più mi diverte, dopo il ritiro del diletto Gianluca Pozzi: Fabrice Santoro, oriundo napoletano. Ormai ignaro dei suoi antenati, tanto da collocarli erratamente in Sicilia, Santoro ha in realtà un ‘origine pied noir, e cioè franco-nordafricana, come i suoi illustri predecessori Pietrangeli e Darmon. In occasione di un insolita gita a Tarbes, assistetti al suo vittorioso esordio nel torneo dei Petìts As, i Piccoli Assi. Era, se ci credete il 1986, e nell’applaudire insieme a me il piccolo fenomeno, il suo allenatore, Patrice Dominguez, ebbe a dirmi: «Talento enorme, ma crapone ancor più grande. Gioca un diritto bimane di sua creazione, mai visto al mondo. E’ piccolo, ha poco allungo. Eppure si rifiuta di modificarlo, il diritto, colpire a una mano». Ed eccolo qui, qualcosa come ventidue anni dopo, quel che nel contempo si è guadagnato il soprannome di Magicien, il Mago. Eccolo qui, divenuto il più vecchio giocatore di un torneo, in cui battè, tra gli altri, nientemeno che un giovanissimo Pete Sampras, nel 1995. Tra un’interruzione e l’altra, il suo avversario di oggi, il ventiquattrenne Seppi, si riprendeva via via dalle allucinazioni iniziali, grazie anche all’aiuto del suo medico di famiglia. Massimo Sartori. Così, dopo un avvio in lieve salita, durante il quale si era trovato ad inciampare in alcune trappole disseminate dal Magicien, Seppi avrebbe finito per prevalere di puro muscolo, e di imitare Potito Starace nel superare il turno. Non meno meritevole, Potato, nell’approfittare degli squilibri di un suo avversario di grandi qualità future: Marin Cilic, erede della dinastia di quelli che furono i fonti di marina della Repubblica Veneta, la dinastia dei Nikolic, dei Franulovic, degli Ivanisevic. La mia ammirazione per Santoro mi ha impedito di dedicare le colonnina al più noto sconfitto del primo turno, quel Gasquet che, avventatamente, pronosticai, al suo esordio, tra i primi tre del mondo. Giunto, più bene che male, al Numero Sette, il francese è in piena involuzione, e necessita — mi dicono—dell’aiuto di un discepolo di C. G Jung, ancor prima che di un nuovo coach. Questo è il tennis, amici.

A caccia del poker

(Nadal a fronte alta, sulla terra sono il più forte)

Piero Valesio, tuttosport del 6-05-08

ROMA. Nella finale dell’anno scorso al Roland Garros Rafa ha provato un’emozione nuova: quella di non essere l’idolo del pubblico. Ha combattuto e vinto come spesso gli succede: ma la gente di Parigi ha apertamente, e durante certe fasi dell’incontro spudoratamente, tifato per Roger Federer. A Roma quando i due si sono affrontati in finale, nel 2006, gli appassionati sono naturalmente divisi a metà. L’arrivo a Roma dì Nadal, nella giornate di ieri e sotto un’acquazzone, è coinciso con un sentore: quello che anche la Capitale abbia oggi più nel cuore lo svizzero migliore del mondo che sulla terra non vince. Alla tre del pomeriggio di ieri, mentre Rafa ancora doveva raggiungere il foro e mentre Starace stava giocando sul Pietrangeli contro Marin Cilic, era praticamente impossibile avvicinarsi al campo numero 1 dove Roger stava scaldando gambe e braccia. Un abbraccio affettuoso che ha replicato quello di domenica quando oltre un migliaio di persone aveva compiuto lo stesso rito: tutti a vedere Federer non già che gioca ma che si allena. DIVISA Sarebbe tuttavia sbagliatissimo pensare ad una Roma che volta le spalle al suo tricampeon, quello che ha appena vinto per la quarta volta di fila Mantecarlo e Barcellona e che vorrebbe ripetersi prima all’ombra dei mai tanto celebrati pini romani e poi al Boia de Boulogne. Il fascino di Nadal resta inscalfito come dimostrato dalle orde dì appassionati bagnati e festanti che lo hanno attorniato appena ha messo piede al Foro. Un’attenzione che non solo non lo ha infastidita (i bis, si sa, ogni tanto vanno trattati con cura) ma lo ha anche rallegrato: «La passione della gente non mi disturba mai, figuriamoci qui…E’ molto bello sentirsi voluti bene da chi ama il tennis. La passione degli italiani poi è tutta particolare: ancora ricordo quando abbiamo giocato a Torre del Greco contro l’Italia in Davis: giocare con quell’attenzione attorno è stato entusiasmante. Qui è la stessa cosa, sempre. Non per niente sono qui per vincere ancora». CONCOERENZA. Frasi di circostanza? Forse, ma non solo. Nadal sa di essere ad un punto focale della sua vita tennisticam più o meno come Federer. Ma mentre lui non si cruccia più di tanto di non aver ancora centrato il successo in uno degli Slam che non si disputano sulla terra, per Roger il vincere Parigi è quasi un’ossessione, più o meno inconscia. E Roma di Parigi è il prologo naturale, l’antipasto succoso che fa parte della stesso pranzo. «L’avversario che più patisco? E’ inevitabile che sia Roger. Perché è il numero 1 al mondo, perché è fortissimo, perché le sue qualità sono note a tutti. Ma io sono pronto a giocare un grande tennis. A Barcellona, nel primo set, sono stato pressoché perfètto. Ripartirò da lì. E se poi dovessimo incontrarci in finale, benissimo: sarà una gran cosa per noi e per il pubblico». COSE DI CASA Ma è poi così facile battere Federer sul rosso? E quanto sarà facile su di un rosso particolare come quello romano di questi giorni che acqua, sole e bruschi cambi di temperatura potrebbero rendere più mutevole del solito? Sostiene Rafa: «Per me è sempre complicato vincere contro di lui, anche se ci conosciamo benissimo. Perché è un campione assoluto. Ma io ci tengo troppo a vincere anche qui per la quarta volta: forse è per questa mia determinazione che tatti mi giudicano il favorito. Roger è fortissimo anche sulla terra: alle finali di Roma, di Parigi e di Montecarlo mica ci è arrivato per caso. Ma non posso certo pensare di aver già vinto prima di cominciare il torneo..». E che il fondo del Pietrangeli possa essere in qualche misura differente da quello del Centrale ora in fase di rinascita certo non preoccupa il maiorchino: «Sempre di un campo in terra si tratta…». Ovvero: sempre di casa mia. Oggi Rafa conoscerà il nome del suo avversario che uscirà dal confronto fra il tedesco Kiefer e il suo connazionale Juan Carlos Ferrero. Assai più duro appare il compito di Roger che oggi affronterà la sua bestiola nera, Guillermo Canas. Roma, casa di entrambi, li attende in finale. E se proprio dovrà, uno sguardo di maggior favore magari lo rivolgerà a Federer. Ma giusto di un pelo, che l’altro sovrano non s’arrabbi.

Quei geni segnati dalla “mano del diavolo”

(I segreti dei mancini)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 6-05-08

ROMA - Fino a non molti anni fa, essere mancino era considerata una colpa, un difetto, al punto che la sinistra era chiamata “la mano del diavolo”. Erano molti i genitori che legavano la mano sinistra dei loro figli dietro la schiena, per costringerli ad usare la destra per qualsiasi necessità. Forse è anche per questo che uno studio fatto nei primi anni del Novecento ha individuato come mancina solo il 3% della popolazione del mondo. Oggi il numero si è quasi quadruplicato (siamo arrivati attorno all’11%). Ma questo non toglie che alcune espressioni negative siano rimaste: “uno sguardo sinistro”, “un tiro mancino”. In francese “gauche” significa sinistra, ma l’espressione “qu’il est gauche” vuoi dire anche “come è goffo”. In spagnolo “no ser zurdo” significa “non essere mancino”, ma anche “essere intelligente”. In greco mancino si dice “skaios”, che vuoi dire anche infausto, maldestro. Alcuni scienziati dicono che essere mancini sia una condizione ereditaria, altri sostengono dipenda dall’età delle madri (oggi ci sarebbero più mancini perché le donne fanno figli in età avanzata). E’ comunque credenza universale che il mancino sia più creativo, dotato di maggiore fantasia. E riesca ad esprimersi a livelli più alti dei suoi colleghi. Gli sportivi ne sono la dimostrazione più efficace, Pelè, Maradona, McEnroe, Rios, Laver, Senna, Valentino Rossi. Bastano? Ma gli atleti mancini non sono sempre tali. Uno studio ha rivelato che chi gioca a cricket con la sinistra preferisce il destro nel calcio ma torna mancino quando gioca a tennis. Geni anche tra i musicisti, pur se con qualcuno di loro ha incontrato delle difficoltà ad esprimersi. Jimi Hendrix, ad esempio, per suonare si era dovuto far costruire una chitarra su misura. Mancini ne incontriamo anche tra i politici famosi: Bill Clinton, Fidel Castro e Ronald Reagan. Qui agli Internazionali c’è un grande mancino. Rafa Nadal, il guerriero che per tre volte ha conquistato Roma. Mancino lo è nel gioco e nell’animo. “La mano del diavolo” colpisce ancora.

Naso, peccato sarà per la prossima volta

(Il giocatore palermitano gioca alla pari con Canas per oltre un’ora)

Giovanni Di Natale, il giornale di sicilia del 6-05-08

ROMA. Anche una sconfitta può essere bella. Addirittura esaltante. Gianluca Naso, 21 anni da Trapani, ha lasciato il segno agli Internazionali Bnl d’Italia. E’ uscito tra gli applausi dal “centralino” del Foro Italico, in mezzo a due file compatte di bambini festanti a caccia di autografi. Per due ore e 37 minuti Naso ha tenuto testa a Guillermo Canas, numero 28 al mondo (6-7 6-3 6-2 il punteggio). A tratti il gigante trapanese ha anche dominato il gioco, con potenza e personalità. Servizi vincenti e rovesci lungolinea fulminanti per scardinare la difesa coriacea del sudamericano. “E’ il mio gioco, mi piace attaccare da fondocampo e da quando mi alleno con Fabio Rizzo è su questo che lavoriamo. E i risultati, per fortuna, arrivano”. Il tennis mostrato ieri da Gianluca vale più della posizione 269 che ricopre nel ranking Atp e non a caso nella classifica relativa solo al 2008 (Atp Race) è numero 139. I progressi tecnici e fisici sono evidenti, la fiducia nei propri colpi massima. Un giocatore rigenerato dopo un 2007 povero di soddisfazioni. “In alcuni momenti ho pensato di poter vincere – confessa sereno in sala stampa -. Da alcuni giorni sentivo di poter fare bene e sono soddisfatto della gara. Lui è stato molto bravo nei momenti importanti della partita (Naso ha concretizzato una sola palla break su 13, mentre Canas 4 su 8)”. Le speranze di successo di Naso e del pubblico del Foro (ricco di siciliani) si sono spente su un rovescio vincente di Canas che ha annullato a Gianluca la palla del 2-0 all’inizio del terzo set. Se quel colpo fosse atterrato pochi centrimetri più avanti, anziché depositarsi all’incrocio delle righe, probabilmente la gara avrebbe avuto un altro esito. Ma non è il momento dei rimpianti. “Penso di aver dimostrato di meritarmi la wild-card (invito). Voglio crescere e a giugno farò le qualificazioni a Wimbledon. Il sogno, però, è partecipare agli Us Open, il mio torneo preferito”. Di classifica non parla. Ha già guadagnato 126 posizioni da gennaio e continuando così sarà presto tra i primi duecento giocatori al mondo (che era l’obiettivo di inizio 2008), dunque può sperare di chiudere l’anno intorno al numero 150. Serviranno risultati di prestigio, come le qualificazioni centrate a Estoril e Monaco o l’ottima gara di ieri, che produce solo 5 punti per la classifica ma dà un enorme carico di fiducia. Fiducia che per Gianluca è essenziale, anche più del dritto e del rovescio. A dispetto dei 193 centimetri di altezza “Gianlo” (così lo chiamano a casa) è un buono, un ragazzo semplice, che ama e tesse le lodi della Sicilia. Da papà Enzo, ex giocatore di prima categoria, ha imparato l’umiltà. Per sedici anni Enzo è stato anche maestro del figlio, che già a 4 anni aveva in mano una racchetta. Lo ha cresciuto da tennista, non risparmiando rimproveri e punizioni quando da piccolino Gianluca tendeva ad infuriarsi con la racchetta per un colpo finito a rete. “E’ un punto di riferimento per me – continua Gianluca -, mi ha insegnato lo spirito di sacrificio e quando qualcosa non gira per il verso giusto trova sempre il modo di aiutarmi a ritrovare la strada. Penso che faccia parte del ruolo di padre, ma devo ringraziarlo per quanto ha fatto finora. Così come devo ringraziare Fabio Rizzo ed il mio ex coach Leonardo Caperchi”. E papà Enzo ieri ha assisto al match dagli spalti con la moglie Paola e la figlia Alessandra (dieci anni ed un talento da coltivare). A fine gara un abbraccio ed i complimenti, poi un suggerimento: “Adesso sai che non puoi calare il ritmo nemmeno per un attimo”. Mamma Paola è il ritratto della gioia: “Finalmente hai capito che puoi affrontare chiunque, devi solo crederci”. Sul telefonino, intanto, scorrono gli sms degli amici che hanno assistito all’incontro in televisione. Si auguravano una sfida stellare con Federer al secondo turno, ma dovranno attendere. L’appuntamento sembra soltanto rinviato.

I gestì bianchi nati nella Roma di Mussolini

(La storia e gli aneddoti degli Internazionali d’Italia)

Gianni Clerici, la repubblica del 5-05-08

Vorrei affermare di aver assistito a tutte le edizioni degli Internazionali d’Italia , ma sarei sincero a metà. Sono nato, infatti , nell’anno in cui si disputò la prima edizione del nostro Wimbledon casareccio, e la leggenda creata in casa mia è quasi sicuramente apocrifa. Vuole, la leggenda , che mia mamma Lucia Castelli, incinta di cinque mesi, sia stata invitata dalla moglie dell’organizzatore, la contessa Bonacossa, nostra vicina di casa, a Como. E, appassionata tennista com’era, non abbia resistito a farsi accompagnare da papa Gigi, anche lui sportivissimo a Milano, al campo Porro Lambertenghi, intitolato all’eroico aviatore partner in doppio del conte Alberto. In quel lontano millenovecentotrenta i primi Internazionali d’Italia ebbero a protagonista Big Bill Tilden , uno che - credetemi- non fu da meno di Federer. Capace, il mitico Big Bill, di dominare il suo primo Wimbledon a ventisette anni, e di rivincerlo dieci anni più tardi. Capace anche di sommergere il nostro Numero Uno, il barone triestino Hubert de Morpurgo, che aveva incautamente fatto allusione alla, per altro conosciutissima, omosessualità dell’americano. In quei tempi i gay venivano definiti con sostantivi meno eleganti, e a Big Bill non andò a genio la traduzione di quella sua peculiarità. Rimase, dunque, in casa della famiglia Clerici della Prascia, la leggenda di quel match che io dovetti intuire, tramite liquido amniotico. E forse, a sentire i miei, da quella storica vicenda nacque l’inclinazione che mi spinse non solo a partecipare alle prime cinque edizioni del dopoguerra, ma a rimanere accanitamente coinvolto nel più bel gioco del mondo. Il lettore non addetto stupirà forse per quell’inizio milanese. Ma come mai, si dirà. Non sono sempre stati romani, gli Internazionali? Nossignori. Avvenne che, da un balcone dell’antico Tennis Parioli, Benito Mussolini si trovasse un giorno ad assistere ad una sfilata. Passavano davanti a lui, in candide flanelle, i nostri campioni dell’epoca. E rivolgendosi al presidente della Federazione, Augusto Turati, il Duce ebbe a osservare: «Un gioco che non capisco e che non mi piace». «Forse non vi piace, Eccellenza, perché non lo capite», ebbe l’ardire di rispondere quel dabbenuomo. Detto fatto. Dopo sei mesi, a Villa Torlohia, nasceva uno splendido rettangolo rosso, e il dittatore iniziava a palleggiare goffamente con il suo famiglio e grandissimo calciatore Eraldo Monzeglio. Proprio di lì nacque al Duce l’idea di prelevare da Milano gli Internazionali, che approdarono nel complesso chiamato Foro Mussolini nel 1935. Splendido impianto ora in corso di ristrutturazione, dovuto allo architetto Del Debbio. Ma fu l’architetto Costantini l’autore dello stadio del tennis, con il campo delle Statue. Tra gli iscritti della prima edizione brillavano ben sei First Ten. Vinse lo outsider USA Wilmer Allison, su Giovannino Palmieri, ex-raccattapalle poverissimo. La fresca tradizione ebbe a interrompersi, purtroppo, sino al 1950. Le sanzioni per laguerra all’Etiopia, la Seconda Guerra Mondiale e infine l’espulsione dell’Italia dalla Federazione Internazionale lasciarono vuoti i campi per ben quattordici anni. Si ricominciò soprattutto grazie all’ex azzurro e organizzatore Carlo Della Vida, un uomo che meriterebbe fosse aggiunta una sua statua a quelle del Centrale. Figlio di uno dei tredici eroici professori che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo, Della Vida fu tennista azzurro, e impresario sportivo, portando in Italia Globe Trotters e Holiday on Ice. Ma il suo amore rimase soprattutto il tennis. Pagava, tra l’altro, sottobanco i tennisti, allora ufficialmente dilettanti, attirando i più noti. Sotto la sua direzione il torneo ottenne spesso frequentazione migliore dei Campionati d’Australia, periferici, e del Roland Garros, male organizzato da spocchiosi dilettanti. Certo non meno importante dell’impresario fu il nostro grande attore, Nicola Pietrangeli. Vinse due volte, nel 1957 e nell’1961, contro Merlo - altro fenomeno - e contro Rod Laver: senza dubbio, uno dei più grandi All Time. Ma la seconda impresa la realizzò a Torino , nel corso dei festeggiamenti per Italia Novanta. Merlo, chi era costui, si sarà chiesto il giovane lettore. Un altro italiano in finale? E ce furono altri, capaci di vincere? Sissignore. Nel ‘57 Fausto Cardini, da me soprannominato il Vampiro, battè una volta di più Merlo, in uno psicodramma fitto di crampi, e ritiro finale del delizioso volatile. È venne poi un altro vincitore, ahimè il nostro ultimo campione, Adriano Panatta. Nel 1976, annus mirabilis, quando Adriano rivinse prontamente a Roland Garros. Al Foro batté in finale Vilas, dopo aver annullato in primo turno ben undici match point allo australiano Warwick, in una vicenda immaginata da Hitchcock. Ma di vicende altrove impossibili la storia del Foro Italico è zeppa. Più d’una ha avuto per protagonista Ilie Nastase, il folle romeno da me battezzato Violino Zigano. A Nastase un ultra arrivò un giorno a lanciare una bottiglietta di amaro, per fortuna senza colpirlo. Il mio Zigano raccattò la bottiglietta, la sturò, gustò, per scuotere la testa e ributtarla gentilmente in tribuna: «Preferirei un Campari» dichiarò, tra gli applausi del pubblico. Altra consimile vicenda accadde al grande Borg. Durante la finale del ‘78 contro Panatta un altro ultra prese a lanciare monetine. La concentrazione dello svedese era però tale che nemmeno se ne accorse. Fu il suo allenatore Bergelìn a raccoglierle per lui, commentando: «Bjorn potrebbe magari prendere questa prova di generosità per una provocazione, e ritirarsi». Si vede, da questi aneddoti, quanto sia vera la frase del collega Bud Collins, che andrebbe affissa all’ingresso ai campi: «Gli inglesi possono aver inventato il tennis, ma gli italiani lo hanno umanizzato».

Bolelli, tennista per caso alla conquista di Roma

(Simo, anche Roger lo vedeva tra i primi 10 al mondo)

Stefano Semeraro, la stampa del 5-05-08

Trent’anni fa l’ultima vera, grande illusione. Panatta battuto in finale da cinque set da Bjorn Borg. La finale dell’ape che molestò il grande vichingo - per Panatta, allora, tifavano anche gli insetti - giocata dopo la semifinale delle monetine, quelle recapitate con poca cortesia a Josè Higueras dai gradoni del Foro Italico. Trent’anni, pare un secolo. I ricordi sono in bianco e nero. Il bilancio degli italiani invece è in rosso. E non tanto perché si gioca sulla terra. Dopo Aaa-dri-aaa-noo, solo Filippo Volandri, dodici mesi fa, è riuscito a guadagnarsi una semifinale a Roma. In mezzo, un nulla fatto di bile e nostalgie. L’uomo nuovo del nostro tennis, oggi, si chiama Simone Bolelli. Ieri ha perso in tre set, questione di due o tre palle giocate male, la finale di Monaco di Baviera contro Fernando Gonzalez, il numero 15 del mondo, il finalista di Roma 2008. Faccia da modello, carattere da bravo ragazzo, il «Simo». Diritto da fenomeno, servizio che fa male. Quando Roger Federer si allenò la prima volta con lui, un paio di anni fa, a Doha, uscì dal campo sussurrando a chi gli stava vicino: «Se si allenasse ogni giorno con me arriverebbe filato fra i top-10». Pareva una battuta, forse non lo era. Come ci si sente, a 22 anni, nei panni del Predestinato, del Messia che può estrarre il tennis italiano dalla palude? «Mi ci sento a mio agio», risponde Simone, bolognese di Budrio, numero 58 Atp. Quest’anno ha impressionato in Davis, lampeggiato a Miami facendo paura al n.4 del mondo Davydenko. È arrivato in semifinale a Zagabria, in finale a Monaco: «Negli ultimi mesi ho fatto un grosso salto di qualità, soprattutto dal punto di vista fisico. Adesso corro, lotto, vinco punti anche in difesa. Salvo matchpoint. Ho fiducia in me stesso e Roma è sempre una gran bel posto dove infilarsi nella battaglia insieme ai più forti. Una grande sfida». La più importante, per un italiano? «Roma vale molto, ma il massimo restano sempre quei quattro tornei: lo Slam. Se proprio devo spendere un sogno allora dico che vorrei vincere gli Us Open. Così, bang, sconfiggendo Federer in finale. Mica male, no? Roma è importante perché per noi italiani vuol dire casa, perché c’è il pubblico che ti grida “e daje!” dalle tribune, che ti gasa. Io apparentemente sono un freddo, anche se a volte, quando le cose si mettono male, “sclero” un po’, malmeno la racchetta. Ma il calore della gente mi piace, e poi questa città là sento anche mia, visto che da due anni mi alleno al Forum, insieme al mio coach Claudio Pistolesi». Il «Bole», come lo chiamano gli amici, è un tennista per caso. Figlio della media borghesia emiliana, nello specifico di Daniele, un odontotecnico con un passato da calciatore nell’Imolese, in C1, che adesso gli fa da manager insieme con l’amico Roberto Mosconi («uno che saprebbe vendere anche le matite rotte»). «A giocare a tennis ho iniziato non so neanche perché, tirando pallate al muro davanti a casa, e poi al TC Siro e al Country Club di Villanova di Castenaso, con i fratelli Saetti. Poi mi sono trasferito a Bergamo, all’accademia di Vavassori, ora sto con Pistolesi. A 14-15 anni ho capito che forse valeva la pena provare a diventare un giocatore. A 20 che forse non mi ero sbagliato. Adesso inizio a pensare che nei primi 10 potrei anche arrivarci. Che posso meritarmi un posto fra i migliori». Il 2005 è stato l’anno nero di Bolelli, pubalgia e poi un lungo infortunio al polso. Da due stagioni sta arrivando dove molti, nell’ambiente, lo aspettavano. Colpi come i suoi, in Italia, oggi non li ha nessuno. Vederlo giocare muove fantasie da troppi anni proibite, Quest’anno, fra l’altro, causa ristrutturazione, il centrale tornerà ad essere il «Nicola Pietrangeli», quello delle statue. Il centrale dell’epopea panattiana. «Pensare a trent’anni fa, alle vittorie di Panatta non mi pesa perché io quel periodo non l’ho vissuto. Con Adriano ho scambiato qualche parola, so cosa ha significato per il nostro tennis, ma finisce li. Oggi è tutto diverso. Ci sono più giocatori forti, c’è una competizione pazzesca, forse è per questo che gli italiani non, sono riusciti a ripetere certe imprese. Ora c’è un buon gruppo, sento che possiamo fare bene».
Proviamo a descriverlo, questo gruppo. Sette italiani a Roma: «Volandri, ovvero l’eleganza. Starace, il divertimento, la simpatia. Seppi è il mio gemello diverso, come ha scritto qualcuno. Flavio Cipolla è mitico, un amico e un compagno di doppio da sempre. Fabbiano è il futuro che già arriva dietro di me. Gianluca Naso un bombardiere». E Bolelli? «Okay, mi do i voti: dritto 9, rovescio 7,5, servizio 9,5, volèe 8, testa 8, fisico 8. Troppo? Ma no, dai…da 8 a 10 ce n’è, da lavorare. Sono uno che adesso pensa al tennis e che se deve divertirsi fa quello che fanno tutti i ragazzi di vent’anni: chatto su internet, esco con gli amici. Mi piace la pesca, ascolto musica. Mi guardo intorno. Alle ultime elezioni non ho votato, ero in Croazia per la Davis. Se fossi stato a casa ci sarei andato ma sarebbe stata una scelta difficile. Mi ha colpito il casino che sta montando attorno alle Olimpiadi. E preoccupato: devo andarci, non vorrei che qualcuno si facesse venire strane idee, il boicotaggio non fa per me. Ma sono convinto che una volta iniziati i Giochi si parlerà solo di sport. Una medaglia d’oro mi piacerebbe, però non la cambierei con la vittoria in uno Slam, uno qualsiasi. Le ragazze? Non ho una fidanzata, quindi sto benissimo: posso fare quello che voglio…». Bella vita, signor Bolelli. Nessuna controindicazione? «Gli spostamenti, il non poter fare una vita “normale”. Ma va bene così, e poi anche nel circuito c’è spazio per l’amicizia. Anche con gli stranieri: Moya, del Potro, Nadal, con Federer che tifa Roma e siccome sa che sono juventino negli spogliatoi mi si avvicina e mi dice “Empoli, Empoli!”; per provocarmi. O con Gonzalez: ieri, dopo la finale ci siamo guardati e detti: ci alleniamo insieme, domani a Roma?». Un anno fa Volandri batteva Federer. «Appena l’ho saputo gli ho mandato un sms: grande, mitico. Lo so-co-sa vuoi farmi dire: che vincerò Roma, che batterò anch’io Federer. Mettiamola così: spero di far provare anch’io le stesse emozioni al pubblico. Può bastare?». Per il momento.


Foro Italico tocca subito a Starace

(Filo e Poto si guardano le spalle)

Egizio Trombetta, metro del 5-05-08

Al via per la 78esima volta gli Internazionali d’Italia e l’uomo da battere è sempre lui: Rafael Nadal, vincitore nelle ultime tre edizioni e trionfatore ieri al torneo di Barcellona contro Ferrer (6-1,4-6,6-1). Il ruolo di outsider spetterà al serbo Djokovic e allo svizzero Federer, n°l del mondo. Oggi in campo Starace (affronta il croato Cilic), che insidia di nuovo la leadership nazionale di Filippo Volandri: «Nessun problema» - commenta ridendo Volandri a Metro - « ma io e Potito abbiamo poco da scherzare, perché fra poco potrebbero essere altri a scavalcarci a tutti e due» (da Seppi e Bolelli ndr). Dopo la semifinale dello scorso anno, il livornese ci crede: «Questo torneo significa molto per me, ho buone sensazioni».
Bolelli non si ferma e’ la prima finale

(Simone: “sono strato bravo a tenere sempre in mano l’iniziativa”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 4-05-08

Buone notizie per l’Italia. Alla vigilia di Roma, la grande speranza giovane, il 22enne Simone Bolelli (n. 58 del mondo), tocca la prima finale Atp della carriera — e la prima azzurra dell’anno —, oggi a Monaco (Ger, 370.000 euro, terra) contro Fernando «mano de piedra» Gonzalez, scivolato al numero 15 Atp, ma 5 un anno fa. Contro il quale ha perso 2 anni fa, indoor, solo dopo 3 tie-break: «Servizio e dritto spinti, giocheremo un po’ allo specchio, in genere con quelli come lui mi trovo bene». Maratona La semifinale dell’allievo di Claudio Pistolesi è bella ed esaltante, dura ben 3 ore nel segno del grande equilibrio, ed è motivo di conferma e di ulteriore soddisfazione per il bolognese. «Ho battuto Mathieu, il numero 18 del mondo, con servizi e aggressività. E questo mi fa molto contento perché conforta i progressi che sto facendo. Ho giocato e vinto un gran match. Nel primo set mi sono preso il tie-break con un ace di seconda che l’ha lasciato scosso. Nel secondo ho subito e ripreso e risubito il break, ma lui è stato fortunato perché ha un po’ trovato due risposte vincenti su due mie prime di battuta, E nel terzo ho recuperato da 3-5 sotto, ho salvato due palle-break sul 5-5 in un game lunghissimo, e ancora nel tie-break l’ho spuntata con il servizio, facendo quasi sempre ace». Tanto da firmarne 15 totali. Velocità «Qui a Monacò la tèrra è un po’ più veloce e, a 500 metri di altitudine, anche le palle che già viaggiano un po’ di più mi aiutano. Così posso spingere come piace a me. Sono stato bravo a non farmi governare da lui, col suo rovescio, ma a prendere io l’iniziativa più che potevo per non pagare negli spostamenti», racconta ancora euforico Bolelli che, a meno di un successo, non farà un gran salto in classifica: «Difendo il successo nel 125mila dollari dell’anno scorso» (a Tunisi). Ma che già assapora l’ingresso a Roma: «Avrò una gran carica, una super fiducia», il suo primo estimatore si chiama Adriano Panatta (l’ultimo finalista italiano al Foro esattamente 30 anni fa): «Tennis classico e potente. La palla gli esce sempre bene dalla racchetta, e meglio del primo Camporese». E ci fermiamo qui.

E la Sharapova rifiuta lo spot: rischia maxi multa

(I capricci di “Masha”)

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 04-05-08

MILANO — «Cari fans, voglio che sappiate che la Wta sta cercando di obbligarmi a girare uno spot di quattro ore la domenica, il lunedì o il martedì del torneo di Roma, dopo un volo intercontinentale di 12 ore da Los Angeles al Italia. Io ho le mie regole: mai girare spot alla vigilia di mia partita. Voi cosa ne pensate? Partecipate al sondaggio e fatemi sapere». La diva fa i capricci per un ottimo motivo: i soldi. Maria Sharapova, numero 3 del tennis mondiale, dalla Siberia (in first class) con furore, sta pensando di portare in tribunale l’Associazione delle tenniste professioniste (Wta), della quale la parte, che ha minacciato di affibbiarle una mega multa (300 mila dollari) se non si presenterà puntuale sul set della poderosa campagna marketing (5 milioni di dollari di budget solo per il 2008) con cui il tennis femminile sta cercando di rilanciare l’immagine di uno sport del quale la russa è l’indiscussa donna-copertina La multinazionale Sharapova non ha gradito: Maria, che sa dì valere molto, vorrebbe essere trattata con i guanti bianchi («Pensate che l’Nba chiederebbe mai alle sue stelle del basket di partecipare a un evento a cinque ore da una partita fondamentale dei play off? Non è giusto che mi trattino cosi, la verità è che la Wta se ne fréga di quello che dico») e, probabilmente, monetizzare. Ha lanciato una petizione su Internet (www.mariasharapova.com), si ripromette di boicottare lo spot coinvolgendo nella protesta le altre giocatrici di vertice (Henin, Serena Williams, Ivanovic e Jankovic), ha messo la faccenda nelle mani dei legali ed è andata a rifarsi le unghie. Nulla, nel mondo della Sharapova, è lasciato al caso. Una 21enne che festeggia il compleanno al Tenjune di New York, l’ultimo ritrovo per vip nel West Village, invitando la stilista Vera Wang e il diavolo veste Prada, Anna Wintour, non può concedersi con troppa disponibilità alle richieste (non remunerate) della Wta. «Siamo atlete, non soubrette o modelle — continua Maria nel suo sfogo ordine —, non facciamo spot per vivere e, soprattutto, dobbiamo scendere in campo il giorno dopo. Forse non tutti sanno che girare una pubblicità di molte ore è un’esperienza fisicamente e psicologicamente arenante. E me l’hanno detto con appena due settimane di preavviso!». La questione, superficialmente, potrebbe apparire effimera. Per un’adolescente che incassa oltre 25 milioni di dollari a stagione (più i premi), non lo è affatto.

In attesa dei big ecco Safin e Tsonga

(Intanto i big provano i campi del Foro)

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 4-05-08

In attesa della prima uscita degli otto favoriti (beneficiari come da regolamento internazionale di un Bye i match più interessanti del primo turno vedono impegnati l’ex numero 1 del mondo Marat Safln (invitato dagli organizzatori con una wild card) contro lo svizzero Stanislas Wawrinka e il finalista uscente Fernando Gonzalez contro l’emergente serbo Tipsarevic……Carlos Moya, l’ultimo ad aver vinto il torneo prima dell’avvènto di Nadal, darà vita ad un derby spagnolo con Verdasco, mentre per il «Muhammad Ali» del tennis, JoWilfried Tsonga, sarà derby francese con Gilles Simon. Federer-Ferrer, Djokovic-Nalbandian, Roddick-Davydenko e Blake-Nadal i teorici quarti dr finale, con Safìn, Gasquet, Canas, Andreev, Almagro e Ro-bredo a vestire i panni delle mine vaganti. Italiani permettendo…

Bolelli chiede spazio

(Simone pronto a stupire Roma)

Mario Viggiani, il corriere dello sport del 3-05-08

Comunque vada, arriverà a Roma bello caldo. Simone Bolelli è l’emergente dell’Italtennis: ha appena fatto un figurone in Coppa Davis, in Croazia, disinnescando le bombe di Karlovic e perdendo con molto onore contro un Ancic tornato “SuperMario”, e ieri ha conquistato la seconda semifinale in carriera, nel circuito Atp. Comunque vada oggi a Monaco di Baviera, dove per la prima volta incrocerà il francese Paul-Henri Mathieu, n. 1 del torneo e 18 del mondo, arriverà appunto a Roma bello caldo. Sarà la terza avventura di “Simo” agli Internazionali d’Italia BNL. Ma stavolta, anche se in extremis, è entrato direttamente nel tabellone principale senza la wild card che pure, a garanzia, gli era stata assegnata dagli organizzatori. Era il settimo degli esclusi in lista d’attesa, con le puntuali rinunce dell’ultimerà il 22enne emiliano è rientrato nel gruppo dei migliori. Nelle due precedenti occasioni, al primo turno il sorteggio gli ha sempre riservato dei terraioli provetti (lo spagnolo Verdasco nel 2006 e il cileno Massu nel 2007) e così Bolelli non è andato oltre la partita d’esordio, anche se contro Verdasco conquistò almeno il primo set. In ogni caso, questa volta arriva a Roma un altro Bolelli, lanciatissimo per i risultati conquistati quest’anno (semifinale a Zagabria sul veloce e ora a Monaco sulla terra) e per alcune eccellenti prestazioni contro i Top Ten (Gasquet, Ferrer e soprattutto Davydenko, questo per due volte). Il suo dritto picchia sempre più forte, e se c’è da prendere qualche rischio scendendo a rete, Simone non si tira indietro. Se n’è accorto ieri il coreano Lee, travolto nel primo set con un parziale di dodici punti a zero che ha portato il nostro da 3-4 0-30 per il rivale fino al 6-4 per lui (con 89% di punti vinti con la prima di servizio). RINUNCE - Sono sei le rinunce che hanno spianato a Bolelli la strada per il tabellone principale senza dover più ricorrere alla wild card, che gli organizzatori (in assenza di altri italiani all’altezza) hanno opportunamente girato ad Ancic, il croato protagonista della recente sconfitta azzurra in Coppa Davis. In ordine di classifica, gli assenti sono il ceco Berdych (n, 10), il russo Youzhny (11), il ciprtota Baghdatis (12), l’australiano Hewitt (20) e i tedeschi Kohlschreiber (26) e Haas (36). QUALIFICAZIONI - Intanto oggi e domani, al Foro Italico, si giocheranno le qualificazioni. Ben nove gli italiani in lizza: ad Arnaboldi, Fabbiano, Marrai e Trevisan, si sono aggiunti Aldi, Azzarro, Galvani, Lorenzi e Vagnozzi…………….

Maria e le altre

(Gli internazionali al femminile ricchi di grandi imprese)

Daniele Azzolini, il messaggero del 3-05-08

ROMA - Quando Bettyann serviva la prima, si poteva intuire perché in tanti preferissero, ai suoi incontri, un posto in curva. Erano gli anni Settanta, e il pubblico non era ancora abituato a tanta generosità. Bettyann Grubb, sposata Stuart, risposata Dent, era una solida signora californiana, vistosa più che bella, ma gioiosa nei sorrisi e molto femminista nelle intenzioni, che non amava nascondere nei reggiseni di allora, sprangati come una santabarbara, la prosperosità donatale da una giovanile maternità, e indossava calotte svolazzanti di trine. La curva le apprezzava moltissimo. Gli spettatori seguivano le evoluzioni della signora disegnando coi nasi arabeschi nell’aria, e li vedevi afflosciarsi d’improvviso, neanche fossero stati colpiti da un pugno, quando giungeva il contraccolpo della battuta e il gonnellino si alzava come un sipario. Scoperto l’arcano (possibile, si era chiesta, che a Roma io abbia più pubblico della Evert?), Bettyann fece ricamare sulle culotte un enorme “Watch it” in rosso. Guardalo! La curva apprezzò di meno, e sui volti sospesi, quella luce ispirata finì per apparire a tutti un po’ più cretina. Gli aneddoti a loro modo sono pozzetti dì Dna, e le donne degli Internazionali ne hanno sparsi con generosità sulle molecole di mattone tritato del torneo romano. A prender le mosse da Hana Mandlikova, che un telecronista poi diventato famoso ribattezzò Mandrillova incespicando sulle parole, per finire al naso di Steffi Graf, che costò al torneo nove anni di assenza della numero uno, urtata che un giornalista l’avesse descritto simile a un promontorio, si potrebbe tracciare una storia degli Internazionali parallela a quella imposta dalle vittorie, che è invece comandata dai 5 successi di Chris Evert e arricchita di imprese toste (i quattro in fila di In maculata Conception Martinez, in arte Conchita), di attese alla fine premiate (Mauresmo, tre finali e poi finalmente le vittorie, due), di ritorni commoventi (Seles, finalista nel 1991, di nuovo vittoriosa nel 2000) e di conquiste dimostratesi vane (Hingis, l’ultima grande impresa, nel 2006, e poi il diluvio). Si potrebbe scoprire, alla fine, che gli Internazionali delle donne, se non sono stati sempre un grande torneo, non sono stati nemmeno un torneo banale. Anzi, hanno partecipato alla storia del tennis ben più di eventi sostenuti da cifre e investimenti massicci. Nel 1982, per dire, Chris Evert venne in Italia a consegnare lo scettro della terra battuta: perse da Manuela Maleeva, in finale, e pose fine a una striscia di vittorie sul rosso che proseguiva da 125 incontri. Si può almanaccare, piuttosto, su quanto del Dna di quelle antiche guerriere sia penetrato nelle fibre delle foltissime di oggi. Serena Williams condivide certo con Martina, nata Subertova poi diventata Navratilova, e con Billie Jean King, quella voglia tutta americana di spaziare oltre gli angusti confini del tennis. Come loro, ha provato persino a chiedersi quanto il suo tennis fosse inferiore a quello di un uomo, e se la risposta fu deludente (a Melbourne, nel 2001, il numero 200 Karstén Braasch le lasciò un game appena), la faccia tosta e l’istinto di mettersi in gioco furono addirittura impagabili. E dite, non è forse il gioco lindo di Justine Henin, e quella palla colpita con un solo braccio ma sempre al centro della racchetta, a rappresentare sul piano tecnico la più saggia rilettura moderna del tennis di una volta? Con più forza, però. Perché è quella a fare la differenza, e a segnare la modernità del gioco. Anche fra le ragazze. Muscoli e centimetri. Maria Sharapova è uno e novanta e porta tacco, dieci. Altissima, bellissima, troppissima. Al confronto Serena pare bassa, ma è una tappetta da un metro e ottanta. Justine, Maria, Serena… mettiamole pure in ordine di classifica. Poi Ivanovic, e magari la Jankovic, campionessa in carica, a patto che non incontri la Henin, con cui perderebbe anche a ramino. L’Italia vi aggiunge Francesca Schiavone, se il pubblico la sosterrà come sa fare e lei saprà tradurre tanto amore in vorticose baruffe tennistiche. Sono queste le ragazze-torneo, in un’edizione che le vede tutte o quasi al via (mancano Venus e Davenport, appena). Sta a loro, alle molto aitanti e prestanti fuste di oggi, aggiungere ciò che sanno fare meglio: il gioco duro.

Agli Internazionali arrivato Djokovic ma non Berdych

(Nole ospite a buona domenica)

Sergio Torrisi, il corriere della sera del 3-05-08

È ormai tutto pronto per la 78esima edizione degli Internazionali Bnl d’Italia, che nonostante qualche forfait dell’ultima ora metteranno ugualmente in campo il meglio del tennis mondiale. Il tradizionale torneo romano parte stamattina alle io con la «due giorni» delle qualificazioni, mentre lunedì inizieranno i match del tabellone principale, con molti big già inseriti nel programma. E proprio uno dei maggiori indiziati al successo finale, il serbo Novak Djokovic, numero 3 del ranking Atp, è stato uno dei primi a giungere a Roma. «Nole», che a gennaio a Melbourne ha conquistato il primo Grande Slam della sua giovane carriera, sarà presentato domani al pubblico italiano nel corso della trasmissione Buona Domenica, il contenitore pomeridiano di Canale 5. Oltre a Djokovic hanno voluto anticipare l’arrivo anche lo statunitense James Blake, lo svedese Jonas Bjorkman e uno degli idoli dell’universo femminile, lo spagnolo Carlos Mova. Intanto, dopo Volandri, Starace e Seppi, anche Simone Bolelli è entrato nel main draw del Master Series capitolino, il tennista bolognese, a cui in precedenza era stata assegnata una wild card, ha approfittato delle rinunce del tedesco Kohlschreiber (out per un virus) e del ceco Tomas Berdych, fermato per un mese dalla distorsione alla caviglia subita in Coppa Davis. Non scenderanno sui campi del Foro Italico anche il russo Youzhny, il tedesco Haas, l’australiano Hewitt e il cipriota Baghdatis, mentre l’emergente francese Jo-Wìlfred Tsonga (numero tredici del mondo) ha tranquillizzato i suoi tifosi, garantendo la presenza sulla terra rossa romana dopo una lunga assenza per infortunio.
Dal Web

Non solo tennis agli Internazionali
www.corrieredellosport.it
http://www.corrieredellosport.it/Notizie/Tennis/28470/

Mondanità, appuntamenti, premiazioni, tornei amatoriali saranno le principali attrattive per due settimane all’insegna dello spettacolo anche fuori dal campo

Non solo tennis al Foro Italico. Le due settimane degli Internazionali BNL d’Italia saranno caratterizzate, oltre che dalla “sfilata” delle più importanti racchette del mondo sui campi in terra rossa capitolini, anche da gustosi avvenimenti mondani, che andranno di scena al Villaggio Ospitalità.

MONDANITÀ SETTIMANA MASCHILE - Il Villaggio aprirà i battenti nella serata di lunedì 5 maggio, con uno spettacolo di eccezione, che avrà come protagonista il jazzista Mario Biondi e la sua band. Ma questo soltanto per cominciare. Martedì 6 maggio la serata sarà allietata da un concerto di Violante Placido, mentre mercoledì 7 toccherà al deejay Claudio Coccoluto far divertire i tennisti e gli ospiti al ritmo di musica anni Settanta.

RACCHETTA D’ORO - Grande l’attesa anche per la tradizionale “Racchetta d’Oro” che, gestita da quest’anno direttamente dalla Federazione Italiana Tennis, sabato 10 maggio vedrà la premiazione di Manolo Santana, finalista a Roma nel 1965 (proprio quel giorno compirà 70 anni), e Gabriela Sabatini, che ha conquistato il trofeo capitolino quattro volte (nel 1988, 1989, 1991 e 1992).

MONDANITÀ SETTIMANA FEMMINILE - La domenica a cavallo tra la settimana maschile e quella femminile del torneo, ossia l’11 maggio, sarà di riposo. Si riprenderà con la mondanità da lunedì 12, quando è previsto un concerto jazz curato dallo staff dell’Auditorium Parco della Musica. Gli altri due concerti, ossia quelli di Giuliano Palma e Mario Venuti, si svolgeranno martedì 13 e venerdì 16. Ma questo sembra esssre soltanto un assaggio: l’organizzazione ha assicurato che le sorprese non finiranno qui.

SCOLAPASTA D’ORO - Questa edizione 2008 vedrà rinascere anche lo “Scolapasta d’oro”, il mitico torneo di tennis riservato al mondo dello spettacolo e nato negli anni Settanta grazie ad Ugo Tognazzi. Il torneo che tra i suoi precedenti partecipanti può vantare grandi nomi dello spettacolo - da Luciano Pavarotti a Paolo Villaggio, da Antony Quinn a Vittorio Gassman, da Verdone a Claudio Amendola - vedrà quattro squadre, composte da otto personaggi, affrontarsi prima sui campi da tennis (dal 7 al 10 maggio) e poi ai fornelli in un dopo partita gastronomico (7, 8, 9 e 14 maggio). Tra i tanti che hanno garantito la propria presenza spiccano, tra gli altri, Diego Abatantuono, Luca Argentero. Pino Insegno, Paolo Bonolis, Samantha De Grenet, Giuliana De Sio, Alessandro Haber, Alessandro Gasmann, Francesco Venditti, Gianmarco Tognazzi, Valeria Marini e Paola Perego.

Wimbledon aumenterà i montepremi della prossima edizione ma non rinuncia al riposo domenicale
tennis.it
http://www.tennis.it/article.aspx?id=1806&Descrizione

Wimbledon 2008 aumenta i montepremi. L’evento tennistico più antico e prestigioso quest’anno premierà i vincitori con premi più alti.

Con un incremento del 4,7%, infatti, il prizemoney sarà di 11.812.000 sterline (quasi 15 milioni di euro) rispetto agli 11.282.710 (circa 14,3 milioni di euro) della scorsa edizione.

I vincitori del singolare maschile e femminile guadagneranno 750.000 sterline (950.000 euro), il 7,1% in più dello scorso anno, mentre per quanto riguarda il doppio per la prima volta il montepremi supererà il milione di sterline.

Se in termini di premi c’è dunque aria di cambiamenti, l’evento inglese non intende invece cambiare la tradizione più rigorosa: quella del riposo domenicale.

Le continue piogge londinesi avevano ultimamente fatto pensare alla necessità di giocare anche nel giorno “sacro”, per evitare che i giocatori si trovassero a dover prolungare un match troppo a lungo (l’anno passato Nadal terminò il mercoledì una partita contro Soderling iniziata di sabato, e Federer si ritrovò fermo per 5 giorni di fila).

“Non vediamo ragione di cambiare” ha dichiarato invece Ian Ritchie, direttore esecutivo dell’All England Club.

La tradizione è tradizione.

Federer sfida il tabù Roma

(Roger: “Questa volta voglio vincere Roma”)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 1-05-08

Per la prima volta in carriera, Roger Pederer ha programmato quattro tornei sulla terra in preparazione al Roland Garros: Estoril (dove ha vinto), Montecarlo (dove è stato battuto in finale da Nadal), Roma (che comincerà lunedì) ad Amburgo. In aggiunta a questo, ha affrontato la stagione sul rosso con un nuovo coach, Josè Higueras è nato il 28 febbraio 1953 a Diezma, nella provincia di Granada. Da ragazzo si è spostato a Barcellona per diventare un tennista. Specialista sulla tenva rossa, ha vinto 15 tornei su questa superficie (più uno sul veloce). E’ stato semifinalista al Roland Garros per due edizioni e numero 6 del mondo nel 1983. A Roma è approdato in finale nel 1983, battuto da Jimmy Arias in quattro set. Si è ritirato nel 1986 e da allora ha cominciato ad allenare. E’ stato al fianco di Michael Chang quando, nel 1989, ha vinto il Roland Garros a 17 anni. Ha lavorato con Courier, Sampras, Mova, Todd Martin, Bruguera e Jennifer Capriati. Gestisce un’Accademia a Palm Springs, in California. Ha firmato un accordo con Federer dopo Estoril. Prima del torneo in Portagallo lo svizzero aveva detto: «Passeremo la settimana assieme per vedere se possiamo diventare una squadra». Il numero 1 del mondo era senza allenatore dal maggio scorso, quando aveva rotto con Tony Roach il suo terzo coach della carriera, dopo Peter Carter e Peter Lundgren. In realtà ci sarebbe stato anche un altro consigliere tecnico, ma troviamo qualche difficoltà a inquadrarlo in questo ruolo. Reto Staubli nella vita di tutti i giorni fa il consulente per alcune banche svizzere. Da ragazzo è stato un buon giocatore ed ha conosciuto Roger quando il futuro dominatore del mondo aveva 14 anni. Nel 2004 lo ha seguito in giro per il mondo in almeno 10 tornei. Un amico, uno a cui chiedere un consiglio. «Stai più vicino alla rete» gli ha detto durante la sospensione per pioggia in occasione della finale di Wimbledpn con Andy Roddick. Roger ha ascoltato, è rientrato in campo ed ha portato a casa il trofeo. Ma adesso Federer ha bisogno di confrontarsi con un uomo esperto. Non che a lui si possa insegnare qualcosa dal punto di vista tecnico, ma consigli appropriati potrebbero aiutarlo a conquistare l’unico Slam che gli manca. Il Roland Garros, appunto. «Roger è un fenomeno, è come Michael Jordan. E’ unico» queste le parole di Higueras, quando qualcuno gli ha chiesto un parere sul suo nuovo “socio”. «Ho servito un po’ meglio, sono più continuo da fondo, il rovescio funziona bene e il dritto va nel modo giusto» ha detto Federer a chi gli chiedeva un primo giudizio sul loro rapporto. Jim Courier, uno che conosce bene entrambi, ha così riassunto la vicenda: «Nel peggior anno della sua carriera, l’opzione prescelta è la sola che possa consentirgli di risollevarsi e vincere il Roland Garros». Il primo torneo vinto quest’anno, Roger Federer l’ha conquistato sulla terra, di Estoril. E in quello dopo a Montecarlo, dopo un disastroso avvio, solo Nadal è riuscito a fermarlo. Ma bisogna stare attenti, Higueras non è un mago. E Federer è già un fenomeno di suo. Partendo da queste due realtà, si può leggere con maggiore disincanto l’intera vicenda. Del resto lo svizzero è stato a lungo senza un coach. Federer, che a inizio stagione ha dichiarato di avere tre obiettivi (Roland Garros, l’Olimpiade di Pechino e battere il record di Sampras per Slam vinti), giocherà a Roma provando a infrangere un tabù. Per sette volte è stato nel tabellone principale, ma i suoi migliori risultati sono state due finali: nel 2003 (battuto da Mantilla 5-7 2-6 6-7) e nel 2006 (superato da Nadal 7-6 6-7 4-6 6-2 6-7). Nessuna vittoria, per uno che ha conquistato trofei ovunque, quasi uno smacco. La sua ultima apparizione, datata 2007, non è stata esaltante. Fuori al terzo turno, dopo un bye al primo, sconfitto da Filippo Volandri. Stavolta ha giurato di volere andare molto più avanti. Anche se Higueras lo seguirà da Palm Sprìngs. Il coach spagnolo sarà di nuovo al suo fianco solo per il torneo di Parigi.

Scuola tennis Williams Campioni dal ghetto

(Come far diventare campioni dei bambini normali con l’esempio delle Williams)

Massimo Lopes Pegna, la gazzetta dello sport del 1-05-08

NEW YORK Quinta strada, quella elegante con i palazzi raffinati, il negozio di Abercrombie a due passi e la vista su Central Park. Stessa via, solo qualche chilometro più a nord: cassonetti sfondati, appartamenti logori, un campo da baseball melmoso, l’autostrada sgangherata che corre rumorosa su un lato. Harlem. La città nera che attrae i capitali di chi pensa che il ramo immobiliare da queste partì sarà un po’ come il petrolio ai primi del ‘900 e dove è radical chic farsi l’ufficio, come l’ex presidènte Bill Clinton. L’esempio l’Harlem Tennis Center sta nel guscio di una «Armory». Da fuori ha l’aspetto austero di una vecchia fortezza, dentro, come in un gigantesco uovo di Pasqua, c’è la sorpresa: otto campi da tennis e la vitalità di una schiera di ragazzini di tutte le razze che fa a pugni con la desolazione dell’esterno. Il benvenuto te lo danno un gigantesco poster di Arthur Ashe e là faccia allegra di George Henry, il quarantenne che di Ashe avrebbe voluto fare la carriera e sta al timone della brillante iniziativa. Lo slogan è molto semplice: «Qui trasformiamo bambini di 5 o 6 anni in professionisti della racchetta», proclama. Nessuna complicata equazione algebrica da risolvere, solo due o tre regolette, da applicare con diligenza, rubate al sostenitore del progetto: il signor Richard Williams. Le campionesse il biglietto da visita sono le sue due meravigliose figliolone, Serena e Venus, immortalate con i baffetti bianchi di latte di una vecchia pubblicità sul poster alle spalle della scrivania di Henry. «Per arrivare all’obiettivo basta seguire il regolamento Williams: Serena e Venus erano due bambine qualunque e sono diventate due campionesse. Lo sanno tutti. Allora ho chiamato Richard, che conosco da anni, e gli ho detto: “Caro Mr, Williams perché non diamo anche ad altri la stessa opportunità delle tue figlie: aiutiamo a toglierli dalle strade e trasformiamoli in giocatori di tennis”. Il signor Williams non è facile da convincere, ma alla fine l’ho spuntata». Così Henry, che già lavorava per l’Harlem Tennis Center di proprietà del Police Athletic League, ha messo in piedi il programma. Spiega: «Non ho avuto bisogno né di soldi né di pubblicità: ricevo almeno cinque telefonate al giorno. Adesso stiamo lavorando su una ventina di bambini, età media 8-9 anni: sono pronto a scommettere che almeno cinque di loro un giorno faranno i professionisti». Istruzioni per l’uso. Persino troppo sémplice. Scusi Henry, ma sta dicendo che chiunque, se preso in tenera età, può diventare un tennista di alto livello? «In pratica sì. Il talento non è richiesto se si segue il pacchetto d’istruzioni: se c’è anche quello magari si può diventare pure numero uno al mondo». Le istruzioni sono le stesse messe in uso da Richard Williams fin dai tempi del ghetto di Compton, la Los Angeles che sta ai margini di Hollywood, dove le due sorellone sparavano palline dall’alba al tramonto mentre intorno a loro si sparavano bande rivali (nel 2003 è stata assassinata lì la sorella maggiore Yetunde). Spièga Henry: «Se lavori duro, credi in te stesso, cominci a pensare in modo giusto, hai un buon bagaglio atletico, il resto viene da solo. Naturalmente bisogna impegnarsi e dedicarsi molto. Insomma crederci davvero». Come Giancarlo Cavaliere, otto anni, argentino di Long Island, numero uno del «Team Williams»: «E’molto bravo, sentirete parlare di lui», strizza l’occhio Henry. Espansione Williams è in giro per il mondo, ogni tanto passa a controllare il suo progetto, che si espanderà presto anche a St. Louis e a Dio piacendo anche in altre città: «Sono contento di poter restituire alla comunità una parte del nostro successo», dice soddisfatto. L’idea è di fabbricare campioni ovunque. Papa Richard insegna, suggerisce, predica. Se c’è bisogno di ulteriore ispirazione, i bambini lanciano un’occhiata al poster della pubblicità, imbracciano la racchetta e ci danno dentro come forsennati.

Torna Gabriela l’amore del Foro

(Gabriela: “la prima cosa che ho fatto dopo il tennis? Una bella vacanza a Roma”)

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport Roma del 1-05-08

ROMA «Maggio 1987. I romani scoprono gli occhioni da cerbiatta di una giovanissima argentina. E ci mettono un attimo ad innamorarsi di lei. Gabriela Sabatini è la regina per eccellenza degli Intemazionali d’Italia, impossibile trovare in giro per il Foro Italico chi la pensa diversamente. Sabato 10 maggio, in occasione della consegna della «racchetta d’oro»; e a pochi giorni dai suoi 38 anni, la Sabatini tornerà a Roma. Finalmente la rivedremo al Foro Italico…«Sarà una giornata davvero speciale per me. Roma è sempre stata una delle mie città preferite, ed è il torneo che più tengo nel cuore. Sono passati tanti anni, ma sono certa che mi emozionerò di nuovo». A Roma ha conquistato 4 titoli e, soprattutto. I cuori degli appassionati. Si è mai spiegate il perche? «Mi hanno sempre fatto sentire dall’inizio come una italiana vera, e in questo i miei avi hanno influito ovviamente. Non dimenticherò mai le sensazioni che ho provato nelle mie nove esperienze romane. Al Foro mi sentivo come a casa mia». Quali sono i match che ricorda con più piacere? «Difficilissimo scegliere. Non potrò mai dimenticare la vittoria su Martina Navratilova nella semifinale del 1987, la prima in carriera contro di lei, e le due finali vinte contro la Seles nel ‘91 e ‘92. Finché sono stata impegnata nel torneo non ho mai avuto toppo tempo per godermi la città, ma poi mi sono rifatta a dovere. Non a caso qui ho fatto la prima vacanza subito dopo il ritiro dalle scene nel 1996; ho passato intere giornate a visitare la Cappella Sistina e il Colosseo. Poi non ho mai fatto mistero del mio amore per i capi di abbigliamento e l’oggettistica italiana…». Che cosa fa in questo momento della sua vita? «Per la maggior parte del tempo vivo a Buenos Aires e curo le mie aziende. Proprio quest’anno il mio profumo festeggia i 20 anni di vita. Faccio sport, un po’ di tennis ovviamente e tanta bici, e appena posso prendo la valigia e cerco città e paesi nuovi». Scelga i tre momenti più beli detta sua carriere. E II peggiore. «Vincere gli Us Qpen è stato sicuramente il momento più alto. Poi i Master del 1988 e 1994 e la medaglia olimpica per il mio paese (argento a Seul 1988, ndr). Non c’è stato un “momento peggiore”. Anche i bassi mi hanno aiutato. Mi tengo stretto tutto». Continua a seguire il tennis? Le piace ancora? «Non smetterò mai di seguirlo. Vado sempre ai tornei di Buenos Aires e Miami, e non mi perdo un impegnò di Coppa Davis dell’Argentina. Appena posso seguo i match di Federer, uno spettacolo per gli occhi». E gli Italiani? «Gli italiani hanno sempre avuto un incredibile talento, mi piacciono molto Fognini, Pennetta, Starace e Volandri».

Pietrangeli: «Spero in un italiano nei quarti»
CorrieredelloSport.it
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«In quel caso il Foro Italico si infiammerebbe. Se Nadal e Federer arrivano in finale speriamo in epilogo più emozionante di Montecarlo. Ma attenzione a Djokovic». «Mi auguro che un italiano infiammi il pubblico del Foro Italico arrivando almeno fino ai quarti». A pochi giorni dal via Nicola Pietrangeli, icona del tennis azzurro, “guarda” nella sfera di cristallo la 78ª edizione degli Internazionali BNl d’Italia. «Al 99% uno dei finalisti sarà Rafa Nadal - ha detto l’ex tennista azzurro - Ovviamente tutti si aspettano una finale contro re Federer: in tal caso, speriamo sia più spettacolare di quella andata in scena a Montecarlo». Due parole il presidente del comitato organizzatore le spende poi sul «terzo incomodo», Novak Djokovic: «Sulla terra il serbo non mi sembra un fenomeno, dubito possa arrivare in finale». TORNEO FEMMINILE - Pietrangeli azzarda anche un’ipotesi sulle protagoniste dell’ultimo atto del torneo rosa: «Tutti attendono la numero uno Henin contro la bellezza Sharapova. Sarebbe interessante, però, vedere protagoniste anche la Ivanovic o la Jankovic». L’unica certezza al momento riguarda il palcoscenico che ospiterà le due finalissime, lo Stadio Nicola Pietrangeli che, in attesa della realizzazione del nuovo impianto polifunzionale del Foro Italico, quest’anno sostituirà il Campo Centrale: «È un’idea che mi diverte molto - ha concluso ironicamente il grande Nick - pensare che il mio nome verrà pronunciato dalla mattina alla sera».

Più forte del Virus
Settimanasportiva.it
http://www.settimanasportiva.it/index/it/

Ci proviamo anche quest’anno, e magari sembra ancor di più una follia. Ma il modo in cui Roger Federer ha perso la finale di Montercarlo non uccide i suoi sogni di conquistare il Roland Garros, anzi. Federer nel match contro Nadal si è mostrato ancora debole nel servizio e ha subito ancora una volta psicologicamente il suo amico-rivale. Però, dopo aver passato per un soffio il primo turno con Ramirez Hidalgo, ha finalmente mostrato in seguito sprazzi del tennis che solo lui sa fare e in finale quei quattro games di inizio secondo set sono la dimostrazione che non c’è nessuno che può giocare a quel livello. Neppure Nadal, che sulla terra rossa si trova come sul pavimento di casa sua e infligge agli avversari storiche lezioni. Roger insomma si sta riavviando a tornare Federer perché, badate, la mononucleosi non è una malattia da poco per uno sportivo: è un virus debilitante e a lungo termine che può fiaccare anche la tenuta psicofisica. Lo svizzero forse non è ancora guarito del tutto, ma Montecarlo dimostra che a Parigi non sarà una passeggiata per Rafa, che comunque gode in ogni caso di quel vantaggio che si è traformato in un tarlo nella testa del numero uno del mondo. In pratica: Federer vincitore in Francia si può fare, forse – nonostante tutto – quest’anno più che mai. Poi, arriverà il momento di Nadal a Wimbledon e il tennis avrà vissuto le storie più straordinarie delle sue grandi rivalità.

Dentro Matchpoint: Bolelli, l’osservato speciale “I Top 10? Ci sto lavorando. Non è un’impresa impossibile”
Matchpoint
http://www.mpmtennis.com/index.php?pag=articolo&id=1608

Piccoli grandi tennisti crescono. Settimana dopo settimana, torneo dopo torneo, partita dopo partita. Simone Bolelli, 22enne di Budrio, si sta facendo largo nel circuito ATP, passo dopo passo. Dai primi colpi tirati al Tennis Club Siro con Andrea Saetti, oggi è diventato l’osservato speciale del circuito pro, in ogni appuntamento, indipendentemente dalla superficie sulla quale si gioca. Lo è stato in Coppa Davis a Dubrovnik, dove Croazia e Italia si sono sfidate per il secondo turno del Gruppo I della zona euro/africana. Per Goran Prpic, il capitano croato, era lui il giocatore azzurro da temere di più: “Bolelli sta crescendo settimana dopo settimana, è da tenere d’occhio”. Lo è stato al Master Series di Montecarlo, fin dalle qualificazioni. Mariano Monachesi, dopo che il suo allievo Juan Ignacio Chela è stato sorteggiato con un qualificato, non si è perso un punto degli incontri del bolognese. “Tra i giocatori che stanno disputando le quali, Bolelli è da evitare, è un vero e proprio talento. Anzi, mi sorprende che ancora non abbia la classifica per entrare direttamente nei Master Series”. La sorte non l’ha ascoltato. “Bole”, dopo aver superato le qualificazioni, è stato sorteggiato proprio contro Chela e ha disputato una gran partita, come a non voler smentire le tante buone parole spese nei suoi riguardi. I paragoni si fanno sempre più importanti, qualcuno fa addirittura il nome di Re Roger, per i suoi colpi, a volte, di così difficile esecuzione. “Certe similitudini non possono che farmi piacere”, commenta l’allievo di Claudio Pistolesi, “è vero, a volte faccio un gioco rischioso, ma perché sono convinto che è così che si ottengono i risultati”. Lo scorso anno Simone ha chiuso la stagione, per la prima volta, nei top-100, ha fatto il suo debutto in tre delle quattro prove del Grande Slam, superando sempre il primo turno: a Parigi ha battuto il finalista dell’edizione 2003, l’olandese Martin Verkerk per poi essere eliminato dall’argentino Guillermo Canas; a Wimbledon ha superato lo spagnolo Guillermo Garcia Lopez e poi si è arreso all’australiano Lleyton Hewitt; agli US Open ha sconfitto il francese Julien Benneteau e poi ha perso dal ceco Tomas Berdych. Quest’anno secondo turno anche agli Australian Open (superato Ram e battuto dal serbo Novak Djokovic, che ha poi vinto il torneo), ha raggiunto il suo best ranking, n. 53, e la sua prima semifinale ATP, a Zagabria, perdendo dall’ucraino Sergiy Stakhovsky, che si è poi aggiudicato il titolo. Al Master Series di Miami ha bissato il terzo turno ottenuto lo scorso anno e ha sfiorato il colpaccio contro il futuro vincitore del torneo, il russo Nikolay Davydenko, n.4 delle classifiche mondiali. I cinque confronti con i top-10 (Berdych, Djokovic, Gasquet, Ferrer e Davydenko) fanno parte del bagaglio della crescita di Simone. “Io ci aggiungo anche l’incontro di Coppa Davis con Ancic, perché in quell’occasione Mario ha giocato da top-10 quale è stato nel 2006”, sottolinea coach Pistolesi. Ma i momenti importanti, per Simone, sono altri. “Dopo la sconfitta subita a Rotterdam per mano di Ferrer ho continuato a giocare a un livello molto alto. Avevo disputato una buona partita anche con Gasquet a Marsiglia, ma a fare la differenza è la continuità. E da Rotterdam in poi ogni settimana gioco sempre meglio”.

Federer, Nadal, Djokovic. Chi ti impressiona di più?
“Sicuramente Djoko, mi sembra il giocatore più vicino a Federer. Se lo svizzero inizia a sentire qualche pressione penso sia più a causa sua, che non di Nadal. Novak è uno che può fare risultato ogni settimana e su ogni superficie”.

A Bolelli cosa manca per arrivare tra i top-10?
“I top-10 sono il mio sogno e sto lavorando per realizzarlo. Però non mi piace parlare di cosa mi manca, quanto piuttosto degli aspetti da migliorare per raggiungere il mio obiettivo”.

Allora quali sono gli aspetti sui quali devi lavorare?
“Dal punto di vista atletico penso di avere grandi margini di miglioramento. Sotto l’aspetto tecnico con Claudio stiamo lavorando sul gioco di volo per venire più spesso a rete e qualche progresso lo sto già facendo. A livello mentale, invece, devo acquisire continuità ed essere sempre preparato. I match con i giocatori di vertice si decidono spesso su uno o due quindici”

Qual è la superficie sulla quale ritieni di poter fare i maggiori progressi?
“Sul veloce il servizio mi dà una grossa mano, sulla terra credo di poter migliorare di più”.

In casa Italia si parla sempre più spesso di un cambio generazionale. Tu, Seppi e a seguire Fognini state mettendo il fiato sul collo a Starace e Volandri. Senti questa responsabilità?
“È normale che i più giovani prima o poi si facciano sotto. Non penso però che Poto e Filo si sentano tanto sotto pressione, sono due grandi giocatori e continueranno a farci da traino ancora per molto”.

Dopo i vostri risultati, però, in Coppa Davis non è più necessario andare a cercare i campi in terra battuta a tutti i costi. A Dubrovnik avete dimostrato che adesso l’Italia può essere competitiva anche sul veloce.
“Io e Andreas siamo più adattabili a tutte le superfici, sicuramente ci esprimiamo meglio sul veloce, ancor di più se indoor. Anche Starace e Volandri, però, possono giocare bene sul cemento”.

La nota dolente, quindi, rimane il doppio?
“Barazzutti non ci ha chiesto nulla, ma io e Andreas abbiamo deciso di disputare qualche doppio insieme, almeno quando la nostra classifica ci permetterà di entrare in tabellone”.

Il 2008 è anno olimpico. Cosa rappresentano i Giochi per Bolelli?
“Andare alle Olimpiadi deve essere un’esperienza unica, che ti arricchisce sia come atleta sia come uomo. Il tennis ai Giochi non ha certo l’attenzione dell’atletica leggera. Però io spero proprio di poterci essere. Vivere nel villaggio olimpico, fianco a fianco con atleti di altre discipline, deve essere una grande emozione”.

Se potessi scegliere tra una vittoria in un torneo del Grande Slam o la medaglia olimpica cosa preferiresti?
“Bella domanda. Al primo posto metto il successo in uno Slam, meglio se agli US Open, poi la medaglia olimpica, ma solo se è d’oro, a seguire il torneo di Roma”.

Com’è il tuo rapporto con Pistolesi?
“Lo definirei totale. In campo è molto esigente, chiede sempre il massimo, ma credo sia abbastanza normale da parte di un allenatore. Stiamo bene insieme anche fuori dal campo, è un gran simpaticone, un po’ come tutti i romani d’altronde”.

Dopo il torneo di Monte Carlo, ci sarà Roma. Come vivi l’avvicinamento al Master Series italiano?
“È l’unico appuntamento importante che abbiamo in Italia. Ogni anno c’è sempre una gran voglia di giocarlo, ma bisogna stare attenti a tenere le emozioni sotto controllo. È necessario trovare il giusto equilibrio tra voglia di fare e attenzione a non esagerare”.
Simone ci sarà e anche a Roma sarà, ancora una volta lui, l’osservato speciale.
Barcellona, Starace avanza ma ora c’è Rafa Nadal

(Buona anche la prova di Matteo Marrai)

Andrea Facchinetti, E-Polis del 30-04-08

Filippo Volandri e Potito Starace approdano al 2° turno di Barcellona (800000$, terra), ma hanno poco tempo per festeggiare. Il livornese, tornato questa settimana numero I d’Italia nella classifica mondiale a scapito del campano (n°42 contro n°45), ha superato agevolmente Julian Melzer per 6-4 6-2 ma oggi si troverà di fronte Nicolas Almagro, terraiolo doc (e n°22 Atp) che lo ha già battuto due volte in questa stagione ed è 4-3 negli scontri diretti. Ancor più arduo l’impegno per Starace: battuto 7-6 6-1 l’australiano Peter Luczac, Potito se la vedrà nel match di cartello odierno con sua maestà Rafael Nadal, fresco del quarto titolo a Montecarlo e a caccia di un nuovo poker nel torneo catalano. Rafa superò Starace proprio nei quarti di questa manifestazione l’anno scorso in un match combattuto, ma lo Starace di un anno fa era in condizioni fisiche e tennistiche migliori di quelle attuali. Si ferma Matteo Marrai (n°414) di fronte all’idolo di casa Albert Martin per 6-3 6-3, ma di più non si poteva chieder al pisano, entrato per la prima volta in carriera in un tabellone principale del circuito maggiore. A Monaco (400000$, terra) riesce l’impresa a Gianluca Naso (n°305), vincitore su Rainer Schuettler per 6-7 6-3 6-4. Nel Wta di Praga (140000$, terra) si fermano all’esordio Karin Knapp e Sara Errani, reduci dalla Fed Cup. L’altoatesina cede 6-4 6-2 alla Craybas, la romagnola non fa meglio con la Zakopalova(6-l 6-3).

Errani, la bella che sa soffrire

(Da Sara parte la base per un futuro roseo)

Piero Valesio, tuttosposrt del 30-04-08

Se pensate che conquistare il punto della vittoria in un incontro a squadre sia cosa da poco allora non siete appassionati di tennis. L’impresa compiuta da Sara Errani domenica pomeriggio non è stata affatto una cosa da poco; quanto invece la dimostrazione di una raggiunta maturità cerebrale che può indurre alla speranza per il futuro suo, della squadra di Fed Cup e dell’intero tennis italico. Sara ha 21 anni, gravita intorno alla sessantesima prestazione mondiale e ha vinto domenica il suo primo incontro di Fed Cup decisivo dato che a Napoli aveva giocato e vinto ma quando ormai avevamo perso. DURA. «Ho capito che la Bondarenko soffriva se era contratta a giocare. E mi sono impegnata ad applicare esattamente quel tipo di gioco. E’ andata bene anche se su questo benedetto servizio dovrò ancora lavorare parecchio…». Capita, la maturità? Del resto che vi aspettavate da una che a dodici anni è stata posta su un aereo da papa Giorgio e Mamma Fulvia destinazione Bradenton, Florida, per accasarsi alla corte di Nick Bollettieri? Potreste obbiettare che dall’occhialuto parasantone del tennis planetario il recanatese Miccini c’è andato a undici: ma si tratta di sottigliezze. Sentite Sara: «Non è stato né facile né bello, all’inizio. Io non conoscevo una parola d’inglese, ero sempre al telefono con mio padre perché mi aiutasse a capire dove dovevo andare, a quale fermata di bus sarei dovuta scendere. Non credo ci sia stato un solo giorno in cui non ho pianto. Ma alla fine è stata un’esperienza straordinaria e ho capito che qualcosa nel tennis avrei potuto combinare».
NUMERI Se la determinazione è una dote di cui può disporre soprattutto chi ha dovuto partire dal basso Sara ne ha in abbondanza Vede il campo con grande lucidità («A scuola la mia materia preferita è sempre stata la matematica: e alla maturità ho preso 60») e ha ulteriormente potenziato questa sua are guerresca lavorando a Valenzia, in Spagna, nell’Accademia dove è di casa David Ferrer. Lì ha acquisito e sta continuando a crescere, forza a capacità di restare in campo con le gambe e la cabeza. TV tra l’altro è parsa migliorata anche come tocco il che non guasta come ha dovuto apprendere a sue spese la più alta e meno simpatica (figuratevi l’altra) delle sorelle Bondarenko Ieri Sara è incorsa, a Praga, nella furia casalinga della Zakopalova ma la giornata meriterà di essere ricordata anche per altri due motivi: Il quindicenne Giacomo Miccini (quello che è andato da Bollettieri quando aveva undici anni) ha passato per la prima volta un primo turno di un torneo Futures conquistando il suo primo punto Atp. E una citazione va pure a Matteo Marrai, il pisano che tra vari infortuni, ha finalmente raggiunto un tabellone principale di un Atp. Ha perso a Barcellona ma resta comunque un’altra buona notizia II futuro sta cominciando a essere adesso.

La resurrezione di Nadal e Federer. E Roger sogna Parigi

(Torna la terra, tornano i due fenomeni)

Massimo Rossi, libero del 30-04-08

Il primo sole di Montecarlo si è portato via tutte le nuvole che negli ultimi mesi sembravano gravare sulle teste della coppia regina. Alla faccia di chi - io per primo - pensava che finalmente il tennis di vertice non fosse più un affare esclusivo fra i soliti due, lo svizzero e lo spagnolo, masi fosse finalmente aperto a un gruppetto di outsider che potessero non solo porsi come alternativa a quella coppia apparentemente scoppiata, ma soprattutto alimentare nuovi entusiasmi e nuovo interesse in un pubblico un po’ assuefatto. E invece no, come d’incanto a Montecarlo il tempo è tornato indietro. Scomparse le recenti incertezze, soprattutto fisiche, di re Roger, con il ricomporsi e il riapparire della triade vincente: lui, la fidanzata manager e Il coach di turno. Scornarsi i segni di un prematuro declino atletico per un Nadal che - evidentemente a torto - era sembrato ormai irrimediabilmente logoro nonostante la giovanissima età. Scomparsi però (ahimè) anche i fragili outsider che tanto avevano illuso, compreso l’estroverso e roboante Djokovic che, schiacciato in semi da un Federer sempre più sicuro, altro non è riuscito a inventarsi che un imbarazzante ritiro per un leggero mal di gola accompagnato da un po’ di raffreddorino. Giustamente sommerso dai boati di disapprovazione del pubblico, è apparso a tutti chiaro che sul serbo si erano riposte certezze, più che speranze, che sono invece ancora tutte da venire, quantomeno sul piano del carattere. L’unico che si è salvato è Nalbandian, ottimo perdente nei quarti contro un Roger quasi perfetto. E così si ricomincia dalla solita finale tra i due e dalla solita vittoria sulla terra di un Rafael incredibilmente forte mentalmente, ma anche dotato di un diritto anomalo devastante contro cui Roger domenica ha comunque offerto fiera resistenza. Una sconfitta in due set tirati consente a Federer di non abbandonare le speranze di un successo a Parigi -unico torneo che gli manca - passando per Roma. Insomma la sfida è ripartita alla grande e sembra più incerta che mai Nadal ha mostrato di essere migliorato sul veloce e Roger sembra progredire sulla terra. Niente da fare invece per i nostri, salvo un Bolelli che a piccoli passi cresce e che soprattutto dichiara di voler puntare davvero in alto. Sembra ovvio, ma non è stato così fra i nostri, che negli ultimi anni hanno sempre dato un po’ l’impressione di accontentarsi. Chiudo con un accenno alla vittoria delle azzurre in Fed Cup contro le Ucraine. Non si è visto un bel giocare, anzi. Dobbiamo forse dire grazie più al nervosismo ingiustificato delle nostre avversarie che non ai meriti delle nostre, ma la squadra c’è, grazie anche alle due giovanissime Errani e Khapp, schierate a turno in sostituzione dell’infortunata Pennetta. È anche grazie a loro che siamo rimasti nel primo gruppo mondiale e quindi il futuro è assicurato.

Nadal, la terra è tutta tua «E ora uso anche la testa»

(Il nuovo Nadal, più testa e tecnica)

Vincenzo Martucci (con la collaborazione di Luca Mariaanantoni), la gazzetta dello sport del 29-04-08

MONTECARLO Mowglì è sparito: ormai parla e capisce l’inglese, non divora più banane e cibo, e non scatta più contro ogni banderuola rossa. Superman è scomparso anche lui: non scarica più continuamente tutto il bilanciere di là del net, sradicando la palla e ruggendo dallo sforzo. Da Montecarlo 2005, quando esplose a 19 anni nei grandi tornei, a Montecarlo 2008, che ha appena marchiato con il quarto trionfo consecutivo, Rafael Nadal ha vinto 98 delle 99 partite disputate sul «rosso» diventando il più vincente terraiolo di sempre: «Superai Albert Costa, re del Roland Garros, e poi Coria… Non sembra così lontano e nello stesso tempo lo è. Tutto è successo molto in fretta: ero appena entrato fra i primi 100, giocai il miglior torneo della mia vita, vinsi il primo Masters Series. Che cambiamento, eh?». Calcolatore Sì, Rafa è cambiato. Come giocatore ha colmato quasi tutte le lacune, tranne forse al servizio: «È anche per questo che gioco il doppio. Mi insegna a muovermi giusto alla volée, mi fa rispondere un po’ più aggressivo e dentro il campo, mi da un’altra opzione e l’allenamento migliore per il singolare». Tecnica sì, ma anche tattica. Ragazzo intelligente e umile, il mancino di Maiorca sa che la carrozzeria — leggi ginocchia — non è più quella di Montecarlo 2005, e dosa i famosi forcing, dedicandosi con concentrazione assoluta ai momenti topici del match. Da chirurgo o, meglio, da buon pescatore. Così si spiegano le partite di Montecarlo vinte magari in due ore, ma con punteggi secchi: dietro il solito mulinare di palle arrotate, lo spagnolo ha giocato molto in difesa, attendendo con pazienza che la preda abboccasse all’amo. Contro attaccanti come Ancic, contro maratoneti come Ferrero, Ferrer e Davydenko, e anche contro il pesce più grosso, Federer. Al quale ha lasciato tutto il filo che voleva, per poi ritirarlo su di forza, quando era ormai convinto di essere hi salvo. «Sotto di 2 break in tutti e due i set, pensavo a rispondere molto profondo al servizio e ad essere aggressivo sul suo rovescio: così da entrare subito in campo e prendere il controllo dello scambio. Strano, gli ho preso 6 volte il servizio». E sulla battuta di Federer ha vinto più punti di quanti he abbia fatti il re. Sprint L’ultimo Rafa è un modello sempre più perfezionato e insieme delicato. Non solo per ripetere le formidabili vittorie degli ultimi 3 anni, con il filotto consecutivo a Montecarlo, Barcellona, Roma e Roland Garros, ma per riuscirci in un lasso sempre più ristretto: appena 7 settimane, dal 20 aprile all’8 giugno, il giorno della finale di Parigi. L’anno scorso lo spagnolo bucò la finale in Germania — fissando il record d’imbattibilità sulla superficie a 81 match di fila —, quest’anno cerca di dare un altro scossone alla storia. Perché i mostri del rosso, da Borg a Vilas, da Muster a Kuerten, spalmavano le loro imprese su:più mesi. Nadal vince di più. Anzi, tutto: in meno tempo.

Nadal, il serial winner

(Rafa, trova anche il tempo di rispondere ai fans sul suo nuovo sito)

Mario Viggiani, il corriere dello sport del 29-04-08

Sulla terra rossa, Rafa Nadal è sempre più un serial winner. A Montecarlo ha appena chiuso un poker consecutivo, in precedenza riuscito soltanto al neozelandese Tony Wilding dal 1911 al 1914. Da oggi cercherà di realizzare la stessa impresa a Barcellona (dove debutterà soltanto domani contro il vincente di Luczak-Starace), poi sarà il turno di Roma e Roland Garros. CONTRADDIZIONE - Alla vigilia del torneo monegasco, lo spagnolo ne aveva cantate quattro all’Atp, accusando l’associazione di aver allestito un calendario «folle» sulla terra rossa: «Tre Masters Series in quattro settimane (in sequenza Montecarlo, Roma e Amburgo - ndr) sono davvero troppo: non è giusto, qualcosa deve cambiare». La cosa buffa, tuttavia, è che dopo una esternazione simile nel Principato ha disputato anche il torneo di doppio, vincendo pure quello (in coppia con l’altro spagnolo Tommy Robredo) e centrando così un inedito “pieno”: fra le tre precedenti vittorie in doppio (Umago 2003, Chennai 2004 e Doha 2005), nessuna era mai stata accompagnate da quella in singolare. Rafa è un generoso, ma soprattutto un superman che evidentemente aveva bisogno di rituffarsi sull’amata terra rossa, della quale è il Signore assoluto, e così alla fine è successo che tanto sabato quanto domenica ha giocato prima in singolare e poi in doppio. Da non crederci, a ripensare alle accuse della vigilia, se non si fosse trattato appunto di lui. Invece questa settimana a Barcellona, davanti ai suoi connazionali, disputerà esclusivamente il singolare, con Robredo stavolta in coppia con l’altro spagnolo Santiago Ventura. RESTYLING - In attesa dì scendere in campo a Barcellona, ieri Rafa nella città catalana ha presentato la versione aggiornata del suo sito Internet ufficiale (www.rafaelnadal.com). Tanti effetti speciali, con il n. 2 del mondo che risponde attraverso un filmato a quelle che sono le domande più tradizionali dei fan e con brevi messaggi ad altre richieste dei tifosi. C’è per esempio chi (Lynn) gli ha chiesto della sua passione per la pesca: Nadal ha detto che non ha un posto preferito per dedicarsi a questo hobby e che probabilmente la sua preda più grande era lunga almeno un metro, catturata a Maiorca. Un altro.(Etje) si è informato invece sulla sorte delle sue racchette usate: vengono regalate a tifosi o amici, ma almeno una di ogni modello Rafa la tiene per se. Bizzarro, tuttavia, che proprio nel. giorno della sua presentazione il sito non sì riveli particolarmente aggiornato. Alle voce “calendario”, dove sono elencati gli impegni futuri di Rafa per il resto dell’annata, brilla per la sua assenza il torneo di Barcellona, dove è appunto impegnato questa settimana. Compare invece il Masters Series di Amburgo, inserito tra Roma e Roland Garros, ma se Rafa arriverà in fondo ai tornei di Barcellona e Roma, sarà davvero difficile vederlo in azione anche nell’appuntamento tedesco. Più logico che a quel punto si prenda una settimana di pausa agonistica prima dello Slam parigino, anche se, così facendo, perderà i punti conquistati l’anno scorso ad Amburgo, dove in finale il grande rivale Roger Federer interruppe la sua lunghissima striscia vincente sulla terra rossa, a quel punto arrivata a ben 81 successi. Con Montecarlo, la nuova striscia vincente sul rosso di Rafa è salita a quota 17. Considerando anche quella precedente e la sconfitta di Amburgo 2007 subita da Federer, Nadal vanta adesso 98 successi negli ultimi 99 match disputati sulla terra.
A Montecarlo è sempre Nadal per Federer la solita lezione

(Rafa, ancora troppo forte sul rosso per Roger)

Gianni Clerici, la repubblica del 28-04-08

“Questo è il migliore torneo del mondo”, ha esclamato Rafael Nadal, tanto Felice da confondere realtà e soggettività. Il migliore del mondo non per la tradizione, la realizzazione decò dell’architetto Letrosne, la stupenda baia. Il migliore del mondo — avrebbe dovuto aggiungere— per il fatto di averlo vinto quattro volte consecutive. Fianco a lui, il capobasso, l’attitudine dimessa, faceva da comparsa Roger Federer, capace di affermare a Wimbledon che il miglior torneo del mondo era quello. Con questa, il Numero Uno era stato battuto sette volte su otto dal Numero Due, e la sede della minirivincita non era stata all’altezza dei grandi palcoscenici: Amburgo. Al di là dei campionati di Germania, Roger era arrivato vicinissimo alla vittoria a Roma, con i due match point mancati l’anno passato per il braccino, ricordate? Rimane allora da chiedersi perché, pur cambiando le circostanze esterne, gli sfondi, la velocità del campo, la marca delle palle, il grandissimo Roger Federer è meno grande di Rafael Nadal sul rosso. La prima considerazione, tanto ovvia da esser più che banale, è che Nadal è mancino. Tutti noi, dallo scriba al più modesto tennista di club, sappiamo che contro i mancini dobbiamo ribaltare i nostri schemi di giuoco: il nostro rovescio, per solito incrociato, finisce sul diritto dell’avversario, il colpo più facile, più spesso vincente. La vicenda si complica nell’incastro Nadal-Federer. Rafa possiede un diritto liftato ancor più straordinario quando lo colpisce dal centro verso sinistra, o addirittura dall’angolo destro verso quello sinistro. Carica di energia la sua palla deflagra letteralmente sulla terra, e le schegge s’innalzano in una parabola spesso svariante. Un avversario destro come Roger deve in qualche modo sfuggire simile calamità, e limitarsi quindi a due chances: scambiare sul rovescio, oppure cercare proprio il diritto per meglio aprirsi il campo sul rovescio. Al di là di ciò, tutti gli schemi abituali di Roger devono essere accelerati, ed anche più arrischiati di quanto non avvenga contro qualsiasi altro essere umano. Ma sembra giusto, dopo considerazioni addirittura ovvie, tornare al presente. Il Federer di oggi, causa la preparazione sabotata dalla mononucleosi, non è ancora il migliore. Ne sia prova la partenza negativa, che ha spinto lo svizzero a mettere a segno il primo punto vincente dopo nove errori. Anche Nadal, per la fortuna dello svizzero e degli spettatori, avrebbe faticato a trovare la palla. Ma, da un confronto a ciapa no, non gli sarebbe stato difficile strappare il primo set. Avremmo, all’inizio del secondo, assistito, dalle ceneri di quell’imbarazzante Herr Hyde, all’apparizione del Dottor Federer. Battute svarianti e taglienti, discese a rete al seguito di drop, volleine irraggiungibili. Questo Roger tanto straordinario quanto inatteso, avrebbe chiuso uno splendente quattro a zero con una striscia di sedici punti a cinque! Ma questo passaggio onirico sarebbe presto svanito, sotto la luce banale della realtà. Nadal avrebbe ripreso a scavare il campo con la sua magica vanga, avrebbe sommerso l’artista con una serie paradossalmente eguale e contraria di diciassette a quattro. Gli stimatori del mio svizzero si sarebbero aggrappati all’ultima speranza, quella di un tie-break. Ma, con il Nadal dilagante di oggi, con il Federer ineguale di oggi, temo che nemmeno il tie-brea sarebbe bastato. «Non sempre, o anzi quasi mai, un grande discesista si ripete nello slalom», commentava, sfollando, uno spettatore. Voilà.


Super Nadal, la rimonta della vita

(Federer, deluso ma soddisfatto)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 28-04-08

MONTICARLO - «E’ sempre la solita storia». Così pensa e così dice a caldo Roger Federer dopo l’ennesima batosta sulla terra rossa con il suo unico, grande, avversario, degli ultimi 4 anni, Rafael Nadal, nella terza finale consecutiva a Montecarlo che da al mancino di Maiorca il record Open di 4 successi consecutivi (pari a Wilding dal 1911). «E’ sempre la solita storia, a Montecarlo», precisa il primo della classe dal 2 febbraio 2004, che, sulla strada del nuovo assalto al Roland Garros, non può mostrarsi con le orecchie troppo basse. Anche se stavolta si sgretola da 4-3 e break del primo set, e da 4-0 del secondo, subendo due 7-5 fotocopia, di 50 minuti e spiccioli: «Finalmente sto di nuovo bene, ho battuto Davydenko, Nalbandian e Djokovic, ho vinto l’Estoril e ho perso in finale a Montecarlo. Devo essere ottimista e continuare a battere gli altri, ma perdo solo con Nadal. Che ho già superato, che ho pressato anche stavolta, che ho la sensazione di poter superare ancora, se gioco giusto. Perciò sono deluso, ma non così tanto deluso»…..Il re è frastornato, al di là del nuovo coach, José Higueras: «Sinceramente non so perché ho perso da 4-0 al secondo set: un po’ sono sceso io, un po’ è salito lui. Di certo, dopo avergli giocato giusto, l’ho lasciato rientrare nel match e non per una questione fisica: avrei potuto giocare ancora 7 set». E al di là dei rischi che finalmente si prende più spesso — nello scambio e a rete — per accorciare gli scambi contro il muro di Spagna (campione degli ultimi 3 Roland Garros e delle ultime 3 Roma), ricavandone 44 errori gratuiti (contro 20) e 62 punti contro 76: «II mio gioco offensivo è andato peggio del solito, e ho avuto a malapena il 30% dalla seconda di battuta, ma questo dice quanto è bravo lui alla risposta sulla terra»……. Roger tace sulle troppe stecche, per uno che è un maestro nel colpire la palla sempre in modo perfetto. Sintomo di pressione, paura, dubbi tattici e fantasmi dei troppi k.o. con Rafa. Perché tutto parte sempre dalla testa. Come il break iniziale (1-0 1-1), che si ripete con la medesima sequenza: dal 4-3 Federer al 4-4 Nadal. Con Roger che, per la seconda volta, cede la battuta a 15, sia pure sgambettato da una stecca di Rafa e da un let. E poi, quando gli risuccede la stessa cosa per il 7-5, infilato da due passanti di rovescio, scaccia via la pallina come una mosca e accelera, rabbioso ed imprendibile, come solo lui sa fare, asfissiando per 20 minuti lo spagnolo e volando sul 4-0 che sembra l’anticamera del terzo set. Così è per tutti i 9000 spettatori, ma non per Nadal, che riprende il suo tran-tran di violenti lift da fondo e risale inesorabilmente nel punteggio e nella testa di Roger: «Stavo giocando 2 metri fuori campo, stavo subendo, se dovevo perdere quel set volevo almeno il 6-2». Strappandogli a zero la battuta del 4-4, fallendo il «cappotto» solo per due volée di rovescio arpionate chissà come dal re, ma strappando a martellate il 7-5 finale insistendo sul rovescio avversario. «Vincere qui 4 volte di fila era inimmaginabile, questo è il miglior torneo del mondo». Tanto che si è preso anche il doppio.

Nadal, c’è sempre lui tra Federer e la Terra (rossa) promessa

(Rafa, la supremazia parte dalla testa)

Michele Fimiani, l’Unità del 28-04-08

Qualcosa sta cambiando ai vertici del tennis mondiale in questo 2008, ma l’unica certezza sembra rimanere l’assoluta supremazia di Rafael Nadal sulla terra rossa. Dopo un inizio di stagione che ha visto il serbo Djokovic conquistare uno Slam e un Masters Series mettendo definitivamente fine al duopolio Federer-Nadal, il maiorchino numero due del mondo ha infatti conquistato il titolo a Montecarlo per il quarto anno consecutivo, impresa riuscita soltanto a Tony Wilding tra il 1911 e il 1914, sconfiggendo in finale Roger Federer con un perio-dico 7-5 7-5. Un poker che potrebbe preludere agli altri che Nadal (vincitore assieme a Robredo anche in doppio qui a Montecarlo) potrebbe realizzare anche a Roma e a Parigi. Sulle tribune del Country Club non si è però assistito ad uno spettacolo memorabile come era invece lecito aspettarsi avendo in campo i primi due giocatori in classifica. Come spesso è successo nei loro precedenti scontri diretti (Rafa ha vinto per la nona volta su 15 match) l’aspetto psicologico ha giocato un ruolo fondamentale ai fini dell’esito del risultato; Federer ha dimostrato di soffrire mentalmente Nadal, un giocatore che non molla un punto anche quando la situazione di punteggio sembra essere compromessa. Proprio come è accaduto nel secondo set quest’oggi, dopo che Roger aveva perso il primo per 7-5, e si è ritrovato avanti 4-0 nella seconda frazione dopo aver giocato quattro game assolutamente sontuosi, quasi perfetti. Lo spagnolo però, tutt’altro che scoraggiato, non si è dato per vinto («sotto 0-4 ho pensato, meglio perdere 6-2 che 6-0!») ma al contrario ha continuato a picchiare con i suoi colpi mancini e, approfittando di un improvviso calo di Federer, lo ha agganciato e superato vincendo cinque games consecutivi e mettendo moralmente fine ad una partita che a quel punto non poteva più sfuggirgli. Fattore psicologico a parte, questa finale ha dimostrato quanto l’elvetico soffra il gioco di Nadal, le cui palle arrotatissime lo portano spesso (forse un po’ troppo spesso…) a steccare miseramente mandando la palla in tribuna. Anche il servizio quest’oggi non è venuto in aiuto di Roger, il quale è riuscito a mettere a segno solo cinque ace. Deluso quanto autoironico Federer, che durante la premiazione, dopo gli usuali complimenti all’avversario, ha sottolineato come «con Rafa finisce sempre alla stessa maniera!». Si è comunque dimostrato fiducioso lo svizzero, che in conferenza stampa ha sostenuto: «Ho avuto la sensazione di poter battere Nadal e onestamente ritengo questa settimana positiva visto che al primo turno stavo per essere eliminato (sotto 5-1 al terzo con Ramirez Hidalgo)». In realtà non è sembrato di vedere un Federer molto diverso da quello che aveva perso ben sei incontri sui sette disputati assieme a Nadal sulla terra rossa; un Federer che se vorrà aspirare alla vittoria a Parigi dovrà studiare con attenzione, assieme al suo coach Higueras, quei primi quattro game del secondo set, gli unici nei quali ha dimostrato di poter essere potenzialmente superiore a Rafa anche su questa superficie.

Piccola, grande Errani

(Saretta, grande cuore e concentrazione, schianta l’altra Bondarenko)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 28-04-08

OLBIA - Se ti aggrappi a Francesca Schiavone, è davvero difficile che tu cada. L’Italia lo sa e ancora una volta si affida alle sue gambe da maratoneta. L’azzurra domina sul piano tattico Alona Bondarenko e mette in cascina il punto del 2-1, poi lancia l’urlo da combattimento: «Vai Sara, e vinci». Sara è la Errani, domani 21 anni da festeggiare. Romagnola che vive e si allena in Spagna, a Valencia, nell’Accademy che ha in cura Ferrer, la Safina e Andreev. Un investimento di 60.000 euro l’anno che solo ora sta cominciando a pagare. Sara è approdata al tennis su incitamento di papa Giorgio (titolare di un’azienda ortofrutticola) e sulle orme del fratello Davide, che poi si è lasciato affascinare dal calcio, sino a giocare in C2. La ragazza ha calcato il campo per la prima volta quando aveva 5 anni, a 12 era in Florida a lavorare con Nick Bollettieri. L’unica di famiglia che sembra estranea alla vicenda tennistica è Fulvia, la mamma, che gestisce una farmacia. Piccolina, 1.64 per 60 chili, Sara è un concentrato di energia. Ieri il suo top spin, ma soprattutto quelle gambe che le permettevano di arrivare ovunque, hanno schiantato la resistenza di Kateryna Bondarenko. La più piccola delle sorelle ucraine, uscite a testa bassa dal campo. Mentre Maryia Koryttseva se ne stava in panchina a chiedersi come avesse fatto a perdere sabato contro la Schiavone. Alona, la biondona di casa, dopo la sconfitta si è sfogata in un lungo pianto fra le braccia di Dimitri, il suo ragazzo. Francesca Schiavone l’aveva costretta a subire il suo gioco. Sotto 1-4 e 2-5, l’azzurra aveva ritrovato d’incanto la bravura tattica e tecnica per mettere assieme un parziale di 20 punti a 1, un piccolo capolavoro che le consentiva di chiudere vittoriosa il primo set. E allora tutti noi a chiederci come potesse essere possibile vedere nello spazio di 24 ore una stessa tennista muoversi così diversamente. Lenta, in ritardo, fallosa contro la Koryttseva. Forte fisicamente, capace di variare ritmo e schemi, efficace nel gioco di volo. Ma soprattutto in grado di comandare ogni game dell’incontro con Alona Bondarenko. Ancora più semplice il secondo set. Ucraina in confusione, Francesca scatenata. E la stessa domanda di prima che ci tornava nella testa. «Quale è il pittore che ami di più?», ci chiedeva l’azzurra. “Van Gogh”. «E secondo te ha fatto solo bei quadri?», “Io quelli brutti non li ho visti”. «Ecco. Noi invece siamo sotto gli occhi di tutti ogni partita che giochiamo. Così può capitare che un giorno tu sia oro, un’altra ferro. E tutti possono vederlo». La botta definitiva la dava Sara Errani. All’esordio regalava il punto del 3-1, quello che permetteva all’Italia di restare nel Gruppo Mondiale. «E’ stato impressionante il modo in cui ha gestito la partita - diceva la Schiavone - Primo match, neppure ventun anni, punto decisivo. Se ne è fregata ed ha dato tutto quello che aveva». La scelta del capitano Corrado Barazzutti si è rivelata indovinata. Niente Pennetta, niente Knapp. Dentro la Errani e vittoria in tasca. Ora si volta pagina in fretta, da sabato cominciano gli Internazionali BNL a Roma. Dice Francesca: «Dicono sia impossibile, ma io sento che prima o poi un grande torneo sulla terra andrò a vincerlo. E i grandi tornei sono solo due (Roland Garros e Roma, ndr). Quest’anno o il prossimo, altro tempo non ne ho. Sto cercando continuità. Sono un’artista che insegue la costanza di rendimento. Credetemi, prima o poi ce la farò».
Sara Errani intanto chiude la sua giornata giocando assieme a Karin Knapp un doppio ininfluente sul risultato. Ha tanta gioia dentro. Lei, che si definisce timida e responsabile, vorrebbe gridare ai mondo la sua felicità. E’ stata brava a gestire al meglio quello che aveva dentro. Dopo la figuraccia di Napoli con la Spagna (che è comunque approdata alla finale di Fed Cup contro la Russia), l’Italia ha ritrovato una squadra capace di lottare. L’unico neo in questa due giorni in terra di Sardegna, resta il giallo legato a Flavia Pennetta. Da quando si sapeva che non avrebbe giocato?

dal Web

Nadal come Wilding, la Riviera è casa sua
LaStampa.it
http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/rubricahome.asp?ID_blog=119

“Succedono sempre le stesse cose”, sospira Roger Federer, con l’ombra di un sorriso che per un attimo alleggerisce la smorfia di delusione sul volto da elegante gnomone swiss-deutsch. E in effetti non accade niente niente di nuovo, da quattro anni, sulla terra chic di Monte-Carlo: vince sempre Nadal. Da tre anni in finale la sua vittima è Federer, anche ieri respinto per 7-5 7-5. Un primo set bruttarello, sfregiato da 20 dicasi 20 errori gratuiti del numero uno e da 5 break, poi un lampo di una ventina di minuti dello svizzero Risorto, capace di portarsi 4-0 con il ritmo dei tempi migliori con un parziale di 16 punti a 5. Infine, il consueto tracollo nervoso di Roger davanti alle risse geometriche, all’inesauribile tigna di Rafa, difensore sommo. L’unico al mondo, forse, con sufficienti muscoli interiori per non spaurarsi di fronte agli strappi di classe di Federer. Nihil sub sole novi. Anche i rivoluzionari Australian Open, ieri, visti dai gradoni del Country Club bagnati da un sole incostante e dal cielo un po’ stinto della Riviera, sembravano davvero lontani. Roger esce da Monte-Carlo risanato in molto, ma non nei confronti di Nadal – 9-6 ora il record a vantaggio dello spagnolo, e una sola vittoria sulla terra a fronte delle 7 del rivale – contro il quale ieri gli sono stati fatali i troppi e banali errori, anche a rete dove peraltro si è affacciato spesso, un servizio non continuo (6 turni di battita perduti su 12) e l’incapacità di estrarsi con il rovescio in back dalle diagonali mancine del dritto di Rafa. La mononucleosi pare alle spalle, ma per ora sa pescare miracoli solo ad intermittenza, il fenomeno; come una macchina da corsa con la pompa della benzina difettosa procede a strappi: un match quasi perso, uno vinto bene, uno impreziosito da belle cose ma sciupato. “Sono comunque soddisfatto del torneo”, si è consolato Roger. “In fondo averi potuto perdere al primo turno”. E sarebbe stato un dramma per il torneo, che piacerà maari poco agli americani e ad Etienne De Villiers, il dysneyano CEO dell’Atp, ma che quest’anno ha ottenuto un nuovo record di spettatori, 116.583, fra i quali ben 37 mila italiani, giustificando l’arrivo di una tribuna supplementare sul centrale nel 2009. Quando, a meno di terremoti, il favorito sarà sempre lui, il Nino. Rimandato temporaneamente a nuovi esami Djokovic, Nadal, che negli ultimi mesi era apparso a tratti usurato, resta il sovrano della terra battuta. Sul rosso ha vinto 97 delle 98 partite giocate dalla prima finale conquistata sulle terrazze di Roquebrune – correva l’anno 2005. Un mostro. Ad applaudirlo ieri in tribuna c’era anche Figo, con tanto di sfavillante signora, ad attendere il nino c’è ora un tour de force che comprende Barcellona, Roma, forse Amburgo, di certo il Roland Garros. Tutti tornei, escluso il tedesco, dove Nadal vince imperterrito da tre anni. A Monte-Carlo ha chiuso il primo poker, un’impresa riuscita per l’ultima volta, ben 97 anni fa, a Anthony Wilding, il magnifico neozelandese che girava l’europa in motocicletta, citava Orazio a memoria, pranzava con i re e dormiva in un sacco a pelo sulle terrazze dei club. “A parte Wimbledon e i Campionati Usa”, scrisse Wilding, prima di farsi battere da uno schrapnel tedesco nelle Fiandre, a Neuve Chapelle, nel 1915, “i tornei della Riviera francese possono vantare i campi più belli. E sono i tornei più utile da osservare e analizzare”. Chissà se, abituato a giocare in camicia e candide flanelle com’era, gli garberebbero le canottiere variopinte e i turgidi bicipiti di Nadal. Chissà cosa direbbe oi del top-spin forsennato dello spagnolo, così lontano dai suoi atletici, essenziali gesti bianchi.

L’Italia resta grande

Tennis.it
http://www.tennis.it/article.aspx?id=1804&Descrizione=Fed+Cup

Le azzurre battono l’Ucraina e rimangono di diritto nel Gruppo Mondiale di Fed Cup. Spagna-Russia la finalissima 2008
L’Italia mette a segno un uno-due degno dei migliori match di boxe e l’Ucraina va al tappeto, battuta 3 a 2 nel match di spareggio per rimanere nel Gruppo Mondiale di Fed Cup.Davanti al pubblico di Olbia, la prima a tirare fuori gli artigli è stata Francesca Schiavone, che nel primo match della giornata contro Alona Bondarenko ha tirato fuori la sua storica grinta. La numero uno ucraina ha ceduto 7-5, 6-3, vittima di uno strepitoso recupero della “leonessa” milanese, che ha ribaltato un punteggio di 2 a 5 nel primo set.
“Avevo in mente lo schema giusto – ha spiegato la Schiavone – ma ci ho messo un po’ a farlo funzionare. Una volta trovata la chiave dell’incontro non ho più avuto problemi”.
Una volta in vantaggio per 2 a 1 e appurato che Flavia Pennetta non era in grado di recuperare l’infortunio muscolare alla coscia sinistra, Barazzutti ha scelto di schierare Sara Errani al posto di Karin Knapp.La giovane romagnola è così scesa in campo contro Katerina Bondarenko (sorella minore di Alona) e ha subito dimostrato di non patire assolutamente l’emozione e la tensione: “La scelta di Sara è stata quella giusta – ha riconosciuto la stessa Schiavone – si merita un bell’otto per quello che ha fatto oggi”. La Errani si è imposta per 6-3, 6-2 infondendo una buona dose di entusiasmo a tutta la squadra. “Siamo una team vero – ha sottolineato Barazzutti – che gioca col cuore e senza mai tirarsi indietro. Grazie a certezze come la Schiavone e a giovani come Errani e Knapp abbiamo certamente un gran futuro”.
Questi i risultati della due giorni sarda:
Sabato 26 aprile a partire dalle 14:
Francesca Schiavone batte Mariya Koryttseva 3-6, 7-6, 7-5
Alona Bondarenko batte Karin Knapp 6-3, 6-3

Domenica 27 aprile a partire dalle 12 w
Francesca Schiavone batte Alona Bondarenko 7-5, 6-3
Sara Errani batte Katerina Bondarenko 6-3, 6-2
Mariya Koryttseva/Tatiana Perebiynis battono Sara Errani/Karin Knapp 0-6, 7-6(4), 6-3

SEMIFINALI MONDIALI
Dopo sei anni di assenza, la Spagna torna in finale di Fed Cup. La formazione iberica, che aveva archiviato per 2 a 0 la prima giornata della semifinale con la Cina, ha chiuso i conti grazie al successo di Nuria Llagostera Vives su Peng Shuai per 6-4 6-4. Nel match-clou la compagine iberica si dovrà scontrare con la Russia, che ha fatto suo per 3 a 0 il penultimo round contro gli Stati Uniti. Il punto decisivo e’ arrivato con Vera Zvonareva, che ha sconfitto 4-6, 6-3, 6-2 l’americana Vania King.

Primo Master Series sul rosso e l’Italia è subito a… terra!
TennisTeen.it

Link_TennisTeen_Editoriale

Analizza la settimana appena trascorsa il nostro Diego Stocchi.
Dopo la trasferta ricca di delusioni e con qualche (magra) soddisfazione negli Stati Uniti, gli occhi di noi tutti erano puntati sul piccolo Principato di Monaco dove, dopo l’aperitivo offertoci dalla portoghese Estoril e dall’Ispanica Valencia, prendeva il via ufficialmente la ricca stagione sulla terra rossa europea che mette sul piatto 3 Master Series e il secondo slam dell’anno, il Roland Garros.

Lecito attendersi delle soddisfazioni dai nostri ragazzi che fanno del rosso la propria superficie preferita e giusto sperare di poter emanare quell’urlo di gioia rimasto strozzato in gola dal match di Bolelli contro Davydenko a Miami, di gridare per un’impresa azzurra fin da Montecarlo.

Nulla di tutto ciò, purtroppo, perciò i sogni resteranno ancora una volta tali e le delusioni ancora una volta tante. È mercoledì e, tristemente, vi posso già narrare il cammino azzurro in questo torneo; i “migliori” sono stati Filippo Volandri e i due ragazzi più giovani dei nostri presenti in tabellone principale ovvero Andreas Seppi e Simone Bolelli i due titolari dell’Italia di Davis. Andreas al primo turno ha affrontato l’argentino Calleri, forse non un mostro sacro del tennis mondiale ma certamente giocatore insidioso che sempre ben si comporta nel circuito; il risultato è stato 6-4 6-3 per il nostro giocatore che, in un match non stupendo, è riuscito a prevalere abbastanza nettamente senza mai avere momenti di crisi e riuscendo (finalmente!) a evitare le sue ormai proverbiali partenze false ma andando addirittura a conquistare un break in apertura. Per l’atleta di Caldaro il secondo turno contro il bombardiere USA Querrey si prospettava abbastanza agevole sulla carta ma il tennis, come lo sport in generale, non si gioca ahinoi purtroppo sulla carta ed il campo di gioco ha decretato lo stop di Andy che si è arreso in due set: il primo è filato via liscio per l’americano impostosi con un perentorio 6-1 mentre nel secondo c’è stata almeno un po’ di lotta ma il braccio tremolante alla fine è stato quello di Seppi. Andreas era riuscito a recuperare lo svantaggio di un break e addirittura poteva portarsi 3-1 e servizio ma una volta arrivati al fotofinish (5-5) cede la propria battuta e con essa le speranze di volare al terzo turno; 1-6 5-7 un punteggio senza attenuanti per l’azzurro che mai ha veramente dato l’impressione di potere fare girare il match a proprio favore.

Bolelli almeno qualche buona impressione nel principato l’ha lasciata ma anch’esso si è dovuto arrendere al secondo ostacolo: giunto dalle qualificazioni (6-2 3-6 6-1 a Schukin e 6-3 6-2 a Recouderc), si trova a dover affrontare un match di primo turno duro contro Chela ma Simone disputa un ottimo match e sovrasta l’argentino con il punteggio di 6-2 6-2 concedendo una sola palla break (annullata) in tutto l’incontro. Al secondo turno Bol pesca di nuovo Davydenko e deve di nuovo cedere al cospetto del russo: la partenza di Kolya è da brividi e in un amen il nostro ragazzo è sotto 2-6 1-4 e 30-40 su servizio russo, è qui che Simone tira fuori una buona dose di orgoglio e riesce ad aggrapparsi ad un insperato tie break dopo essere stato anche a due punti dal set sul 6-5 in proprio favore; nel parziale decisivo ad avere la meglio è l’esperienza e Davydenko si impone 7-5 accedendo così agli ottavi di finale.

Capitolo Volandri: Filo rientrava proprio qui dopo lo stop di due settimane per problemi al ginocchio che gli hanno impedito di saltare la trasferta di Davis e il torneo dell’Estoril. Il sorteggio è favorevole all’italiano che pesca il francese Mahut al primo turno, avversario poco a suo agio sulla terra battuta. Il campo da ragione ai pronostici e alle nostre speranze ed un buon Volandri si impone 6-2 6-3 e va a sfidare lo scozzese Murray al secondo turno. Si prospetta una partita non semplice ma se c’è una superficie sopra la quale Filo può battere Andy è proprio questa e i precedenti sul rosso confermano questa tendenza. Dopo un inizio equilibrato è l’avversario e rompere gli indugi e sul 3-2 strappa il servizio all’azzurro; Filo reagisce e ritorna in scia fino al 4-5 40-15 quando qualcosa si rompe e il buon gioco espresso fino a quel momento resterà solo un ricordo. Murray recupera e alla prima occasione fa suo il primo parziale (4-6). Nel secondo non arriva la reazione (doverosa) che ti aspetti e così dopo i primi due game con entrambi i contendenti che tengono il proprio turno di battuta, Volandri esce dal campo anzitempo e subisce un pesante 1-6 che mette fine alle sue velleità belliche. Roma è alle porte e alzi la mano chi pensa che un Filippo così possa riconfermare quanto di miracoloso fatto lo scorso anno…

Capitolo amarissimo quello riguardante Potito Starace che aveva avuto in dote un buon tabellone (almeno per quanto riguarda i primissimi turni); è bastato il qualificato Lapentti per fermare il campano che di questo passo a breve potrebbe perdere la leadership del tennis italiano.
Avvio di gara favorevole ai nostri colori con Potito che si porta subito 2-0 e servizio, l’ecuadoregno reagisce e si riporta in parità ma sul 3-4 cede nuovamente la battuta e manda Poto a servire per il set. Il campano si complica però la vita e subisce un nuovo break rimettendo in corsa l’avversario (5-4) prima di poter chiudere la contesa di nuovo su servizio avverso quando con un set point a disposizione sbaglia un comodo passante di dritto. Logica conclusione di un pazzo primo parziale è il tie break nel quale purtroppo a “piangere” è l’azzurro che soccombe 3-7 giocando malissimo.
Nel secondo set la musica non cambia: l’azzurro prende subito un break di vantaggio che conserva fino al 5-3 ma di nuovo sbagliando molto si fa raggiungere e superare e solo all’ultimo respiro riesce ad aggrapparsi di nuovo al tie break che stavolta fa suo per 7 punti a 2.
La speranza è che sulle ali dell’entusiasmo sia l’italiano a prevalere ed accedere così al secondo turno. Regna l’equilibrio al servizio fino al 2-2 quando si susseguono 3 break consecutivi che portano l’avversario avanti 4-3 e servizio con Potito incapace di reagire e di rimettersi in partita e sogni di gloria che svaniscono con il 4-6 finale.

Nelle qualificazioni, oltre al sopra citato Bolelli, era presente anche Flavio Cipolla. Il romano al primo turno si trovava a dover fronteggiare Clement in un match durissimo e ad aumentare la dose di difficoltà anche il fatto che Flavio era giunto a Montecarlo solamente 3 ore prima dell’inizio del match con pochissimo tempo così di prendere confidenza con palline e campi da gioco.
Un complicatissimo inizio match portava Cipolla subito sotto 0-4 e nonostante un buon recupero del nostro ragazzo è il transalpino ad imporsi 6-3. nel secondo parziale la musica cambia e ad imporsi con lo stesso punteggio del primo set è stavolta l’azzurro che poi nel set decisivo spazza via l’avversario con un perentorio 6-0. Al secondo turno l’avversario Lapentti, match fattibile anche perché l’unico precedente fra i due giocatori risale a due anni fa proprio nelle qualificazioni del torneo del principato con il nostro ragazzo che prevalse due set a zero. Come spesso nel tennis succede la partita gira su un unico punto che poteva decretarne una storia diversa e che invece sorride al giocatore dell’Ecuador: siamo 4-4 nel primo set con Lapentti al servizio che concede una palla break (la prima del match) a Flavio che sarebbe potuto andare a servire per il set; il game invece lo fa suo Nicolas che dopo il pericolo scampato va a strappare il servizio all’azzurro facendo suo così il primo parziale per 6-4. nel secondo set il break decisivo arriva all’ottavo gioco ed è abbastanza per estromettere Cipolla dal torneo monegasco, 4-6 3-6 il punteggio finale ma in queste due settimane Flavio ha certamente dimostrato di poter competere a buoni livelli.

L’unico torneo challenger con azzurri impegnati si è disputato in quel di Cremona, sul cemento, ed i quattro giocatori italiani presenti in tabellone principale hanno subito lasciato il torneo dopo il primo turno: il qualificato Stoppini cede ad Istomin in un match dal quale punteggio si può facilmente intravedere come ci siano state occasioni di fare proprio l’incontro come spesso capitato in carriera ad Andrea che a volte perde incontri già vinti: 6-0 6-7 (5) 1-6 il punteggio finale. La wild card Giuseppe Menga si arrende non senza lottare a Menendez con il punteggio di 6-3 4-6 5-7; sconfitta in lotta anche per Walter Trusendi contro l’ostico Schwank che prevale 6-4 5-7 6-2 e, infine, brutto stop per il giovane Trevisan contro il qualificato Kindlmann 7-6 (4) 3-6 4-6.

Nelle qualificazioni l’unico italiano a sorridere è stato Stoppini che ha raggiunto il main draw superando nell’ordine 6-3 6-2 Da Col, 2-6 7-6 (4) 6-4 Dell’Acqua (per Max vittoria la primo turno 7-6 (8) 3-6 7-6 (5) contro Kavcic) e Jeanpierre 6-2 3-6 6-4. Disco rosso all’ultimo turno per Paolo Lorenzi che dopo aver battuto 6-3 6-4 Sonchat Ratiwatana e 6-2 6-2 un sempre più deludente Crugnola (6-0 4-6 7-5 a Charroin al primo turno), si è arreso al tedesco Kindlmann 6-1 2-6 0-6.
Gli altri azzurri in tabellone erano Alessandro Piccari che ha sconfitto 6-4 6-4 Skenderovic al primo turno prima di perdere dallo stesso Kindlmann 2-6 1-6, Vico che ha passato il primo turno sconfiggendo 6-1 7-6 (6) Rieschick ma ha poi perso contro Prpic 3-6 2-6, Colangelo arresosi subito 0-6 4-6 a Uzakov e Francesco Piccari che ha anch’esso lasciato subito il torneo sconfitto da Burrieza 6-4 6-7 (5) 5-7.

IL PAGELLONE:

BOLELLI: 7 – Si qualifica bene, umilia Chela al primo turno e perde con onore dal miglior Davydenko della settimana. STA SALENDO.
CIPOLLA: 6,5 – Arriva in tarda mattinata a Montecarlo ma appena si abitua alle condizioni sconfigge Clement (non uno qualunque) rifilandogli un netto 6-0 nel terzo; con Lapentti (in settimana di forma ottima) si poteva forse fare di più ma ha perso un match girato su pochissimi punti. LA VIA E’ QUELLA BUONA.
TRUSENDI: 6 – Piano piano si affaccia ai challenger dopo aver disputato ottimi future; a Cremona perde in volata da un avversario che spesso non demerita nemmeno nelle quali ATP. AVANTI COSI’!
MENGA: 6 – Onore e merito a un ormai ex giocatore che onora degnamente la wild card ricevuta disputando un ottimo incontro perso in volata. BRAVO!
STOPPINI: 5,5 – Buona qualificazione (finalmente!) ma poi cede ad un avversario non trascendentale in un match dei suoi. PICCOLI PASSI.
SEPPI: 5 – Il primo turno aveva fatto sperare mentre il secondo ci ha smontati… sembra sempre sulla strada di risultati importanti ma poi trova sempre (spesso male) il semaforo rosso. QUALCOSA NON VA’.
VOLANDRI: 5 – Deve battere Mahut e lo batte in due set senza sudare, ma con Murray si poteva, si doveva fare di più. RINUNCIATARIO.
TREVISAN: 4,5 – Sarà che ci vuole pazienza, sarà… ma alla sua età Fognini batteva Djokovic nelle qualificazioni di Roma mentre lui non passa un turno né nei future, né nei challenger. NON CI SIAMO.
STARACE: 4 – Prosegue la serie nera; non vince, non convince, insomma dovrà prima o poi decidere cosa fare da grande no? DISASTRO.
ALTRI: Lorenzi 5,5, Dell’Acqua 5,5, A. Piccari 5, Vico 5, F. Piccari 4,5, Da Col 4, Colangelo 4, Crugnola 4

Djokovic, show e ritiro via libera a Federer-Nadal

(Anche Djoko ha la sua “mononucleosi)

Gianni Clerici, la repubblica del 27-04-08

MONTECARLO—Eravamo deliziati, il mio vecchio Tommasi e io. Soprattutto lui, che le partite le vede tutte, quasi fossero farmaci di lunga vita. «E’ la miglior partita dell’anno», affermava l’amico, elencando via via le altre. Quanto a me, non potevo che assentire, dimenticando i più elementari principi che si insegnano nelle scuole di giornalismo. Sul più bel campo del mondo, Roger Federer e Novak Djokovic stavano infatti offrendo uno spettacolo regale. Dopo una bassa partita di pelota tra Rafael Nadal e squallidone Davydenko, il loro gioco riconciliava con la vita anche un gourmet par mio. Non capita spesso, specie sulla terra, che limita i punti vincenti, di assistere a consimili saldi positivi: alla fine di un set straordinario, Federer avrebbe addirittura raggiunto un record di sedici winners contro sette errori più o meno gratuiti Ma, al di la delle cifre, eran stati i colpi, ancor prima delle tattiche, a rapire in estasi. Roger guadagnava campo ad ogni possibilità, aveva ritrovato il suo straordinario anticipo, colpiva rovesci di controbalzo e strappava diritti quasi usasse una fionda a elastico. Per parte sua Novak non sbagliava un rovescio e, quando errava di diritto, lo faceva soltanto per audacia, al limite della sopravalutazione di sé. Quello straordinario primo set aveva visto il mio svizzero annullare tre pericolose palle break nel quinto game, e realizzarne una, decisiva, nell’ottavo. Da quel dorato 5-3, un’irresistibile serie di quattro quindici aveva chiuso il primo conto in 41 minuti. Stavamo a domandarci se lo svizzero sarebbe riuscito a continuare sino alla fine quel suo straordinario tennis rischiosissimo. O se gli schemi di Djokovic, più regolari, pur nella loro straordinaria geometria, avrebbero finito per soffocarlo. Ma qualcosina, nel nostro entusiasmo, doveva esserci sfuggito. Con un cenno al quel bravissimo arbitro nero di Bernardes, Novak attirava l’attenzione, e, nelle mie cuffie, risuonava la parola “Doctor”. Pensavo per un istante di essermi sbagliato, quando a fianco di Djokovic appariva un fisioterapista, e l’arbitro comunicava a Federer l’interruzione. Dopo quattro minuti di concitata conversazione, il siparietto si concludeva con l’offerta di una pillola, e il serbo ritornava in campo per impossessarsi del primo gioco. Smarriva il terzo, recuperava sul servizio dello svizzero, e nuovamente offriva un break, dopo aver annullato un vantaggio di Federer con un folle ace di seconda, che mi lasciava perplesso per la sua singolarità. Ma le sorprese non erano finite. In un nuovo, breve dialogo con l’arbitro, Novak annunciava il ritiro. Inatteso in un tipo che non aveva sin li mostrato nessun segno di minorazione. Nella immediata conferenza stampa avrebbe creduto di chiarire la vicenda, affermando che da tre giorni non si sente bene, mai medici non sanno diagnosticare la causa. Forse, mi spingo ad affermare, una novella forma di mononucleosi assorbita ai cambi di campo. Anche se non posso affermare di aver visto i due campioni scambiarsi un bacio.

Federer e Nadal la sfida infinita

(Roger: “contro Novak ho giocato la miglior partita del torneo”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 27-04-08

MONTECARLO «Getto della spugna, il quarto in sei tornei. Dopo Haas a Indian Wells (rinuncia), Soderling a Miami e Davydenko all’Estoril, anche Djokovic (tutti ritiri a metà match) da via libera a re Federer, stavolta nelle prime semifinali di Montecarlo fra i primi quattro del mondo. Tanti indizi non fanno una prova: «Però è strano, ancor più strano se succede contro i primi. Non mi ero accorto di niente, non mi sembrava che giocasse tanto da malato», dice Federer. Supersfida Ma troppe coincidenze danno fiducia a Roger-Express sulla via del re-match con Rafael Nàdal, che è già stata la finale degli ultimi due anni nel Principato, al Roland Garros e a Wimbledon. Da un anno all’altro, Federer ha scambiato coach Roche con Higueras e si autoelogia: «Ho servito un po’ meglio quando ne avevo bisogno, sono più continuo da fondo, il rovescio funziona bene, il dritto lo uso nel modo giusto, contro Djokovic ho giocato la miglior partita del torneo, soprattutto mi sono mosso meglio che mai». Ma Nadal è sempre lì, favorito per il quarto Montecarlo-record di fila: «Rafa è impressionante, sta giocando in modo eccellente, quelli che lo possono battere sulla terra non arrivano alle dita di una mano, è così dominante, così bello da vedere. Vorrei mettergli pressione e vedere come viene fuori nei momenti importanti. Speriamo di avere un piano migliore dell’anno scorso quando giocai in modo deludente». Malato Ribatte Djokovic: «Sto male da 3 giorni e mi sono svegliato col mal di gola, pensavo non fosse niente, come mi aveva detto il medico, ma quando giochi contro il numero 1 tornano indietro tante palle, molti punti sono più lunghi e non riuscivo a recuperare. Così non ho preso rischi e mi sono ritirato». Il ventenne serbo gioca un gran tennis fino alle 3 palle-break sul 2-2 (due sbagliate da lui, una salvata dal nel), poi perde pazienza e fiducia davanti alla lucidità, fisica e tecnica, di Federer. E continua a martoriarsi il cappellino, a lagnarsi, toccandosi il pancino. Più malato o più frustrato perché non può scaricare la prorompente vitalità? Di certo deve svicolare dalle amate diagonali e gioca per vie parallele, o per cross stretti, inseguendo palline saponetta. Precederti «Negli ultimi giorni ho avuto le vertigini, non ero sufficientemente pronto, di fisico», insiste il numero 3 del mondo che ha il ritiro facile: due volte con Nadal e una con Coria. Per troppo orgoglio, per troppi nervi o per un fisico ancora non macchina da guerra. Magari stavolta per lasciar un po’ l’amaro in bocca al rivale, dopo questa semifinale d’altissima qualità che il ré vince per 6-3 3-2 dopo un’oretta, ma che potrebbe chiudere prima se non riconsegnasse subito il break del 2-l. Per poi riprenderselo con tre insoliti errori da fondo di Djokovic. «Forzavo e sbagliavo. Ho solo 20 anni, e molto tempo e molti tornei». Già, l’età.

Fed Cup, lo stop di Flavia diventa un giallo

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 27-04-08

OLBIA - Una giornata segnata dal “giallo Pennetta”. Recita il comunicato federale: «Flavia Pennetta si è procurata un’elongazione dell’inserzione il muscolo tendineo del grande adduttore della gamba sinistra. Flavia si è sottoposta a terapie laser e kinesiche ed in serata si sottoporrà ad un’ecografia di controllo per valutarne le condizioni». L’infortunio si sarebbe verificato ieri mattina durante l’allenamento. Eravamo presenti a quel allenamento e abbiamo visto la brindisina chiuderlo senza lamentare dolori o accusare infortuni. E’ stata sostituita da Karin Knapp, all’esordio in azzurro, che ha affrontato Alona Bondarenko (n. 19 del mondo). Ha perso, pur giocando una buona partita. Brava, ma l’ucraina le è stata superiore. E la Pennetta? Potrebbe essere recuperata per la sfida di oggi. A questo punto il giallo assumerebbe risvolti ancora più misteriosi. Bastano 24 ore per risolvere un problema muscolare così importante da farti saltare una partita? Dopo la figuraccia di Napoli contro la Spagna, l’Italia continua a vivere faticosamente. A tenerci in piedi è solo Francesca Schiavone. L’unica del gruppo, tutti compresi, che anche sbandando continua a tenere la rotta.

Il genio resuscitato Federer incanta e umilia Nalbandian

(Nalba: “questo è il miglior Federer di sempre sulla terra”)

Gianni Clerici, la repubblica del 26-04-08

Le resurrezioni, anche le più celebri, non possono prescindere da una sollecitazione divina. Nel celebrare quella del diletto Roger Federer, non so perdonarmi di non avergli chiesto a quale mai superna entità abbia deciso di rivolgersi, nei momenti difficili, quelli in cui tutto e tutti, dai microbi agli avversari, cospiravano contro di lui. Ricordo agli aficionados distratti che, all’avvio di questo torneo, Roger era stato graziato da un tipo conosciuto nel circuito soltanto per la sua “impotentia vincendi una sorta di ossimoro chiamato Ramirez Hidalgo. Superata fortunatamente quella prova, nessuno di noi vecchi professionisti della penna avrebbe mai osato affermare che le difficoltà d’avvio di questa stagione fossero finite. Speravamo certo in molti che migliorasse, perché un circuito senza Federer può somigliare a una Giulietta priva di Romeo. Ma anche i più fedeli dei suoi biografi, i Jaunin e gli Stauffer si sarebbero trovati in grave imbarazzo nell’aggiungere un nuovo capitolo alle passate agiografie. Anche il secondo turno, affrontato e superato dalla reincarnazione di Tilden ci aveva sì confortati, ma non certo entusiasmati come nel passato. I più ottimisti tra noi avevano suggerito di rinviare un successo di quelli di un tempo a Wimbledon, a quei benedetti praticelli che sono dominio del genio del serve and volley. Quanto alla terra rossa, ricordavamo che Roger non ci aveva mai vinto, che il mattone trito rappresentava l’unico palcoscenico sul quale non avesse mai trionfato. Perché proprio qui, dunque, e perché proprio in un avvio del tour rosso? Ma non si ha certo sufficiente immaginazione, sensibilità, avvedutezza, quando di mezzo c’è un genio. E’, per solito, il genio, oggetto di adorazione, ma non di facile comprensione. L’avversario destinato dal sorteggio era, tra l’altro, uno dei più difficili per Roger, un tipo che aveva preso a batterlo sin dai tempi degli juniores, ed era giunto a dividere con lui la metà dei diciotto match disputati. Avversario indigesto, se è vero che Nalbandian è il solo capace di spingere Roger all’esterno del campo, con le successioni di strettissimi cross, insoliti sui court dopo il ritiro di Andre Agassi. E anche l’avvio della partita non era stato tale da confortare i fedeli, se l’ispirazione ritornava a visitare il nostro eroe grazie a lampi improvvisi, incredibilmente seguiti da pause banali. Se n’era andato così un primo set non certo vile, ma nemmeno irresistibile. La solidità dell’argentino, e le sue geometrie, avevano finito col prevalere. Ma, nell’istante in cui già si meditavano nuove spiegazioni per dar conto di una discesa dai piani alti, ecco d’un tratto Federerissimo riapparire in tutto il suo fulgore. Grazie anche ad un cambio di tattica, ma soprattutto all’ispirazione d’un tratto ritrovata. Ininterrotta, splendente, sino a far affermare a Nalbandian che quello di oggi è stato il miglior Federer mai affrontato sul rosso. E non è solo il punteggio finale a dar ragione all’argentino.

Terra promessa

(Roger torna a frantumare gli avversari)

Stefano Semeraro, la stampa del 26-04-08

Le scommesse nel tennis sono pericolosissime, si sa. Anche con i semplici e molto più innocui pronostici occorre però usare cautela. Sport «self-cen-tred» e nevrotico per eccellenza - non sempre individuale però, viste le molte personalità che spesso albergano dietro fronti anche apparentemente serene - il tennis vive di episodi minimi, di umori incostanti. Di ostacoli imponderabili ma capaci di deragliare una giornata. Guardate il Federer scombinato giunto sull’orlo dell’abisso al primo turno contro il peon Ramirez Hidalgo, e provate a sovrapporlo allo scintillante frantumatore di ieri al Federer-tornato-Federer che, dopo qualche incertezza nel primo set, negli ultimi due ha dato polvere (rossa) da masticare alla sua vecchia nemesi Nalbandian. L’immagine ne esce come sdoppiata, indecifrabile e contraddittoria. «Ma io sono abituato a non dare troppo peso ai primi turni di un torneo», ha provato a spiegare con il faccino dei giorni felici il Riapparso. «Spesso mi capita di giocare male, e poi arrivavo qui dall’Estoril, dove le condizioni e le palle erano diverse, ho dovuto abituarmi. Adesso sento di star giocando un buon tennis». Secondo Nalbandian, che lo conosce dall’asilo o quasi, che l’ha battuto 8 volte in carriera, comprese le ultime due prima di ieri, Roger ieri si sarebbe addirittura esibito «nella sua miglior partita di sempre sul rosso». Un giudizio esagerato forse un tantino, giusto per rendere meno bruciante la sconfitta, ma non lontano dalla verità. Tonico, mobile sulla linea di fondo come non gli capitava da mesi, capace di sondare di nuovo con il rovescio e soprattutto con il dritto, la specialità della casa che pure negli ultimi tempi gli aveva dato grossi grattacapi. Una risurrezione, insomma, una Pasqua tardiva sulla via lastricata del pavimento che Roger gradisce di meno - ammesso che si possa dire così di un due volte finalista di Roma, di Parigi e Montecarlo. Qualcuno vorrebbe già vedere dietro la partenza la mano di coach Higueras, lo spagnolo-americano, ex-consigliere di due terricoli anomali come Courier e Chang, che ha felicemente debuttato la scorsa settimana all’angolo di Federer. «Il tennis è un gioco di errori», sostiene l’antico avversario di Barazzutti in match di proverbiale e asfissiante (anche per il pubblico) regolarità. «Questo vale tanto per i giocatori di club che per i prò. lì segreto sta nel minimizzare i propri e aumentare quelli dell’avversario. E la difesa non è meno importante dell’attacco, anzi, ne è la premessa». Parole sagge, forse scontate. Chissà quanto adattabili a Roger. È però di concretezza che Federer ha bisogno ora. L’obiettivo della seconda metà della sua carriera resta vincere l’unico Slam che gli manca, il Roland Garros, ma gli inciampi dei primi tre mesi del 2008 e un orizzonte punteg¬giato di nuovi dubbi lo costringono a cercare anche punti sonanti, non solo gloria, sul mattoncino tritato. La vittoria in Portogallo gli ha dato fiducia. Già da oggi però, nella semifinale contro lo spauracchio Djokovic, il suo eversore australiano che ieri ha finito Querrey dopo averlo preso un po’ sottogamba, Federer troverà pane durissimo da spezzare. Da stasera, dopo le prime semifinali con in campo i top-4 del mondo da Parigi 2006, sarà più facile capire se di risurrezione vera stiamo parlando, o solo del pronostico affrettato di federeriani da troppo tempo in ambasce

“Lasciatemi sognare”

(Flavia; “sono rinata grazie all’aiuto di uno psicologo. Gioco fino a 30 anni e poi voglio 3 figli”)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 26-04-08

OLBIA.- A Mosca ha fatto la riserva, a Napoli ha perso il suo singolare. L’avventura di Flavia Pennetta in FedCup ricomincia qui, in Sardegna. Flavia, che 2008 sarà perlei? «Sono contenta di quello che ho ottenuto finora - quello che accadrà da oggi in poi posso solo sognarlo». L’anno appena passato è stato davvero così brutto? «E’stato decisamente nero. Dopo il Roland Garros ero incerta sul da farsi. Sì, ho pensato anche al ritiro. Ho pensato a mandare tutti a quel paese, non ce la facevo più ad andare avanti. Sono cose che possano capitare a chiunque. Qualsiasi sia il lavoro che fai». Come ne è uscita fuori? «Mi sono affidata alle persone che sentivo vicine. L’allenatore, i genitori, gli amici. è vero, normalmente hai tanta gente attorno solo quando vinci e le cose vanno bene. Ma io sono una fortunata. In tanti sono rimasti con me anche nei momenti in cui stavo precipitando». Era più un problema di testa o di fisico? «A mandarmi giù hanno contribuito entrambe le cose». Come ha ricostruito la sua forza interiore? «Con l’aiuto di uno psicologo. Continuo a frequentarlo. Non ci vediamo spesso, ma quando ne ho bisogno so che lui è li». E dal punto di vista tecnico cosa ha fatto per recuperare fiducia? «Ho provato a costruirmi una strada diversa per ricominciare. Se esci sempre al primo turno, ti demoralizzi, ti senti senza fiducia e vai sempre peggio. Così sono andata a giocare i tornei minori, dove ci sono giovani ragazze in ascesa. Nei momenti chiave puoi far valere la tua esperienza e magari riesci a vincere. E’ andata bene». Quali sono stati gli altri segnali positivi dì recupero? «Sono andata in America e per la prima volta ho passato un turno agli US Open. Mi sono lanciata in un’avventura in Asia dove non credevo di andare cosi forte. A fine stagione ho tirato le somme e ho pensato che avevo fatto bene a non ritirarmi». II momento più bello? «A Bangkok». Per avere vinto il torneo? «Anche, ma non solo». Per cosa, allora? «Ho sconfitto Venus Williams. Quando batti una di queste giocatrici che rappresentano il tennis di oggi, ti sembra di aver fatto niente di speciale. Ma poi ti ricordi che quando eri in campo lei ti sembrava un ostacolo ancora più grande di quanto non fosse in realtà, il fatto è che noi spesso mitizziamo le ragazze che sono nella Top Ten, quelle che vincono gli Slam. Le idealizziamo. Abbiamo troppo rispetto nei loro confronti. E così ci ritroviamo a giocare sotto il nostro reale valore». Tra una settimana cominciano gli Internazionali. «Roma è un torneo speciale per qualsiasi italiano». Che tipo di italiana è lei? «Mi piace dire che sono un uomo. Abbastanza femminile per quel che riguarda l’aspetto, ma dentro ho un carattere forte. Non sto a piangermi addosso. Essere andata via da Brindisi a quindici anni mi ha fette crescere in fretta». Cosa cercava lontano da casa? «Un allenatore che mi dedicasse tutto il suo tempo, che lavorasse solo per me. Da noi non c’era. L’unico modo per fare un salto in avanti era quello di andare a cercare qualcuno fuori dai miei confini. Ma non tanto lontano. Pensavo così anche dopo, quando sono cresciuta. Volevo crearmi una sorta di paracadute. Andavo a caccia di un posto che non fosse poi cosi lontano da casa. Nel caso mi fosse venuta qualche nostalgia, volevo essere in condizione di tornare a Brindisi velocemente. Per questo ho detto no all’America e sì alla Spagna». E alla fine l’allenatore l’ha trovato. «Gabriel (Urpi, il suo tecnico ndr) mi ha dato tanto. Lavoriamo assieme da quattro anni. Sono migliorata molto sul piano del gioco. Lui è sempre lì, pronto anche a correggermi il dritto». Lei ha ritrovato gioco e motivazioni. Fino a quando il tennis sarà la cosa più importante della sua vita? «Sono dell’idea che trent’anni siano l’età giusta per smettere». E poi? «Vorrei restare nell’ambito di questo sport mettere su una. scuola, oppure fare la commentatrice tv o, perché no, diventare capitano di Federation Cup. Potrei anche ritrovarmi a riservare la maggior parte del tempo alla famiglia, perché io sono una che vuole diventare madre di tre figli. Mi impegnerò per fargli fare tutto lo sport possibile. Li segnerò a più corsi: alle 15 nuoto, alle 16 calcio, alle 17 tennis!. Così torneranno a casa stremati e la sera non mi chiederanno di uscire, fino a tardi. Vedo i ragazzi di quindici anni in giro fino alle 6 del mattino. E questo non mi piace. A diciott’annì hanno già esaurito la loro giovinezza. Non credo sia poi una cosa molto bella»! Lei ha detto che nel carattere si sente un qualche sport da uomini? «Gioco a pallone, per divertimento. Ero negata, ora sono quasi negata. E’ un progresso anche questo». Flavia, cosa vede nel suo futuro? «Sogno tante cose, ma per ora non voglio parlarne. Lo facessi, rischierei di spezzare i miei stessi sogni»
Dal Web

Barazzutti: `Koryttseva? Scelta non mi sorprende`
Eurosport.com
http://it.eurosport.yahoo.com/25042008/8/barazzutti-koryttseva-scelta-non-mi-sorprende.html

Una oggettivamente difficile da affrontare con la massima concentrazione possibile. La permanenza nel World Group della Federation Cup e` un obiettivo troppo importante per l`Italia del tennis. L`Ucraina si presenta come avversario particolarmente ostico anche se sorprende un po` la scelta, da parte del coach Bogdanov, di puntare su Mariya Koryttseva per il match di apertura contro Francesca Schiavone. La decisione, tuttavia, rientra nella logica delle cose secondo il capitano azzurro Corrado Barazzutti: `Sta giocando bene - ha detto - Forse il loro capitano vuole chiudere sull`1-1 la prima giornata per poi giocarsi tutto nel doppio. Per questo fara` riposare Kateryna Bondarenko` .
Molto determinata e` apparsa Francesca Schiavone: `Sono abituata a giocare per prima - ha spiegato - La Koryttseva? Non la conosco, ma le mie compagne si` e mi daranno qualche consiglio` .
Sponda Ucraina parla il capitano Bogdanov: `La scelta di non schierare Kateryna Bondarenko e` tattica - ha precisato - A me piace rischiare, ma potevo scegliere tra quattro giocatrici che stanno tutte bene` . L`intenzione e` quella di poter contare sulle sorelle Bondarenko nel doppio che potrebbe rivelarsi il match decisivo della gara.

Cipolla, un Aprile da ricordare
TennisTeen
http://www.tennisteen.it/notizie/interviste-ai-protagonisti/cipolla-un-aprile-da-ricordare.html

E’ stato sicuramente un mese di aprile indimenticabile per Flavio Cipolla, prima la convocazione in Davis, poi i quarti all’Estoril…e c’è mancato poco per vederlo anche nel main draw di Montecarlo. Ecco le sue impressioni su questo periodo positivo della sua stagione

GA: Un “Aprile” memorabile…Davis e quarti all’ATP di Estoril. Prima un accenno alla Davis, cos’hai tratto da questa tua prima esperienza?
FC: sono state tre settimane molto positive… per quanto riguarda la Davis è stata una bellissima esperienza e sono molto contento di averla vissuta! Tra l’altro in quella settimana mi sono allenato bene e ho avuto modo anche di continuare le cure per il mio ginocchio grazie ai fisioterapisti e i medici..
GA: AD Estoril primo turno con Vasselin, e poi Simon, che è un top 40. Con il francese 6-2 5-3 e suo ritiro…parliamo di come hai giocato, se hai notato grosse differenze fra il giocare a livello Challenger, e ritrovarsi con il n33 al mondo dall’altra parte della rete, mentre sugli altri campi giocavano Federer e Davydenko.
FC: Estoril e’ stato un ottimo torneo per me…primo turno molto combattuto contro Roger-Vasselin,in quel match non ho espresso il mio miglior tennis ma sono stato molto bravo a stare attaccato alla partita fino alla fine per poi riuscire a vincere!
Il giorno dopo contro Simon ho giocato molto bene…ho anche approfittato del suo ritiro sul 5-3 al secondo set quando però la partita era già credo compromessa in mio favore…!

GA: Con Serra, ai quarti, partita finita 6-1 6-1. Quando il francese è in giornata, per quanto sia farraginoso il suo diritto, può giocarsela veramente con chiunque.
FC: Contro Serra invece la partita e’ subito iniziata con il piede sbagliato… ho sprecato molte palle break e palle game all’inizio del primo set e poi mi sono disunito regalando molti punti gratuiti…c’è da dire comunque che Serra è un giocatore molto solido con il quale se non si è in giornata è molto difficile vincere.
GA: Montecarlo…ad Estoril sei stato l’ultimo ammesso, ed ora anche nel principato sei entrato proprio sul foto-finish. Cammino verso il main-draw non impossibile…ma c’è da chiederti come stai fisicamente, negli ultimi 15-20 giorni hai viaggiato e giocato parecchio ad alti livelli, anche se…l’adrenalina che avrai ora credo possa farti superare tutto!
FC: anche Montecarlo credo sia stata una trasferta positiva visto che ho vinto contro Clement! mi e’ rimasto un po’ l’amaro in bocca perche’ la qualificazione era alla mia portata e ho perso un match che veramente e’ girato su due palle!
per quanto riguarda la mia condizione fisica non mi lamento…il ginocchio sembra migliorare…
GA: Ciao Flavio, grazie e continua a regalarci tante gioie!!!
FC: Ciao e grazie!

Irresistibile Djokovic è il tennis più bello Murray si fa da parte

(Novak, tra Teocoli e Rosewall)

Gianni Clerici, la repubblica del 25-04-08

“Oh la la, mème un octogenair”, anche un ottuagenario riesce a entusiasmarsi. “Ma hai visto cosa ha fatto?!”. “Ho visto, ho visto. Diventa il numero uno”. Uscivo dal mio loculo, troppo ristretto per dar libero sfogo all’entusiasmo. E mi si parava davanti Christian Bimes, il presidente della Federazione francese che, anche lui, tennis ne ha visto. Parlavamo, ca va sans dire, di Novak Djokovic, il ragazzo di Belgrado che faceva da specchio al più bel club del mondo. Contro un altro ventenne di talento quale Andy Murray, aveva appena finito di vincere il primo set, in 35 minuti ma non solo di vincere, di dominare, dovrei dire. Sintetico e apparentemente distaccato, da ottimo statistico, Tommasi aveva appena riassunto lo splendido primo set con una sintesi: «Djokovic ha sul suo tabellino 14 punti vincenti, a fronte di 7 errori». 14 a 7, mi dicevo, su un totale di 51 punti giocati. Non fosse esistita ancora la tv, come ai tempi in cui ero bambino, avrei potuto tentare una descrizione, di quegli straordinari tiri. Tutti eseguiti con tale coordinazione da far passare in secondo piano la violenza, e di lasciare negli occhi un’impronta permanente che sfiorava l’arte, quanto la gestualità di un grande ballerino.
Incantevole, Djokovic, ancorché un rovescio bimane non riesca mai del tutto ad eguagliare l’eleganza di un back hand di Rosewall o di Edberg. Ma, ancor più dei gesti, ripeto, quel che non poteva non affascinare un vecchio scriba era il ritmo, la sottile perfezione che quei tiri rivelavano. Mi faceva quasi pena, Murray, uno dei giovani di miglior futuro in circolazione. Non giocava per niente male, scambiava, ma d improvviso non trovava più la palla, non trovava più l’ispirazione per rinviare proiettili e tocchi. Questa deliziosa rappresentazione ci sarebbe stata offerta da un giovanotto che avrebbe potuto scegliere il suo destino non su un court, ma su un palcoscenico, uno che, ancor prima di diventare campione, attore è nato. Nell’annuale show che i tennisti offrono ad un pubblico di addetti ai lavori, il mercoledì di ogni anno, Djokovic era stato la star, un imitatore che, volendo, sarebbe potuto di venire un protagonista alla Teocoli, alla Crozza. Persi ne i bersagli delle sue imitazioni, Nadal, Federer, erano stati costretti a divertirsi, di fronte ai propri difetti ingigantiti. Sfortunatamente per noi il tennis non è teatro, non lo è almeno nella misura in cui il deuteragonista non collabora, ma sì oppone. E quindi, trascorsa quella mezzora iniziale, il serbo sarebbe andato un pochino oltre il ritmo ideale, avrebbe sbagliato qualcosa di troppo, consentito anche allo scozzese di farsi ammirare. Il secondo set sarebbe divenuto una normale partita di tennis, addirittura trapunta da un minimo d’incertezza, addirittura con il serbo in svantaggio, per un istante. Sarebbe rimasto, lo spettacolo, il migliore al quale si sia potuto assistere in questo torneo. Ma gli spettatori, in gran parte italiani, venuti anche da lontano, sarebbero usciti dal club con un sentimento di gratitudine in cuore, certo memori di un simile, affascinante pomeriggio.

E’ super Novak la vera stella

(Nole: “la supremazia del giocatore completo”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 15-04-08

Da Supernova a Supernovak. Da una stella che esplode all’altra, Montecarlo si bea della lezione di tennis che Novak Djokovic rifila all’amicò Andy Murray, più giovane di una sola settimana, che diventa una vita nello sport dei due ventenni dalle grandi speranze. Dalla tenuta del campo, alla continuità, ai risultati e alla classifica mondiale che dice numero 3 per il serbo e 20 per lo scozzese; Una prova che mette in ombra i successi dei primi della classe: Roger Federer, resuscitato da Ramirez Hidalgo e rivitalizzato dall’acerbo Monfils, ma preoccupato dal test con la bestia nera Nalbandian, e anche Rafa Nadal, il solito fenomeno di forza e determinazione che piega il redivivo Ferrerò, ma teme il secondo derby con Ferrer dopo gli ultimi due schiaffi. Maestro Djokovic è la stella del momento: dentro e fuori il campo. Protagonista, come l’anno scorso, sul palco della Festa dei Campioni, dalle gag degli spogliatoi all’interpretazione di Michael Jackson nel famoso «Thriller». Poche ore dopo, è protagonista anche sulla terra, dopo i successi sul veloce (con l’acme del primo Slam di gennaio a Melbourne), l’uomo di gomma di Belgrado lascia a bocca aperta Murray e i 9000 del Country Club. «Ha lasciato lontano il numero 20 del mondo. Novak gioca più profondo di Nadal, cambia ritmo, sa fare tutto, cerca le righe, bisognerà fare i conti con lui anche sulla terra e, quindi, rivedere i tempi con cui arriverà al numero 1 del mondo», riassume, da tecnico, Paolo Bertolucci «In generale è molto bravo in tutto. Si muove eccezionalmente bene. Non credo che faccia qualcosa meglio di tutti, né colpisce poi così forte, ma cambia bene la direzione della palla, trova ottimi angoli, anticipa, e ha buoni drop-shot. E’ tutto il suo gioco che lo qualifica fra i primi 3 del mondo», puntualizza lo sconfitto, Murray.

Occhio alle “Bond girl”

(Bondarenko; una famiglia a tutto tennis)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 25-04-08

OLBIA - Una partita di doppio giocato a muso duro, come se fossero impegnate in un torneo. Pantaloni a pinocchietto (stile Nadal) e maglietta sbracciata, Alona e Kateryna Bondarenko hanno preso regolarmente a pallate sul Centrale del Geovillage i due sparring partner, mentre mamma Natalia sedeva fuori dal campo e si divertiva da matta. Una famiglia intera sfida l’Italia. Alona è la bionda, 1.69 di altezza per 55 di peso, ama gli orecchini (ne ha una collezione da fare invidia alle sue coetanee) e divertirsi. Fisico attraente, tanto da essere ingaggiata dalla K-Swiss per una pubblicità e rivaleggiare addirittura con Anna Kournikova («Mi scambiano per lei, ma la somiglianza è solo nell’immagine»). Stesa su un campo da tennis, con il mare di Rio de Janeiro a fare da sfondo, un top e una minigonna bianca per una posa molto sensuale. E’ questa la foto pubblicitaria che ha fatto chiacchierare a lungo il circuito del tennis. Maschile e femminile. Ma Alona è anche la prima ucraina ad aver superato il milione di dollari in montepremi ed è la numero 19 del mondo. Nata a Krìvyi Rig, vive a Khaniv e ha un tatuaggio sulla schiena: due ali d’angelo con al centro una “K”….. Quella lettera è l’iniziale di Kateryna, la sorella assieme alla quale ha vinto gli Australian Open (in precedenza soltanto Venus & Serena Williams erano arrivate a tanto). Kateryna ha lo stesso tatuaggio, solo che sul suo la lettera incisa è “A”. Lei è castana, 1.77 di altezza per 60 di peso. Ha 22 anni, due in meno della sorella, e ama fiori e cioccolatini. Si allenano assieme, partecipano agli stessi tornei, hanno lo stesso tatuaggio e identico piercing (al naso). Sono entrambe allenate dalla mamma, Natalia. Quando la signora non può, è Alona a fare da coach alla sorella. Peccato che passi gran parte del suo tempo a leggere libri d’amore e a inviare sms piuttosto che a consigliare Kateryna. C’è anche una terza sorella, Veleria che di anni ne ha 26. Ha fatto parte del circuito professionistico, poi ha preferito dedicarsi ad altro. La si vede, ma molto raramente, in tribuna per dare il suo supporto morale alle sorelle. Come fa Il capofamiglia, il signor Vladimir. Un papa coach che ha portato Alona sui campi quando aveva cinque anni e Kateryna quando ne aveva quattro. QUASI UN’ARCA - Una famiglia che ha riempito la propria casa, a Kiev, di animali. Ci sono un cane, due gatti, una coppia di canarini, dieci pesci rossi e uno scoiattolo. Le stravaganze finiscono qui. Poi, ci sono i risultati. Alona ha vinto il torneo di Lussemburgo nel 2006, battendo in finale Francesca Schiavone, che ha di nuovo sconfitto a Berlino. Preferisce le superfici veloci, ma anche sulla terra non va poi così male. Kateryna si muove meglio sull’erba, non è un caso che da junior abbia vinto Wimbledon battendo Peer, Krajicek e Ivanovic. E’ 48 del mondo, ma sulla terra non è proprio a suo agio. Inutile ricordare la loro forza in doppio, gli Australian Open edizione 2008 sono la conquista più importante delle Bondareriko. L’Ucraina non ha mai giocato nel Gruppo Mondiale, noi la Fed Cup l’abbiamo anche vinta. I pericoli sono tanti, serve una prova super. Le Bondarenko, da quando hanno smesso di litigare in campo, sono diventate clienti terribili per tutte le giocatrici del circuito.
dal Web

Bracciali: “Difficile rientrare per Roma”
Tennis Ace
http://tennis.sport-blog.it/index.php/2008/04/24/

La voce circolava da un po’, Daniele Bracciali difficilmente avrebbe ripreso dal Foro Italico. Purtroppo lo stesso tennista conferma che sarà difficile rivederlo a Roma.
Daniele Bracciali sta provando a bruciare i tempi, la spalla risponde bene e già da un po’ è tornato in campo a giocare. Ma non è facile ritrovare la condizione giusta, soprattutto per un torneo prestigioso come il Masters Series di Roma. Già a Cremona, tennisti che lo avevano visto nei giorni scorsi avevano ammesso che vederlo al Foro sarebbe stata un’impresa. Oggi la conferma arriva dallo stesso tennista. “Sto allenandomi per rientrare il prima possibile ma non credo di farcela per Roma” ha confidato Daniele Bracciali.

Quarant’anni fa, la rivoluzione del tennis
WildCard
http://federico-ferrero.blogspot.com/

Quarant’anni fa, il 22 aprile 1968, ebbe inizio l’era Open con i British Hard Court Championships. Per la prima volta il nostro sport fu aperto a dilettanti e professionisti, giacché chi accettava soldi per giocare, fino a quell’anno, era automaticamente escluso dalla possiblità di iscriversi ai quattro tornei dello Slam e a molti altri appuntamenti tradizionali del tennis. I Championships si giocarono a Bournemouth, sulla terra battuta (hard court non significava, come oggi, cemento ma superficie dura, più dura dell’erba) e contavano 14.000 dollari di montepremi. Il primo incontro maschile Open fu una sfida, non appassionante, tra il dilettante inglese John Clifton e l’esperto professionista australiano Owen Davidson. Quest’ultimo vinse 6-2 6-3 4-6 8-6. Il torneo non fu di livello memorabile: in mancanza dei migliori dilettanti il tabellone era infarcito di inglesi e di qualche australiano di seconda fascia; non sussisteva dubbio sul fatto che i professionisti avrebbero spadroneggiato.
In finale arrivarono due leggende aussie che avevano ceduto alle lusinghe e ai denari del circuito dei professionisti: Ken Rosewall e Rod Laver. Muscle Rosewall ebbe la meglio su Red Rocket per 3-6 6-2 6-0 6-3. Il torneo femminile, di rango decisamente inferiore, fu vinto da Virginia Wade, l’ultima britannica a vincere il titolo di Wimbledon (accadde nel 1977, l’anno del centenario e del Giubileo d’argento della Regina Elisabetta che, eccezionalmente, fu spettatrice della finale).

Una curiosità: il primo dilettante a sconfiggere un professionista fu Mark Cox, un ostico mancino di Leicester, cui riuscì di imbrigliare il gioco di un certo signor Gonzales, di nome Pancho.
Il tabellone del torneo di Bournemouth 1968 è disponibile qui.

Federer, il mistero continua il numero uno è un ricordo

(Solo l’orgoglio salva Roger)

Gianni Clerici, la repubblica del 24-04-08

Da un paio di mesi assente dal circuito, e privo di un apparecchio televisivo, mi ero chiesto ripetutamente cosa fosse accaduto al Pieveloce Federer. Da più di quattro anni imbattibile - se non sul rosso -aveva perduta una dopo l’altra quattro partite, che elenco. Una accettabile sconfitta all’Open d’Australia contro Djokovic. Un primo turno a Dubai di fronte all’emergente scozzese Murray. Semifinale a Indian Wells con il non irresistibile yankee Fish. Quarti a Miami da Andy Roddick, che contro di lui aveva beccato negli ultimi undici match. Nel mezzo di simili vicende, apparentemente inspiegabili, ecco lo scoop concesso al New York Times: mononucleosi. Questa maledetta infezione, per lo più di origine orale, l’aveva colpito durante l’Open d’Australia: in modo tanto subdolo che, per ben due mesi, Roger ci aveva convissuto senza rendersene conto. Simile diagnosi aveva alfine offerto un buona ragione a giornalisti e tifosi, e aveva spazzato via altre presunte cause intime, uno slacciamento con la compagna e manager Mirka, un amoruccio con la nipotina del coach Roche, e altre trovate da tabloid. Ora ritorna più bello di prima, ci si era detti, all’esordio del torneo portoghese dell’Estoril. Ma, anziché cancellare i dubbi, l’uscita sul rosso li aveva ravvivati: due set perduti contro due gregari quali Rochus (78)e Gremehnayr (84), la finale vinta sì contro Davydenko (4), ma per incidente del russo. Tale era l’attesa, al Country di Montecarlo, che questa mattina si erano rivisti, ai cancelli, i bagarini. L’avversario del primo turno era un di terza fila, un tipo chiamato Ruben Ramirez Hidalgo, addirittura n. 137 del mondo. Ove non bastasse, par giusto elencare i risultati che avevano preceduto l’approdo a Monaco del fiero rappresentante del piemontese Tennis Alba: battuto in quattro primi turni, a Tangeri da Granollers (107), a Meknes da Vanek (111) a Napoli da Daniel (93) a Monza da Devilder (132). L’inizio odierno era parso a tutti uno degli allenamenti al quale Federerissimo ci aveva abituati: 6 a 1, in trentadue minuti. Ma incredibilmente, all’inizio del secondo, nell’animo dello spagnolo l’Hidalgo iniziava a prevalere, ed ecco il più grande tennista del mondo sommerso di drittacci liftati, e respinto a bruttarsi di rosso sui teloni pubblicitari. In quarantatrè minuti l’arrotino Hidalgo restituiva il 6 a 1 , e non solo: si issava cinque a uno al terzo, contro un Federer ancor più impotente che disperato, ed era soltanto la sua pochezza a fargli mancare per ben quattro volte la palla che avrebbe condotto al match point. Non solo la pochezza, povero finto Hidalgo, ma il complesso di cento match perduti da vantaggi quasi decisivi. E’ anche per questo, per la natura di “perdedor” dello spagnolo, che il più malconcio Federer che io ricordi è riuscito a trarsi fuor dal pelago. Il peggior Federer, ho scritto, ma non certo il meno orgoglioso. Diagnosticare ora la causa, tra mononucleosi, serenità famigliare compromessa (?) , allenamento inadeguato, logorio per i troppi successi, è superiore alle facoltà non solo introspettive ma divinatorie dello scriba. Cosi com’è, direbbe Monsieur de La Palisse, non lo si può più definire il Number One. Ben lungi.


Bolelli fuori con gli applausi di Davydenko

(Peccato Simone, si poteva fare qualcosa in più)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 24-04-08

MONTECARLO «Buon dritto, colpi vincenti, ha il gioco per la terra, è stato più duro batterlo qui che a Miami». Gli applausi del n. 4 Nikolay Davydenko a Sim-ne Bolelli sono sinceri. E condivisi dal 22enne di Bologna che, un anno dopo, spiega: «Gestisco meglio la difesa, corro meglio. Ho migliorato, anche se devo ancora migliorare. Cercò di fare io il gioco e di essere il più aggressivo possibile, variando molto». Inesperienza «Ho cominciato male», recrimina l’allievo di Claudio Pistolesi, dopo il 6-2 7-6 che fotografa il match. La cosa migliore è là tenuta di campo, anche quando è sotto 4-1 al 2° set, e la rimonta, con quel bel tennis che scuote il muro russo. Ma non l’abbatte forse perché il soldatino Nikolay, con qualche problema fisico, non abbocca al contropiede: «Potevo andare a rete con il lungolinea, ma lo so adesso che mi ha passato». E, col 7-5, si prende tie-break e secondo turno. Brusco passo indietro, invece, per Seppi contro bum-bum Querrey, bombardiere americano di 1.98 che lunedì ha eliminato Moya. Il pupillo di Sartori si blocca davanti all’occasione («Ero nervoso»), e si infila nella diagonale sbagliata: «Lui si spostava e sparava di dritto».

Federer, occhio Nadal voglio Parigi e Pechino

(Roger: “state tranquilli che non sono finito”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 23-04-08

MONTECARLO - Re Roger Federer guarda tutti dall’alto in basso, letteralmente, dall’elicottero con cui, a mezzogiorno, fa un giretto sul Principato e sul famoso Country Club dove tutti i comuni mortali, meno lui e 7 delle prime 8 teste di serie, hanno già assaggiato la terra rossa. Ma il re ha vinto il primo torneo 2008 appena una settimana fa: come mai? «All’inizio dell’anno avevo la mononucleosi, e comunque volevo giocare meno perché poi ho tanti obiettivi e tutti importanti: fare un torneo in più sulla terra, l’Estoril, vincere il primo Roland Garros, il sesto Wimbledon (e staccare Borg a 5) e l’Olimpiade, e superare il record di 14 Slam di Sampras». Rafael Nadal non ha ancora vinto un torneo: colpa dei campi veloci o degli avversari? «Rafa ha fatto comunque una buon inizio d’anno con due finali e due semifinali, con enormi progressi sul veloce. E’ un tennista migliore di quello che la gente pensa: per me è unico, non solo perché è mancino ed è tanto fisico. Mi piace. Come mi piacciono Hewitt, per l’attitudine, e Gasquet, per quel rovescio incredibile. Ma anche Djokovic ha i suoi colpi e si muove in modo eccellente». Ancic dice che solo Federer, Tsonga e lui giocano un tennis diverso. Oggi con queste superfici sempre più lente, devi stare sul fondo, non puoi andare sempre avanti, su prima e seconda di servizio. C’è sempre meno gente che fa una buona volée, ma non è vero che il gioco è meno veloce. Chi ci guarda capisce quanto poco tempo abbiamo per recuperare la posizione e colpire la palla. Oggi il bello del tennis è che tutti i più forti giocano bene su tutti i campi: con Rafa, ho giocato finali sul cemento e sull’erba». In prospettiva Parigi, quanto vale vincere il primo torneo stagionale sulla terra? «Mi da fiducia, ma io sono un giocatore naturale per questa superficie: ho sempre saputo di poter giocar bene e di vincere qua sopra, e di poterci battere anche Nadal, visto che già avevo avuto match point contro di lui. Riuscirci ad Amburgo ha dato la conferma ufficiale: in un momento importante, dopo 81 successi di fila». Allora perché ha preso un coach da terra come Higueras? «Cercavo qualcuno da un anno, più che altro per sistemare qualcosa qua e là. Fra i coach che ho avuto, Carter mi ha insegnato di più come tecnica, Lundgren come professionismo, e Roche come gioco d’attacco e duro lavoro in allenamento». L’anno scorso cos’è successo a Roma contro Volandri? «Filippo ha giocato bene - solido, con la gente che lo spingeva — e io non ero con la testa lì, come poche volte mi è successo. Non è stato per Roche, anche se subito dopo abbiamo chiuso il nostro rapporto». E quest’anno cos’è successo con Fish a Indian Wells? «Fish era li per rompermi, di forza. Non perdevo da un americano da 41 match. Ha giocato una gran partita». Come mai per la prima volta Federer ricorda i successi? «Qualcuno non capisce quanto sono stati straordinari gli ultimi 4 anni: non posso essere finito a febbraio, quando a novembre vincevo il Masters. Ora poi sto di nuovo bene: tranquilli, io e il mio amico Tiger Woods ci siamo fermati un attimo, ma siamo pronti a vincere tanto ancora»

E’ un Murray di gomma Volandri ci rimbalza Bolelli vola

(Bollelli a tutta forza)

Andrea Facchinetti, E-Polis Roma del 23-04-08

Impressiona Simone Bolelli nel primo turno del Masters Series di Montecarlo (2450000$, terra). Il ventiduenne bolognese, costretto a passare dalle qualificazioni (n°66 Atp), ha superato agevolmente Juan Ignacio Chela (n°36) con un doppio 6-2 mostrando una condizione tennistica eccellente. Seguito come un’ombra nel suo box dal coach Claudio Pistolesi (capace nel 1988 di superare su questi campi Mats Wilander, allora n°2 del mondo e vincitore in quella stagione di tre titoli dello Slam), Simone ha confermato i progressi messi in mostra nella recente sfida di Coppa Davis contro la Croazia: buona mobilità, colpi profondi, tenuta mentale. «È una questione di testa - racconta -, mi sento più sicuro di me, più convinto di competere ad alti livelli. Il mio obiettivo è quello di entrare nei primi 15 del mondo». Oggi troverà sulla sua strada l’acciaccato Nikolay Davydenko, che lo ha battuto poche settimane fa a Miami dopo tre set combattuti e molte occasione gettate al vento dall’azzurro. «Ma quella sconfitta mi è servita per fare un ulteriore salto di qualità», confida Bolelli, che medita il colpo. Avanza nel secondo turno odierno pure Andreas Seppi (6-4 6-3 ad Agustin Calieri), che si giocherà gli ottavi con Sam Querrey. Fuori invece Filippo Volandri, a corto di preparazione, sconfitto 6-4 6-1 da Andy Murray. Oggi scendono in campo pure Nadal e Federer, vincitore e finalista delle ultime due edizioni.

Un inglese vince dopo 54 sconfitte di fila tra i pro’: record eguagliato

(Dee eguaglia il record di sconfitte di Beltranena)

Corriere dello sport del 23-04-08

BARCELLONA - Dopo tre anni di attività e 54 sconfitte consecutive in altrettanti tornei, giocando tra l’altro in Colombia, Sudan, Senegal e Norvegia, il 21enne inglese Robert Dee (n. 1466 Atp) ha finalmente conquistato la prima vittoria nel circuito professionistico. Nella sua serie nera, iniziata in Messico nel 2005, oltretutto non si era aggiudicato neppure uno dei 108 set disputati! Invece domenica Dee è riuscito a battere per 6-4 6-3 lo statunitense Arzhang Derakhshani nelle qualificazioni di un “‘F16″ a Reus, nei dintorni di Barcellona. «Ho telefonato subito ai miei genitori: a mia madre ho detto che avevo perso di nuovo, poi però mi sono fatto passare mio padre e ho raccontato la verità». L’avventura di Dee è durata comunque poco nel torneo spagnolo, in quanto è stato eliminato nel secondò turno delle “quali” dal polacco Artur Romanowski per 6-3 6-1. La serie negativa di Dee ha eguagliato quella realizzata tra il 1997 e il 2005 dal guatemalteco Diego Beltranena, il quale però vinse almeno un set.
Volandri terra amica travolto Mahut

(Filo e la condropatia: “in campo non penso al dolore al ginocchio”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 22-04-08

MONTECARLO Il Vento e sole prendono in contropiede le previsioni meteo, e cancellano la domenica uggiosa. Sotto pressione, al via dei grandi tornei sulla terra rossa europea, il ginocchio sinistro di Filippo Volandri tiene meglio della concentrazione di Potito Starace, e l’Italia chiude sull’1-1 la prima giornata nel torneo con la miglior vista del mondo, sul mare di Montecarlo. Che saluta mestamente Guga Kuerten, sul viale del tramonto con traguardo al Roland Garros, dove nel ‘97 è nata la sua favola. Rivincita La parola condropatia mette paura. «In campo cerco di non pensarci, stavolta non mi ha dato fastidio, quando succede sento una fìtta dentro e perdo l’appoggio», racconta Volandri, conscio che gli è rimasta poca cartilagine («il 50%») e non gli ricrescerà: «II ginocchio s’infiamma, vado avanti a ghiaccio, fisioterapista e preparatore atletico fisso». E con questa terribile spada di Damocle sulla testa («Quando sto peggio gioco meglio»), felice per il ritorno sulla prediletta terra rossa, il livornese accelera finalmente lo scambio e sorvola il primo ostacolo contro sparacchione Mahut: «Il campo era diventato veloce e con poca terra, ho giocato bene a tennis». Furbone ha ben altri timori, oggi, nel secondo test, contro furbone Murray (rinforzato dallo stratega del rosso, Alex Corretja): «L’anno scorso ad Amburgo si è fatto male al polso, ma fino al 5-1 non me l’ha fatta vedere. Però sulla terra tutti devono giocare bene per battermi, con lui devo limitargli il rovescio lungolinea, sapendo che non è mai stato un grande corridore. Quindi spero in una partita lunga, magari con campo pesante». Delusione «Partita brutta, molto brutta. Ero scarico, non spingevo di gambe, come faccio di solito». Potito Starace recita il mea culpa per come scialacqua il 5-3 — e tante energie — nei primi due set, uno perso e uno vinto al tie-break: «Quindi al terzo, sul 3-3, ho lasciato uno smash e, dal 4-3 per me, sono andato sotto, e poi non ne avevo più e mi ha ripreso anche il dolore all’anca». Così il simpatico «Poto» cede dopo 3 ore e 20 minuti, contro il redivivo Nicola Lapentti, che è stato anche numero 6 del mondo nel ‘99 (oggi è 99 Atp) e che il numero uno d’Italia aveva appena battuto ad Acapulco. «Bravo lui a giocare in difesa, io facevo e disfacevo tutto, con troppi errori, soprattutto di dritto». Saranno 31 alla fine, per un totale-record di 50: «Appuntamento a Barcellona».

Volandri acido: «In Davis doppio improvvisato»

(Il periodo grigio dei nostri giocatori sulla amata terra rossa)

Piero Valesio, tuttosport del 22-04-08

Uno è intero ma con un ginocchio che scricchiola; l’altro ha l’anca dolorante e la situazione non è rosea. Uno, Filippo Volandri, ha passato il primo turno del torneo di Montecarlo superando in due set il francese Mahut. L’altro, Potito Storace, ha rimediato una sconfitta contro Nicolas Lapentti che non è esattamente di primissimo pelo e ancor meno un giocatore in ascesa. Con Fognini ancora ai box per il polso infiammato non è che la nostra squadra «da terra» stia attraversando un grande periodo. A tenere banco non è stato però tanto il Volandri in campo quanto quello che, nelle dichiarazioni post-match, ha usato parole non proprio di circostanza per commentare l’operato di Corrado Barazzutti a Dubrovnik durante il match fra Croazia e Italia. «L’unica speranza per noi era quella di vincere il doppio perché sul veloce un Ancic così non si batte. E il nostro doppio mi è sembrato un po’ improvvisato…So che il capitano aveva chiesto a Seppi e Bolelli di giocare qulche doppio in preparazione della Davis ma poi Bolelli ha giocato con Starace…». Ora Filippo è atteso da un match contro Andy Murray che dirà qualcosa di più sulle sue reali condizioni fisiche. Potito invece è fortemente in dubbio per Barcellona. E a proposito di tennisti non in perfette condizioni fisiche ieri Gustavo Kuetten sconfitto da Ljubicic in una sorta di match esibizione, ha dato l’addio al Country club monegasco. E gli addii di chi è stato grande sono sempre tristi, molto tristi.

Bolelli, classe da Foro

(Simone: “a Roma per fare bene”)

Francesca Paoletti, la gazzetta dello sport del 22-04-08

ROMA La terra battuta regale di Montecarlo, la vista mozzafiato del Country Club e quel «daje Simone daje» che gli amici del Forum Sport Center di Roma gli dedicano ad ogni nuova avventura. Con il primo turno del tabellone principale del Masters Series di Montecarlo (conquistato superando agevolmente le qualificazioni e che oggi lo opporrà all’argentino Juan Ignacio Chela, numero 36 del mondo), per Simone Bolelli inizia la parte più calda della stagione sulla terra battuta europea, che fra meno di due settimane lo porterà sui campi del Foro Italico. ….. Simone, classe 1985 e attuale numero 66 della classifica mondiale, si allena nell’Accademia del tennis di Claudio Pistoiesi da gennaio 2006 e vive stabilmente nella foresteria del Forum. «Siamo fortunati— ammette un gruppetto di soci del circolo della zona Aurelio — possiamo ammirare le sue gesta tutti i giorni. E poi quando è in giro per tornei ci organizziamo per seguirlo in tv tutti insieme. Imitarlo? È impossibile, quello che impressiona di lui sono la potenza e la profondità dei colpi». Simone piace. Piace ai soci, alle donne in modo particolare, e agli addetti ai lavori: «L’ho visto giocare per la prima volta quando aveva 15 armi — racconta il suo allenatore — di lui mi colpì la sicurezza e la velocità di braccio. Ascoltando il suono che produceva la pallina sulla sua racchetta mi sono detto, “questo è il suono dei campioni”»….. Bolelli è ormai colonna della nazionale italiana di Coppa Davis; «Le prestazioni con l’Italia mi hanno dato una grossa fiducia —ha spiegato il tennista bolognese —. Cercherò di farne tesoro. Io specialista dei campi veloci? Posso fare bene su tutte le superfici, e poi fino ad un anno e mezzo fa la maggior parte dei risultati li avevo ottenuti sulla terra». In attesa della consueta sessione di allenamento con re Roger Federer (lo svizzero lo «reclama» ad ogni sua nuova avventura sui campi del Foro Italico!), lavora spesso con un altro volto nuovo della Davis, Flavio Cipolla: «Ci siamo allenati insieme quasi tutto l’inverno. Sono stato felicissimo della sua convocazione. È un ragazzo semplice e umile». È al Foro Italico? «C’è tanta voglia di far bene, è un torneo particolare per noi italiani».

Dal WebIl rientro di Mara fissato il 28 aprile al torneo WTA sul rosso di Praga prima di Roma

http://www.marasantangelo.com

MARA SANTANGELO PRIMA AD OLBIA E POI A PRAGA

Nei prossimi giorni sparring partner ad Olbia per le compagne azzurre Schiavone, Pennetta, Errani e Knapp che devono affronatre lo spareggio salvezza contro l’Ucraina in Fed Cup. Il capitano della Federation Cup Corrado Barazzutti ha chiesto a Mara Santangelo, campionessa nel 2006 contro il Belgio e vice nel 2007 contro la Russia, di stare accanto alle compagne azzurre convocate al Geovillage di Olbia, in casa del patron Gavino Docche che nel 2005 vinse lo scudetto in A1 e quest’anno ha ingaggiato Simone Bolelli, in occasione del match di spareggio-salvezza il 26 e il 27 aprile contro l’Ucraina delle sorelle Bondarenko. La fiemmese sarà sparring partner negli allenamenti delle titolari Schiavone, Pennetta, l’altoatesina Knapp ed Errani. Mara è nella fase di recupero dall’infortunio al piede ed ha deciso di anticipare il rientro agonistico il 28 aprile agli Open di Praga sulla terra rossa (145 mila $ Tier 4° Wta).

MARA PRONTA AL RIENTRO DOPO LE CURE AD AREZZO

L’incontro a Mezzocorona per presentare gli Internazionali d’Italia a Roma dove Mara cercherà di essere presente per aprire la stagione

Eccomi qui, di nuovo a raccontarvi del mio lento ma progressivo recupero e della strana routine di vivere per un periodo prolungato nello stesso posto. Mi trovo ancora ad Arezzo, come ormai sapete, ospite del Blue Team che mi ha accolto e “adottato” per gli allenamenti. Da pochi giorni mi hanno anche raggiunto Giampaolo Coppo, il mio coach, e Marco Panichi, il mio preparatore atletico. Con loro sto proseguendo la preparazione e cercando di conciliare il lavoro in campo con la fisioterapia. La condizione migliora e il mio piede fa ben sperare, anche se per il momento non c’è fretta, ahimè! Per riuscire infatti a sfruttare il “ranking protetto” di cui le giocatrici Wta possono godere, non potrò tornare alle gare prima dell’inizio di maggio. Per essere più chiara, affinché la Wta mi assegni di diritto questo speciale status, devono trascorrere almeno sei mesi dall’ultimo incontro disputato. Nel mio caso sfortuna ha voluto che io abbia giocato l’ultimo torneo a fine ottobre, a Linz, per tentare di racimolare i punti che mi sarebbero valsi il Masters di specialità. E viste come sono andate le cose, capisco solo ora che è stata una scelta tutt’altro che felice, visto che giocare sul dolore mi ha sicuramente rallentato il recupero di mesi. Avrei potuto fermarmi al singolare dello Us Open e invece… troppo difficile ragionare di testa quando vedi uno dei tuoi sogni tanto vicini. Comunque ormai è acqua passata. Riprenderò a maggio, sarò sicuramente in campo a Roma, nella città in cui mi alleno, e spero di avervi vicini in un quel momento, non sarà certo facile rientrare. Grazie al sistema del ranking protetto potrò sfruttare per 8 tornei a mia scelta, tra cui un solo Slam, la posizione che occupavo a ottobre, numero 34. E questo mi dovrebbe consentire di tamponare la “caduta libera” degli ultimi mesi. Aspetto solo quel momento.
E nell’attesa mi diverto a scoprire i piccoli piaceri della spesa, mi diletto in cucina, non immaginate l’originalità delle mie insalatone: ingredienti di ogni tipo ma pur sempre salutari, dato che la forma va mantenuta anche a tavola.
Sempre a proposito di buona cucina, e buoni vini, proprio la scorsa settimana sono stata in una delle cantine più belle del Trentino, le Cantine Rotari di Mezzocorona. L’occasione era la presentazione della prossima edizione degli Internazionali di Italia, cui hanno partecipato anche il presidente Fit Angelo Binaghi, Lea Pericoli e Nicola Pietrangeli, con me nella foto insieme a Luca Del Dot. Luca è il responsabile della Lega Tumori del Trentino Alto-Adige, di cui tra l’altro sono testimonial. La serata è stata piacevole e il solo parlare degli Internazionali mi ha riportato con la mente alla competizione, alle gare. A Roma ci voglio essere e voglio che sia un rientro importante. In fondo è a questo che sto lavorando.

SI RIVEDE “SERENONA”
Tennis.it
http://www.tennis.it/article.aspx?id=1797&Descrizione=Circuito+WTA

“Little Sister” vince un altro titolo a Charleston, mentre Maria Kirilenko fa l’en plein di singolare e doppio all’Estoril

Charleston (Usa), - Serena Williams ha confermato di essere in una forma eccellente trionfando nella prova di Charleston con il punteggio di 6/4 3/6 6/3 su Vera Zvonareva. La statunitense ha ottenuto così il suo terzo titolo sulla terra rossa dopo Roma e il Roland Garros nel 2002. Una finale molto competitiva, che sembrava chiusa quando nel terzo set la Zvonareva si è portata avanti di un break (sul punteggio di 2-1). Invece “Serenona” è riuscita a recuperare e a chiudere il match.

“Non sono una che si arrende – ha detto dopo la vittoria - nemmeno se sono sotto 5 a 0 e match-point contro. Oggi stavo facendo troppi errori e avevo bisogno di rilassarmi. Sapevo che se fossi riuscita a tirare qualche bel colpo sarei stata bene. Ho iniziato a farlo ed era quello di cui avevo bisogno. La gente mi ha supportata tantissimo. Sono felice, è stata una settimana straordinaria”.

La testa di serie n.1 del tabellone, Jelena Jankovic, è stata eliminata nei quarti di finale dalla finalista Zvonareva, che ha sconfitto anche la n.4 Elena Dementieva in semifinale; la n.2 Maria Sharapova è stata invece battuta nei quarti proprio dalla Williams. “Lei – ha sottolineato la Zvonareva - sa giocare dei grandi colpi nei momenti chiave, ed è quello che ha fatto oggi. Non ha fatto errori quando io ero in vantaggio e non mi ha dato nessuna chance”.

Estoril (Portogallo)E’ stata una settimana magica per Maria Kirilenko. La russa ha vinto sabato la prova di doppio dell’Estoril in coppia con l’azzurra Pennetta e il giorno successivo si è aggiudicata anche il trofeo di singolare battendo Iveta Benesova con un secco 6/4 6/2. Per lei si è trattato del terzo titolo collezionato in carriera.

Partita come testa di serie n.2, Maria ha preso coraggio quando la favorita del seeding Flavia Pennetta è uscita sconfitta dal suo secondo match ad opera della futura finalista Benesova.

Nel cammino verso il match-clou Maria ha eliminato Petra Cetkovska, la n.5 Tathiana Garbin, e la n. 6 Klara Zakopalova in semi. “Sono felicissima – ha detto - è il mio primo titolo sulla terra rossa. Qui a Estoril non avevo mai vinto un match, e quest’anno ho addirittura portato a casa due titoli. E’ stata davvero una settimana eccezionale!”.
Finalmente Federer primo titolo all’Estoril

(Roger il Re dubbioso, che vuol conoscere il proprio futuro)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 21-04-08

MONTECARLO Si può festeggiare il primo successo dell’anno dopo quasi 4 mesi a bocca asciutta, dopo aver patito al primo turno dell’Estoril contro «Pollicino» Olivier Rochus e nei quarti contro il numero 104 del mondo Grernelmayr, dopo aver vinto la finale per ritiro dell’avversario, salvando 2 set point (sul 4-5 e sul 5-6), dilapidando il 5-1 al tic-break (poi vinto 7-5) e scivolando sotto di un break (1-2) al secondo set? Il bubbone che deturpa da una settimana lo zigomo di Roger Federer smaschera il re, sempre più dubbioso e nervoso, ora che, tradito dall’amato cemento, transita sulle sabbie mobili della terra rossa europea, e quindi da oggi al Masters Series di Montecarlo. E lascia ancor più livido di rabbia il soldatino Nikolay Dàvydenko, k.o. da 12 partite su 12: stavolta per una distrazione muscolare all’adduttore sinistro. Giallo. II matrimonio col nuovo coach (José Higueras), prestazioni altalenanti, una dichiarazione curiosa («il tennis sulla terra è quasi un altro sport»), un banale errore di traduzione, una insistente strisciata del più credibile dei siti sportivi mondiali e i tradizionali silenzi del tennis davanti ai forfait dei big avevano «verbalmente» decapitato, sabato, Montecarlo della prima testa di serie, appunto Federer, finalista negli ultimi due anni sempre contro Rafaèl Nadal. Che qui punta al poker consecutivo, e cioè al record assoluto (staccando Bjorn Borg, Guillermo Vilas, Thomas Muster e Ilie Nastase a quota 3), l’ennesimo sulla terra rossa che domina da tre stagioni. E che quindi spara grosso contro il nuovo calendario che comprime la sua stagione: «Basta, fanno quello che vogliono, molte cose devono cambiare all’Atp, non abbiamo più fiducia hi quest’organizzazione, l’associazione giocatori dev’essere fatta di giocatori». Novità. Mai se Sparta piange, Atene non ride. Non era mai accaduto che i primi due giocatori del mondo fossero rimasti a digiuno di successi per così tanto tempo all’inizio di una stagione. Federer ha rotto l’incantesimo dopo 154 giorni: non vinceva dal Masters di Shanghai del 18 novembre quando superò in finale David Ferrer per 6-2 6-3 6-2. Nadal è a secco da 273 giorni: non vince un torneo dal 22 luglio quando a Stoccarda superò, in finale Stanislas Wawrinka per 6-4 7-5. Per Rafa è l’ora del riscatto, al debutto sul rosso, dove negli ultimi 3 anni ha vinto 107 match su 110, con 17 titoli. Ma Roger, forte del titolo numero 54, ruggisce: «Sono l’unico dei primi ad aver già vinto 5 partite sul rosso. E questo mi da fiducia per Montecarlo».

Federer c’è, Montecarlo ci sarà ancora

(Il master di Montecarlo vince la battaglia in tribunale e rimane tra i 1000 ma nel 2009 anticipa di una settimana)

Piero Valesio, tuttosport del 21-04-08

CI SARA’ Roger Federer, ci sarà. Le voci provenienti dallo spogliatoio dell’Estoril, dove lo svizzero ha vinto il torneo d’apertura della stagione sulla terra, dicono che Roger si sia concesso una grassa risata, una volta appreso che un banalissimo errore di traduzione dall’inglese aveva indotto la quasi totalità dei media a commettere un errore. Roger non si fermerà per preparare al meglio il Roland Garros, l’unica perla che ancora manca al suo straordinario palmarès: ma sarà presente a Montecarlo proprio per arrivare a Parigi (via Roma) nelle migliori condizioni possibili, ora che a curare la sua danza tennistica sulla terra è Josè Higueras. PIACERE Ci sarà perché è uno dei tornei che più gli piace (non solo a lui per la verità: le lamentele più frequenti riguardano il vociare dei commensali sulla terrazza) e anche perché è un torneo che è sopravvissuto e sopravviverà alla rivoluzione del calendario che si abbatterà sul tennis dall’anno prossimo. Sopravviverà assai più che dignitosamente, mantenendo il lignaggio e il montepremi che gli competono, dopo una lunga battaglia combattuta contro l’Atp di Etenne De Villiers, il commissioner dell’associazione giocatori il quale, nella spasmodica ricerca di luoghi che portino carrettate d’oro nelle casse della sua associazione, avrebbe voluto ridurre il torneo monegasco ad un «500» (come l’anno prossimo si chiameranno i torneo di seconda fascia) escludendolo dai «1000», il gruppo di otto tornei equiparabili agli attuali. Master Series. PARADOSSO L’anno scorso si assistette ad una scena paradossale con la stragrande maggioranza dei giocatori (soprattutto dei più forti) sul piede di guerra contro la loro associazione che avrebbe voluto declassare l’appuntamento, se vogliamo, più anomalo dell’anno: quello in cui il mondo del tennis in qualche modo festeggia se stesso in ogni sua componente, in cui i giocatori danno vita ad una «ricevimento» divenuto ormai celebre in cui si travestono e prendono in giro i colleghi (la verve attoriale di Nole Djokovic trova qui spazio privilegiato per esprimersi), in cui la distanza fra i giocatori e tutti gli altri è assai minore che altrove. …… La disfida si è trascinata fino alla Corte Federale del Delaware, negli Stati Uniti, che ha sancito il diritto di Montecarlo di essere, in sostanza, il nono degli otto «1000»: in pratica i giocatori non saranno «costretti» a disputarlo (come per gli altri tornei, pensa essere duramente penalizzati l’anno successivo) ma sceglieranno se andarci o no. E l’appuntamento continuerà ‘ad assegnare gli stessi punti e manterrà la stessa collocazione temporale anticipando però di una settimana per far posto a Madrid. Non ci vuole una fantasia spiccata per intuire che i top players (figuriamoci gli altri) a Montecarlo continueranno ad andarci: casomai a correre qualche ricchissimo sarà il ricchissimo «1000» di Madrid, ultimo prima di Parigi: Madrid è in alto, la palla rimbalza in modo diverso, tutto è diverso. Mentre per preparare lo Slam sulla terra nulla era ed è migliore della doppietta Montecarlo-Roma. Forse qualcuno se ne accorgerà, un giorno.

La nuova vita della Jaeger ora è suor Andrea

(“Chissà che i campioni non scoprano la filantropia”)

Gianni Clerici, la repubblica del 21-04-08

Nella amatissima libreria, tanto vasta da stupire, anni fa, il bibliotecario di Wimbledon, c’è, tra i libri più recenti, una biografia del 2004. S’intitola First Service, e la dedica di Andrea Jaeger è la seguente: «Allo scriba che mi chiese se conoscevo Alice nel Paese delle Meraviglie. Ora sì». Quella domanda, l’avevo rivolta alla giovanissima tennista Jaeger, la prima volta in cui l’ammirai, al suo primo Wimbledon, giocato a poco più di quindici anni. Non conosceva Lewis Carroll, era una bella bambinona, e anche un cronico pedofilo quale sono non riuscì a trovarle nulla di sexy: non che fosse brutta, al contrario, ma era, ripeto, una ciccia con un’aria innocentissima e buonissima. Sono anche queste caratteristiche ad averla aiutata nella sua vita di ormai quotidiano altruismo, che l’hanno condotta a prendere i voti, e ad occuparsi di bambini ammalati di cancro e, molto spesso, irrecuperabili: standogli vicino, ogni mattina, a partire dalle sei, dopo la quotidiana prassi di preghiere iniziata alle quattro. Il nome di Andrea, che più di una volta ci aveva visitati, ai tornei, è tornato fuori per un articolo di un domenicale inglese, il Mail. Un collega digiuno di tennis ci ha dato dentro, non tralasciando accenti da tabloid. Ha ripercorso la storia di uno dei tanti padri padroni, Roland Jaeger, per di più ex-tedesco (notoriamente cattivi), per di più ex-pugile (notoriamente violenti), che aveva fatto della bambina uno strumento indiretto di guadagno, senza per questo essere accusato di sfruttamento di minore. Nell’intervista Suor Andrea ricorda una drammatica lite con papa che precedette la finale di Wimbledon, e un suo disperato appello alla vicina di camera, la co-finalista Navratilova, per esserne aiutata. Indifferente, Martina, a conferma dell’egoismo degli sportivi professionisti, ai quali, per definizione, riesce male la filantropia. Ma le vie del Signore sono infinite. Mentre meditava sulla bassezza del nostro mondo di ciechi muscolari, un benedetto guasto alla spalla sarebbe giunto a costringere la Jager ad uno stop alla fine definitivo. Andrea si sarebbe cosi gettata alle spalle i ricordi delle due finali perdute , a Wimbledon contro Navratilova, nel 1983, a Roland Garros contro la stessa nemesi, l’anno precedente. I ricordi degli undici tornei vinti tra i grandi, e di chissà quanti tra i piccoli, a cominciare dal fatidico Orange Bowl 1979, quando soltanto due lunghissime trecce la confondevano impigliandosi nel corso degli smash. Le sue realizzazioni di benedettina anglicana sono certo affascinanti, per uno spirito filantropico intriso di efficienza manageriale: la sua fondazione di Aspen è giunta ad occuparsi dì quattromila poveri malatini, ospitati in un’area di 90 ettari. E ora giunge un’altra buona azione: Athlets for Hope, Atleti per una Speranza. Chissà che i campioni non scoprano la filantropia.

Dal Web
Federer, primo acuto 2008
Gazzetta.it
http://www.gazzetta.it/Sport_Vari/Tennis/Primo_Piano/2008/04_Aprile/20/estoril.shtml

Lo svizzero, approfitta del ritiro di Davydenko nel secondo set, e vince il torneo portoghese dell’Estoril, suo primo centro stagionale. E ora il numero uno mondiale sfida Nadal a Montecarlo

Chi pensava, a questo punto della stagione, che solo l’erba avrebbe potuto restituire il sorriso a Roger Federer, non aveva fatto bene i conti con la strordinaria determinazione dello svizzero che invece è tornato al successo proprio sulla terra battuta. Il numero uno del mondo, dopo 154 giorni di digiuno, ha vinto il torneo portoghese dell’Estoril (370.000 euro di montepremi) battendo in finale il russo Nikolay Davydenko, costretto ad arrendersi per un problema muscolare alla gamba sinistra nelle fasi iniziali del secondo set. Ma per Federer non è stata certo una passeggiata, anzi; lo svizzero ha lottato come un leone ferito su ogni palla, annullando un primo set point per Davydenko sul 5-4 e un secondo sul 6-5.
EPILOGO - Al tie-break, nel corso del quale erano state sprecate complessivamente 9 palle break (5 per Federer e 4 per Davydenko), lo svizzero ha fatto il vuoto volando 5-1 e chiudendo 7-5 dopo che il russo si era fatto minaccioso risalendo fino al 5 pari. Nel secondo set Davydenko ha operato il primo break dell’incontro ma quando è andato a servire avanti 2-1, la sua gamba sinistra ha ceduto costringendolo alla resa dopo 80 minuti esatti di gioco. L’infortunio di Davydenko ha spianato la strada a Federer che altrimenti avrebbe dovuto sudare per arrivare a domarlo ma è positivo, per lo svizzero, il fatto che sia riuscito a vincere il primo set recuperando i due set point e che abbia lottato su ogni palla come suo solito.
PROSPETTIVA - Federer ha dichiarato di essere completamente guarito dalla monunucleosi e che tra poche settimane sarà al top della forma pronto a lottare ad armi pari con Nadal e Djokovic nei tornei di Montecarlo, Roma e soprattutto Parigi. Lo svizzero ha così centrato il 54° torneo della carriera, il settimo sulla terra (in precedenza 4 successi ad Amburgo, uno a Monaco e uno a Gstaad), il primo nella stagione dopo le deludenti e opache performance all’Open d’Australia (semifinale persa con Djokovic), Dubai (primo turno contro Murray), Indian Wells (semifinale persa con Fish) e Miami (quarti contro Roddick). E in classifica lo svizzero ha allungato ancora un po’ portando il vantaggio nei confronti di Nadal a quasi mille punti. E da lunedì tutti a Montecarlo dove Nadal difende le tre vittorie consecutive e Federer le due finali di fila perdute contro il maiorchino.

Monte Carlo. Quattro chiacchiere con gli assi Nadal Attack: “Nel 2009 un calendario da pazzi”
Matchpoint
http://www.mpmtennis.com/index.php?pag=articolo&id=1586

A Monte Carlo tutto è pronto per il primo Master Series della stagione sul rosso.
Com’è tradizione si comincia con il “round table”, quattro chiacchiere con alcuni tra i primi del ranking mondiale.
Il primo ad arrivare è l’inglese Andy Murray subito circondato da una decina di giornalisti inglesi.
“Cosa mi sta insegnando Alex Corretja? La giusta mentalità per scendere in campo sulla terra battuta”.
A seguire arrivano i due francesi, Richard Gasquet e Paul-Henri Mathieu e il primo si aggiudica ben 18 giornalisti intorno al suo tavolo rispetto ai soli 4 del connazionale. A tenere banco ancora la sfida di Coppa Davis persa dai blues negli Stati Uniti. Mathieu c’era, Gasquet no e il francesino dovrà farsi perdonare, magari già qui al Country Club.
Poi è la volta di Novak Djokovic, seguito a poca distanza da Rafael Nadal e il discorso si sposta sui “magnifici tre”.
Il serbo: “la stagione sul rosso sarà importante per il ranking, davanti a me ho due avversari che l’anno scorso hanno fatto incetta di punti”.
Lo spagnolo: “Continuo a dire sempre la stessa cosa. Non sento la pressione per i punti che devo difendere, penso solo a migliorare il mio gioco, giorno dopo giorno. È il calendario che è assurdo: tre Master Series sul rosso in quattro settimane con Barcellona in mezzo, che per me è un appuntamento altrettanto importante. In questo periodo non posso permettermi di giocare meno per non rischiare di arrivare stanco a Parigi”.
Ultimo ad apparire David Nalbandian: “non ho punti da difendere e per questo devo sfruttare la stagione sulla terra, anche se su questa superficie Rafa è uno tosto”.
In chiusura appendice di “round table” anche per Alex Corretja. Dopo Murray, lo spagnolo ha spiegato anche ai giornalisti inglesi la mentalità giusta per affrontare la polvere di mattone.
Capitolo italiani. Ai tre ammessi nel main draw - Filippo Volandri che se la vedrà con il francese Nicolas Mahut, Andreas Seppi con l’argentino Agustin Calleri e Potito Starace che aspetta un qualificato - si è aggiunto Simone Bolelli.
Il bolognese, dopo aver faticato più del dovuto nel primo turno delle quali con il kazako Schukin, nel round decisivo ha eliminato il francese Laurent Recouderc con un secco 6/3 6/2.
Non ce l’ha fatta invece Flavio Cipolla, già bravo ieri ad arrivare a Monte Carlo alle 12,30 - reduce dai quarti all’Estoril - , catapultarsi sul campo centrale e battere Arnaud Clement. Oggi “Cipo” non ce l’ha fatta a ripetersi e si è arreso 6/4 6/3 all’esperto Nicolas Lapentti.
Ma gli italiani al Country Club non sono solo in campo.
Diego Nargiso, sposo fra un mese, è impegnato nello stand della sua nuova agenzia immobiliare, la Monaco Golden Agency. Cristian Brandi è in compagnia del clan Piatti. Il manager Andrea Gaudenzi si divide fra Andreas Seppi e Fabio Fognini, a Monte Carlo da spettatore, come il coach Marco Tavelli, che a inizio di stagione ha lavorato per qualche mese con Tathiana Garbin.
Intanto ha preso il via il main draw. Il primo a qualificarsi per il secondo turno è stato il tedesco Nicolas Kiefer che eliminato il croato Marin Cilic 3/6 7/6 6/3.
E’ iniziato anche il “Farewell Tour” di Guga Kuerten qui a Monaco. Il brasiliano, dopo essersi allenato con l’inseparabile Larri Passos, è stato premiato sul campo centrale. Poi spazio a Giove Pluvio.

Estoril: Federer oggi in finale salta Montecarlo. Ma che bel doppio

(La gazzetta prende una grossa “buca” sul falso ritiro di Roger. Si vede con leggono con attenzione il nostro sito)

Gazzetta dello sport del 20-04-08

La prima iscrizione all’Estoril del n. 1 del mondo Roger Federer era stata una sorpresa. La prima finale stagionale (oggi contro Davydenko) da parte del finalista degli ultimi 2 Roland Garros (sempre ko con Rafael Nadal) era più che possibile, visto il livello degli avversari. La rinuncia al primo torneo Masters Series sulla terra della stagione, da oggi a Montecarlo (2,270.000 €) con i primi del mondo, dove «Roger-Express» ha disputato le ultime 2 finali (battuto dal solito «Rafa»), stupisce tutti, Meno Federer che in semifinale perde 2 volte il servizio, contro il numero 104 del mondo. Intanto le belle, la bionda Maria Kirilenko e la mora Flavia Permetta vincono il doppio.

Corsa & strategia, è il tennis su terra

(Anche il “vecio scriba” cade nella “bufala” Federer)

Gianni Clerici, la repubblica del 20-04-08

MONTECARLO — “Buongiorno racchetta sonora / grida inglesi, gesti bianchi / il solo gioco di questa primavera / è darsi baci, la sera”. Così scriveva il giovanissimo scriba, cinquant’anni addietro, ritoccando goffamente le illuminate rime di Roger Allard, sulla Gazzetta dello sport diretta da Gianni Brera. Scriveva dopo essersi doverosamente allenato, nella speranza di passare finalmente un turno, in quello che rappresentava il culmine dei tornei primaverili. Venivamo, branco di giovani, da Sanremo e Cannes, da Nizza e Beaulieu: tornei oggi scomparsi. C’erano, con noi, le Sharapova e Ivanovic dei tempi, più lievi ma altrettanto belle, Jacqueline Marcellin e Gloria Butfer. Si era battezzata, Gloria, la Gertru de Stein del tennis, la sua villa di Cap Ferrat aveva addirittura ospitato un maestro quale Big Bill Tilden. Il club in cui si svolgeva il Trofeo Butler era stato costruito da suo padre, il Commodoro George, geniale inventore di una novissima sigaretta con filtro, valsa a sommergerlo di dollari. Si era spostato da luoghi più centrali, il circolo, all’esterno del Principato, tanto da venire a trovarsi in territorio francese. E, a sottolineare l’origine internazionale, i tre Campi Centrali, ora sommersi dalle strutture della grande tribuna, erano stati venduti a Butler da un gran regista degli anni Venti, l’americano Rexlngram. Quello che il moschettiere francese Totò Brugnon definì il più bel club del mondo, aprì le porte il 27 febbraio del 1928, ad un pubblico del quale facevano parte Colette e Van Dongen, il re tennista Gustavo V di Svezia e Nicola di Grecia: e beninteso il Grimaldi di allora, Luigi II. Occorrerebbe tutta la mia colonnina per citare i nomi dèi grandi vincitori. Tra loro troviamo il nostro Nicola Pietrangeli, capace di battere nel 66 e 67 Mulligan e Metreveli, e ormai di casa, così come Lea Pericoli, eroina, lei, in ben tre doppi consecutivi, insieme a Silvana Lazzarino. Simili principesche connotazioni, simile passato, potrebbero far credere ad un torneo non solo importante, ma sfarzoso, troppo chic. E invece Montecarlo ha conservato un cote goliardico, gaio, che si conclude con uno show finale organizzato dagli stessi tennisti, variamente travestiti da cantanti o imitatori. Uno show che mi onoro di aver iniziato, nella mia
qualità di regista dilettante. Ma sarebbe probabilmente bene ritornare al presente, a questa magnifica stagione in cui noi tennisti ci togliamo le tute, per indossare i calzoncini corti. Il tour dei campi rossi su racchetta ha una suo connotato tecnico, che la cementificazione dilagante non riesce non dico a sommergere, ma neppure a scalfire. Qui non bastano battute devastanti, ci vogliono capacità da maratoneta, strategia, e magari anche tocco. Inizia proprio a Montecarlo il Tour Rosso per passar attraverso i nostri risorgenti Internazionali, e concludersi a Parigi. Quel Roland Garros che Roger Federer, il presunto miglior tennista All Time, non è mai riuscito a vincere (ha perso le finali con Nadal nel 2006 e nel 2007). Non è che Roger pensi che i suoi 11 Slam possano bastare a qualificarlo. Parigi non gli va proprio giù, tanto ché, dopo Roche, si è cercato un nuovo consulente, lo spagnolo americanizzato Jose Higueras: perché lo illumini, fino a togliergli il complesso che lo soffoca. Ma Federer, che anche oggi, in Portogallo, non ha brillato, a Montecarlo non ci sarà: ha dato forfait — a sentir lui — per cercare di ritrovare la forma migliore dopo i disastri dei due Masters Series americani. I favoriti allora saranno tre: Nadal, Djokovic e Davydenko. Grande torneo, insomma, malgrado l’assenza di Federer, e maggior visibilità anche sugli schermi, con l’esordio stagionale di Sky dal vivo. Che bellezza, amici.

Montecarlo, Federer ci riprova ma Nadal è superfavorito

(Rafa, è l’uomo da battere)

Rino Tommasi, il tempo del 20-04-08

MONTECARLO Un banale errore di traduzione ha messo ieri in agitazione gli organizzatori del torneo di Montecarlo dove domani inizia il primo Masters Series stagionale sulla terra battuta. Chi ha seguito le immagini del torneo dell’Estoril ha visto per tutto il pomeriggio scorrere sul teleschermo la notizia che Federer non avrebbe giocato il torneo del Principato per preparare al meglio il Roland Garros. In realtà un’agenzia inglese aveva scritto che Federer avrebbe iniziato a Montecarlo la sua marcia di avvicinamento al Roland Garros ma un «out» era stato male interpretato senza che nessuno di preoccupasse di verificare la notizia. Senza giocar bene Federer aveva comunque vinto in tre set la sua semifinale dell’Estorti, e come ho scritto, affronterà oggi Davydenko, fresco vincitore del torneo di Key Biscayne. Sulla strada del Roland Garros il calendario prevede nell’ordine le tappe di Montecarlo, Roma ed Amburgo. Come previsto Montecarlo registra le assenze dei due tennisti americani (Rod-dick e Blake) che però non sono mai stati competitivi sulla terra, il favorito è naturalmente Nadal, che quest’anno non ha ancora vinto un torneo ma è praticamente imbattibile sul rosso. Le possibili alternative sono Federer, sconfitto in finale da Nadal nelle due ultime edizioni, e Djokovic, che dopo aver vinto l’Australian Open ed Indian Wells, si è concesso una distrazione perdendo al primo turno a Key Biscayne. Nel tabellone sorteggiato ieri mattina, ci sono tre italiani ma Bolelli potrebbe conquistare la qualificazione oggi battendo il modesto francese Recouderc, numero 176 in classifica. In corsa anche Flavio Cipolla che però ha oggi un compito difficile contro Nicola Lapentti. Volandri, Seppi e Starace hanno pescato avversari possibili. Per Volandri ci sarà il francese Mahut (n. 43), per Seppi l’argentino Calleri (53) mentre Starace attende un avversario proveniente dalle qualificazioni, il torneo di Montecarlo sarà trasmesso ogni giorno in diretta da Sky-sport 3 a partire dalle 10 di domattina

Dal Web

Jaeger, la tennista diventata suora
Repubblica.it

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Intervista-shock della ex campionessa Usa, top della racchetta nei primi anni ottanta
“E’ molto dura quando un genitore diventa anche il tuo coach…”
“Contro mio padre e il circuito”
“Offrono anche cocaina e steroidi: ecco perché ho mollato”
“Prima della finale di Wimbledon fui buttata fuori dalla stanza”

“Ecco perché sono diventata suora… quando ero nel circuito professionistico del tennis ho sempre sognato che qualcuno mi prendesse sotto braccio e mi dicesse: ‘Ricordati, sei una grande tennista talentuosa ma adesso è ora che tu impari anche qualcosa della vita e non solo del tennis”. Da numero uno della racchetta a sorella Andrea, membro di spicco della Chiesa anglicana dominicana. Dai completini da tennis con annesse lunghe code di capelli biondi che scendevano ben oltre le spalle, all’abito nero da suora che copre tutto, anche i capelli. Eppure mai come ora, Andrea Jaeger, 42 anni, è stata felice.

Qualcuno forse la ricorderà: tra il 1982 e il 1983 la allora ragazzina americana di Chicago è stata n.2 del mondo, si era permessa di battere Chris Evert e Martina Navratilova e Billie Jean King addirittura sul centrale di Wimbledon. Serviva da Dio e a rete osava lanciarsi e tuffarsi su tutte le palle. In soli sei anni, dal 1979 (aveva solo 14 anni, ma la famiglia aveva bisogno di soldi) al 1985, giocando come professionista ha accumulato un montepremi da un milione e mezzo di dollari (di allora) senza contare sponsor e pubblicità. Nel 1980, per dirne una, è stata la più giovane tennista nella storia ad entrare nel tabellone di Wimbledon.

Poi l’incidente alla spalla, nel 1985. Insuperabile - fu detto - fino al punto da ritirarsi dal circuito. Per entrare però in un altro: quello filantropico prima e spirituale poi che il 16 settembre 2006, tra lo sconcerto della famiglia, l’ha portata a prendere i voti e a diventare suora. “Ho sempre sentito il bisogno dentro di me di aiutare gli altri, fin da quando ero piccola”, raccontò. E molti ricordano della ragazzina dai lunghi capelli biondi che tirava botte da orbi in tutti gli angoli del campo che nel tempo libero durante i tornei andava a visitare gli ospedali e i bambini ricoverati.

E la nuova vita di sister Andrea è sempre stata uno di quei misteri che ogni tanto avvolgono le nevrotiche vite dei tennisti. Ora il mistero si dissolve grazie ad “una commovente intervista” in cui il giornalista del Mail on Sunday, Peter Robertson, è riuscito a farle raccontare “come la sua nuova vita nella chiesa Episcopale l’abbia aiutata a riconciliarsi con un passato che mi aveva profondamente turbata”. Come il rapporto con il padre-padrone-allenatore, una figura che continua a fare disastri tra le giovani promesse del tennis. Il padre di Andrea, ex pugile di origine tedesca, era un signore che, per esempio, nel 1983, la notte prima della finale di Wimbledon, pensò bene di mettere la figlia, già numero 2 del ranking, a dormire fuori dalla porta perché non si era allenata come lui aveva previsto. “Spinta dal padre - scrive il Mail - Andrea ha perso la sua infanzia e ha dovuto combattere con le regole spietate del circuito del tennis”.

“Ma io, invece - racconta sister Andrea dal quartier generale dell’ordine religioso in Colorado - ho sempre sentito dentro di me la chiamata ad aiutare quelli che hanno bisogno. E’ nella mia anima fin da quando ero bambina”.

L’intervista è il racconto di una fede coltivata in segreto: “I miei genitori non andavano in chiesa e non c’era una Bibbia nella nostra casa, ma per qualche ragione sentivo che Dio mi aveva fatto il regalo della fede. Ho imparato le preghiere da sola, forse dalla tv, e nessuno della mia famiglia sapeva che io pregavo ogni giorno”.

Il racconto di una serenità ritrovata: “La mia giornata è molto intensa, sveglia alle 4, un’ora di preghiere e studi spirituali e poi alle sei si comincia: programmi, iniziative. Ho tre abiti da suora perché li sporco spesso e in fretta, li uso molto ma sono ancora goffa. Mi muovo veloce, corro e salto e talvolta la veste mi resta impigliata… Insomma immagino che sia il modo di Dio per dirmi che va tutto bene, che in fondo io ero quella che si lanciava sulle palle sul campo da tennis”.

Poi il padre: “I miei genitori non mi hanno spinto al tennis. Mio padre Roland e mia madre amavano giocare e io passavo ore a guardarli. Allora ho voluto giocare anch’io. Ho vinto il mio primo torneo a 9 anni, a 13 quelli del college. I miei però facevano molti sacrifici e allora decisi di diventare professionista a 14 anni (…). E’ molto difficile quando un genitore diventa il tuo coach perché in nome dell’agonismo entrambi perdono il lato affettivo tra genitore e figlio. Mio padre è cresciuto in Germania in un’epoca in cui la disciplina era intesa in modo diverso. Lui è stato educato ed è stato cresciuto a colpi di cintura. E allo stesso modo voleva insegnarmi valori e principi. Ma io queste cose le volevo imparare da Dio e non con le botte e le punizioni. Non credo però di aver mai avuto paura di lui”.

Sorella Andrea indugia molto nel racconto di quello che successe la sera prima della finale di Wimbledon contro Martina Navratilova. Era il 1983, Andrea aveva 18 anni appena compiuti. “Il pomeriggio prima della finale litigai con mio padre. Stava per picchiarmi e io usciì dalla stanza sapendo che non avrebbe avuto il coraggio di farlo in pubblico. Martina era alloggiata nell’appartamento di fianco, entrai e cercai di chiamare un taxi. Il trainer di Martina cercò di aiutarmi con qualche numero di telefono ma lei mi guardò appena di sfuggita. Mi dette molto fastidio vedere che il match del giorno dopo era più importante di una ragazzina che chiedeva aiuto. ‘Mio Dio - mi dissi - si sta concentrando nel suo istinto-killer e io l’ho disturbata’”.

Andò che il giorno dopo Andrea perse 6/0-6/1 senza mai giocare. E quando la Navratilova fu sollecitata dai giornalisti sull’episodio rispose: “Jaeger aveva paura che suo padre la potesse picchiare durante la notte. Il mio coach l’ha aiutata a trovare un taxi… era a posto così”.

Papà Roland è morto da qualche anno ma “non ha mai saputo veramente cosa fosse il circuito del tennis. Cocaina? Steroidi? E’ capitato di tutto. Per questo ho sempre cercato più un modo per uscirne che un modo per starci più a lungo possibile”.

“Montecarlo, la mia terra promessa”
Sportmediaset.it
http://www.sportmediaset.it/altrisport/articoli/9987/tennis%20+seppi

Andreas Seppi: così arriverò tra i top ten del tennis

E’ l’unico italiano ad aver battuto il Rafa Nadal numero due del mondo. E adesso si presenta al torneo Masters Series di Montecarlo più che determinato. Andreas Seppi, matador del maiorchino al torneo Atp di Rotterdam, arriva qui, sulla terra rossa del principato, senza timori reverenziali nei confronti di quello che è il re incontrastato di Monaco da tre anni.

Sportmediaset lo ha incontrato fra un allenamento e l’altro, alla fine della settimana “cuscinetto” tra il termine della stagione sul veloce e l’inizio di quella sul rosso. A Monte-Carlo, con il coach Massimo Sartori, Seppi è arrivato già da un paio di giorni. Il braccio va velocemente adattato alla nuova superficie. E Andreas deve ritrovare in fretta il suo migliore top-spin e la tenacia del gioco di resistenza dopo il lungo inverno su sintetico, e spesso “indoor”. Il tempo non aiuta. I campi rossi del Country Club, velati dalla pioggerellina di questa primavera un po’ anomala, sono sonnacchiosi, lenti e poco invitanti. Nonostante il campione alto-atesino sia abituato nella sua Caldaro, alle porte di Bolzano, a temperature ben più rigide, si presenta sul terrazzino del Country Club intabarrato in una giacca a vento quasi invernale. “Soffro il freddo anche se vivo ai piedi delle Dolomiti. Ho lasciato lo sci proprio per questo motivo”, sorride.
L’anno scorso per partecipare a Montecarlo ha dovuto passare le qualificazioni, quest’anno arriva direttamente dalla entry-list, da numero 44 del mondo (nell’aprile 2007 era solo 101). Un bel salto, Andreas.
Tra un anno appuntamento nel top ten?
E’ quello che mi auguro. Io ci credo. E credo di averne le capacità. Quello che mi manca è la continuità nel rendimento. Ho ancora troppi alti e bassi ed è su questo che devo lavorare. Ormai il tennis dei pro è a livelli tali per cui il numero cento al mondo può battere i primissimi se è in giornata. Il problema è mantenere alti livelli sempre. Se ci riesci, i risultati li vedi nel ranking. Purtroppo in passato ho avuto ancora settimane in cui non “sentivo” bene il mio tennis e in cui ho perso punti preziosi.
A giudicare dalla fine della stagione scorsa e dall’inizio di questa, le premesse per tenere alto il livello però, finalmente, ci sono tutte. Hai vinto con Cilic in Davis una maratona di 4 ore, hai battuto Nadal e l’ex numero uno Hewitt a Rotterdam, hai vinto il Challenger di Bergamo sconfiggendo Santoro e Benneteau, hai eliminato Tsonga a Sidney, sei arrivato in semifinale a Vienna superando Ljubicic e Baghdatis. E in finale a Gstaad hai perso con Mathieu, complice anche un po? di sfortuna, in tre combattutissimi set. Niente male, direi?
Sì, credo di venire da uno dei miei periodi migliori. So che c’è ancora tanto su cui lavorare. Ma credo che questi risultati mi stiano aiutando a conquistare sempre più sicurezza, che è quello che mi manca ancora per il grande salto. E’ la sicurezza, la fiducia, quella cosa che ti fa portare a casa match importanti anche quando non ti senti al massimo fisicamente. Poi, certo, ci sono tante piccole cose da curare: imparare a seguire di più la palla a rete, migliorare ancora il servizio, aumentare la tenuta fisica. Hai detto la parola magica: sulla terra rossa la tenuta fisica è fondamentale.
Ti senti pronto?
Direi di sì. L’anno scorso proprio qui con Federer ho perso in due set tiratissimi, entrambi al tie-break, e con lo stesso Nadal in Coppa Davis a Torre del Greco, sempre sulla terra, sono riuscito a portare a casa un set mettendolo in difficoltà. So di poter fare bene su questa superficie e non sono preoccupato. Spero di trovare subito il ritmo giusto perché questo è il primo torneo sul rosso. Ma questi giorni di training mi stanno aiutando parecchio. Il re della terra battuta, Nadal, lo hai battuto sul veloce di Rotterdam in tre set emozionantissimi.
Un’esperienza che ti servirà anche per affrontare questo torneo?
Ero sceso in campo sapendo che sul veloce contro Rafa avrei avuto qualche chance in più. Ero carico e sono riuscito a fare il mio gioco, molto aggressivo, mettendolo in difficoltà. Al terzo set un po? di tremarella mi è venuta, anche perché Nadal è riuscito a fare un grande recupero quando sembrava ormai out. Ma sono riuscito a gestire bene la tensione e a realizzare un grande risultato. E ho sperimentato quali sono i colpi che gli danno più fastidio. Tutti insegnamenti di cui ho fatto tesoro.
Sul campo usi qualche tecnica particolare per concentrarti, soprattutto nei momenti cruciali come le palle break o i set point?
L’importante è rimanere rilassato e sciolto, non pensare troppo a quello che può succedere se sbagli. Fare quello che ti senti di fare in quel momento. Seguire la tua strategia, la tua tattica, senza cedere alla paura o alla tensione. Il tennis è uno sport di sensazioni. E quindi nei momenti difficili devi fare i colpi che conosci, colpire la palla come ti viene naturale.
Sembra il ritratto del Federer migliore. Cosa sta succedendo al numero uno? Non vince dal Masters di Shanghai, quindi dallo scorso novembre. A Dubai è stato eliminato al primo turno e per tutto il 2008 non è mai arrivato in finale.
Roger ha vinto tutto per quattro anni. Da quando è al top del ranking è sempre rimasto sulla cresta dell’onda, senza mai cadere. Era normale che prima o poi sarebbe arrivato, un momento di pausa, un assestamento. Poi c?è stata anche la mononucleosi, che lo ha molto indebolito. Sono sicuro: rivedremo presto il grande Roger.
Intanto, stiamo vedendo un tennis italiano in netto miglioramento. Giocatori ormai sempre più in alto in classifica, una squadra di Davis che, a prescindere dai risultati, sta dimostrando che può fare. Cos’è cambiato?
Nell’ultimo anno sia io, sia Simone Bolelli e Fabio Fognini siamo molto cresciuti. Adesso anche Flavio Cipolla sta dimostrando di poter fare bene: è stato convocato in Davis e all’Estoril è arrivato ai quarti di finale. Siamo migliorati perché siamo diventati più capaci di fare squadra. I nostri allenatori si parlano di più, si confrontano, si scambiano esperienze. E tutto questo a noi fa bene. Ci divertiamo a giocare insieme. Quello che ci manca ancora è un top ten.
Che, chissà, potrebbe presto chiamarsi Andreas?

Tutto pronto per la Federation Cup
Alguer.it
http://notizie.alguer.it/n?id=17197

La manifestazione è stata presentata questa mattina al Geovillage Sporting Club di Olbia, teatro di gara.
È stata presentata ufficialmente, questa mattina, nella sala riunioni della Foresteria del Geovillage Sporting Club di Olbia, la sfida di Federation Cup tra Italia ed Ucraina, in programma sabato 26 e domenica 27 Aprile. Decisamente di rilievo il parterre, con la presenza del presidente Gavino Docche, del coordinatore della Federation Cup (e per la Coppa Davis) Sergio Palmieri, l’assessore provinciale allo Sport Elena Durrai, il delegato comunale allo Sport Angelo Cocciu, il presidente del Coni Provinciale Gian Nicola Montalbano ed il vicepresidente del Comitato Regionale Sardo della Federazione Italiana Tennis Carlo Sciarra. Patron Docche, splendido anfitrione, ha dato il benvenuto agli intervenuti. «Con grande orgoglio diamo il via ufficiale alla Federation Cup. È una grande soddisfazione essere riusciti a portare una manifestazione così importante, ma dopo i numerosi eventi tennistici Atp, Itf, nazionali e regionali questo rappresenta il fiore all’occhiello. Anzi, è un grande riconoscimento per i sacrifici e l’impegno che io e il mio staff abbiamo profuso per arrivare dove siamo arrivati. Il successo è sotto gli occhi di tutti, questa meravigliosa struttura, che adesso sarà il palcoscenico del massimo evento di tennis femminile per nazionali. Non nascondo che non è stato facile, ma confrontarci con questo impegno è un occasione per imparare, con la consapevolezza che siamo in grado di fare bene». Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore Durrai, che ha puntato l’obbiettivo del suo intervento sull’importanza che la struttura olbiese ha sul territorio. «Il Geovillage è un sogno, che si è realizzato grazie alla splendida opera di Gavino Docche, e adesso rappresenta un riferimento per tutta la comunità, non solo dal punto di vista sportivo, ma anche sociale e di coesione per tutta la cittadinanza». Riconoscimento condiviso anche dal rappresentante comunale Cocciu. Il presidente Montalbano ha invece ricordato i «grandi eventi organizzati dal Nord Sardegna negli ultimi anni. Specialmente nel tennis, dopo la Coppa Davis ad Alghero lo scorso agosto, ecco che il Nord, grazie al Geovillage Olbia ritorna palcoscenico di una manifestazione mondiale». Il vicepresidente Sciarra ha sottolineato invece come «la Sardegna è sempre stata terra vittoriosa per la Coppa Davis e speriamo di continuare la tradizione». Sergio Calmieri, dopo aver fatto i complimenti al circolo olbiese, ha analizzato la gara. «Sarà un incontro estremamente importante, più difficile di quanto possa sembrare sulla carta. L’Ucraina conferma la scuola straordinaria che negli ultimi anni ha prodotto tante giocatrici fortissime. Potrà contare sulla numero 19 del mondo (Alona Bondarenko), e su un doppio, formato proprio dalle sorelle Bondarenko, che ha vinto l’Australian Open». Proprio la gara di doppio sembra nascondere le maggiori insidie, viste le assenze di alcune azzurre. « Il doppio è una partita nella partita, fa storia a sé. Perché deciderà tutto e si giocherà con un’elevata tensione. Santangelo è infortunata – ricorda Palmieri - e Vinci si è appena ripresa dall’infortunio. Ma le nostre ragazze saranno competitive e motivate, e non dimentichiamo che le italiane sono nate e cresciute sulla terra battuta mentre le avversarie non si trovano a loro agio, tant’è che sono già arrivate al Geovillage, perché sono più portate a giocare sul duro». L’ultimo match, giocato in casa sul veloce napoletano non è andato come si sperava. «Ha insegnato, anche se non serviva quella sconfitta per capirlo, che ogni partita fa storia a sé, e che in Federation Cup, come in tutte le manifestazioni a squadre non bisogna fidarsi troppo dei valori espressi sulla carta. Fare un pronostico è azzardato – spiega Palmieri – ma di sicuro Schiavone, Pennetta, Errani e Knapp hanno la forza di essere un team unito e ben amalgamato, con uno spirito di squadra solido e con Francesca Schiavone leader e trascinatrice. Credo il mix di gioventù ed esperienza che ha la nostra squadra (esperienza sul campo perché Flavia e Francesca sono giovani) possa essere un arma fondamentale». E’ stato quindi illustrato il programma relativo alla prossima settimana. Mentre l’Ucraina, come detto, è già arrivata, le azzurre arriveranno lunedì. Giovedì spazio alla serata di gala, mentre venerdì mattina, alle ore 12, è previsto il sorteggio e la cerimonia d’apertura (ancora da decidere se al Geovillage o al Comune di Olbia). Già predisposti anche gli orari di gara. Si inizia sabato, alle ore 14, con i primi due singolari, mentre domenica si comincia alle ore 12, con due singolari ed il doppio.

Florianopolis, il tennis che vorrei.. omaggio a Guga Kuerten
SpazioTennis
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di Alessandro Nizegorodcew

Florianopolis. Un centrale fantastico dotato di 4000 posti, all’interno di uno splendido circolo. L’esordio del più forte giocatore brasiliano di tutti i tempi, Guga Kuerten, è molto atteso. Per il match contro il colombiano Salamanca sono arrivati al circolo circa 50 giornalisti e almeno 30 sono i cameraman che vi si aggirano; si tratta di un challenger, è bene ricordarlo. Gli spettatori, per non sapere nè leggere nè scrivere, arrivano alle 16; circa tre ore prima del match di Guga, previsto per le 19. Ogni giornale brasiliano ha in prima pagina Kuerten, ogni telegiornale apre con le immagini del campione verdeoro, una nazione si ferma per ammirare le ultime gesta di un giocatore che ha cambiato la storia del tennis nel proprio paese. Siamo a pochi istanti dall’inizio del match, il pubblico inizia a scaldarsi. Entra prima lo sfidante: si tratta di Carlos Salamanca, 25 anni di Bogotà, un onesto “operaio” della racchetta. Un passo dentro il campo e viene travolto da una marea di fischi, assordante, seguita da una appaluso condito da standing ovation all’ingresso del campione brasiliano. La partita è combattuta. Kuerten serve molto bene e cerca di chiudere lo scambio alla prima occasione, mentre il suo avversario, conoscendone le pessime condizioni fisiche, cerca di tenerlo in campo il più possibile; dopo ogni scambio il brasiliano si tocca l’anca, devastata da infortuni e operazioni. Ma Guga è carico come una molla e, nonostante non riesca praticamente a correre, vince facendo venire giù lo stadio. Il centrale ai suoi piedi, una nazione ai suoi piedi; Guga, all’ultima stagione da professionista, lascia il tennis. Le vittorie sono tantissime ed inenarrabili, ma ancora di più sono le persone che si sono innamorate di questo sport grazie a lui..

Kolya contro la Civiltà dell’Apparenza
SpazioTennis
http://spaziotennis.sport-blog.it/?p=850#more-850

Nessuno lo vuole veder giocare, Davydenko. Non interessa a nessuno. Prototipo dell’antipersonaggio, ha giocato per anni senza alcuno sponsor disposto a griffare le sue magliette, intrise di sudore operaio.
Quando gioca, i suoi match di primo e secondo turno vengono programmati sui campi più improbabili. E sempre, in tutti i suoi match, su tutti i campi del mondo, il pubblico trova una qualche ragione per tifare per il suo avversario. Se gioca con uno di classifica inferiore, la gente tifa per lo sfavorito, l’underdog. Se gioca contro uno dei primissimi, il pubblico si schiera per gli altri, più personaggi, più spettacolari, più tentuosi, più bravi nel marketing e nelle pubbliche relazioni. Davydenko, silenzioso, taciturno, enormemente determinato, gioca sempre fuori casa, ha sempre tutti contro.
Solo in una circostanza le cose andarono diversamente. Lo scorso anno al Foro, fu il pubblico romano, il tanto bistrattato pubblico romano, che seppe riconoscerne il valore. Davydenko, incredibilmente, stava mostrando al mondo che è possibile sfidare il Minotauro Nadal anche all’interno del Labirinto di Cnosso, sulla terra rossa, sul suo terreno: da fondo campo, senza paura. Giocò un match incredibile il russo, con degli anticipi di diritto e rovescio che sul clay li avevano mostrati solo Agassi e Rios nelle loro giornate di grazia. Il Toro era alle corde.
La gente non ci credeva, si scambiava occhiate di stupore e meraviglia.
Poi, a metà del terzo set, dopo l’ennesimo scambio incredibile, mozzafiato, ecco che succede l’inesplicabile: prima sommesso, poi sempre più forte, inizia a rumoreggiare un coro, che si diffonde per lo stadio:
Da-vy-de-nko, Da-vi-de-nko, Da-vy-de-nko…
I bicipiti luccicanti di Rafa, il fascino della bandana e dei pantaloni da pirata, dimenticati. Il marketing scientifico della Nike, inutile…
Da-vy-de-nko, Da-vy-de-nko, Da-vy-de-nko…
Ora è tutto il Foro, che urla la sua ammirazione, e sembra di essere al Colosseo: il popolo romano rende omaggio al gladiatore slavo, che sfida il terribile, imbattibile fromboliere balearico.
Kolya sembra non credere alle sue orecchie. Non ci è abituato, non gli capita mai, forse nemmeno in Russia, dove nel cuore hanno Marat, e poi semmai Misha Youzny, il talentuoso.
Con un lieve sorriso, Davydenko colpisce in anticipo l’ennesimo rovescio bimane, impatta sopra la spalla, per non far salire il micidiale liftone mancino del balearico… e ancora, e ancora, e ancora…
Uscirà sconfitto, il coraggioso slavo.
Ma la folla del Foro, il pollice rivolto verso l’alto, come a chiedere una metaforica grazia all’imperatore, riscatta in un solo attimo, con il suo omaggio, tutta l’esistenza di un campione gregario, e pone per una volta rimedio alle ingiustizie della Civiltà dell’Apparenza.

Internazionali, Roma torna ad essere al centro del mondo

(Sarà difficile superare il successo dello scorso anno, almeno sul campo)

Cosimo Cito, l’Unità del 19-04-08

Ci saranno tutti. I migliori al mondo daranno spettacolo al Foro Italico per l’edizione 2008 degli Internazionali d’Italia. Edizione extralusso. Dal 4 all’11 maggio gli uomini, che ancora una volta precedono le donne sulla terra rossa. Scelta deleteria, ma necessaria. Nessun rimpianto però, perché Roma è ormai al livello degli Slam. «Roma ha ripreso il suo posto di quinto torneo più importante al mondo» dice il presidente del comitato organizzatore, Nicola Pietrangeli. Federer, Nadal, Djokovic, tutti i migliori: il seeding romano, salvo imprevisti dell’ultima ora, ripercorrerà pedissequamente la classifica mondiale. Idem per le donne. Ci saranno tutte, dalla Henin alla Sharapova, attesissima starlette del torneo. Il miglior Foro da quindici anni a questa parte, e i numeri si avvicinano di molto al paradigmatico totem del Roland Garros. «L’utile netto dovrebbe aggirarsi intorno ai 2 milioni» esulta Angelo Binaghi, presidente della Federtennis (in scadenza di mandato). Si attende una presenza di pubblico del 50% superiore a quella già notevole dello scorso anno, n centrale, però, non c’è più. È stato abbattuto, nello stesso luogo ne sorgerà un altro che per ambizione rivaleggerà con Parigi e quello stadio fantastico da 15 mila posti, al Bois de Boulogne. Il vecchio Stadio che vide la vittoria di Panatta nel 76 e che fu teatro di indimenticabili incontri di Coppa Davis, successivamente denominato della Pallacorda, sarà il nuovo centrale. Capienza che supererà i 9000 posti. Tutto perfetto? Pare di sì. Il solito neo, gli italiani. «Siamo cresciuti tantissimo negli ultimi anni» scandisce Gianni Petrucci, ma forse il «tantissimo» andrebbe tolto. Se Volandri ripeterà l’exploit dello scorso anno, semifinale e lo scalpo di Federer strappato nella settimana romana, sarà un successo, e pure enorme. Ma sarà dura. Tra le donne non s’intravede nessuna possibile sorpresa. La Federation Cup è il salvagente di un movimento folto e vivace che non riesce però ad esprimere un fenomeno, come invece fanno paesi come la Serbia, che con la campionessa uscente Jelena Jankovic e con Ana Ivanovic rischia di fare bottino pieno. E poi te tante russe, la meravigliosa e bruttina belga Henin. Un quadro affascinante per un torneo tornato davvero ai fasti di un tempo. Ci sarà anche, notiziona, la tv in chiaro. Non più solo semifinali e finale su Italia 1. Anche un incontro dei quarti di entrambi i tornei. Poco rispetto all’epoca di Galeazzi e delle giornate trasmesse per intero? Sarà, ma accontentarsi è meglio, e poi un po’di tennis in tv, finalmente. Sembra passato un secolo dall’ultima volta.

Roma, sei tu il quinto Slam

(Mai cosi ricco il campo dei partecipanti)

Francesca Mei, tuttosport del 19-04-08

ROMA - Mai, nei suoi 78 anni di vita, gli Internazionali di Tennis d’Italia si erano presentati al pubblico con un campo di partecipanti di così alto livello: dal 3 al 18 maggio al Foro Italico di Roma, si daranno infatti battaglia i migliori 45 giocatori e 28 delle 30 migliori giocatrici al mondo. La prova maschile si svolgerà dal 3 all’11 maggio, quella femminile dal 10 al 18 maggio. LO STADIO Quest’anno, nell’attesa del nuovo impianto polifunzionale del Foro Italico previsto per il 2009, sarà lo Stadio Nicola Pietrangeli a svolgere la funzione di Campo Centrale. La capienza del Pietrangeli è stata portata a 9.500 posti con il montaggio di tribune provvisorie, ed è stato realizzato ex uovo il Campo n. 1 con 3.500 posti.I PARTECIPANTI Tanti, dunque. i motivi d’interesse di questi Internazionali. A cominciare dalia sfida fra Roger Federer , Rafa Nadal e Novak Djokovic numero uno, due e tre del ranking. Nadal farà di tutto per vincere per il quarto anno di fila, impresa mai riuscita a nessuno nella storia del torneo. Di grandissima qualità anche il torneo femminile: dalla Henin, vincitrice di quattro delle ultime cinque edizioni al Roland Garros, alla Sharapova, ma anche le due serbe, Jelena Jankovic, detentrice del titolo, e la bruna Ana Ivanovic. Senza dimenticare Serena Williams. IL RILANCIO «Sapete - ha detto Nicola Pietrangeli, presidente del comitato organizzatore, durante la presentazione degli Internazionali Bnl d’Italia - quanto questo torneo sia nel mio cuore. Sono un paio d’anni che Roma ha ripreso il posto che le compete: è di nuovo il quinto torneo più importante, dopo i quattro Slam. Tutto questo grazie all’operato del presidente Angelo Binaghi, che ha cambiato il volto della federazione, E’ vero che il nostro sport è individuale, ma il clima degli ultimi anni ci fa toccare con mano che anche i nostri ragazzi sono contenti di far parte di una squadra». «Sono veramente orgoglioso - ha dichiarato Binaghi - di guidare l’organizzazione di questa manifestazione. Con una nuova gestione più semplice e trasparente siamo riusciti a dare nuova credibilità al torneo e a rilanciarlo. Siamo riusciti ad avere la Coni Servizi al nostro fianco e un partner di grande credibilità e prestigio come la Bnl. E’ fàcile con questi partner battere di anno in anno tutti i record». BIGLJETTERIA RECORD Praticamente certo che verrà battuto il record di quasi 145.000 spettatori paganti stabilito un anno fa: la prevendita ha fette registrare incrementi di circa il 20% degli abbonamenti e di circa il 50% dei biglietti giornalieri rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. «Ogni anno superiamo i dati della biglietteria dell’anno precedente - ha detto Binaghi - e stabiliamo nuovi record di presenze. E abbiamo sempre più sponsor di prestigio al nostro fianco. Per questa stagione la prospettiva è di superare il muro dei 2 milioni di euro di utile». JOINT VENTURE «Prima o poi l’ottimo lavoro che la Federazione Italiana tennis, sta svolgendo porterà alla nascita di un grande campione - ha detto il presidente del Coni Gianni Petrucci -.Il successo di questo torneo negli ultimi anni è dovuto, in buona parte, al connubio tra la FIT e la Coni Sevizi Spa. La Fit, dal canto suo, negli ultimi anni, ha ottenuto ottimi risultati sia a livello femminile con il primo e il secondo posto delle nostre ragazze in Fed Cup, sia maschile, con cinque azzurri tra i top 100». Dal 2006, gli Internazionali sono gestiti in joint-venture dalla FIT, proprietaria del torneo, e da Coni Servizi S.p.A, proprietaria dell’impianto in cui si svolgono. «Il torneo fatturerà 14 milioni di euro, in tre anni di collaborazione lo abbiamo raddoppiato - ha aggiunto il direttore generale della Coni Servizi, Ernesto Albanese». ITALIA 1 DAL VENERDÌ. Il torneo ha conquistato un passaggio in chiaro: Italia 1 trasmetterà gli incontri del torneo maschile e di quello femminile dal venerdì.

“La vita? Una partita a tennis”

(Il nuovo video di Paola e Chiara girato su di un campo da tennis)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 18-04-08

Paola e Chiara, con la classica maglietta Lacoste, su un campo da tennis, che cantano Vanity and pride (Vanità e orgoglio) e lanciano un altro messaggio dall’album Win thè game (Vinci il gioco) di cui sono autrici e produttrici con la neonata etichetta «Tre per tre»: oggi, alla radio, è il lancio del singolo, l’8 maggio sarà un video clip con le due sorelle cantanti nel solito gioco di chiari-scuri, dal nome al mix bellezza-filosofia. Sfide «Lo sport è la metafora della vita, il terreno della sfida. Nella canzone è venuto spontaneo il richiamo al tennis classico, dei fulgidi anni ‘80, noi siamo in due e il tennis è il classico gioco a due, e poi nessuno, credo, ha mai fatto un clip con una partita di tennis», racconta Paola, la mora, la più giovane delle sorelle lezzi (34 anni), che a 12 anni amava Gabriela Sabatini («Un volto splendido») e giocava a tennis con papa («Ma amavo di più l’equitazione»). Con la racchetta era più brava Chiara (35 anni) : «Adoravo SuperMac. Era il simbolo del tennis: sei solo e devi concentrarti». Chiara che dichiara: «Sono alta 1.54». Ma magari, il complesso dell’altezza un po’ ce l’ha. Mentre Paola, che è 1.58 «e mezzo», attacca: «Fossi stata più alta magari mi sarei messa i tacchi una volta di meno, ma così ho il piede piccolo, che è più aggraziato». L’immagine Paola e Chiara sono musica, ma anche molto coreografia. «L’immagine è importante, una. caratteristica costante della nostra musica e del nostro lavoro, di impronta internazionale, e comunque il veicolo importantissimo di quello che sei, non solo se esci su un palco», puntualizza Paola. «La musica e i clip fotografano quello che siamo: evoluzione, curiosità e oggi. Che è pop, come musica, e modello positivo per giovani e meno giovani che ci scrivono sul nostro sito (myspace.com/paolachiara) chiedendo consiglio su come cambiare pagina». L’icona gay, invece non l’hanno cercata. Come riassume Paola: «Il pubblico si riconosce nei nostri messaggi, costruttivi, di speranza e libertà. Con i quali superare difficoltà e divisioni e rialzarsi dopo una sconfitta». Come nello sport, come dopo una partita di tennis.


Flavia con la Kirilenko Ecco il doppio-fashion

(Potito contro il tabù Robredo)

Piero Valesio, Tuttosport del 18-04-08

Potito Storace affronterà oggi sulla terra di Valencia un quarto di finale assai duro: sulla strada della finalissima di domenica (che l’anno scorso raggiunse e poi perse contro Almagro) sì troverà dì fronte Tommy Robredo, lo spagnolo ex numero 9 al mondo che finora, nei tre confronti finora disputati (Wimbledon 2004, Stoccarda 2005 e Barcellona 2006) l’ha sempre battuto. A non troppa distanza, sui campi dell’Estoril, altri tre azzurri giocheranno le proprie chanches per conquistare un posto in semifinale: Flavio Cipolla affronterà il francese Serra, Tathiana Garbin (che ieri ha battuto la croata Mamic) si troverà di fronte la starletta Kirilenko sempre più impreziosita dai costumi che per le disegna Stella McCartney , figlia di papa John mentre Karin Knapp affronterà la ceca Zakopalova. Tra l’altro il doppio fashion composto da Flavia Pennetta e dalla stessa Kirilenko ha raggiunto la finale…….Il capitano della nazionale ucraina di Fed Cup, Volodymyr Bogdanov, ha diffuso le convocazioni per il match di Fed Cup contro l’Italia della settimana prossima. L’elenco comprende le due sorelle Bondarenko (Alena, n. 19 al mondo e Katarina, n. 47) più Mariya Korytteeva (n.57) Tatiana Perebrynis (n.66). FORO ITALICO OGGI PRESENTAZIONE. Oggi alle 12 presso il Circolo del tennis del Foro Italico, sarà presentata la 78esima edizione degli Internazionali d’Italia che si disputerà dal 5 al 18 maggio. TORNA IL SENIOR TOUR MA SMAGRITO. Anche quest’anno il torneo del Foro Italico ospiterà una tappa del Black Rock Senior tour con in campo Goran Ivanisevic, Pat Cash, Henri Leconte eThomas Master.

Caso Totti: le amarezze (e le amnesie) di Cesare Gussoni
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Sport/
di Carlo Genta (segnalato da Solter)

L’arbitro Rizzoli verrà crocifisso in sala mensa. A Coverciano. Lasciate solo che il capo (Collina) torni da Zurigo, dove sta parlando con l’Uefa. Poi vedrete. Cesare Gussoni, presidente dell’Aia, ci va giù piano sul caso Totti-Rizzoli. Offeso. Toccato. Sconvolto, povero Gussoni. «Una pagina nera che da ex arbitro, ex designatore e da uomo mi ha profondamente deluso e amareggiato». Si augura adesso, il Gussoni, che Rizzoli venga sospeso («Ma la decisione spetta a Collina…»). Di indignazione e dintorni, ma anche di questa vicenda un po’ pelosa di Totti a Udine abbiamo già parlato ieri. Già dato e non ci pare il caso di farla ancora tanto lunga. All’indignatissimo Gussoni, che tra l’altro sottolinea come «in tutti i campionati, fino ad oggi, sono state giocate più di cinquemila gare della cui direzione sono il fondamentale responsabile. In queste gare il regolamento è stato applicato al 100% e se c’è stata un’eccezione dobbiamo anche accettarla perché può far parte di questo mondo», all’offesissimo Gussoni vorremmo solo ricordare Reggina-Juventus. Senza polemica, sia chiaro. Quella sera Dondarini, arbitro toccato da Calciopoli, alla prima occasione contro la Juventus lavò in pubblico certi suoi panni sporchi. Parve chiaro a tutti, anche a Collina che lo fermò. Ecco, come pagina, nell’arco di quelle 5mila e rotti gare, ci pare un po’ più neretta quella. Ma di sicuro ci stiamo sbagliando…Al cronista che avesse un po’ di fegato, fantasia e lungimiranza (e fosse costretto a lavorare su ’sta questione da basso impero) si potrebbe invece suggerire di spendere una telefonata transoceanica. «I’m looking for mister John McEnroe, please». Chiedete a lui cosa ne pensa, di Totti, della sua reazione (da troglodita) e del giallo di Rizzoli. Già che ci siete, provate a chiedergli un parere anche sullo studio di George Mather, ricercatore dell’Università delle Sussex, Inghilterra, patria del tennis e di Wimbledon, dove per anni Mac ha meravigliosamente giocato e continuamente bestemmiato nella chiesa verde e malva del tennis. Raccontate a quel fantastico eretico che il prof. Mather ha svolto uno studio, regolarmente pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B., nel quale dimostra che quando c’è una chiamata dubbia su un campo da tennis, nella maggior parte dei casi sono gli arbitri ad avere ragione rispetto ai giocatori. 1500 proteste da parte di 246 tennisti in tornei compresi tra il 2006 e il 2007, analizzate alla moviola con l’aiuto dell’ “occhio di falco”. Ebbene, l’arbitro aveva ragione nel 61% dei casi. Chiedete un’opinione a McEnroe. Tranquilli. Al massimo vi manda, via telefono, dove per anni ha spedito senza eleganza e senza pietà, per direttissima giudici di sedia e di linea di tutto il mondo. E nell’epoca dei tennisti di plastica e di muscoli, ci manca ancora così tanto da provare dolore fisico. Un favore. Se sir John vi manda là e incontrate Rizzoli, salutatecelo.

Dal Web

Pietrangeli: `Bolelli e` un talento vero`
eurosport
http://it.eurosport.yahoo.com/18042008/8/pietrangeli-bolelli-talento-vero.html

`In vista di Roma punto su Bolelli, ha la stoffa del fuoriclasse`. E’ una vera investitura quella di Nicola Pietrangeli. Il presidente del comitato organizzatore degli Internazionali d’Italia, in programma sui campi del Foro Italico dal 3 al 18 maggio, in occasione della presentazione della kermesse, ha voluto sottolineare il suo legame con la Citta` Eterna. ‘Pochi giorni fa mi sono fatto due conti e ho scoperto di aver giocato a Roma 22 volte, credo che basti questa cifra per certificare il mio legame con un torneo che continuo a ritenere secondo solo ai quattro dello Slam’ .

Dal torneo di Roma il discorso e` poi scivolato sul momento attraversato dal nostro tennis: ‘Binaghi ha cambiato davvero le cose e i risultati parlano chiaro. Ma non ne faccio solo un discorso di risultati; e` cambiata l’atmosfera all’interno delle rappresentative nazionali, tutti insieme facciamo delle trasferte magnifiche anche quando si perde, come e` successo la scorsa settimana contro la Croazia. A questo proposito voglio dire che tre anni fa la Croazia l’ha vinta la Davis, per cui abbiamo perso contro una squadra piu` forte di noi facendola comunque soffrire fino alla fine’ . Alla fine pero` i risultati continuano ad avere la loro importanza, che lo si voglia o meno. Motivo per cui Pietrangeli si aspetta un grande torneo da parte di… ‘Tra le donne mi aspetto molto dalla Schiavone. Francesca dovrebbe giocare sempre contro le prime giocatrici del mondo, in quel caso non avrebbe rivali perche` diventa un leone. Tra gli uomini, oltre a Volandri che l’anno scorso perse in semifinale, sono molto curioso di veder giocare Simone Bolelli, perche` la palla esce dalla sua racchetta in maniera speciale, come accade solo ai campioni. Diciamo pero` che firmerei per due giocatori nei quarti di finale’ .

Infine Pietrangeli ha speso due parole sull’attuale numero uno del mondo del ranking maschile, quel Roger Federer che quest’anno sembra aver smarrito la strada della vittoria: ‘Io non credo a una crisi di Federer. Penso invece che stia solo attraversando un momento in cui e` stanco di vincere. Magari ad avercene di giocatori in crisi di quel livello…’ .

Tour of Champions, debutta Sampras
Matchpoint
http://www.mpmtennis.com/index.php?pag=articolo&id=1577

Il Blackrock Tour of Champions si arricchisce del nome più prestigioso fra quelli che ancora non ne avevano calcato i campi: niente meno che Pete Sampras. Il sette volte campione di Wimbledon ha annunciato che esordirà quest’anno nel circuito senior patrocinato dall’Atp, giocando almeno due prove: il Grand Champions Brasil di Sao Paulo (in programma dal 21 al 24 maggio) e il Blackrock Masters Tennis, classico evento di fine stagione, di scena alla Royal Albert Hall dal 2 al 7 dicembre. Pistol Pete visiterà per la prima volta il Sudamerica e farà ritorno in Inghilterra, da cui manca dal 2002, anno della sua ultima presenza a Church Road.
“Per me competere è sempre divertente”, ha illustrato il primatista assoluto di Slam vinti (14), “lo sento ancora come una sfida e ci tengo a stringere fra le mani il trofeo alla fine. Il tennis è sempre stato una priorità nella mia vita e per un po’ devo dire che è stato bello allontanarmi dallo sport e rilassarmi. Passati due o tre anni, però, ho iniziato ad annoiarmi un po’. Certo, ho due bambini, Christian di cinque anni e Ryan di due, e amo vederli crescere e trascorrere del tempo con loro. Allo stesso tempo, però, credo che un uomo debba lavorare, forse sono un po’ all’antica. Quando avevo ventisei anni, non avrei mai pensato di partecipare al Champions Tour, ma il tempo passa e giocare a golf, fare qualche viaggio e magari, al contempo, mettere su un po’ di peso non ti fa sentire proprio realizzato come uomo”.

Il Campione? E’ un esercito

(Da 64 giocatori a 400 persone dello staff, anche questi sono i numeri di Roma)

Dario Torromeo, il corriere dello sport del 17-04-08

John McEnroe e Bjorn Borg viaggiavano spesso senza persone al seguito. Al massimo, e non sempre, si portavano l’allenatore. «Poi, qualcosa è cambiato e oggi i giocatori ci chiedono da un mini-loro accompagnatori» racconta Sergio Palmieri, il direttore tecnico degli Internazionali Bnl di Roma. Vogliono una credenziale per il tecnico, ma anche per il preparatore fisico, il pedologo, lo psicologo, il fisioterapista, gli amici, i parenti, le fidanzate, i genitori. Una corte che vive l’intera giornata nei locali riservati ai tennisti. Così si passa dai 64 in tabellone, ad un popolo assai vicino alle 400 persone. «Per Borg, McEnroe, Lendl avere una persona al seguito era un privilegio. Ora è normale che i permessi siano cresciuti in maniera impressionante anche per quelli che protagonisti non sono». Gli Internazionali (che saranno presentati ufficialmente domani a Roma) sono una piccola cittadella dello sport. Vi lavorano 1.500 persone che cercano di tenere alto il livello del torneo. Sono lontani i tempi in cui Martina Navratilova chiedeva una baby sitter per il suo cagnolino Killer Dog. Oggi ad avanzare richieste particolari sono gli uomini dei clan. Idromassaggio obbligatorio nelle stanze d’albergo, lettino dei massaggi in camera. Assistenza da Fitness Center di alta qualità negli spogliatoi del Foro, tecarterapia compresa. Alberghi di estremo lusso. Agassi ieri e Roddick oggi quando volevano qualcosa di più non chiedevano. Cambiavano e pagavano la differenza di tasca propria, senza dire niente a nessuno. Una volta si chiedeva qualche biglietto per le partite, oggi si chiede un “pass” permanente. I tempi sono cambiati. Non cambiano le superstizioni. La Hingis si rifiutava di calpestare le righe del campo, lo stesso fa oggi Ana Ivanovvic. Roger Federer arriva al Foro tre ore prima dell’orario fissato per il suo match. Non un minuto prima, né un minuto dopo. Maria Sharapoya fa rimbalzare quattro volte la pallina prima di servire, lo stesso fa la Ivanovic. Una Top 20 ha confidato di non depilarsi in un torneo fino a quando vince. Borg non si radeva la barba. Nei ricordi del passato al Foro c’è un tennis semplice nelle esigenze, ma vivace nei personaggi. E’ nella storia degli Internazionali di Roma un curioso episodio datato 1985. In campo Claudio Pistolesi e lo svedese Henrik Sundstrom. Un fantastico pallonetto del romano aveva impazzire di felicità Mario Appignani, un suo grande tifoso. Cavallo Pazzo, lo chiamavano tutti così, aveva cominciato a correre sui gradoni del Centrale urlando: «Pantera Nera (era il soprannome che aveva dato a Pistolesi, ndr) che m’hai fatto vede’, Pantera Nera che m’hai fatto vede’». Saltando e urlando, non si era reso conto che gli inservienti avevano pulito alla perfezione il vetro divisorio della tribuna. Un ultimo salto e Cavallo Pazzo era andato a schiantarsi proprio contro la vetrata. Gelo nello stadio, fino a quando una signora nella tribuna di fronte non aveva cominciato cinicamente a ridere, trascinando tutti in un’ilarità che rendeva ancora più triste il volto insanguinato di Cavallo Pazzo. Per fortuna, Appignani se l’era cavata senza grossi danni fisici. Altri tempi. Oggi i problemi sono altri. La sicurezza, ad esempio. La cureranno il presidio di polizia all’interno del Foro e il personale degli Internazionali. Dal prossimo anno sarà chiesto qualcosa di diverso, qualcosa in più. L’Atp vuole una sorveglianza maggiore nei luoghi in cui strani personaggi potrebbero incontrare i giocatori e creare i presupposti per qualcosa di sbagliato. Le scommesse, ad esempio. Roma è un grande torneo. Vi partecipano i migliori del mondo: i primi 44 dell’Atp con Federer, Nadal e Djikovic in testa; 28 delle prime 30 della Wta tra cui Henin, Serena e Venus Williams, Sharapova, Jankovic e Ivanovic. Domani ne sapremo di più.


Roland Garros, telecamere contro gli scommettitori

(Un’edizione con alcune importanti novità per il Roland Garros 2008)

Piero Valesio, tuttosport del 17-04-08

SARÀ dura, quest’anno per il simpatico giovane assai uso all’utilizzo di tecnologia portatile nonché appassionato di tennis che l’anno scorso, al Roland Garros, effettuava dal suo computer puntate on line sulle partite in corso. Lui puntava e spesso guadagnava approfittando della possibilità di poter seguire in diretta l’andamento dei match, cioè con un certo anticipo, talvolta sensibile, talvolta meno, sulle immagini televisive seguite dagli allibratori. Sarà dura perché una rete di telecamere, in perfetto stile Grande Fratello, osserverà di continuo gli spalti dello stadio del Bois de Boulogne alla ricerca di chi sia riuscito a introdurre un portatile; oppure svolga un attività sospetto con un palmare o un cellulare. Non solo: ogni titolare di un accredito per il torneo dovrà sottoscrivere una dichiarazione in cui affermerà di essere disposto a non effettuare alcun tipo di scommessa. Una scelta dettata dall’esigenza di prevenire quanto successo l’anno scorso al Foro italico quando un giornalista russo presunto, ma accreditato come tale, fu scoperto in sala stampa a gestire un giro di scom-messe. Per quanto riguarda lo svolgimento del torneo ottavi e quarti femminili si disputeranno nell’arco di due giorni (domenica e lunedì più martedì e mercoledì).

Stan Smith oscurato dalle sue scarpe

(Tutti gli oggetti che sono diventati un cult nello sport)

Stefano Semeraro, la stampa del 16-04-08

II campione meno famoso delle scarpe che indossa è nato in California ma vive da 37 anni a Hilton Head, Carolina del Sud. È alto, allampanato, con sottilissimi capelli un tempo biondi e ora decisamente tendenti al bianco, occhi azzurri, educatissimi baffetti old fashion e una grande prima palla. Sì chiama Stan Smith, ha vinto gli Us Open e Wimbledon, è stato numero uno del mondo nel tennis fra il 1971 e il 1972, ma il suo più grande successo è stato firmare un contratto con la Adidas nel 1971. Un autografo sulle prime scarpe da tennis in pelle, bianche e immacolate, un piccolo fregio verde sul tallone. Il primo ad usare quel modello, nel 1965, era stato in realtà Robert Haillet, illustre carneade. Poi arrivò il vecchio Stan, e l’oggetto diventò piccolo mito. Piccolo si fa per dire: oltre 30 milioni di paia vendute, compresa una limited edition messa in vendita in soli 12 negozi su tutto il pianeta. Un oggetto di culto che i tennisti ancora oggi continuano a calpestare e venerare, a collezionare come reliquia. «Un colpo di fortuna», ammette serafico Smith. «Chi le indossa neppure sa chi sono io». Stan è entrato nella Hall of Fame del tennis, a Newport, le sue scarpe nella storia del costume. Anche suo figlio Trevor, narra la leggenda, a quattro anni fu tormentato da un dubbio «Papa, ma sei tu che ti chiami come le scarpe, o sono le scarpe che si chiamano come te?». Potere del logo e del feticcio, che si sostituisce alla passione primaria. Le Stan Smith sono uno dei totem dello sport vintage, del feticismo di nicchia in cui si rifugia chi non cede alla modernità dei materiali, al frullare del design predicato dai dervisci del marketing. Nostalgia magnetica, rimpianto di quando una maglia, una racchetta o una scarpa identificavano un campione, un’epoca, una squadra, un sentimento. Madeleine di stoffa e di cuoio, che rinforzano il successo dei canali tematici come Espn Classic, dove quarantenni e cinquantenni inteneriti oggi ritrovano con i lucciconi agli occhi le volée di Nastase, i sorpassi di Villeneuve (Gilles, naturalmente), gli scatti di Cruyff. Intermittenze del cuore sportivo che fanno anche la fortuna di siti internet e negozi specializzati - Soccer Scene a Londra, per dirne uno - dove è possibile reperire il feticcio «originali», o quantomeno ben riprodotto, con il vecchio caro cotone al posto dei materiali tecnici di oggi. Se avete un collega di lavoro che si presenta in ufficio con la maglia del Perù di Teofilo Cubillas, edizione mondiali 1978 (capita, capita) sapete cosa significa. Il tennis è una riserva ricca, per il vintage. Basta pensare alle magliette a righine blu di Borg, wimbledoniane, aderentissime, con i bottoncini automatici e i colletti a punta, rispolverate recentemente dalla Fila e rilanciate al cinema già anni fa da Luke Wilson ne «I Tenenbaum». Alle scarpe Lotto «Newk» usate da John Newcombe, alle Superga immacolate diventate oggi scarpe trendy, alle racchette Dunlop Maxply usate da Rod Laver prima, e da John McEnroe poi. I primi attrezzi di Mac avevano ancora le venature, le ultime Maxply McEnroe di ligneo hanno solo il colore, steso sopra fibre più moderne, high tech. Resta l’impressione di rituffarsi in un passato felice, la stessa di chi oggi si commuove davanti al fregio a V delle Tepa Sport, le scarpette da calcio di Altobelli e Beccalossi, un marchio recentemente rilanciato sul mercato da una nuova ditta di distribuzione, o in disco¬eca salta dentro le Converse Ali Star da basket, leggerissime, in tela blu. Un tempo, pare impossibile, erano le scarpe da gioco che bastavano a contenere e sostenere le caviglie dei giganti della Nba. Dal parquet al tempo libero sono transitate anche le Air Jordan, le scarpe di His Airness, Michael Jordan. Più un simbolo - politico, di status, di appartenenza - che un paio di scarpe, diventate un marchio a parte nella linea di produzione della Nike, con 20 edizioni diverse dall’84 a oggi. Così famose e desiderate da ispirare il personaggio di Mars Black-mon («Lola Darling»), interpretato da Spike Lee (e il suo tormentone «Sono le scarpe? Sono le scarpe? Sono le scarpe?…») e da portare addirittura all’omicidio due 17enni: James David Martin nel Maryland, nell’89, e Demetrik Walker nel Texas nel ‘90, infuriati perché le loro vittime si rifiutavano di consegnare le preziose sneakers. «Ucciderei per averle», non si dice così? Fortunatamente pochissimi sono di parola. Fra gli automobilisti alcuni snob continuano, nell’era digitale, ad utilizzare i vecchi cronometri manuali Eberhard, Omega o Tag Heuer, i rugbisti inseguono le vecchie maglie Canterbury degli All Blacks, in cotone doppio filo e con la felce grande sul petto. C’è da scommettere che «In amore niente regole», il film sugli albori del football americano con George Clooney e Renée Zellweger stimolerà la produzione di caschetti di cuoio vintage, usati anche nel rugby d’antan e tornati di moda oggi dopo essere scomparsi fra anni ‘80 e ‘90. Perché il fascino dello sport, ahinoi, sembra irradiare sempre più da un passato a cui ci lega una passione romantica, un po’ stucchevole, decisamente fetish.
Dal Web

NOMINATION PER LA FED CUP
Tennis.it
http://www.tennis.it/article.aspx?id=1792&Descrizione=Fed+Cup

Ecco i nomi delle quattro ragazze che rappresenteranno l’Italia in Fed Cup il 26 e 27 aprile prossimi.
di Viviana Rinaldi
Capitan Barazzutti ha scelto Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Karin Knapp e Sara Errani come portacolori nella sfida di Fed Cup che vede opposta l’Italia alla Ucraina. L’incontro verrà disputato sabato 26 e domenica 27 aprile sulla terra rossa di Olbia e sarà valido per la permanenza all’interno del Primo Gruppo Mondiale.

Insieme alle due giocatrici di punta della squadra italiana Schiavone e Pennetta, rispettivamente n.22 e n.27 del ranking mondiale, difenderanno i nostri colori due giovani promesse che in questo inizio di 2008 hanno raggiunto ottimi risultati.

Sara Errani, classe 1987, aveva esordito nel team italiano nella disfatta contro la Spagna persa per 3/2, dove era riuscita a portare a casa gli unici due punti azzurri – vittoria in doppio in coppia con la Garbin e in singolare contro la Dominguez Lino. La giovane bolognese, n.63 del ranking, sta cominciando ad ottenere buoni piazzamenti nei tornei del circuito Wta quest’anno con i quarti di finale ad Auckland e Bogotà e il terzo turno a Miami.

Ma la vera novità questa volta è riposta nella “new entry” Karin Knapp. Coetanea della Errani, Karin viene da Brunico e si trova sul gradino n.36 della classifica mondiale. Questa posizione le ha permesso di essere testa di serie in importanti gare Indian Wells (n.23) e Miami (n.31). Inoltre a febbraio ha raggiunto la sua prima finale Wta a Antwerp, dove si è arresa alla n.1 del mondo Justine Henin per 6/3 6/3.

Chissà che questa ventata di gioventù non riporti fiducia alle nostre ragazze che si trovano ad affrontare la temibile Ucraina delle sorelle Bondarenko, coadiuvate dalla Koryttseva e dalla Perebiynis.

Il Team italiano arriverà al Geovillage di Olbia lunedì prossimo. per cominciare gli allenamenti il giorno successivo. Gli accoppiamenti della sfida verranno sorteggiati venerdì. “Un partita da non sottovalutare – ha dichiarato il nostro Capitano Corrado Barazzutti – anche se giocare sulla terra battuta e in casa sarà un notevole vantaggio”.

Dentro Matchpoint…Ryan Harrison, prodigio 15enne
Matcpoint
http://www.mpmtennis.com/index.php?pag=articolo&id=1575

Su Matchpoint ne avevamo scritto nell’ottobre 2007, allorché Ryan Harrison aveva vinto la Mayor’s Cup di Osaka: a pochi mesi di distanza, a Houston, il maggiore dei fratelli Harrison è diventato all’età di 15 anni, 11 mesi e 7 giorni (5821 giorni) il terzo giocatore più giovane dal 1990 a vincere un match Atp, dopo Gasquet (5780 giorni) e Nadal (5809). Ci è riuscito da n. 1277 del ranking, battendo Pablo Cuevas, 64 63. Giusto in tempo per finire ancora una volta sul nostro magazine Matchpoint.

GEMELLI BRYAN, IN CAMPANA
Sono fratelli, sono rigorosamente made in Usa, si chiamano Ryan e Christian, gli “Harrison Brothers”: classe 1992 il primo, di due anni più giovane il secondo, sono il futuro del doppio a stelle e strisce

Mike e Bob Bryan stiano attenti. Il loro incontrastato dominio gemellare in vetta alle classifiche mondiali del doppio potrebbe essere messo in periocolo in un futuro nemmeno troppo lontano dalla nuova minaccia portata dai fratelli Ryan e Christian Harrison. Nati entrambi nello stesso mese (maggio), nella stessa località (Los Angeles) ma a due anni di distanza (il primo nel 1992, il secondo nel 1994), sono la scommessa del tennis a stelle e strisce per il prossimo decennio. E senza offesa per i due trentenni giocatori della Florida, negli Stati uniti si augurano che gli “Harrison brothers” si spingano in singolare oltre le imprese, seppur meritorie, dei due specialisti del doppio.
Ryan l’apripista
Dimenticato Donald Young (“quasi” anziano coi suoi 19 anni ma finalmente entrato nella top100 dell’Atp), è toccato a Ryan prendersi sulle spalle a livello giovanile il peso non indifferente di una tradizione che ha riempito pagine di storia del tennis. Sostenuto da papà Pat (suo allenatore presso il “John Newcombe Tennis Ranch” in Texas) e mamma Susan, è cresciuto nel mito di Pete Sampras, tanto che il suo gioco si è sviluppato attorno ad un serve and volley di samprasiana memoria. Semifinalista agli Australian Open junior nello scorso gennaio, occupa la settima posizione nella classifica ITF (ma è stato anche numero 6) grazie ai successi 2007 conquistati nella Osaka Mayor’s Cup (grade 1), nelle due versioni della Spring Circuit Cup di Waco (grade 4). “La sua forza è la tenacia”, racconta il padre Pat, che ricorda un aneddoto molto significativo: “A cinque anni giocò il suo primo torneo: perse al primo turno 60 60 e con lo stesso punteggio uscì pure nel torneo di consolazione. Ebbene, non si arrese e continuò ad allenarsi. Fu allora che capii quale potesse realmente essere il fuo futuro. Qualche tempo dopo, quando vinse il titolo primaverile under 12 mi disse: Ehi papà, hai visto? Sto migliorando…”.
Christian e i due anni di vantaggio
In attesa di esplodere, però, Ryan deve incassare il sorpasso del fratellino Christian, vincitore dei Campionati Nazionali di Primavera under 16 celebrati a Carson, in California. Un titolo conseguito a 13 anni nella stessa manifestazione in cui Ryan due anni fa non andò oltre la finale. “In quel caso è stata una motivazione ulteriore – racconta il diretto interessato – ma la nostra non è una sfida a distanza. Con Ryan mi alleno spesso, fa comodo confrontarmi con giocatori più grandi di età, aiuta a consolidare il proprio tennis e ad abituarsi a velocità più elevate” Nella scorsa stagione Christian si piazzò al quinto posto nell’Orange Bowl juniores, mentre nel 2005 si impose nello stesso torneo a livello di under 12 e nel 2006 si laureò campione americano nell’under14. Su di lui papà Pat ancora non si pronuncia, forse per paura di fare paragoni.

Dalle Stalle alle (5) Stelle
SpazioTennis
http://spaziotennis.sport-blog.it/?p=834

Con Corinna in giro per il mondo..

(di Mauro Simoncini www.zeroquindici.com)

Viaggi e peripezie di Corinna Dentoni: tre settimane in America (una alle Hawaii) e da altre due trasferte, in Georgia e in Cina. 8 settimane di tornei, 9 comprese i viaggi transoceanici: una lunga chiacchierata con la giovane speranza azzurra

Un balzo di circa 500 posizioni in classifica in un anno non è così diffuso nel tennis professionistico.

E’ riuscita in questa non facile impresa Corinna Dentoni, toscana classe 1989, che ha raggiunto a fine febbraio il suo best ranking al 197° Wta, nelle top 200. Un traguardo prestigioso si, ma non un punto d’arrivo.

Corinna è la migliore azzurra in rapporto alla sua giovanissima età: davanti a lei in classifica, oltre allo storico gruppo della Fed Cup ci sono Karin Knapp (’86) e Sara Errani (’87). Sin dai tornei giovanili tutti gli occhi dei tecnici nazionali avevano sottolineato le sue grandi doti, ma è nell’ultimo anno, da quando si è trasferita a Milano al T.C. Milano “A. Bonacossa” (sotto la guida di Laura Golarsa e del suo staff tecnico) che Corinna ha spiccato il volo.

Verso dove? Di sicuro verso il tennis che conta, che è ormai lì ad un passo ad aspettarla. Ma per arrivare sulla vetta, la scalata è lunga e faticosa, e passa attraverso mille esperienze, viaggi e tornei negli angoli più sperduti del mondo.

Abbiamo incontrato Corinna e Stefano Parini (l’uomo dello staff tecnico che l’ha seguita) al ritorno dalle Hawaii, e da un Hilton Resort a Waikoloa (Big Island). Un paradiso terrestre, per dirla in breve, dove si disputava un torneo Itf da 50.000$; prima di questo due 25.000& negli Stati Uniti (Florida e Arizona). Oltre a questa prima tournèe del 2008, la Dentoni è stata negli ultimi mesi dell’anno scorso prima in Georgia e poi quasi un mese in Cina.

Ci siamo fatti raccontare com’è andata…

GEORGIA – Telavi, Batumi (torneo vinto e finale, entrambi 25.000$)

Seconda metà settembre 2007

- Ottimi risultati in una trasferta non proprio agevole, vero Corinna?

“No, esatto. Giusto per farti capire: il giorno che siamo ripartiti ci hanno detto che un uomo era morto, facendo la roulette russa…”

Corinna vuol subito spiegare che tipo di località è Telavi: “Il circolo era anche carino, ben curato, ho visto di peggio, anche in Italia per dire. Ma non ci siamo mai allontanati dal circolo e dall’hotel. Diciamo che non ci sembrava proprio sicuro, non era il caso”. Neanche molta compagnia visto che non c’erano altra italiane: “Unico italiano presente era il giudice arbitro; con il quale tra l’altro ho anche discusso durante la finale!”

E poi il cibo: “Ciurcella, canna da zucchero, e Caciapuri, focaccia caldo con formaggio filante…”. Dalla faccia neanche tanto male.

- Il buon risultato nella seconda settimana georgiana è dovuto solo all’onda di entusiasmo?

“Si, beh: grande euforia per la vittoria nel torneo! Però che trasferimento a Batumi! Un pullmino, 7-8 ore di viaggio e un autista molto molto ‘sportivo’ che si lanciava in sorpassi quasi contromano e non in un’autostrada ma su qualche sterrato. Abbastanza provante”.

Da quello che ci racconta, Batumi decisamente più gradevole come località: “Sul mar Nero eravamo alloggiati all’interno di un parco naturale, non lontani dal lungomare”.

E poi pizza, si. “Più che discreta, in un ristorante italiano; quasi a ogni pranzo, se non fosse che un bel giorno un intenso temporale ha allagato tutto il locale in due secondi: panico, tutti via di corsa, coi sacchi neri della spazzatura per ripararsi”.

CINA – Taipei, Taizou, Kunming (due secondi turni e una semifinale in un 50.000$)

Novembre 2007

- Hai conosciuto un mondo, quello cinese, affascinante e decisamente lontano dalle nostra mentalità.

“Primo torneo a Taipei, che è una città stato indipendente dentro Taiwan; nonostante le aspettative negative, la location era accogliente, bello il Resort. Purtroppo c’era davvero tanto vento per giocare. A Taizou invece… mi viene ancora da sbarrare gli occhi a pensarci: in hotel i cinesi… sputavano in ascensore! Ci sono rimasta male, davvero.

Eravamo pure tanti in ascensore, e i cinesi di certo non profumano; e più di una volta avevano l’abitudine di sputare per terra all’interno dell’ascensore, a pochi centimetri dai tuoi piedi. Pazzesco!”

Tanta tanta sporcizia ci racconta Corinna. E tanto MacDonald, ancòra di salvezza. Ma non solo: “Nuddles, non proprio una prelibatezza: spaghetti confezionati, corti e belli tosti; con condimento pre confezionato a parte. Non aggiungiamo altro.”

Proprio in questa trasferta forse l’unico rimpianto a riguardo delle prestazioni in campo: “Si quando ho perso 75 al terzo contro la tailandese dal nome improponibile (Nudnida Luangnam, ndr), dovevo vincere!”

A proposito, le cinesi come giocano?

“Tutte molto bene; aggressive, impatti piatti, poche rotazioni. Ma il livello generale loro secondo me è alto”. Il volo di ritorno da Pechino, che odissea. “Eravamo alle 17.50 ancora in camera e Stefano stava navigando per cercare online dei voli. Ne abbiamo trovato che sarebbe decollato alle 18.50. E allora corsa verso l’aeroporto, check–in già chiuso, non ci accettavano, quando un misterioso personaggio si è avvicinato promettendoci che ci avrebbe fatti salire. Così è stato (mah?!), quattro ore di volo, con partenza ritardata per tutti ovviamente solo a causa nostra; notte a Pechino, nell’hotel dell’aeroporto, una specie di ‘scantinato sotterraneo”.

USA – Tampa, Surprise e Waikoloa (due semifinali, una in un 50.000$ alle Hawaii, in mezzo un secondo turno)

Gennaio 2008

- Meno male che c’era Biasella che conosce il posto e vi portava in giro.

Primo torneo a Tampa, dove si trovava per il torneo maschile anche Adriano Biasella, italiano 400° Atp che negli States è di casa. Fortunatamente “perché con la sua macchina almeno si è potuto fare qualche giretto”; ottimo torneo nonostante la sconfitta in semifinale contro Anastasia Pivovarova, emergente classe 1990, vincitrice dell’edizione 2007 del trofeo Bonfiglio a Milano. “Ovviamente è migliorata: sbaglia meno e gioca con più criterio. Farà strada sicuramente, non so che fino a che punto però”.

- Ci dicevi di una curiosità sulla Pivovarova?

“Ah si si: in una pausa della finale l’organizzatore ha accompagnato Anastasia in bagno, ma ha beccato la madre nascosta nel bagno a fianco che le suggeriva chissà che cosa!”

Il secondo torneo in Arizona… “nel nulla; deserto più totale. Complesso sportivo nuovissimo e molto bello, con circa 20 campi; purtroppo ho pescato e perso di nuovo con lei, stavolta al secondo turno. Ho giocato peggio, c’era anche un vento fastidioso”.

Questo torneo ha segnato invece il rientro ufficiale di Sesil Karatantcheva, coetanea di Corinna, che proprio nel secondo turno del Bonfiglio 2004 aveva perso dalla bulgara. Ex n°35 Wta nel novembre 2005 dopo i quarti raggiunti al Roland Garros, in Arizona è dovuta partire dalle qualificazioni. Tutto a causa della squalifica di due anni per doping dopo l’esito positivo al nandrolone di due test nell’estate 2005. “Si sposta anche per giocare solo di rovescio, ma non è poi così impressionante” - ci ha detto Corinna.

- Dal deserto è stato deciso all’ultimo di presentarsi al torneo da 50.000$ alle Hawaii per le quali.

“Il volo arrivava alle 5 di mattina del venerdì e il sabato sarei dovuta scendere in campo”.

Ma, dopo lo scalo a Honolulu (“bellissima”) i problemi erano altri, dopo l’atterraggio a Waikoloa: “Non c’era nessuna prenotazione, avevano capito Zentoni o qualcosa del genere; di fatto non risultava la stanza all’Hilton Resort. Per di più Stefano era andato al circolo ma leggendo i nomi delle qualificazioni, non mi trovava e si era spaventato. Non c’era traccia di me! In realtà ero entrata in tabellone, come ultima (28a)! Così ho avuto anche due, tre giorni di riposo prima di scendere in campo”.

Non male, visto dov’eravate alloggiati. “Mamma mia, davvero. E ci hanno spostato per due giorni al Fermont, se possibile ancora meglio dell’Hilton”.

- Paesaggi da cartolina, location a 5 stelle che forse ti hanno stimolata?

“Si, forse inconsciamente la voglia di restare alle Hawaii ha contribuito alle mie buone prestazioni. Ci sarei rimasta ancora più che volentieri ancora molto tempo”.

La pensa così anche un certo Marcos Baghdatis, avvistato da Corinna: si è precipitato lì il giorno dopo la sua sconfitta a Melbourne “per raggiungere la sua fidanzata Mandy Minella, iscritta al torneo”.

Altri patemi d’animo al momento della ripartenza da Kona (aeroporto di Big Island) verso Los Angeles. “Ci presentiamo, ancora una volta facendo le corse a pagare il volo: la carta di credito non funziona più, raggiunto il limite mensile, tensione! Discussioni, tentativi falliti… niente da fare! Telefonate costosissime in Italia, quando le banche ancora erano chiuse, per cercare di fare qualcosa; rischiavamo di perdere l’aereo e quindi anche la successiva coincidenza intercontinentale. Pensa, chiama, prova a spiegarti, niente! Poi miracolosamente al secondo tentativo, a distanza di un’ora, la carta è passata. E via, si torna a casa!”

CONCLUSIONI

Dopo questi due mesi in giro per il mondo, ti sei già stufata di viaggiare? O ti piace ancora la vita della tennista in giro per il mondo?

“Per niente! E’ proprio bello. Soprattutto visitare posti sconosciuti, vedere come vive la gente dall’altra parte del mondo; non credo capiti a tutti di andare a Telavi o Kunming. E per di più mentre gioco a tennis, facendo la cosa che più mi piace.”

500 posizioni in un anno, sicuramente qualcosa è cambiato. Oltre a essere cresciuta, fisicamente e mentalmente, cos’altro?

“Ho cambiato tecnicamente il diritto con l’intervento di Laura (Golarsa, la mia coach). L’impugnatura adesso è meno esasperata, colpisco la palla decisamente più avanti e “mi scorre di più”.
Il servizio. Non so se ti ricordi il Bonfiglio di due anni fa, come servivo. Adesso va decisamente meglio, la prima ma soprattutto la seconda palla ora è molto più sicura.
Tatticamente gioco molto più frequentemente dentro al campo. Sono molto più aggressiva e gioco sempre con un’idea logica dietro. Prima ero un po’ più drastica in questo senso, giocavo o tutto forte o tutto in difesa, senza troppe vie di mezzo.

McEnroe aveva torto. Lo dice anche la scienza
Gazzetta.it

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Uno studio di un ricercatore inglese dimostra come tra 1500 contestazioni avvenute nel periodo 2006-2007, nel 61% dei casi avevano ragione i giudici di linea. Resta difficile valutare il servizio

“You cannot be serious”, urlava John McEnroe nel 1981 sui prati di Wimbledon. Non potevano essere seri, gli arbitri che giudicavano fuori le palle colpite dall’estroso mancino, e che invece erano buone. A quasi trent’anni di distanza, però, i giudici di sedia e di linea hanno di che stare tranquilli.
LO STUDIO - George Mather, ricercatore dell’università del Sussex, in Inghilterra, ha scritto un articolo sulla rivista Proceedings of the Royal Society B. Nel pezzo viene esposta questa tesi: quando c’è una chiamata dubbia su un campo da tennis, nella maggior parte dei casi sono gli arbitri ad avere ragione rispetto ai giocatori.
ARBITRO BATTE TENNISTA - Quasi 1500 proteste da parte di 246 tennisti in tornei compresi tra il 2006 e il 2007: Mather si è messo davanti al teleschermo e ha analizzato le chiamate dubbie da parte dei giudici di sedia. A dargli una mano, ovviamente, il sistema “occhio di falco” (recentemente adottato nel circuito pro), che quasi in tempo reale stabilisce se una pallina sia fuori o meno. Il risultato? L’arbitro aveva ragione nel 61% delle occasioni.
DIAGONALE - E’ più difficile, sempre secondo Mather, quando invece la pallina è vicina alla linea di fondo o a quella del servizio. “L’immagine passa troppo velocemente attraverso la retina perché il cervello abbia il tempo di fissarne la traiettoria immediata”, si legge nell’articolo. Questo fenomeno, però, non capita se la palla viaggia in diagonale. Quindi, cari arbitri e giudici di linea, tirate un sospiro di sollievo. La prossima volta che un tennista verrà a contestare la vostra chiamata, provate a esporre lo studio del professor Mather. Male che vada, vi beccherete un ulteriore “You cannot be serious”.

Mille e non più mille
Settimana Sportiva

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Cambia la stagione del tennis, insomma, e Montecarlo è il posto, il momento, dove il circuito mondiale volta pagina e guarda alla terra rossa. Un torneo che sa di tradizione, che una volta era “il torneo di Pasqua” e che invece adesso chi comanda non ama più, perché il business non guarda al sentimento. Eppure però, nonostante tutto, Montecarlo resta nel cuore, soprattutto dei giocatori che l’anno scorso l’hanno eletto Torneo del 2007 e si sono schierati pubblicamente contro un suo declassamento. Certo, un po’ è per comodità, visto che molti di loro abitano nel Principato, però quell’aria di mare e mondanità che si respira al Country Club e unica e fa apparire ogni vittoria più dolce e ogni sconfitta meno amara: Montecarlo è la Dolce Vita delle racchette, è il regno in cui si cullavano anche Panatta e Pietrangeli, il posto che ha visto quel mesto ritorno di Borg con la racchetta di legno a caccia di un passato ormai tale. Perché il richiamo di Montecarlo è unico ed è inutile sbizzarrirsi sui pronostici di quest’anno: c’è il solito Nadal, c’è Federer che tenta il recupero con il nuovo coach Josè Higueras, c’è Djokovic che teanta di diventare il numero uno, ci saranno battaglia e buon tennis, quello dei migliori. E’ questa è la cosa più importante, anche nel momento in cui Montecarlo - per decisione dell’Atp - sarà il fratello minore dei Tornei 1000, ovvero quelli più importanti: la terra rossa del Country Club dall’anno prossimo assegnerà cioè i 1000 punti in classifica, ma non ci sarà l’obbligo per i big di esserci. Ma se volete fare davvero una scommessa ecco il consiglio: puntate già sul fatto che ci saranno tutti.

Henman esperto BBC a Wimbledon 2008
Matchpoint
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Tim “Timbledon” Henman non abbandona gli amati, leggendari, prati di Wimbledon. Ai prossimi Championships infatti, Henman sarà presente in veste di cronista per il network televisivo della BBC. Fuori dalle competizioni dal settembre dello scorso anno, il 33enne giocatore di Oxford sarà l’esperto che si occuperà dell’analisi dei match trasmessi. In onda sui canali BBC1 e BBC2, Tim sarà in squadra con i navigati Sue Barker, John Inverdale, John McEnroe e Boris Becker.”Sono contentissimo di entrare a far parte del team della BBC per il prossimo Wimbledon”, ha detto Henman. “Trovo eccitante ritornare a Wimbledon da non-giocatore e non vedo l’ora di di iniziare a collaborare a stretto contatto con gli altri membri del team della BBC”. “Tim è stato un tennista incredibilmente popolare e tutte le vittorie conquistate su quei prati, ogni dramma vissuto, ogni emozione regalata al pubblico, hanno legato in modo unico Tim, i Championships e gli appassionati britannici. Speriamo che sia l’inizio di una proficua collaborazione”, ha detto Paul Davies, produttore esecutivo della BBC TV per il torneo di Church Road.

Davis: lotta fino all’ultimo 15 ma l’Italia resta in serie B
TennisTeen

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Abituale appuntamento con il riepilogo settimanale affidato a Diego Stocchi, ovviamente con grande spazio alla sfida di Dubrovnik tra Croazia e Italia

Questa settimana nessun torneo ATP in calendario per la disputa dei quarti di finale di coppa Davis ma soprattutto, per noi italiani, l’ennesimo tentativo della nostra squadra (composta da Bolelli, Seppe, Starace e Cipolla) di provare a raggiungere il gruppo A, quel gruppo maggiore che manca da troppo tempo alla nostra nazionale e di rimediare alla figuraccia dello scorso anno in Israele; urna non troppo benevola per i nostri colori visto che siamo stati accoppiati alla Croazia di Mario Ancic e Ivo Karlovic, forse l’avversario più temibile di quelli che ci potevano capitare. Inizio incoraggiante per i nostri colori con un Simone Bolelli in forma smagliante e strepitoso nel match d’esordio contro il numero uno di casa, il bombardiere Karlovic. Primo parziale conclusosi al tie break con il nostro rappresentante che riesce ad imporsi per 9-7 per poi “volare” sulle ali dell’entusiasmo nei due successivi set: nel secondo conquista (a zero!) il break decisivo sul punteggio di 3-2 in suo favore e lo conserva fino al 6-4 finale mentre nel terzo l’impresa di strappare il servizio al croato riesce sul 4-4 per poi tenere il proprio turno di servizio e trionfare 7-6 (7) 6-4 6-4.

1-0 Italia quindi con Seppi che scende in campo contro il temibilissimo Mario Ancic nel secondo incontro: inizio in salita (come sempre) del ragazzo di Caldaro che va sotto di un set (2-6) e di un break; Andreas riesce a rientrare nel match ma sul 3-3 perde nuovamente il servizio e non riesce più a recuperare lo svantaggio trascinandolo fino al 4-6 finale. Il terzo parziale è stato molto equilibrato con i due contendenti solidi al servizio fino al finale ricco di colpi di scena: sul 4-4 Ancic fa il break e va a servire per il match ma subisce la rimonta del nostro ragazzo che, dopo avergli annullato un match point, riesce nell’impresa di riportare il match in equilibrio ma nel gioco successivo, avanti 30-00, deve di nuovo cedere la battuta e successivamente l’incontro: 2-6 4-6 5-7 il punteggio finale.

Il doppio diventa quindi incontro di importanza letale ai fini della sfida e i due capitani cambiano le coppie prima del match: doveva essere Ancic/Karlovic contro Starace/Cipolla, è stata sfida fra Bolelli/Starace e Ancic/Cilic. La coppia croata si aggiudica un primo set equilibrato al tie break, vinto 7-3 e vola 5-1 nel secondo; gli azzurri reagiscono e recuperano fino al 4-5 ma nel decimo game Cilic teneva la battuta portando la Croazia 7-6 6-4. Il terzo set dava qualche barlume di speranza ai nostri colori con i due azzurri che, senza problemi di sorta, trionfavano 6-1 ma nel quarto parziale purtroppo l’epilogo non era quello da noi tutti auspicato, infatti sul 2-3 la coppia croata riusciva a conquistare un break poi difeso fino al 6-3 finale.

Tutto rinviato a domenica con l’Italia sotto 1-2 e chiamata ad un compito difficilissimo. Karlovic non scende in campo e a sfidare Andreas Seppi nel penultimo singolare è Cilic, numero 44 del mondo. Primo set con il croato che ha servito in vantaggio 5-4, si è fatto strappare la battuta e ha dovuto annullare un set point al nostro rappresentante sul 5-6 prima andare a vincere al tie break (con Andy che si è visto annullare un secondo set point sul 7-6 in suo favore). Nei due successivi set Seppi saliva in cattedra e grazie ad un doppio 6-4 riusciva a portarsi avanti e addirittura a mettere un’ipoteca sull’incontro andando subito a strappare il servizio all’avversario nel primo game del quarto set e a tenersi in vantaggio fino al 3-1. Quando ormai il match sembrava pienamente in pugno Cilic, trascinato dal pubblico di casa, riusciva a rimontare fino ad aggiudicarsi senza problemi il tie break (7-3); il quindo set, dunque, diventava decisivo non solo per la partita ma per l’intera sfida e la Croazia sulle ali dell’entusiasmo e con il proprio giocatore caricato dal pubblico sembrava favoritissima. Invece l’epilogo è stato dolce, quello da noi sperato, con Andreas che spiccava il volo e poteva alzare trionfalmente le braccia andando ad imporsi 6-1 (6-7 (7) 6-4 6-4 6-7 (3) 6-1 il punteggio finale) e lasciando nelle mani di Simone Bolelli le sorti dell’Italia del tennis.

Match decisivo che inizia subito in salita per Simone che, dopo un avvio incoraggiante, cede il servizio sul 3-3 e non riesce più a recuperare lo svantaggio fino al 4-6 finale. A segnare il secondo parziale è un break croato ottenuto in avvio e conservato fino al termine da Ancic che si impone ancora per 6-4 e nel terzo set si invola fino trionfare 6-2; il punteggio non deve però ingannare, Simone ha disputato nel complesso una buonissima partita contro un avversario che, ai livelli odierni, sarebbe stato in giocabile per molti. Peccato, l’Italia del tennis anche nel 2009 dovrà vedere giocare le altre nazioni nel gruppo maggiore ma c’è la consapevolezza di avere un buon gruppo con ragazzi come Bolelli e Fognini destinati a migliorare ulteriormente il proprio potenziale.

L’unico challenger settimanale che vedeva rappresentanti azzurri è stato quello di Monza. Nella città lombarda si è messo in evidenza Andrea Arnaboldi, quella speranza rimasta fino ad ora inesplosa che siamo abituati a vedere impegnato nei future in Spagna. L’italiano, in tabellone grazie ad una wild card, approda fino ai quarti di finale ottenendo due brillanti vittorie contro due buonissimi giocatori: Golubev al primo turno, battuto con il punteggio di 6-4 4-6 6-1 e il peruviano Horna (un po’ calato ultimamente ma sempre giocatore di spessore) superato dopo un inizio shock che ha visto Andrea cedere il primo parziale 0-6 prima di andare a trionfare 6-4 6-2. Nei quarti di finale si ferma la corsa di Arnaboldi contro Ventura che lo batte 6-2 6-3.
Altri due azzurri erano presenti nel tabellone principale: Galvani che è stato superato da Vassallo Arguello 5-7 4-6 dopo aver sciupato l’impossibile, soprattutto nel primo set nel quale ha avuto a disposizione anche un set point sul proprio servizio e Stefano Ianni che ha perso anch’esso al primo turno dal russo Ledovskikh 5-7 4-6.

Nelle qualificazioni mezzo disastro azzurro con il solo Brizzi che riesce ad arrivare al turno decisivo battendo prima Ryderstedt 7-6 (2) 6-2 e poi Skenderovic 6-2 6-2 prima di arrendersi all’austriaco Eitzinger 5-7 3-6. Matteo Volante supera Brunstrom 6-1 6-4 ma viene sconfitto al secondo turno da Rosol 3-6 0-6. per gli altri italiani tutte sconfitte al primo turno di Fabbiano (3-6 6-7 (5) da Greul), Costa (5-7 4-6 da Cakl), Dell’Acqua (4-6 4-6 da Hocevar), Crugnola (4-6 5-7 da Bozoljac), Ottavi (1-6 1-6 da Kamke), Baio (3-6 1-6 da Smit) e Zacchia (2-6 1-6 da Mergea)

IL PAGELLONE:

ARNABOLDI: 7,5 – Bravo Andrea, promessa inesplosa del tennis azzurro, a vederne i risultati credo farebbe bene a cimentarsi più spesso nei tornei future. TI ASPETTIAMO.

BOLELLI: 7 – Contro Karlovic compie un capolavoro giocando un ottimo incontro, nel doppio non demerita e contro Ancic perde da un avversario che ha giocato da primi 5 del mondo. BUONO.

SEPPI: 6,5 – E’ inutile lui è così, prendere o lasciare, spreca molto contro Ancic quando poteva rientrare nel match e sciupa l’inverosimile con Cilic riuscendo quasi a compromettere l’incontro… ma alla fine l’importante era vincere per tenerci a galla e lui l’ha fatto. CARDIOPALMA.

BRIZZI: 5,5 – Peccato per la sconfitta al turno decisivo di qualificazione ma provandoci prima o poi il risultato importante dovrà pure arrivare. CREDICI ALBERTO.

IANNI: 5 – I challenger sono forse troppo per il suo livello ma non demerita contro un avversario a lui superiore. PECCATO.

Barazzutti: “Questa Italia ha un futuro”
Virgilio.sport
http://sports.virgilio.it/it/cmc/tennis/200816/cmc_121339.html

Nonostante la sconfitta contro la Croazia nella sfida di Coppa Davis valida per il secondo turno del Gruppo I di Zona Euro-Africana 2008, Corrado Barazzutti è giustamente soddisfatto della prova fornita dalla squadra italiana, una squadra che a detta del suo capitano ha un futuro felice davanti a sé.

“Sono contento della prestazione dei ragazzi: hanno giocato giocato con grande orgoglio e spirito di squadra, facendo del loro meglio - ha dichiarato Barazzutti - Forse potevamo fare qualcosa di più in doppio ma loro hanno comunque giocato bene e noi abbiamo portato a casa i punti che potevamo conquistare. Noi potevamo sperare che Ancic non giocasse al meglio ma non è accaduto e alla fine è stato lui a fare la differenza”.

“Sicuramente questa sconfitta è diversa da quella di un anno fa in Israele: lì c’erano condizioni difficili e se Seppi avesse vinto il primo incontro le cose magari sarebbero potute finire diversamente - ha aggiunto il captano - Qui, invece, abbiamo conquistando due punti importanti, dimostrando che questa squadra ha dei margini di crescita e un futuro, non solo sulla terra battuta ma anche sul veloce”.

“Cosa ci manca per tornare nel gruppo mondiale? Serve un doppio, anche se si può lavorare sulla coppia sulla coppia Bolelli-Starace schierata qui in Croazia. Senza dimenticare che tra un po’ tornerà dall’infortunio anche Daeniele Bracciali”, ha quindi concluso Barazzutti.

Oltretutto, un doppio di qualità non dovebbe essere nemmeno necessario nella prossima sfida, il confronto di settembre in casa contro la Lettonia, che ha nel giovane Ernests Gulbis, numero 86 al mondo (ma già top 50), l’unico giocatore di valore: con la terra rossa e due singolaristi come Filippo Volandri e Potito Starace, il confronto non dovrebbe infatti riservarci brutte sorprese.

Per il resto concordiamo solo in parte con l’ottimismo di Barazzutti: al momento, non abbiamo infatti il campionissimo che possa permetterci di essere una squadra da presenza fissa nel World Group di Coppa Davis.

Certo, con qualche miglioramento soprattutto al servizio, Filippo Voladri potrebbe essere un giocatore al livello di migliori sulla terra battuta ma la realtà è che finora non si vedono all’orizzonte “top ten” tricolori per sognare anche solo di avvicinarci all’”Insalatiera d’argento”.
MASHA CONQUISTA LA TERRA
Tennis.it
http://www.tennis.it/article.aspx?id=1789&Descrizione=Circuito+WTA

Primo titolo sulla terra rossa per Maria Sharapova, che s’impone ad Amelia Island sulla giovane slovacca Dominika Cibulkova

Viviana Rinaldi

Non c’è due senza tre… e infatti la Sharapova, dopo il meritato riposo che l’ha tenuta lontana dai campi per qualche giorno, è tornata alla carica e si è rimboccata le maniche per conquistare il suo terzo trofeo del 2008. La n.4 del seeding mondiale e favorita n.1 del tabellone ha superato in finale l’“outsider” Dominika Cibulkova con il punteggio di 7/6(7) 6/3. La diciottenne slovacca è riuscita a raggiungere l’ultimo round partendo dalle retrovie e scavalcando in successione la qualificata Rodionova, la n.14 del seeding Azarenka, la n.2 Chavetadze, la n.11 Mauresmo e infine l’altra sorpresa del torneo Alize Cornet per ritrovarsi poi come avversaria la fuoriclasse siberiana.

“Ho sconfitto delle grandi tenniste questa settimana – ha commentato Dominika –e sono veramente contenta di come è andata la finale. Sono orgogliosa di me per come ho giocato questo torneo!”

“Sono molto contenta di aver vinto il primo titolo sulla terra” ha invece commentato la Sharapova, che ha faticato per ben 3 ore e 27 minuti per superare Anabel Medina Garrigues al terzo turno con lo score di 7/6(3) 5/7 7/6(1). Anche l’incontro dei quarti con Alona Bondarenko (vinto per 6/7(9) 6/3 6/2) aveva messo a dura prova la russa, che ha poi avuto il tempo di recuperare le forze per il match-clou per il ritiro in semi della Davenport affetta da un’influenza.

Sara Errani, unica azzurra in tabellone, è uscita con onore al primo round contro la n.14 Victoria Azarenka per 3/6 7/5 6/4.

Ancic spegne il sogno azzurro

(Mario l’airone ci costringe ancora al “purgatorio”)

Piero Valesio, tuttosport del 14-04-08

DUBROVNIK Prima la notizia buona; abbiamo una squadra. Poi la notizia meno buona: questa squadra è arrivata ad un passo dal battere la Croazia e conquistarsi la possibilità di giocare il playoff per tornare nel paradiso della Davis, ma la sua ascesa è stata stoppata dall’uomo delle montagne o, per meglio dire, dall’uomo montagna. Quel Mario Ancic che nell’ultimo e decisivo singolare è tornato ad essere il semifinalista di Wimbledon, il top ten a pieno merito e ha battuto un comunque splendido Simone Bolelli, E’ finita 3-2 per i nostri avversari, come in Israele un anno fa. Risultato eguale ma succo e valenza completamente diversi: se quella era stata un’imperdonabile disfatta, quella conclusa ieri dopo un pomeriggio tipicamente davisiano, cioè ad alta tensione emotiva, è stata una sconfitta sul filo di lana, piena di contenuti, contro una squadra che, Ljubicic a parte, è quella che due anni fa l’insalatiera se l’è portata a casa. Dunque sursum corda, in alto i cuori: l’Italia del tennis è viva, di nuovo viva. E il momento in cui si potrà esultare per un grande risultato è forse più vicino di quanto si possa pensare. OTTIMISMO Non si pensi ad un ottimismo forzato. Quando, dopo quattro ore e dieci minuti di battaglia magari un po’ contadina ma dagli esiti altalenanti e dunque per molti versi appassionante, Andreas Seppi ha avuto ragione di Marin Cilic la possibilità che l’Italia realizzasse la grande impresa era tutt’altro che aleatoria, altoatesino, dopo due tie break persi e due set invece vinti approfittando di preziosi (per noi) cali di continuità del croato ha impresso all’inizio della quinta partita il cambio di velocità che ha deciso il match: break al secondo gioco e poi di nuovo al quarto con Cilic in evidente carenza di forze fisiche. Se l’incontro è stato per lunghi momenti un florilegio di occasioni sprecate e se Seppi e il suo coach molto dovranno riflettere sul fatto che tre discese a rete durante un incontro di quattro ore sul veloce non sono certo quella che si potrebbe definite una winning situation, una scelte vincente, è altresì vero che Andreas l’ha vinto. E se poi non si fosse materializzato in campo l’Ancic pre-mononudeosi, capace di esprimere un tennis di ispirazione aironica (nel senso dell’airone) ora saremmo qui a celebrare un ritorno ai piani alti del tennis dal gusto dolcissimo….. Tra Mario e Simone la differenza salita agli occhi: uno serve 13 ace, risponde come un’indemoniato, rema oltre la linea di fondo quando è il caso e appena può delizia gli astanti con volèe ricamate. Simone invece, pur avendo un’ottima percentuale di prime palle, di ace ne serve solo due e, per ora, deve arrendersi a questa epifania di purezza tennistica perché è difficile reggere di testa la sensazione di non poter fare nulla di definitivo: un po’ la stessa sensazione che tutti i giocatori provano quando affrontano un Federer appena decente oppure che lo stesso Roger si sente addosso quando affronta Nadal sulla terra. E” cresciuto tantissimo, Bolelli e la prima grande rivelazione di questo week end di Davis è lui. Considerati i miglioramenti raggiunti da un anno a questa parte la prossima volta che affronterà l’Airone o chi per lui la musica sarà diversa. «L’Italia merita la A» dice Barazzutti commentando l’intero week end. Arriverà pure un tabellone in cui l’Italia non dovrà affrontare Spagna, Croazia o consimili. E con una squadra che promette cosi bene, su tutte le superfici, la promozione attesa dal 2000 potrà diventare una realtà.

L’Italia lotta, ma il nostro tennis resta in serie B

(I pellegrini di Medjugorje non bastano a Cilic)

Lea Pericoli, il Giornale del 14-04-08

L’italìa a Dubrovnik si è arresa alla Croazia con l’onore delle armi. È durato 4 ore e 7 minuti il singolare di Andreas Seppi contro Marin Cilic. L’azzurro nella terza giornata ha portato all’Italia il punto della parità vincendo in cinque set: 6-7, 6-4,6-4,6-7,6-1. Lo stadio in cui si è giocato era piccolo ma il tifo contro l’Italia è stato davvero grande. In mattinata da Medjugorje erano arrivati due pullman carichi di concittadini di Cilic che è nato in Erze-ovina ed abita attorno alle famose colline dove è apparsa la Madonna. In Coppa Davis l’atmosfera è inevitabilmente satura di tensione ma in un Paese come la Croazia i problemi si sono rivelati ancora più pesanti per la nostra squadra. Boro Jovanovic, amico tennista di altri tempi seduto accanto a me e a Nicola Pietrangeli, traduceva gli slogan che venivano scanditi dalla folla al rit¬mo martellante di un tamburo: «In battaglia con il tuo popolo!». E dietro a quelle grida il giovane Cilic si è lanciato nella sua battaglia tennistica giocando una stupenda partita che lo ha visto incepparsi soltanto alla fine. Il match si è svolto seguendo schemi poco ordinati e imprevedibili. Ogni volta che sembrava profilarsi il risultato in favore di Seppi o del suo avversario, la storia dell’ incontro cambiava. Era difficile pronosticare una conclusione in nostro favore, ma l’azzurro nella quinta partita è scappato 5-0 per concludere al settimo game. Sul due a due è sceso in campo Simone Bolelli per tentare l’impresa impossibile. Di fronte a lui c’era Mario Ancic, uno dei giovani più talentuosi del circuito. Ancic è un campione che è stato n.7 del mondo e ha contribuito alla vittoria della Croazia in Coppa Davis 4 anni fa. Un dettaglio curioso: è cresciuto e abita a Spalato nella stessa strada dove sono nati Pilic e Franulovic. Una via che si trova proprio davanti al tennis. E lunedì a Spalato festeggerà la sua laurea in legge. Anche se Ancic è rimasto per nove mesi lontano dalle gare per colpa della mononucleosi ed altri problemi muscolari ieri ha dimostrato di aver ritrovato una splendida forma. Che dire di Simone? Secondo me il suo esordio in nazionale merita un voto altissimo perché ha portato il primo punto contro Karlovic. Perché ha disputato un buon doppio in coppia con Starace. Perché ieri si è battuto contro un tennista che ha perso solo 11 punti sul proprio servizio, facendo 17 ace. Simone ha ceduto per 6-4,6-4,6-2. In settembre l’Italia se la vedrà contro la Lettonia per rimanere in serie B ma questa volta giocheremo in casa.

Dal muro del pianto al ponte per il futuro
LaStampa.it
http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/rubricahome.asp?ID_blog=119

Da Dubrovnik ce ne torniamo a casa battuti, non umiliati. Anzi. La trasferta ci ha consegnato una squadra più forte, più matura, più completa. Magra consolazione, potrebbe protestare qualcuno. Il prossimo impegno dei nostri davismen sarà il poco glorioso play-out per evitare la retrocessione in Serie C (a settembre, in casa, contro la Lettonia di Gulbis), altro che pernici. Contro la Croazia, e per giunta in trasferta, era però oggettivamente difficile spuntarla. Troppo forte soprattutto Mario Ancic, che soprattutto nel match decisivo contro Bolelli ha dimostrato di valere sempre un posto fra i top-ten – quello che gli hanno scippato mesi tormentati dalla mononucleosi e dal mal di schiena. Trentasei fra ace e servizi vincenti, tre set sontuosi, perfetti. Né Federer, né Nadal né Djokovic oggi andrebbero in campo sicuri di vincere contro un campione del genere – non a caso un ex n.7 del mondo, semifinalista a Wimbledon nel 2006. Un predestinato. L’ultimo capace di battere Federer sui sacri prati di Church Road. La differenza, in singolare come in doppio, l’ha fatta lui. Siamo però diventati, qui a Dubrovnik, una squadra a più dimensioni. Temibile non solo sulla terra, non solo in casa. Seppi, lo ha ha fatto intuire nei cinque lottatissimi set contro Cilic, sembra aver superato il trauma di Tel Aviv. Non è un talento puro, ma ha ripreso la crescita da giocatore dopo un anno di preoccupante stop. Non è il computer freddo che sembra Andreas, dentro patisce molto sconfitte e difficoltà. Bolelli qui ha giocato a tratti da top-20, dimostrando grandi progressi a rete, nella tattica, nella gestione del match. Dal muro del pianto di Tel Aviv, insomma, al ponte verso il futuro di Dubrovnik. “Certe sconfitte servono anche a migliorare”, ha commentato Barazzutti. “Quello fu un match andato male, giocato in condizioni comunque difficili. Oggi siamo più adulti, più maturi. Non sono contento per il risultato di questo incontro, ma sono soddisfatto della performance dei nostri, hanno dato tutto quello che potevano”. La domanda è: sono questi i nostri veri limiti? Avremmo potuto fare di più? “Avremmo potuto sperare che Ancic giocasse peggio”, ha scherzato Barazzutti, ammettendo poi che il vero problema, di quasi impossibile soluzione, rimane il doppio. Corrado aveva dichiarato alla vigilia di puntare soprattutto ai singolari, ma è stato il risultato di sabato – come era prevedibile, come è regola quasi matematica della Davis – a far girare l’incontro a favore dei croati. “Bolelli e Starace hanno giocato qui per la prima volta insieme, possono migliorare, e dovranno farlo se vogliamo diventare davvero competitivi e sperare di tornare in Serie A, magari anche con l’aiuto di un tabellone meno difficile di quelli che abbiamo avuto negli ultimi anni”. Il problema è che un doppio va anche costruito, ma nel tennis di oggi farlo è quasi impossibile, fra diverse programmazioni e impegni di singolare. Barazzutti crede più nella coppia Bolelli-Starace che in quella Bolelli-Seppi, ma i primi due scontano programmazioni spesso divergenti, i secondi sono più compatibili quanto a calendario. C’è tempo fino a settembre, quando ci troveremo di fronte sulla terra di casa la friabile Lettonia, per pensarci. Anzi, fino al prossimo anno. Ma almeno qualche tentativo, nel frattempo, va fatto.

Il numero uno del tennis Federer incontra Rossi all’Estoril
gpone.com
http://www.gpone.com/news/News.asp?NNews=1878

l tennista Roger Federer è arrivato questa mattina nel paddock di Estoril per seguire il Gran Premio del Portogallo della MotoGP: il campione svizzero ha dapprima fatto tappa all’Aprilia, dove ha salutato il connazionale Thomas Luthi, colui che nel 2005, grazie alla vittoria del mondiale 125, gli ha “soffiato” il titolo di sportivo svizzero dell’anno, dopodichè è andato nel box della Yamaha.

Il numero uno del tennis mondiale ha infatti espresso il desiderio di conoscere colui che è considerato il suo pari del motociclismo. Dopo aver scambiato due chiacchiere con il “Dottore”, e aver incoraggiato Luthi in griglia di partenza prima del via della gara della classe 250, il campione svizzero è però dovuto “fuggire”: lo aspettano infatti gli allenamenti in vista dell’Estoril Open, che inizia domani.

Tennis, sulla terra rossa scatta il momento d’oro di Nadal
IlSole24Ore

Link_www.ilsole24ore.com

I primi tepori primaverili, oltre che dallo sbocciare dei fiori e dal ritorno delle rondini, per gli appassionati di tennis sono accompagnati da un altro segno inequivocabile del cambio di stagione: il risveglio dal letargo del matador Nadal. In questo periodo, di solito, Rafael si desta da un sonno che, contrariamente a quanto accade ad orsi, ghiri e scoiattoli sopravviene, però, ben prima dell’inverno. Salvo qualche sporadico guizzo, infatti, il maiorchino, dopo i trionfi di aprile e maggio (e le ultime scintille di Wimbledon), tende ad entrare in un periodo di digiuno che può durare anche una decina di mesi. E, se nel 2007 questa lunga astinenza era stata interrotta dallo “spuntino” di Indian Wells, oggi il numero due del ranking si trova nella situazione di non riuscire a vincere un torneo dal 22 luglio dell’anno scorso. Allora, attardandosi sui polverosi campi di Stoccarda, aveva strappato in extremis un ultimo successo sull’amata terra, quasi fuori tempo massimo, ovvero mentre tutti gli altri già si allenavano sul cemento. Da quel giorno, Rafa ha giocato tre finali (Parigi-Bercy, Chennay, Miami) ma non ha vinto più nulla.

Così, arrivati al mese di aprile, il campione iberico è ancora alla ricerca del primo titolo dell’anno. Esattamente come il suo grande rivale, Roger Federer. Ma le analogie finiscono qui e i due giocatori sembrano, in realtà, navigare oggi in acque molto diverse. Lo svizzero si presenta all’appuntamento con il rosso col fiato dello spagnolo sul collo, senza essere riuscito a sfruttare la parte di stagione a lui più congeniale, quella sui campi sintetici. Non a caso, il suo nome fa capolino nel tabellone di un torneo “minore”, come quello dell’Estoril, utile comunque per tentare di arginare l’assalto di Rafa.

Per Nadal, invece, è tutta un’altra storia. Finito il periodo delle vacche magre, sta per affrontare quello che è sempre stato il suo momento. Due mesi da protagonista, almeno sulla carta, nelle terrose arene europee, dove lui è il re e tutti gli altri sono sudditi.

Fino ad ora è sempre andata così. Sui lenti campi in terra, dove chi pratica il serve and volley si ritrova con le armi migliori spuntate, imprigionato in una ragnatela di scambi infiniti che favoriscono piuttosto i maratoneti della racchetta, Rafael è l’uomo da battere. Qui, i suoi diabolici colpi arrotati, quasi inutili sul cemento, diventano micidiali. Le sue palle rimbalzano altissime e spingono fuori dal campo i malcapitati avversari, costretti a tentare in tutti i modi di accorciare scambi interminabili con tiri assassini, puntualmente recuperati dall’instancabile maiorchino. Giocatore capace, vale la pena ricordarlo, di realizzare per ben tre anni di fila quello che viene chiamato lo Slam rosso. E cioè di portarsi a casa il formidabile trittico composto da Montecarlo, Roma e Roland Garros. Così come bisogna tenere a mente, per capire la supremazia di Nadal su questa superficie, che nessuno prima di lui è mai riuscito a ripetere la formidabile impresa. Dal 1950 ad oggi, solo altri due tennisti, Ilie Nastase nel ‘73 e Thomas Muster nel ‘95, hanno completato il tris, una volta per uno.

E Roger Federer? Per lui, quest’anno, non c’è più il Grande Slam da rincorrere. Non si tratta quindi di infrangere record, questa volta, ma di rimettersi in carreggiata dopo una falsa partenza piuttosto preoccupante. Riuscirà, il numero uno, ad agguantare il primo trofeo proprio sulla superficie meno adatta alle sue caratteristiche? Non c’è molto da attendere per dare una risposta al quesito, visto che lo svizzero sarà in campo già al torneo dell’Estoril, che apre i battenti lunedì 14. Per vedere all’opera il ragazzo di Manacor, invece, dovremo attendere la settimana successiva con l’avvio del prestigioso torneo di Montecarlo, dove i primi giocatori del mondo, naturalmente, sono entrambi in tabellone .

I due, però, dovranno fare molta attenzione alla nuova stella del tennis mondiale, Novak Djokovic, ormai decisamente a suo agio nel ruolo di terzo incomodo. Se il gioco del serbo può apparire più adatto alle superfici sintetiche, non bisogna, infatti, dimenticare che lo scorso anno fu semifinalista al Roland Garros, fermato solo dal solito tritasassi Nadal. Nella parte iniziale della stagione, Nole, con la vittoria del primo Slam a Melbourne e del Masters Series di Indian Wells, è apparso il tennista più in forma del circuito. I primi due giocatori sono avvisati.

Infine, il capitolo Italia. Va detto che, contrariamente a come ci hanno da lungo tempo abituati, molti dei nostri giocatori, quest’anno, sono partiti bene, raggiungendo risultati anche sorprendenti. Sulla terra poi, si sa, molti di loro riescono ad esprimersi al meglio. Dopo gli exploit di Filippo Volandri, che nella scorsa stagione arrivò in semifinale a Roma (battendo anche Federer) e agli ottavi a Parigi, è lecito sperare in qualche bella sorpresa nei prossimi mesi…

Doppia coppia
WildCard
http://federico-ferrero.blogspot.com/

Qualche considerazione disordinata sul doppio. A Winston-Salem hanno incrociato le racchette i gemelli Bryan e Clement-Llodra nel quarto di finale tra i più classici della Coppa Davis, Stati Uniti e Francia*: una partita splendida, purtroppo ne ho visti solo degli scampoli. Dopo averci perso la finale di Wimbledon 2007 - nel filmato l’ultimo gioco di quella partita - Bob e Mike hanno subìto un’altra sconfitta pesante da Michael e Arnaud.
Tra il match di Winston-Salem e un singolare di Davis di Germania-Spagna tra Kohlschreiber e Ferrer non avrei dubbi sulla scelta, da spettatore e da commentatore: viva i Bryan! Ho seguito, invece, quasi per intero in tivù il doppio di Dubrovnik tra Italia e Croazia (per interesse patrio, ché la partita è stata tecnicamente foriera di sbadigli) riflettendo su alcune cose.
La prima è che digerisco a fatica i detrattori del doppio. Secondo me sbagliano. Il doppio è un recipiente di valori, come la Borsa. La Borsa non è né buona né cattiva, se la gente la ritiene ’sporca’ è perché identifica chi specula con l’istituzione. Credo che non apprezzare il doppio equivalga a rinunciare, per non conoscenza o insensibilità, a un pezzo importante del tennis.
Chi lo snobba si fa forte della realtà, innegabile e avvilente: il doppio, da troppi anni, è mal frequentato. Tolti cinque-sei dei top ten di specialità e qualche altro elemento di valore ci sono gli Scott Lipsky e i David Martin, Vizner, Wassen, Aspelin…
Peraltro anche la tiritera “il doppio sarebbe bello solo se lo giocassero i migliori” è più falsa che vera: Leander Paes, che in singolare non riuscirebbe a tenere botta ai “mostri” di oggi, trova nel doppio una meritatissima riserva e andrebbe tutelato, è una delle migliori ‘mani’ del nostro sport. Idem per Todd Woodbridge, che (parola di Andre Agassi) è stato il tennista della sua generazione con maggior sensibilità di palla in assoluto. Non mi si dica che Paes o Woodbridge fossero più scarsi, come giocatore di tennis, di Roddick o di un Gonzalez.
Anni fa girava per il circuito un genialoide del tennis, Pat Galbraith, inadatto al singolare perché tirava troppo piano. Ecco, se vi capita di recuperare qualche filmato del Masters di doppio del 1995, vinto da Connell e Galbraith, capirete meglio la mia posizione.
Il doppio, insomma, potrebbe diventare non un rifugio di scarti del singolare ma un’oasi di tennis di qualità dove non per forza si spacca la palla di rimbalzo o si corre come dei dannati per sei ore senza sudare. Per farlo occorre riqualificare anche culturalmente la specialità: chi cresce i giovani talenti può instradare verso il doppio non le seconde scelte ma coloro che hanno le doti per giocarlo ad alti livelli (tocco, inventiva, reattività, qualità nei colpi di inizio gioco) ma magari è deficitario in comparti ormai fondamentali del tennis: forza, resistenza, fisici ‘bestiali’.
Non so se la strada intrapresa dall’Atp, quella di incentivare i singolaristi a giocare il doppio, sia corretta se lo scopo è la qualità. Gonzalez e Massu hanno vinto il doppio olimpico senza saper giocare al volo. Un singolarista prestato al doppio lo gioca come ieri hanno fatto Starace e Bolelli: poco più di due mezzi singolari. Inutile evidenziare quanto lo spettacolo e la qualità ne risentano.
Del resto ragazzi iniziano col tennis per passione ma, da professionisti, fondamentalmente sono guidati dai soldi. Ebbene, ci si lamenta spesso che il doppio sia una competizione a perdere per gli organizzatori dei tornei, che costi cara e non faccia vendere un biglietto. Si inizi a far capire che di doppio si vive, e che non è una vergogna ’specializzarsi’.

* Sapevate che lo stadio del Roland Garros nacque proprio per ospitare un Francia-Stati Uniti di Davis nel 1928? I padroni di casa avevano bisogno di un terreno per costruire una struttura adeguata all’importanza dell’evento e lo Stade de France concesse i terreni a patto che l’opera fosse intitolata a un loro socio abbattuto col suo velivolo alla fine della prima guerra mondiale. Un aviere di nome Roland Garros.

L’Italia scivola sul doppio “Seppi fuori? Era stanco”

(Bisogna lavorare per creare una coppia affidabile in Davis)

Stefano Semeraro, la stampa del 13-04-08

Sono anni che il doppio in Davis, più che un punto, è un punto interrogativo. Trattasi di gara decaduta, che nei tornei i migliori giocano per sfizio o per allenamento, lasciando spiccioli di gloria e qualche dollaro alla manovalanza specializzata. In Coppa invece rimane spesso il perno dell’incontro, e di conseguenza un rompicapo atroce per i capitani che non dispongono, come capita ormai quasi solo agli Usa, di una coppia rodata. Barazzutti e l’Italia non fanno eccezione alla regola. L’ultimo grande doppio nostrano è stato Panatta-Barazzutti, l’ultima coppia affidabile quella un po’ scalena composta da Camporese e Nargiso. Inizio anni Novanta, per intenderci. Ieri contro la Croazia, l’ennesimo esperimento. Hanno esordito - letteralmente: non avevano mai giocato insieme neppure in torneo - Bolelli e Starace. Assemblati e spediti in campo dopo l’1-1 del primo giorno, contro un altro duo quasi inedito come Ancic e Cilic non sono riusciti ad andare oltre una sconfitta in quattro set. Nel primo hanno combattuto bene, rimontando da 1-4 fino a raggiungere e perdere il tiebreak. Il secondo se lo sono fatto scivolare via all’inizio, nel terzo hanno dominato approfittando di un filo di relax dei croati, nel quarto hanno pagato un break sciagurato al sesto game. Una sconfitta senza infamia, non senza rimpianti. Le occasioni per mettere i denti sul match i nostri le hanno avute, ma vincere contro due avversari con l’apertura alare di Cilic e soprattutto Ancic (entrambi alti 1,96) senza mai andare a rete sulla seconda diventa difficile. La differenza l’ha fatta anche, forse soprattutto il servizio. Cilic è quello che se l’è cavata meglio. Bolelli, molto discontinuo ieri, lo ha perso per tre volte. Domanda: sarebbe andata meglio con Seppi al posto di Starace? In fondo Andreas e Bolelli quest’anno qualche torneo insieme, progettualmente, lo avevano giocato. «Sì, ma non è detto che quello che va bene a loro vada per forza bene anche a me», ha digrignato Barazzutti. «Io in prospettiva vedo meglio il doppio che ha giocato oggi, anche se Simone e Andreas non giocano un doppio classico. Avevo chiesto loro di giocare in maniera imprevedibile, sono soddisfatto della performance, del rendimento al servizio di Starace, certo non del risultato. Il punto volevo vincerlo, ma far riposare Seppi non mi è dispiaciuto». In attesa di risolvere l’irrisolvibile problema del doppio («l’unica è lavorare a lungo termine», sostiene Paolo Bertolucci, «allevando appositamente dei giovani»), oggi non ci resta che sperare di vincere entrambi gli ultimi due singolari. Nel primo in realtà non conosciamo ancora il nome dell’avversario di Seppi, visto che il capitano croato Prpic non ha ancora annunciato se metterà in campo Karlovic, battuto da Bolelli venerdì e con il ginocchio mezzo infortunato, oppure il giovane Cilic, che peraltro ieri non ha entusiasmato. «Forse ad Andreas andrebbe meglio Cilic», risponde pensoso Bolelli, mentre Barazzutti non si esprime. Sull’eventuale 2-2 toccherebbe poi proprio a Simone tentare il miracolo contro Ancic, il giocatore più esperto e più forte dell’incontro (ex n. 7 del mondo). L’ultima volta che l’Italia ha rimontato da 1-2 è stato nel ‘99 contro la Finlandia. «Io spero veramente che Bolleli possa andare in campo per l’ultimo match», ha buttato lì Barazzutti, «credo che potremo assistere a un bel match».


La Croazia raddoppia

(Barazza: “Forza ragazzi che ancora possiamo farcela”)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 13-04-08

DUBROVNIK (Croazia) Due a uno doveva essere, e due a uno è stato. Il doppio era il punto più sicuro dei croati—nel secondo turno della serie B di coppa Davis, sul veloce indoor di Dubrovnik —, quello che li proietta, sempre da favoriti, sugli ultimi due singolari di oggi. Anche perché, dopo il 2-1 del doppio, sono imbattuti da dieci match……A parte il calo del terzo set, «super Mario» Ancic ha trascinato il diciannovenne Marin Cilic, alzando un muro di pivot gemelli, di 196 centimetri, a rete, «ma soprattutto servendo e rispondendo sempre molto bene» (come puntualizza capitan Corrado Barazzutti), ed abbattendo in quasi 3 ore e quattro set l’inedita coppia azzurra, Simone Bolelli - Potito Starace. «La migliore possibile con continuità al servizio e imprevedibilità», sempre citando il c.t. azzurro. Che giudica: «”Poto” è stato più continuo al servizio (che ha perso una sola volta ad inizio match), Bolelli ha avuto qualche passaggio a vuoto (tre servizi persi, terrificante il primo del secondo set, con due doppi falli di fila) ma sono soddisfatto della loro prova». Malgrado siano stati quasi sempre indietro sulla seconda di servizio. Buone notizie Bolelli e Starace, gemelli ieri, anche nei look— capelli corti, basettoni e brillantino all’orecchio sinistro — saranno avversari, domani o dopo, nel primo turno di Valencia, sulla terra rossa. «Ci siamo trovati bene, e cercheremo di ripetere l’esperienza anche in torneo, perché non dobbiamo cambiare abitudini: io gioco a destra e lui a sinistra», sottolinea Bolelli, l’allievo di Pistolesi. «Peccato per il primo set, perso al tie-break, loro hanno vinto grazie alla continuità al servizio, ma abbiamo giocato spesso alla pari e spero di ripetere l’esperienza», chiosa Starace, il giocatore di Rianna. Strategia Capitan Prpic non rivela se oggi il giovane Cilic sostituirà Karlovic, acciaccato al ginocchio e nell’orgoglio dopo il ko d’acchito con Bolelli, ma pur sempre il più alto del circuito (2.07) «non solo con un gran servizio, ma anche con capacità, da fondo, di far forzare l’avversario», come sta predicando Barazzutti ad Andreas Seppi, chiamato oggi al riscatto. «Io penso che giocherà Karlovic, e ho molta fiducia che Andreas vinca: deve dimostrare coraggio, cambiare gioco, aggredirlo a rete per forzarne i passanti. Mi auguro che Bolelli possa giocare sul 2-2 con Ancic e penso anche che possa batterlo».

Italia, il doppio non raddoppia

(Simo e Poto giocano bene e perdono meglio)

Mario Viggiani, il corriere dello sport del 13-04-08

DUBROVNIK - Corrado Barazzutti, pensando almeno un pizzico ai singolari decisivi di oggi, ha schierato in doppio i ragazzi con l’orecchino, ovvero Potito Starace e Simone Bolelli, coppia addirittura inedita. Per vincere, sarebbe però servito che i ragazzi brillassero più degli orecchini, ma così non è stato, anche se “Poto” e “Simo” hanno giocato complessivamente un buon match, e ora l’Italia è sotto per due a uno contro la Croazia dei giganti. Il capo dei quali, Ivo Karlovic, il giocatore professionista più alto del mondo, come previsto è rimasto nella tana, mentre invece sono stati Mario Ancic e Marin Cilic a conquistare il punto che spesso in Coppa Davis fa oscillare la bilancia dalla parte vincente, quando le sfide sono equilibrate come questa di Dubrovnik. LA PARTITA - Stranissimo il primo set, con i croati che hanno fallito la palla del 4-0 e se lo sono aggiudicato solo al tic-break per 7-3, dopo che finalmente Starace era entrato in partita a fianco di un Bolelli invece subito reattivo, sui livelli del successo contro Karlovic. Il tie-break è stato segnato sul tre pari da uno spostamento forse frettoloso di Starace, prontamente infilato da un micidiale dritto lungo linea di Ancic. A quel punto è andato giù Bolelli, subito breakkato a zero mettendoci molto del suo con due doppi falli. E i croati, con Cilic cresciuto un po’ alla volta a fianco di un Ancic che era in ogni spazio del campo o quasi, hanno piazzato un parziale di dodici punti a uno che li ha portati sul 5-1. Con Starace a quel punto solidissimo al servizio, gli azzurri hanno anche recuperato un break ma non il set. Nel terzo i nostri sono stati perfetti, i croati si sono rilassati per il vantaggio messo in cascina nei primi due set, e il set è volato via sul 6-1 per l’Italia. Nel quarto Ancic e Cilic non sì sono più distratti, tornando soprattutto a fare i bombardieri al servizio. Sul 3-2 hanno ottenuto il break decisivo e non si sono fatti più riprendere. Alla fine tutti soddisfatti, Barazzutti, Starace e Bolelli, ma sarebbe servito altro, che un buon debutto in coppia, per arginare Ancic e Cilic, che con due passi coprivano il campo……. Toccherà ad Andreas Seppi, oggi, tenerci ancora in corsa e non rendere inutile l’ultimo singolare. Il biondino di Caldaro, contro Karlovic, ha bisogno soprattutto della cattiveria che quest’anno a Rotterdam gli ha consentito di battere nello stesso torneo prima Hewitt e poi soprattutto per la prima volta Nadal. Oltretutto Seppi, anche se sulla terra, ha battuto il croato nell’unico precedente in carriera. Nel caso, sul due pari, Bolelli dovrà superarsi ancora per battere Ancic, uno che nel 2005 ha già vinto la Davis. Insomma, per gli azzurri sarà durissima. PROSSIMA AVVERSARIA - Intanto solo oggi si saprà quale sarà la prossima avversaria di Davis, per la perdente di Croazia-Italia: infatti ieri il doppio olandese in Macedonia si è ritirato sul punteggio di due set a uno per i padroni di casa, che cosi sono risaliti sul 2-1. Gli olandesi non dovrebbero avere certo problemi nel conquistare il terzo punto negli altri singolari e così per la perdente di Croazia-Italia dovrebbe proprio esserci la Lettonia di Gulbis. Chi vince, invece, andrà al sorteggio per i play off che possono riportare in serie A

Bolelli da applausi Seppi k.o. l’Italia è ancora in corsa

(Simone promosso ed Andreas bocciato)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 12-04-08

DUBROVNIK «Una promozione con aiutino e una bocciatura con attenuante: fra Italia e Croazia è 1-1, com’era auspicabile alla vigilia di questo match di serie B di Davis contro pronostico, e come sorride capitan Corrado Barazzutti. Promozione Sul campo medio veloce di Dubrovnìk, tattica e nervi volano finalmente alti come la qualità tennistica dì Simone Bolelli che batte il più alto del tennis, il 2.08 Ivo Karlovic, peraltro più alto in classifica (n. 18) dei suoi scalpi e il più prodigo di applausi: «II dolore al ginocchio non c’entra. Bolelli è stato più bravo a gestire i colpi, mi spostava e non mi lasciava soluzioni». A rivalutare quell’etichetta di numero 58 che il 22enne di Bologna vuole togliersi presto di dosso: «Lavoriamo per entrare, nei primi 10, stiamo colmando le lacune su campi duri, spostamenti e tattica. Contro Ivo, che non da ritmo, ho tenuto bene il servizio, ho risposto quanto ho potuto, ho retto di concentrazione, appena potevo ho tirato e sono andato avanti. quella è stata la chiave». Lezione «Bolelli ha giocato una partita perfetta nei colpi di rimbalzo», sottolinea Barazzutti. L’allievo di Claudio Pistolesi sbaglia solo un rigore di dritto sul 4-2 del cruciale tie-break iniziale: «Ma sono stato bravo a reagire: lì e dopo il primo set point che lui ha salvato alla grande». II secondo lo chiude con la volée di dritto alla Adriano Panatta. Poi Simone gestisce vantaggio numerico e psicologico: dal 7-6 4-2, quando Karlovic, a metà di 26 ace, comincia a zoppicare al ginocchio destro, e fino al successo in 3 set. «La superficie mi piace, è la stessa della semifinale di Zagabria; il successo per me vale tantissimo perché mi inorgoglisce giocare per l’Italia e perché ho imparato dai miei errori: l’ultimo a Miami contro Davydenko, quando ho avuto 6 palle break al secondo set, ho perso in 3 e mi sono detto: “Alla prossima”. Eccomi». Bocciatura Andreas Seppi ha un anno e mezzo più di Bolelli, e «meno mano» e soluzioni. Aggredito «dal vero numero uno di casa», Mario Ancic — l’ultimo castigatore di Federer a Wimbledon, nel 2002 —, mostra i difetti di dritto, velocità d’esecuzione, discese: a rete e seconda di battuta contro il purosangue di Spalato è sempre più stanco e disperato, ma con il colpo del k.o; «Bastava qualcosetta in più per far girare la partita. Andreas avrebbe dovuto cercare di più la rete», dice ancora Barazzutti a chi maledice gli errori sul 4-4 30-0 del secondo set e sul 5-5 30-0 del terzo davanti a «super Mario». Candidato salvatore della patria.


Bolelli ci fa ancora sperare

(Andreas, i dettagli sono ancora da migliorare)

Piero Valesio, tuttosport del 12-04-08

DUBRQVNIK. Ivo non è creativo, Mario lo è assai di più; Simone inventa, Andreas si sveglia in ritardo. E cosi la prima giornata del confronto di Davis fra Croazia e Italia finisce sull’1-1. Il che tutto sommato non è poco anche se, visto che eravamo partiti col piede giustissimo grazie a Simone Bolelli che aveva superato Ivo Karlovic, avremmo potuto completare l’impresa. Avremmo potuto se Andreas Seppi non ci avesse impiegato più di un’ora (in un incontro complessivamente durato 2 ore e 50 minuti) a entrare nel match e non fosse stato poi vittima dei suoi spaventosi otto volanti di rendimento che gli anno impedito di tenere Mario Ancic in campo più a lungo. Quando avrebbe potuto approfittare della fatica che, nel croato, si faceva via via più evidente… L’eroe di giornata è stato dunque Simone Bolelli da Budrio, il pupillo di Claudio Pistolesi che nel giro di un paio di settimane ha offerto agli occhi degli osservatori tennistici una sacrosanta verità: è migliorato, tanto. Col fisico (palesi i chili in più di massa muscolare) e soprattutto con la testa. Se nel Master Series di Miami era andato ad un passo dal battere Davydenko, a Dubrovnik ha rifilato tre set a zero al lungagnone Karlovic, il re del servizio bomba dall’alto dei suoi oltre due metri di altezza. Ci è riuscito nonostante i 26 ace messi a segno dal croato e nonostante i progressi che il numero 18 al mondo ha ottenuto in fase di palleggio da fondo. Non è che si sia innamorato della corsa e gli spostamenti, specie se prolungati gli co stano sempre una gran fatica. Ma ora, quando la palla gli torna indietro sul suo servizio, non è più privo di armi. Simone lo sapeva (fra i due non c’erano precedenti in torneo ma qualche ore di allenamento comune) e non ha mai perso la concentrazione. Si è via protetto dalla gragniuola di servizi a oltre duecento l’ora da cui era investito, ha servito a sua volte assai bene (significativo il 94% di prime palle messe in campo nel secondo set) e ha aspettato che a Ivo, il quale non è creativo ma potentissi-mo, succedesse qualcosa. Il qualcosa è stato in realtà due eventi: sul proprio servizio, in tutte il primo set, Karlovic aveva concesso, a Simone la miseria di sei punti. Nel tie break ne ha invece concessi due e Bolelli è stato bravissimo ad approfittarne. Il secondo evento si è invece verificato nel settimo gioco della seconda partita. Quando Ivo ha avvertito una fitta pungente al ginocchio destro: si è fermato, poi ha ripreso ma il secondo set è risultato, per lui, compromesso a causa di evidenti problemi di mobilità. Nel terzo Ivo ha corso normalmente o quasi ma eccellente è stato Simone a conquistare il break nel nono gioco; una vittoria come questa ottenuta in Davis può cambiare il corso di una carriera. ….Difficile che qualcuno fra i presentì, italiani o croati che fossero, non abbia pensato: l’Italia che chiude la prima giornata in vantaggio 2-0 sulla Croazia non è più una battuta spiritosa ma una reale possibilità. Possibilità svanita di fronte ad un Andreas Seppi che, dimentico delle buone prove offerte nei mesi scorsi, ha fallito proprio dove Mario Ancic è parso eccelso: la conquista dei punti importanti. Valga un esempio su tutti: nell’undicesimo gioco della terza partita, dopo aver annullato un match-ball nel gioco precedente por-tandosi così sul 5 pari, Andreas si è involato 30-0 ma ha poi infilato un parziale di un punto contro sei che ha consentito al suo avversario di andare a servire per il match. Per contro, pochi minuti dopo, Mariolone è andato sotto 15-40 colto da crisi di diarrea tennistica: ma poi ha sfoderato un ace al centro e un vincente. 40 pari e la porta verso la vittoria si è spalancata. I dettagli a volte dicono più dei grandi numeri.


Capolavoro Bolelli l’Italia sorprende i croati

(Il doppio? La notte porta consiglio)

Paolo Rossi, la repubblica del 12-04-08

Una nuova generazione chiede spazio. I giovani tennisti azzurri battono un colpo ieri a Dubrovnik, Croazia, dove si sta giocando per la Coppa Davis, e puntano ora al colpo grosso, cio è ottenere il pass per lo spareggio di settembre che vale la serie A. Protagonista assoluto un bolognese di ventidue anni, Simone Bolelli, capace di disfarsi di Ivo Karlovic in tre soli set ed illudere il clan Italia, prima che l’altro giovane emergente, Andreas Seppi, venisse sconfitto da Mario Ancic. L’anno scorso, stesso periodo, la sconosciuta Israele faceva mattanza di questi stessi ragazzi, dunque le notizie non possono che essere prese positivamente. «Da Tel Aviv a qui è stato un bel viaggio, un anno dì miglioramenti» conferma Bolelli. I detrattori in passato gli avevano sempre contestato una certa lentezza negli spostamenti, a Dubrovnik è sembrato Speedy Gonzales, rispetto al suo avversario. «Ci sto lavorando, sugli spostamenti, e non solo su quello» risponde con buona educazione, con quel viso da bravo ragazzo, l’ideale per uno sport. Non solo: il Bolelli visto ieri in azione ha tutte le potenzialità «per essere tra i primi dieci del mondo», essendo Un prototipo del giocatore moderno: potente, con un buon servizio. «Ed ora sto iniziando anche a scendere a rete, voglio essere completo, voglio potermela giocare su qualunque superficie». Per Barazzutti è stato «match perfetto», per Bolelli «un match d’altro livello». Di sicuro ha mostrato di sapere gestire la tensione, di essere in grado di sfruttare le occasioni. Contro Karlovic, un pivot prestato al tennis, con i suoi 208 cm d’altezza, Simone ha lasciato che il croato si sfogasse, si stancasse e perdesse lo smalto iniziale. Ha sofferto, infatti, nel primo set i numerosi aces (alla fine saranno 26, e Bolelli ne aveva previsti «una trentina») di Karlovic. E’ stato bravo a far fronte, ben quattro volte, a palle break che avrebbe forse compromesso tutto: «Ho rischiato, alzato il livello del gioco». Salvatosi, è arrivato al tic-break, la chiave del match. Da quel momento in poi la strada è stata in discesa, e l’infortunio al ginocchio destro di Karlovic non ha influenzato il match, che ormai aveva preso la strada verso l’Italia. «Un grande risultato per noi» commenta in serata Barazzutti, «a prescindere dal ko di Seppi, che ha l’unica colpa di aver iniziato lentamente». Il ct è convinto di poter portare a casa il match: «Sì, si può vincere». Il doppio di oggi diventa però fondamentale, e se la Croazia ha delle certezze (Ancic e Cilic), Barazzutti deve pensarci. «La notte porta consiglio, dobbiamo parlarne tra noi». Non ci sono specialisti nella rosa, e tutto sembrerebbe portare ad una formazione Bolelli-Starace. Ma il bolognese in realtà ha fatto coppia, quest’anno, con Seppi, ottenendo anche una vittoria nel challenger di Bergamo, e raggiungendo i quarti a Marsiglia. Il problema però è che Seppi vorrebbe risparmiarsi la fatica (al contrario di Bolelli), e Barazzutti dovrà saperlo convincere. «Sicuro: con le buone o con le cattive».

La forza degli internazionali

(Intervista a Diego Nepi Molineris, come si presenterà il “Foro Italico” da quest’anno e per i prossimi al pubblico)

Enzo Anderloni, il tennis italiano di Aprile 08

Roma 2008, edizione straordinaria, verrebbe da dire, con facile doppio senso per noi che facciamo riviste. Ma c’è di che rimanere piacevolmente sorpresi, quando si scopre che cosa stanno preparando al Foro Italico per questa che, sulla carta, poteva essere un’edizione difficile. Difficile perchè di passaggio, una volta presa la decisione di abbattere lo stadio dalle costole lignee, e dalle sedute scomode (detto non a caso “Stadio dei crampi”) per erigerne uno nuovo, ambizioso, miltifunzionale, con il tetto che si può chiudere in caso di pioggia, ma che sarà pronto solo nel 2009. Eppure, nonostante la presenza di un vasto cantiere proprio là dove l’anno scorso Nadal sparava i suoi topspin, e sollevava il trofeo di cristallo del Masters Series, il Foro Italico non perderà un posto a sedere. Anzi, si presenterà ancora più accogliente che nel 2007, ancora più vicino ai grandi modelli del tennis mondiale, cioè gli Slam. Ci sarà persino la piazzetta multimediale con il megaschermo, come a Parigi, come nell’Aorangi Park di Wimbledon, per far seguire in diretta il match clou anche a chi ha il biglietto “ground”, quello più economico che permette solo l’ingresso all’impianto. Così, se gli inglesi avevavo la loro Henman Hill, noi potremo rispondere con la nostra piazza: se sarà intitolata a Starace o a Volandri, a Seppi o alla Schiavone, starà ai nostri giocatori deciderlo.
A osservare le immagini computerizzate di questo progetto “una tantum”, si coglie con un pizzico d’orgoglio italiano, il senso della scommessa che il team degli organizzatori ha messo in campo, e si sente che ci sono tutte le carte in regola per vincerla. Di fronte alla provvisorietà non si gioca come al solito in difesa. Si rilancia, si va all’attacco. Il torneo deve essere più bello dello scorso anno, che pure vide battuto il record di spettatori. Per poi fare un altro salto di qualità nel 2009, e puntare a diventare una prova “combined”, uomini e donne insieme, aumentando ancora il numero dei campi e competendo con giganti come Madrid che, con i milioni di euro a palate di Jon Tiriac, va in giro ad annunciarsi come “quinto Slam” prima ancora di esistere. Roma 2008 risponde alla sfida con un dinamismo mai visto nella Capitale. Il Campo Pietrangeli si ingigantisce da 3.000 a 9.500 posti e diventa Centrale. Un “centralino” da 3.500 posti sorge dal nulla invadendo il piazzale retrostante i palazzi del Coni, proteso verso lo Stadio Olimpico. E il bello è che, in prospettiva, questi spazi conquistati per rispondere all’emergenza potrebbero diventare patrimonio definitivo, se la crescita esponenziale della manifestazione lo richiederà. E allora, caro sig. Tiriac, vedremo chi avrà più titoli per sentirsi un po’ Slam… A spiegarci quanto sta avvenendo, con determinazione entusiasmante è Diego Nepi Molineris, 37 anni, di Siena, il manager che dopo le esperienze ad Aeroporti di Roma e Grandi Stazioni, è diventato Direttore degli Impianti sportivi di Coni Servizi, e dunque direttore operativo degli Internazionali BNL d’Italia. “La nostra forza oggi - tiene a sottolineare subito - è quella di aver creato un gruppo interno, forte, giovane, con una grande passione ma anche con un know-how che negli anni sta maturando. E questo know-how, che una volta si disperdeva all’esterno, adesso è centralizzato all’interno della Federazione. La spinta a lavorare in questo senso è stata sin dall’inizio del presidente Binaghi. E la differenza l’ha fatta poter contare sull’esperienza di Sergio Palmieri, che mi onoro di avere come mio compagno di doppio, in questa organizzazione”. A proposito di organizzazione: facciamo subito il punto sugli Internazionali 2008, che ormai sono alle porte… “Il nostro obiettivo è dimostrare che gli investimenti sugli Internazionali vanno a ottimizzare i servizi, anche se siamo in un anno particolare. Attendiamo almeno 300.000 visitatori: vogliamo far vedere loro un “site” (ambiente, n.d.r.) assolutamente unico. Ancora migliore rispetto al 2007, in termini di servizi, impianto e fruizione dello spettacolo”.- Facciamo un esempio… “Lo stadio centrale, che sarà il Nicola Pietrangeli. Si tratta di uno stadio con grande valore storico, che abbiamo coniugato con un aspetto moderno che prevede la realizzazione di nuove sedute, più ergonomiche. Si valorizza così la tradizione del Parco e di quello che è, secondo me, il più bell’impianto di tennis del mondo dal punto di vista architettonico. Avremo un Centrale da 9.500 posti, con tutti i settori collegati, più funzionale, mentre lo stadio che è stato abbattuto era diviso a spicchi. Realizzeremo dei palchi a bordo campo, tutti in legno. Creeremo delle suite sul primo anello e svilupperemo un concetto di massima visibilità dell’ultimo anello. Invece dello “stadio dei crampi” cercheremo di offrire comfort e visibilità. Per noi l’edizione del 2008 è particolare: pur avendo ‘centrale’ e ‘centralino’ provvisori, creeremo un evento unico, proprio per continuare a sviluppare in termini di qualità quello che è stato fatto negli ultimi due anni agli Internazionali”. - Che cosa sarà di questa struttura quando ci sarà il nuovo stadio? “Avremo l’opportunità di valutare lo sviluppo del torneo. Oggi registriamo già un 100% in più alla biglietteria rispetto allo stesso periodo della passata edizione. Siamo partiti prima ed è stata una scommessa; la prevendita cominciata a settembre. Potevamo anche avere risultati diversi, riscuotere un minore interesse. Invece abbiamo creato prima di Natale gli abbonamenti ‘Super-weekend’ e sono andati esauriti nel giro di dieci giorni. Già oggi certe zone sul Centrale sono esaurite. Questo è il nostro termometro. Se il torneo continua a crescere in questo modo, nulla ci vieta di creare sul Pietrangeli un’altra struttura che lo porti da 3.000 a 6.000 posti, tutti comodi: un vero e proprio secondo ‘centrale’. Lo stesso discorso vale per il “centralino” del 2008”.- Un campo del tutto inedito… “Assolutamente. Il manto di terra rossa era già pronto a dicembre perché in maggio dovrà essere perfetto. E’ stato creato dal niente, da uno spiazzo in asfalto. Ci stanno già giocando per renderlo veloce come gli altri campi. E intorno a quello verranno montate delle tribune per 3.500 posti”. La vecchia capienza del Pallacorda… “Esatto. Niente ci vieterà in futuro, sempre pensando a migliorare la nostra offerta, di far diventare anche quello un impianto fisso. E quindi avere al Foro Italico: un Centrale da 11.000 posti, un Centralino da 6.000 e un altro stadio da 3.500. Questo per sviluppare il nostro prodotto e portarlo ai livelli di un combined event”. Questo sfata il mito che il torneo di Roma per crescere dovesse per forza abbandonare il Foro Italico… “Questo è un parco protetto che offre uno scenario unico. Con intelligenza e con tutte le varie autorizzazioni delle Soprintendenze i progetti di implementazione sono stati tutti possibili. Il futuro Centrale da 11.000 posti, in linea con quello che volevano gli Enti preposti, è stato un buon successo. E così le soluzioni per il 2008. Il progetto sul Pietrangeli, che preserva le statue e i marmi, la possibilità di lavorare sui flussi del pubblico e quindi sulle uscite di sicurezza, che ci hanno permesso di creare un nuovo Centrale e un nuovo Centralino nelle posizioni in cui si trovano, dimostrano che le professionalità stanno crescendo. E gli Internazionali saranno sempre moderni. Questa è la forza del Parco del Foro Italico, concepito 70 anni fa, ma comunque ad oggi il più bel posto dove fare sport”.- Entriamo agli Internazionali BNL d’Italia 2008. Ci fa da guida? “L’ingresso sarà sul Lungotevere, e sarà un vero e proprio portale, dove proporremo da subito la comunicazione sul tennis. Abbiamo un cantiere in corso e per farlo comunque lavorare abbiamo deciso di cambiare il flusso. Ci sarà una forma di pedanamento con una grande “welcome area”, un’area di servizi, tra cui il “car valet”, per cui ci sarà chi potrà arrivare al tennis in automobile, consegnarla agli addetti che la parcheggeranno e la riconsegneranno all’uscita, previa chiamata. Crediamo di avere una “location” unica. Per valorizzarla al meglio servono i servizi”. Dove avete trovato spunti? “Da tutte le parti. Abbiamo guardato ai Grand Slam proporzionalmente al nostro fatturato, che abbiamo portato nelle ultime stagioni da 6 milioni a 12 milioni di euro. Roland Garros fattura 150 milioni e dunque si parla di cifre molto diverse. Ma il nostro obiettivo è accrescere il volume d’affari. La nostra forza, come dicevo prima, è la squadra. Un gruppo interno, forte, giovane che mette il cuore oltre alla professionalità nel lavoro. Si migliora ogni anno un prodotto che ormai è ben riavviato e dunque non va stravolto. Si dà continuità anche alle persone che lavorano all’interno del ‘site’ durante gli Internazionali, che sono 800. Anche loro devono poter condividere lo spirito con cui lavoriamo. Devono strappare i biglietti in un certo modo; devono capire se una persona ha delle esigenze particolari o delle difficoltà e trovare il modo di risolverle nella maniera più veloce”. Ottocento persone sono un superteam… “Siamo una grande famiglia che si ritrova di anno in anno. E una volta che sarà realizzato il nuovo Centrale, avremo un progetto che rimarrà sempre quello, sempre più qualitativo. Noi intravvediamo dei margini di crescita impressionanti per gli Internazionali BNL d’Italia. E in questo senso, devo essere onesto, anche il partner BNL ha dato un impulso importante non tanto sul piano economico, perché quello è stato garantito anche dagli altri sponsor in precedenza, ma nel contributo competente delle persone a sviluppare il prodotto. Quello è un grandissimo valore aggiunto: BNP Paribas si porta dietro la tradizione del Roland Garros. Per noi significa crescere con dei referenti che hanno esperienza e cognizione di causa quando si parla di grandi eventi del tennis”. Crescere significa anche più visibilità. “Quando siamo partiti, tre anni fa, non ci voleva produrre nessuno. Quest’anno la vittoria del presidente Binaghi è che avremo la diretta in chiaro su Italia Uno a partire dai quarti di finale del torneo maschile. Dobbiamo anche dire grazie a Luca Tiraboschi, il direttore di Italia Uno. E’ stato bravissimo, ha creduto nell’idea e ha visto i risultati. Italia Uno è diventata così “centro media” dei nostri partner che investono giustamente in pubblicità su questa rete. Ben venga, così cresce l’indotto e cresce il nostro prodotto. E’ un grande volano che si è messo in moto. Grande spinta viene anche dalla biglietteria che dimostra l’interesse che c’è sul tennis. Se avessimo un tennista italiano tra i primi 10, gli Internazionali farebbero un botto. Volandri lo scorso anno in semifinale ha fatto da grande traino”. Che obiettivo vi siete posti per il 2008? “Lo scorso anno gli spettatori sono stati in tutto 144.268. Il nostro obiettivo è far crescere questo numero attraverso attività e comunicazione mirate a valorizzare l’aspetto più debole, che è la settimana del torneo femminile. Vogliamo dare sempre più risalto alle donne e speriamo nell’aiuto delle nostre fantastiche giocatrici”. Madrid, cerca di farsi largo tra i Masters Series, il torneo di Roma come risponde? “Faremo vedere ad Atp e Wta quello che stiamo facendo. Per il nuovo centrale investiremo 25 milioni di euro. Madrid ne investe tre volte tanto ma loro non hanno un’area così particolare, così bella. E la nostra tradizione, il gradimento ormai consolidato dei giocatori”. La collaborazione di Coni Servizi con la Federazione Italiana Tennis: ci faccia un bilancio… “Siamo arrivati al terzo anno, il secondo reale di collaborazione con la Fit. Nel primo più che altro abbiamo osservato per capire. La nostra è una partnership alla pari, vengono divisi gli utili e le competenze al 50%. Gli utili vengono reinvestiti sull’impiantistica. Per noi guadagnare significa valorizzare il Parco del Foro Italico e continuare a investire per migliorare la struttura”. Un’ultima domanda. Dello stadio nuovo, che cosa si può dire? “E’ già stata effettuata la gara d’appalto. C’è già il progetto. Sono partiti i lavori per la demolizione del vecchio impianto. Di sicuro la struttura sarà pronta per l’edizione 2009 degli Internazionali BNL d’Italia (ma verrà utilizzata anche per i successivi Mondiali di nuoto). Il Foro Italico è sinonimo di tennis nel mondo: questo è il senso del progetto su cui stiamo lavorando”.

Sfogo di Nadal contro l’ ATP
stratennis.com
http://www.stratennis.com/ita/index.html?pag=readnews&idn=123

A Brema, dove è impegnato nella sfida di Coppa Davis contro la Germania, Rafael Nadal ha rilasciato parole pesanti contro i cambiamenti al calendario dei principali tornei su terra rossa imposto dall’ ATP questa stagione.
Un calendario che vede la distanza tra Montecarlo e Roma ridotta ad una sola settimana anzichè due, e che obbligherà il più forte giocatore del mondo sul rosso ad un autentico tour de force, a giocare Montecarlo, Barcellona, Roma ed Amburgo in quattro settimane consecutive! “Una maniera vergognosa, questa, di trattare i giocatori europei, il tennis europeo e la terra rossa in generale”, ha dichiarato il numero due del mondo in sala stampa dopo l’agevole vittoria su Kiefer. “La verità è che l’ATP ci sta rendendo la vita quasi impossibile. Ci sono tre Master series sul rosso, a fronte di 4 sul cemento, e ci si obbliga a questa maratona, con in mezzo oltretutto un altro torneo importante come Barcellona. Sono sinceramente stufo di questo atteggiamento, ma è evidente che ai piani alti la mia opinione non interessa e non posso che rassegnarmi ai fatti”. Pronta a riesplodere, dunque, la polemica relativa all’eccessivo spazio che la dirigenza ATP concede al tennis americano a fronte di quello europeo.


Bolelli e Seppi senza paura nel covo dei giganti

(Le speranze azzurre riposte in Simone ed Andreas)

Vincenzo Martucci, la gazzetta dello sport del 11-04-08

DUBROVNIK «Attenti a quei due. Andreas Seppi e Simone Bolelli, i singolaristi della coppa Davis da oggi a domenica in Croazia non sono tennisti italiani classici, né nell’amore per la terra né nelle reazioni esterne. Ma sono figli del tennis moderno: alti (1.90 il bolzanino, 1.82 il bolognese) e giovani (24 e 22 anni), sparano servizio e poi botte da fondo per aprirsi il campo. Uno più costruito (Andreas), l’altro più di talento (Bolelli), pagano in reattività e a rete, ma sono solidi ed essenziali. Come i campi veloci dove vantano scalpi doc, superiori alla classifica di numero 45 e 57 del mondo. Insomma, Andreas il biondo e Simone il bello possono puntare al colpaccio, «sul cemento non veloce quanto l’avremmo voluto», del mini-palasport da 2000 posti di Dubrovnik. Come puntualizza il capitano di casa, Goran Prpic, pensando ai super-battitori Ivo Karlovic e Mario Ancic. E cioè il 18 della classifica, recuperato alla nazionale sulla via dell’Olimpiade di Pechino, e il 54, miracolato dopo un anno di Via Crucis e due senza Davis. Affatto giganti in sicurezza e tenuta psico-fisica, ma guidano la nazionale più alta: 2.08 Ivo, 1.95 Mario (più 1.96 Cilic, 1.90 Cerovic). Guastafeste Sui campi duri, Seppi, «figlio» di Massimo Sartori (a Caldaro), ha bruciato Blake e Hewitt nel 2006, Baghdatis e Ljubicìc nel 2007, ancora Hewitt e anche Nadal quest’anno, sempre con accoppiate di un torneo: «La continuità arriverà, intanto sono più sicuro dell’anno scorso, perché ho cominciato meglio la stagione. Allora, con Israele, eravamo favoriti e andò male, stavolta loro sono forti, ma qui si può giocare anche da fondo». Bolelli, da due anni con Claudio Pistoiesi (a Roma), si accende sul cemento di Miami, dove l’anno scorso ha sorpreso Monfils e Tursunov, e quest’anno Kohlschreiber, sfiorando il colpo con Davydenko (4 del mondo, poi vincitore del torneo): «La continuità arriverà con il lavoro, intanto sono più sereno che con Israele, non pagherò lo scotto dell’esordio in Davis. Vedo due partite aperte, cerchiamo il 2-0, e poi ce la giochiamo col doppio». Talento «Finalmente siamo una squadra competitiva per tutti e su tutte le superfici, e non siamo mai chiusi nel pronostico. Siamo in forma e possiamo battere chiunque. Anche se, vincendo in Croazia, faremmo una mezza sorpresa, contro i campioni di coppa Davis di 3 anni fa», gongola capitan Corrado Barazzuttì. Mentre il collega Prpic azzarda: «Bolelli l’ho visto migliorare di torneo in torneo, ma Seppi è più pericoloso, per l’esperienza e peri il gioco». Seppi che, potendo, ruberebbe al compagno di squadra: «II dritto e i capelli». Mentre Bolelli toglierebbe ad Andreas: «La riposta, risponde come un treno».


Seppi&Bolelli, esame in aula magna

(Due caratteri diversi pronti a stupire)

Stefano Semeraro, la stampa del 11-04-08

Claudio Pistoiesi, coach di Simone Bolelli, ieri osservava divertito la palestrona scrausa (1200 posti) della Sportska Dvorana di Dubrovnik, rivestita di pannelloni lignei, decorata di alloro caro a San Biagio, il patrono locale, consacrata da oggi al match di Coppa Davis fra Italia e Croazia. «Pare l’aula magna di un liceo. Domani ci facciamo l’assemblea». Si, una sede dimessa - Zagabria ci ha snobbato, Spalato per ripicca si è tirata fuori, è rimasta l’antica Ragusa -, ma in fondo non disadatta per un esame di riparazione. I due candidati sono il nostro numero uno e due, An dreas Seppi e Simone Bolelli, in debito formativo dall’incontro perso contro Israele l’anno scorso. La Croazia non è un esaminatore banale. Vincitori della Davis nel 2005 con la Slovacchia, i nostri dirimpettai adriatici hanno perso Ljubicic, ma recuperato Ancic, bloccato a lungo dalla mononucleosi, e inserito Ivo Karlovic, 207 centimetri e un servizio terrificante, nella squadra più alta del mondo (Ancic e Cilic sono 1,96). Restano favoriti, anche se tesi per la scarsa vena di «Doctor Ivo», e per la superficie, il sintetico rukhort, meno veloce del previsto perché installata su una soffice base in pvc. Bolelli e Seppi, però, negli ultimi mesi si sono applicati. Bolelli nel 2008 è arrivato in semifinale a Zagabria, scalpando Cilic, e al terzo turno a Miami sfiorando il colpaccio con Davydenko, Seppi si è preso il challenger di Bergamo, anche in doppio proprio con Bolelli; ha battuto Hewitt e Nadal a Rotterdam. Tutti bei voti rimediati indoor, e sul veloce. «Finalmente abbiamo una squadra competitiva su tutte le superfici», gongola il capitano Barazzutti. «Loro sono fortissimi, ma nessun match è chiuso, noi possiamo diventare un osso duro per chiunque». Tocca dunque ad Andreas e al «Bole», gemelli diversi del nostro tennis. Educati, seri. Bravi ragazzi. «Anche se qualche volta sbrecchiamo», puntualizza Simone. «Io in allenamento», aggiunge Seppi, «Io in partita: un paio di racchette l’anno le spacco», ammette Simone. Seppi è di Caldaro, dintorni di Bolzano, Bolelli di Castenaso, alle porte di Bologna. Seppi più regolarista, Bolelli più esplosivo, si trovano bene in doppio e d’accordo sulla superficie preferita: «Indoor». Si stanno simpatici, forse anche perché Andreas preferisce le bionde («Angelina Jolie, potendo»), Simone le more «La Canalis mi fa morire». Uno ama sciare, l’altro pescare; uno tifa Milan, l’altro Juventus. «Lui ascolta musica da tamarro, quella che fa punz punz», ride Simone. «E guarda i film horror, che io detesto. Per il resto fra di noi c’è feeling. Siamo migliorati. Meritiamo fiducia». Potrebbero giocare anche in doppio, visto che il duo Cipolla-Starace indicato da Barazzutti è modificabilissimo. Sta a loro portarci verso l’eventuale play-off di settembre per la Serie A, da cui manchiamo dal 2000. Una sconfitta contro la Croazia ci dannerebbe invece a uno spareggio da paura per evitare la C contro la perdente fra Olanda e Lettonia. Un esame per ripetenti. Possibilmente da evitare.

Dal Web

Salto in Alto
(Intervista a Simone Bolelli prima di scendere in Campo contro la Croazia)
Riccardo Bisti, www.tennisbest.com

E’ quello a cui è chiamato Simone Bolelli, 22 anni, magari a partire da domani a Dubrovnik. Un ragazzo con la testa sulle spalle, umile ed educato. “Ma non dite che non ho grinta!”. Dopo aver baciato il Lazio di Panatta e la Toscana di Bertolucci, il gene del talento tennistico deve aver preso in simpatia Bologna e la sua gente. Da una trentina d’anni si è fermato da quelle parti, e si è insinuato nel braccio di Paolo Canè prima e di Omar Camporese poi. Sia pur regalandoci sprazzi di tennis sopraffino, entrambi avrebbero potuto salire più in alto. Ma il gene non si è arreso, e dal momento che non c’è due senza tre, ha deciso di dare un’altra possibilità ad un bolognese. Perché quando vedi giocare Simone Bolelli capisci subito che nel suo braccio destro c’è qualcosa di speciale. L’investimento, tanto impegnativo quanto autorevole, è arrivato da uno che di talento se ne intende: Paolo Bertolucci. Impegnato in telecronaca durante lo scorso torneo di Wimbledon, l’ex Pasta Kid fu chiamato a commentare Bolelli-Hewitt. All’ennesimo rovescio affettato di Simone, naturalmente vincente, Bertolucci si fece scappare: “Questo rovescio ricorda quello di Rosewall!”. Paragone un po’ azzardato, ma utile per capire che il talento di Bolelli non si discute. E non è mai stato discusso, sin dai suoi primi passi nel professionismo. Ci è voluto qualche anno, tanti tornei minori e qualche passaggio a vuoto, ma alla fine Bolelli ha trovato il suo posto tra i primi 100 del mondo, e punta a salire sempre più in alto. E’ lui, insieme ad Andreas Seppi, la speranza del tennis italiano per l

9 Commenti a “Rassegna stampa di Maggio 08-Giugno 08: Adesso Gulbis ci spaventa davvero (Valesio). L’Atp rischia la bancarotta (Semeraro). Bellezza al potere (Valesio). La Sergio Tacchini passa ai cinesi per 27 milioni (Libero Mercato). Garbin sceglie Palermo per la svolta: «Ho bisogno di ritrovare la serenità» (Di Natale).”

  1. luca scrive:

    Circa le idee delle teste pensanti FIT, bisognerebbe appurare il Q.I. dell’attuale - non so se futuro - presidente Binaghi

  2. Vittorio scrive:

    Ciao scusatemi, grazie per la citazione in questa bella rassegna stampa, però l’indirizzo del blog non è http://www.blogitalia.it/leggi_blog.asp?id=22096 come erroneamente riportato ma http://tennis.sport-blog.it

    Grazie e complimenti

    Vittorio

  3. Margherita scrive:

    ho trovato su rogerfederer.com un’intervista che Roger ha rilasciato ad una radio americana dopo gli AO:

    http://www.wfan.com/topic/play_window.php?audioType=Episode&audioId=1385361

  4. Daniele Flavi scrive:

    Grazie per la precisazione vittorio, lo modifico al più presto….e grazie anche a margherita per la bella intervista di roger……

  5. marcos scrive:

    non ho mai visto csi, ma credo che il 12 marzo ci proverò!

  6. daniela scrive:

    La notizia che McEnroe allenerà Gasquet dovrebbe essere un pesce d’aprile del sito di mesntennis. Stratennis ci è cascato?
    http://www.menstennisforums.com/showthread.php?p=6822484

  7. Voortrekker Boer scrive:

    Non sono d’accordo, MonteCarlo nella versione 1000 potrà durare un anoo, forse due, Madrid ha già il suo posto e Roma il suo, MonteCarlo sinceramente è in più

  8. marcos scrive:

    voglio pubblicamente complimentarmi con michele fimiani per il suo primo articolo su l’unità: sono certo che l’antica testata, ora, venderà qualche copia in più!

    bravo!

  9. Michele Fimiani scrive:

    Ringrazio Marcos…e tutti coloro che anche privatamente mi hanno scritto per complimentarsi. La soddisfazione è stata davvero grande! Grazie però in particolare ad Ubaldo e Marco dell’Unità che mi hanno dato questa grande occasione. Grazie, davvero.

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