Contromano cambia indirizzo

12 Dicembre 2007

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Grazie ai Savoia si diventa repubblicani convinti

29 Novembre 2007

SONO un repubblicano, lo sono sempre stato, lo erano mio padre e mio nonno e il padre di mio nonno e sono indignato dalla scandalosa richiesta fatta dai Savoia, che vorrebbero quasi 300 milioni a risarcimento degli anni di esilio. Io ho sempre pensato che era un errore consentire loro di tornare e dopo questa pretesa, constato con mestizia che avevo ragione.
Clerici Ezio, Lodi

Risponde Giovanni Morandi:
CARO CLERICI, io credo invece che abbiamo fatto bene a farli rientrare in patria. Perché questa nostra Repubblica non naviga in buone acque, qualcuno si azzarda perfino a predire un futuro fosco, gravido di pericoli, dove presi dalla sfiducia saremmo perfino tentati di trasformarla se non in una monarchia in qualcosa che le assomigli, con reggenti di varia natura e foggia, più o meno autoritari.
Invece abbiamo la fortuna di averli in casa gli eredi al trono che non c’è, gli stessi che quando vanno a caccia sparano ad altezza d’uomo, gli stessi, che se li lasci soli cominciano a telefonare alle donnine per invitarle in albergo al canto di: “Un’ora sola ti vorrei!”, ma senza spendere troppo.
Per fortuna abbiamo questi eredi, che distribuiscono titoli nobiliari e onorifici purché senza ricevuta fiscale. Gli stessi, che prima piagnucolavano di voler rientrare in patria promettendo di essere cittadini irreprensibili e poi una volta arrivati tentano di portarsi a casa 260 milioni di euro accampando diritti, che non hanno. Ora, caro Clerici, invece di volerli cacciare, lei dovrebbe tenerseli buoni questi Savoia, perché anche se uno fosse monarchico, sconcertato dalle fesserie che fanno, diventa di sicuro un repubblicano arciconvinto come lei.

Veltroni e Berlusconi si scontreranno coi problemi del vecchio centrosinistra

28 Novembre 2007

Dal momento che in politica, da noi, ne abbiamo viste di tutti i colori, oggi che è domenica e abbiamo un po’ di tempo per pensare anche inutilmente, viene da chiederci a quale altro colore, che abbiamo eventualmente già visto, assomigli quello della settimana appena conclusa, nella quale Berlusconi ha annunciato la fine di Forza Italia e il suo rimpiazzo. Con tutto quel che ne consegue, a cominciare dalla possibilità di andare verso una grande coalizione Berlusconi-Veltroni grazie ad un invocato riedito sistema proporzionale che possa consentirla.
Sì, è vero, corriamo con la fantasia, perché non sarà così semplice né immediato, ma proviamo a immaginare e anche a riandare indietro nel tempo nella presunzione che la storia sappia essere maestra di vita e che magari si ripeta. E la storia di questa ipotizzata coalizione tra il nascituro partito di centro e quello neonato della sinistra mi porta a fare paralleli con la lontana, cara e provvidenziale età del centrosinistra e con le motivazioni che l’aprirono, quasi cinquanta anni fa, all’alba degli Anni Sessanta.
Anche allora alla svolta politica che portò i democristiani a imbarcare nel governo i socialisti di Nenni, si arrivò per fermare il malessere che serpeggiava nell’elettorato moderato. Il timore che si spostasse a sinistra convinse prima Merzagora, poi Fanfani e Moro a cambiare rotta. Manovra che non fu né facile né breve, tant’è che ci vollero alcuni anni per realizzarla, a causa delle diffidenze nel centrodestra e dell’opposizione della sinistra.
Sarà che la storia non si ripete, ma c’è qualcosa di analogo, almeno nel tipo di problemi, che non erano stati troppo diversi nemmeno per Cavour e Giolitti, quando si erano alleati ai moderati di sinistra per ammorbidire un’opposizione diventata pericolosa. Non che l’Italia di oggi sia la fotocopia di quella di ieri, ma, a ben guardare le motivazioni, si vedrà che le differenze tra i precedenti e l’attualità non sono poi così marcate. E anche se non mancano le buone ragioni per girare a sinistra davanti al nuovo bivio, non si creda che poi d’incanto tutti i problemi verrebbero risolti. Prendendo lezione dalla sorte che toccò al primo governo di centrosinistra formato nel 1963 dal paziente Moro, che durò solo pochi mesi, perché la sinistra al governo votò contro un provvedimento, che anche oggi divide: il finanziamento statale alle scuole private. E qui più che la solita storia di liti tra cattolici e laici, sembra una moviola.

Questioni di donne anche tra i politici?

24 Novembre 2007

Chi dice donna dice danno. Lo dimostrano le ultime vicende della nostra politica. Per colpa di Elisabetta Tulliani, la nuova compagna di Fini, si è allentata un’amicizia di lunga data, qual era quella tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. I grandi disordini spesso prendono origine dalla presenza di una donna e ricordo che anche Tangentopoli cominciò con le rivelazioni della moglie separata di Mario Chiesa. Vorrei sapere se è d’accordo con me.
Pasquale Maccari, Milano

RISPONDE GIOVANNI MORANDI: Mi dispiace, caro lettore, il suo teorema mi pare poco convincente. E se anche fosse vero che l’inchiesta su Mani Pulite fosse partita dalla vendetta di una donna, sarebbe un merito non una colpa dell’ ex moglie di Chiesa. Non faccio nemmeno parte di coloro che sostengono che le donne sono sempre vittime, qui le semplificazioni portano sempre a conclusioni fallaci. Ma non posso ignorare che all’origine della sua domanda ci sia una storia millenaria riconducibile alla tradizione biblica del frutto proibito. Nonostante che l’episodio del pomo sia stato variamente interpretato, giacché nella tradizione ebraica la disobbedienza a Dio non danna la prima coppia ma la santifica. Ma a mio parere anche la tradizione cristiana, che non è mai stata innocentista nei riguardi di Eva, avrebbe motivo di correggersi, perché la Genesi (2, 16-17) ci dice chiaramente che il divieto divino fu impartito quando ancora la donna non era stata creata. “Tu — dice Dio ad Adamo — puoi mangiare di ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai”. E qualche versetto dopo si annuncia la creazione di Eva, che dunque inconsapevole indusse l’avvertito. Questo anche per dire che non bisogna dare a Elisabetta quel che è di Silvio. O di Gianfranco.

Il Paese rovesciato

24 Novembre 2007

Se una volta si poteva condividere l’opinione di Kissinger quando sosteneva di non capire la politica italiana, a maggior ragione potremmo condividere oggi la stessa incomprensione per tutto il Paese, non solo per i politici.Non siamo più una nazione diversamente normale, che è un eufemismo troppo delicato per risultare adeguato.
Siamo un Paese rovesciato, per queste poche ma a me pare convincenti considerazioni. Come si fa a perdere tempo nel chiedere che siano messi in galera i lavavetri, che disturbano gli automobilisti ai semafori, ma non dimentichiamo la colpa, disturbano o al massimo importunano, mentre consideriamo normali le discussioni difensive di quei teppisti, che fuori o dentro gli stadi hanno gridato: «10-100-1000 Raciti», ovvero minacciato di morte gli agenti di polizia citando l’ispettore ucciso a Catania? C’è un capovolgimento della scala dei valori. Con il risultato che il poliziotto che ha sparato domenica scorsa finirà in galera e i teppisti ultrà, accusati di terrorismo, che si sono resi responsabili delle devastazioni, verranno assolti.
Facciamo di tutto per portare acqua al mulino dei cinici e degli scettici che sono convinti che non vale la pena essere persone per bene. E li alleviamo fin da piccoli. Così a Milano sono stati sospesi gli studenti di un istituto superiore per aver partecipato ad un corteo che fischiava il ministro Fioroni e però un’altra scuola si è limitata ad una punizione di soli 15 giorni per una studentessa che ha preso a schiaffi un professore.
Qual è la logica? Com’è possibile che il turpiloquio si sia svuotato di significato semantico grazie al suo uso corrente e allo stesso tempo la Corte di Cassazione condanni un dirigente che aveva gridato: «Ma che cosa c… fai?» ad un dipendente che non brillava per impegno?
A me pare tutto sbagliato come diceva il mio concittadino Gino Bartali, senza escludere un pensierino riservato ai sindacati Cgil, Cisl e Uil che sia pure sulla base di una decisione volontaria come il pagamento della tessera di adesione incassano un miliardo di euro l’anno in nome dei lavoratori da difendere dagli stipendi troppo bassi. E non mi pare troppo normale nemmeno che un orchestrale della Scala con oltre vent’anni di lavoro prenda 2 mila euro al mese, condizione che favorisce l’esodo dei migliori ma meno pazienti verso altre sponde.
E’ come se un genio dispettoso si fosse divertito a mettere tutto sottosopra, a scambiare il meglio col peggio, il giusto con l’errato. A fare una nuova Babele.