Archivio di Luglio 2007

Fanatismo in franchising, ecco l’identikit del nuovo terrore

Venerdì 27 Luglio 2007

UNA SORTA di franchising del terrore, che agisce con il marchio di Al Qaeda e non ha una struttura verticistica come il vecchio terrorismo, ma agisce con cellule sparse che si avvalgono della rete informativa web. E’ questo l’identikit del nuovo terrore, che minaccia l’Italia e non solo, o se vogliamo che minaccia non solo la Gran Bretagna ma anche l’Italia, secondo quanto ha riferito il nuovo capo della polizia Antonio Manganelli davanti alla commissione affari costituzionali della Camera. Una congrega di fanatici islamici, che sono cosa diversa dall’Islam in quanto religione ma che in quella fede alimentano il loro odio, un male sempre più infiltrato nella nostra società e sempre meno individuabile, perchè ha una diffusione nucleare non tentacolare. Da questo punto di vista, si desume da quel che ha detto Manganelli, la lotta al nuovo fondamentalismo è più complessa della lotta alla mafia, perchè questa ha una struttura a piovra, che è vulnerabile se si usa l’arma del pentitismo. Un nuovo terrorismo islamico, che si è scelto il marchio di qualità Al Qaeda, che è poco più che un marchio non riconducibile ad un capo o ad un comando militare generale, perché imita piuttosto le regole organizzative della grande distribuzione commerciale. Il nemico della società del consumismo occidentale che combatte gli infedeli non più con le sciabole ma con i file, che si trovano liberamente nella Rete e che consentono il franchising di cui si è detto. Se aggiungiamo a questi elementi, le avvertenze lanciate nei giorni scorsi dal capo del pool antiterrorismo di Milano, Armando Spataro, ce n’è abbastanza per preoccuparci. Spataro ha detto che «non è il caso di farci troppe illusioni, perché il fatto che finora non ci siano state bombe non significa che non potrebbero essercene. Pensiamo alla Spagna». A rovinarci del tutto la tranquillità delle vacanze contribuiscono i terroristi o pretendenti tali di casa nostra, visto il gran fermento che i nostri servizi segreti registrano in certi ambienti dell’ultransinistra a cui è presa una gran voglia di resuscitare le Brigate Rosse. E qui siamo al vintage classico.

Censuriamo anche il David perchè Michelangelo era un artista omosessuale?

Mercoledì 18 Luglio 2007

VISTO CHE il criterio segue l’induzione dei cattivi pensieri che un’opera può suscitare soprattutto se l’autore pratica l’amore uranista, che facciamo, censuriamo anche il David in considerazione dell’attrattiva che gli ignudi esercitavano su Michelangelo, così preso dalla sua omosessualità da essere scrittore e poeta ispirato dai suoi amati? Statua tanto più scandalosa, perché ispiratrice della bellezza ariana, scolpita nei marmi di Arno Backer, il prediletto di Hitler.
Appurato che Vittorio Sgarbi è davvero il più capace discepolo di Guy Debord che nelle barricate sessantottine intuitì la società dello spettacolo, basata su «ciò che appare è buono e ciò che è buono appare». E ottenuto il riprovevole risultato, c’è da augurarsi che la giunta di Letizia Moratti, che venerdì prossimo riesaminerà il caso della mostra censurata su “Arte e omosessualià”, ci ripensi e consenta a questa mostra senza storia, che ha già avuto dalla cronaca più di quanto potesse mai aspettarsi, possa essere aperta, alle condizioni inizialmente previste, ovvero con l’accesso consentito ai soli visitatori di maggiore età.
Salvo rare eccezioni come Luigi Serafini che nobilitano il catalogo, le altre opere presenti offrono ben poco alle attese dei visitatori, che speriamo possano vedere questa brutta mostra che si presenta con una ridicola classificazione delle tendenze sessuali. Evidente strumentalizzazione per dare visibilità a quadri che sono per la maggior parte pura provocazione come il titolo.
Altrimenti chi se la sarebbe filata una mostra così scadente? La questione è di principio, per non apparire come i persecutori medievali di Barbablù, che lo condannarono perché leggeva degli eccessi dei Cesari sui libri di Svetonio, ed evitando l’imbarazzo di dover censurare, per logica indotta, anche Botticelli, Raffaello, Leonardo da Vinci e Caravaggio, che erano omosessuali.

Milano vuole essere una città d’arte e sta imparando come si fa

Mercoledì 18 Luglio 2007

DALLA CATTEDRA di capitale economica ha insegnato all’Italia come si fa a lavorare e ora Milano sta cercando di imparare come si fa ad essere una città d’arte. Una risorsa di cui già dispone in abbondanza ma che non sempre utilizza al meglio.
E’ fuori discussione che questa sia la città più liberale che si possa immaginare, più libera, più tollerante, più ospitale, più curiosa, più intelligente, più aperta al nuovo, più bisognosa del nuovo, più attenta alle diversità, più nemica dell’indifferenza, più pronta alla solidarietà. Senza rinunciare ai suoi tratti caratteriali di severità, o per meglio dire di rigore, di rispetto dell’etica e delle fedi. Ma detto e riconosciuto questo, bisogna che coloro che rappresentano Milano non solo siano ma anche appaiano.
I più severi che da ieri transitano davanti all’ingresso sbarrato della mostra sull’arte omosessuale, allestita ma rimasta chiusa nel Palazzo della Ragione (sic) sono, mi ha detto il libraio della bancarella lì accanto, gli stranieri, che guardano con rimprovero quei cartelli che denunciano che la mostra è stata censurata. Se Sgarbi avesse fatto una passeggiata invece di farsi venire in mente questa mostra con questo titolo provocatorio, Arte e omosessualità, avrebbe fatto meglio. Anche perché che senso ha etichettare l’arte in base ai gusti sessuali? Ma una volta scelto, non si può tornare indietro e recitare la parte di quel bambino che nella “Guerra dei bottoni”, piagnucola: «Se sapevo non avrei venuto».
Ci piace comunque questa Milano imperfetta, che arranca nell’affrontare problemi epocali, come l’inquinamento, ma si infiamma attorno alle questioni dell’arte. E’ un buon segno. Rassicurati dal fatto che non c’è più l’Indice (credo), non ci sono più i roghi di libri, non ci sono più le foglie di fico da mettere davanti alle pudenda di marmo. Sebbene resti sempre da difendere il principio che l’arte, anche se è artucola, articoluccia o pseudo-arte non è censurabile. Nè da parte di tribunali, nè di politici, nè tanto più di assessori.