Milano vuole essere una città d’arte e sta imparando come si fa

DALLA CATTEDRA di capitale economica ha insegnato all’Italia come si fa a lavorare e ora Milano sta cercando di imparare come si fa ad essere una città d’arte. Una risorsa di cui già dispone in abbondanza ma che non sempre utilizza al meglio.
E’ fuori discussione che questa sia la città più liberale che si possa immaginare, più libera, più tollerante, più ospitale, più curiosa, più intelligente, più aperta al nuovo, più bisognosa del nuovo, più attenta alle diversità, più nemica dell’indifferenza, più pronta alla solidarietà. Senza rinunciare ai suoi tratti caratteriali di severità, o per meglio dire di rigore, di rispetto dell’etica e delle fedi. Ma detto e riconosciuto questo, bisogna che coloro che rappresentano Milano non solo siano ma anche appaiano.
I più severi che da ieri transitano davanti all’ingresso sbarrato della mostra sull’arte omosessuale, allestita ma rimasta chiusa nel Palazzo della Ragione (sic) sono, mi ha detto il libraio della bancarella lì accanto, gli stranieri, che guardano con rimprovero quei cartelli che denunciano che la mostra è stata censurata. Se Sgarbi avesse fatto una passeggiata invece di farsi venire in mente questa mostra con questo titolo provocatorio, Arte e omosessualità, avrebbe fatto meglio. Anche perché che senso ha etichettare l’arte in base ai gusti sessuali? Ma una volta scelto, non si può tornare indietro e recitare la parte di quel bambino che nella “Guerra dei bottoni”, piagnucola: «Se sapevo non avrei venuto».
Ci piace comunque questa Milano imperfetta, che arranca nell’affrontare problemi epocali, come l’inquinamento, ma si infiamma attorno alle questioni dell’arte. E’ un buon segno. Rassicurati dal fatto che non c’è più l’Indice (credo), non ci sono più i roghi di libri, non ci sono più le foglie di fico da mettere davanti alle pudenda di marmo. Sebbene resti sempre da difendere il principio che l’arte, anche se è artucola, articoluccia o pseudo-arte non è censurabile. Nè da parte di tribunali, nè di politici, nè tanto più di assessori.

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