Il Paese rovesciato

Se una volta si poteva condividere l’opinione di Kissinger quando sosteneva di non capire la politica italiana, a maggior ragione potremmo condividere oggi la stessa incomprensione per tutto il Paese, non solo per i politici.Non siamo più una nazione diversamente normale, che è un eufemismo troppo delicato per risultare adeguato.
Siamo un Paese rovesciato, per queste poche ma a me pare convincenti considerazioni. Come si fa a perdere tempo nel chiedere che siano messi in galera i lavavetri, che disturbano gli automobilisti ai semafori, ma non dimentichiamo la colpa, disturbano o al massimo importunano, mentre consideriamo normali le discussioni difensive di quei teppisti, che fuori o dentro gli stadi hanno gridato: «10-100-1000 Raciti», ovvero minacciato di morte gli agenti di polizia citando l’ispettore ucciso a Catania? C’è un capovolgimento della scala dei valori. Con il risultato che il poliziotto che ha sparato domenica scorsa finirà in galera e i teppisti ultrà, accusati di terrorismo, che si sono resi responsabili delle devastazioni, verranno assolti.
Facciamo di tutto per portare acqua al mulino dei cinici e degli scettici che sono convinti che non vale la pena essere persone per bene. E li alleviamo fin da piccoli. Così a Milano sono stati sospesi gli studenti di un istituto superiore per aver partecipato ad un corteo che fischiava il ministro Fioroni e però un’altra scuola si è limitata ad una punizione di soli 15 giorni per una studentessa che ha preso a schiaffi un professore.
Qual è la logica? Com’è possibile che il turpiloquio si sia svuotato di significato semantico grazie al suo uso corrente e allo stesso tempo la Corte di Cassazione condanni un dirigente che aveva gridato: «Ma che cosa c… fai?» ad un dipendente che non brillava per impegno?
A me pare tutto sbagliato come diceva il mio concittadino Gino Bartali, senza escludere un pensierino riservato ai sindacati Cgil, Cisl e Uil che sia pure sulla base di una decisione volontaria come il pagamento della tessera di adesione incassano un miliardo di euro l’anno in nome dei lavoratori da difendere dagli stipendi troppo bassi. E non mi pare troppo normale nemmeno che un orchestrale della Scala con oltre vent’anni di lavoro prenda 2 mila euro al mese, condizione che favorisce l’esodo dei migliori ma meno pazienti verso altre sponde.
E’ come se un genio dispettoso si fosse divertito a mettere tutto sottosopra, a scambiare il meglio col peggio, il giusto con l’errato. A fare una nuova Babele.

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