Di Pietro, Tangentopoli e i magistrati di oggi visti come palle al piede

AVREI VOLUTO fare un ritratto di Antonio Di Pietro, che ho seguito e perseguitato con la penna, quando era la star di Mani Pulite e poi candidato della sinistra nel Mugello contro Giuliano Ferrara, a cui non negavo le simpatie. Volevo fargli un ritratto, perché visto da lontano, con più distacco e forse con maggiore nitidezza, ora che non è più una Madonna, come allora lo chiamavano i suoi colleghi invidiosi, mi pare molto cambiato in meglio. Più concreto, più positivo, con la voglia di fare, di realizzare, così almeno mi appare come ministro per le infrastrutture, anche se, dopo la conversazione che ho avuto nella sede dell’Italia dei Valori di Milano, capisco che non gli è passata la voglia di fare il ministro della giustizia ed è più interessato alle problematiche del diritto che a quelle dell’ingegneria stradale. Ma poiché tra tanti ministri inutili è uno dei pochi che ha portato a casa risultati, se non il solo che si sia dato daffare per migliorare le infrastrutture («Da meridionale dico che l’emergenza infrastrutture è al nord») allora gli va riconosciuto un merito ancora maggiore, perché derivante più che da un’attitudine, da un concreto impegno.
Quando entro nel saloncino, che lui usa anche come ufficio, mi strappa il giornale di mano e comincia a sventolarlo, ripetendo l’allegra cantilena: «Vogliamo dirlo sì o no, sì o no? Vogliamo dirlo sì o no?!». Diciamolo. «Ma lei lo sa — mi racconta — che la mia storia investigativa è nata con Il Giorno? Il buon Nino Leoni fece un articolo sul Pio Albergo Trivulzio, che fu querelato da Mario Chiesa e per verificare se quella querela era motivata o no, io misi sotto controllo il telefono di Chiesa. Era il 1991. Fu da quell’episodio che nacque Tangentopoli. Onore a Il Giorno!».
Nulla è più come allora, mi dice, a parte la reazione dei politici e dei potenti, che finiscono nei guai e che diventano furibondi come gli indagati di Mani Pulite. Ma tutto è diverso. «Noi venivamo visti come una speranza — conclude Tonino — i magistrati di oggi come palle al piede».

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