Archivio di Giugno 2007

La sinistra che non sa cambiare

Mercoledì 27 Giugno 2007

PRODI ha ragione a sentirsi archiviato e ad essere adirato per come è stata costruita la candidatura di Veltroni alla guida del Pd, ma non dovrebbe sorprendersi dei metodi. La sinistra italiana non ha mai brillato per gratitudine e memoria. L’aver scelto Torino come città dove dare il grande annuncio è stato associato al sindaco Chiamparino, spiegato come risposta alle ampolle d’acqua padana di Bossi, perfino abbinato al business delle Olimpiadi invernali. Completamente ignorato il particolare che Torino è la città dove si è affermata la cultura politica di un signore che si chiamava Antonio Gramsci coniugata al liberalismo di Gobetti. Non avrebbe ragione Gramsci ad adirarsi nel veder preferire Chiamparino, come argomento da accostare al gran passo di Veltroni?
Sui metodi, poi, stendiamo un velo pietoso. Mi sono capitate tra le mani alcune lettere che Romano Bilenchi scrisse a Elio Vittorini dopo la vicenda de “Il Nuovo Corriere”, il giornale di sinistra che fu chiuso per il solo fatto che il direttore Bilenchi aveva difeso gli operai di Poznan, che nel giugno del ’56 si erano ribellati al regime comunista. Il Pci chiuse il giornale nel giro di un mese, lo fece mentre Bilenchi era in ferie e scaricò sullo stesso Bilenchi la responsabilità della chiusura, in seguito alla quale tutti i dipendenti si trovarono per strada da un giorno alll’altro. Prodi non è Bilenchi ma nel ripensare a quella porcheria si giunge a due conclusioni: 1)che i mali della sinistra italiana sono sempre i soliti, più democrazia nelle parole che nei fatti; 2)in fondo la sinistra di oggi non è peggiore di quella di ieri.
Sempre altalenante tra depressioni e ottimismi, come quelli che oggi si leggono nelle parole del designato e che partono dal dogma che il futuro è sempre migliore del passato: da qui la facile amnesia. «Non sono mai stato comunista», disse Veltroni. «Mi candido per rompere col passato», dice oggi.
Scriveva amaro Bilenchi all’amico Vittorini, che gli aveva proposto di rientrare in politica: «Io non credo a questi partiti: il Pci, il Psi, il Psdi sono sputtanati, sputtanatissimi. Io penso che noi dovremmo se mai agire perché si formi un partito di sinistra più moderno, democratico, per vedere di rimediare a questa ignobile baracca». Provate a cambiare le sigle e a dimenticare che questa è un’opinione di 50 anni fa.

MANIGOLDI E MANI LEGATE

Martedì 26 Giugno 2007

PROVATE A trovare un altro paese al mondo, che si ritrova con i collegamenti ferroviari paralizzati, perché un gruppetto di passeggeri non vuol pagare il biglietto. L’Italia divisa in due non per le solite vertenze sindacali, ma perché sul treno Salerno-Milano il capotreno pretendeva che i viaggiatori avessero un regolare biglietto. Peggio. Come hanno raccontato i contestatori, il controllore ha perfino osato disturbarli mentre dormivano. Quanti erano? Un centinaio. Più o meno la stessa cifra, che moltiplicata per milioni indica i danni che hanno provocato. E chi risarcisce i danneggiati? Migliaia di persone costrette a ricorrere all’aereo o al noleggio auto o ad altri mille espedienti mentre quel centinaio di prepotenti se ne stavano indisturbati a bloccare il traffico della stazione Tiburtina. Non capivano, i contestatori, per quale motivo altre volte, da mesi, anche se trovati senza biglietto il ferroviere chiudeva un occhio e questa volta invece no.

LA STORIA è andata avanti dalle 4 del mattino fino a tutta la mattinata, ma il traffico ferroviario è rimasto sconvolto anche nel resto della giornata, tanto per far un esempio a metà pomeriggio c’erano ancora treni che avevano 6 ore di ritardo. E per quanto strano possa sembrare nessuno, dicesi nessuno, ha convinto con le buone o le cattive quei manigoldi a togliersi dai binari. La polizia, sì, c’era alla stazione Tiburtina ma è rimasta a guardare. Tutti in assetto antisommossa ma disarmati dell’unica arma regolamentare che avrebbero dovuto avere: l’ordine di prendere ad uno ad uno quegli individui e trascinarli via da là. Perché nessuno ha dato quell’ordine? Perché si è consentito che si provocasse un danno così grave? Perché siamo l’unico paese al mondo in cui ci sono forze politiche che pur di racimolare qualche voto non chiamano mascalzoni i mascalzoni ma li chiamano lavoratori che chiedono il biglietto equo? Perché non c’è un governo che assicuri queste elementari regole della convivenza?

Il centrodestra espugna la Lombardia rossa

Martedì 12 Giugno 2007

SI DIRÀ che la Lombardia non è l’Italia, e allora prendiamo i risultati nazionali. 20 a 10, ovvero 20 comuni capoluogo andati al centrodestra contro 10 al centrosinistra vi sembrano pochi?
L’Unione si consola con Genova, tralasciando com’è giusto quel risicato 51,4 per cento in una città che ha sempre visto grandi numeri a sinistra. In politica poichè uno più uno non fa mai due, non fa quasi mai, è consentito disquisire sul fatto se una batosta così sia stata o no una spallata al governo Prodi, ma non ci sono argomenti consolatori capaci di far tornare il sorriso sul volto di Franco Mirabelli, segretario della federazione milanese dei Democratici di sinistra, che ha lucidamente detto: “E’ un risultato negativo, nonostante la vittoria a Cernusco sul Naviglio, che conferma la crisi acuta del rapporto tra il governo di centrosinistra e questa parte del Paese”.
Il ballottaggio si è concluso con un 8 a 1, dove quell’uno, senza nulla togliere al merito del vincitore e senza voler rovinargli la festa, è stato un autogol, perché a Cernusco, comune dell’hinterland milanese, il candidato di centrodestra Cassamagnaghi non stava simpatico al segretario della Lega e per non votarlo ha invitato i suoi ad andare al mare, consiglio che hanno seguito. Concedendo così al centrosinistra la non poca soddisfazione di conquistare un comune sempre stato storicamente bianco. Il controdestra ha però di che consolarsi perché al ribaltone di Cernusco risponde con due ribaltoni in altri due comuni dell’ex cintura rossa milanese, San Donato e Garbagnate. Concludendo con un risultato di questo tipo: nella fascia dei comuni rossi attorno alla Madonnina prima di questo voto il rapporto tra destra e sinistra era di 2 a 11 e ora è di 7 comuni al centrodestra e 6 al centrosinistra.
Muta la geografia politica milanese ed è una svolta che taglia radici storiche. Per fortuna del presidente di sinistra alla provincia milanese, Filippo Penati, le elezioni sono lontane e da qui al 2009 il vento può cambiare. Anche se per la sinistra non è un problema di vento ma di timonieri.