Archivio di Ottobre 2007

Di Pietro, Tangentopoli e i magistrati di oggi visti come palle al piede

Martedì 23 Ottobre 2007

AVREI VOLUTO fare un ritratto di Antonio Di Pietro, che ho seguito e perseguitato con la penna, quando era la star di Mani Pulite e poi candidato della sinistra nel Mugello contro Giuliano Ferrara, a cui non negavo le simpatie. Volevo fargli un ritratto, perché visto da lontano, con più distacco e forse con maggiore nitidezza, ora che non è più una Madonna, come allora lo chiamavano i suoi colleghi invidiosi, mi pare molto cambiato in meglio. Più concreto, più positivo, con la voglia di fare, di realizzare, così almeno mi appare come ministro per le infrastrutture, anche se, dopo la conversazione che ho avuto nella sede dell’Italia dei Valori di Milano, capisco che non gli è passata la voglia di fare il ministro della giustizia ed è più interessato alle problematiche del diritto che a quelle dell’ingegneria stradale. Ma poiché tra tanti ministri inutili è uno dei pochi che ha portato a casa risultati, se non il solo che si sia dato daffare per migliorare le infrastrutture («Da meridionale dico che l’emergenza infrastrutture è al nord») allora gli va riconosciuto un merito ancora maggiore, perché derivante più che da un’attitudine, da un concreto impegno.
Quando entro nel saloncino, che lui usa anche come ufficio, mi strappa il giornale di mano e comincia a sventolarlo, ripetendo l’allegra cantilena: «Vogliamo dirlo sì o no, sì o no? Vogliamo dirlo sì o no?!». Diciamolo. «Ma lei lo sa — mi racconta — che la mia storia investigativa è nata con Il Giorno? Il buon Nino Leoni fece un articolo sul Pio Albergo Trivulzio, che fu querelato da Mario Chiesa e per verificare se quella querela era motivata o no, io misi sotto controllo il telefono di Chiesa. Era il 1991. Fu da quell’episodio che nacque Tangentopoli. Onore a Il Giorno!».
Nulla è più come allora, mi dice, a parte la reazione dei politici e dei potenti, che finiscono nei guai e che diventano furibondi come gli indagati di Mani Pulite. Ma tutto è diverso. «Noi venivamo visti come una speranza — conclude Tonino — i magistrati di oggi come palle al piede».

Expo, turchi uniti mentre noi litighiamo

Martedì 23 Ottobre 2007

DUELLO FRA GENI. Milano, la città di Leonardo da Vinci contro la turca Smirne (o Izmir), presunta città natale di Omero. Dicono che il sindaco Moratti sia un po’ sola nel sostenere la candidatura di Milano all’Expo 2015. I suoi avversari e anche qualche suo amico sperano in una bocciatura. «Tanto ci guadagnerebbero sempre i soliti quattro». Chi siano non lo dice. Per sostenere la causa di Smirne, come sede della grande esposizione internazionale, nella tradizione di quella che eresse la Torre Eiffel —, il premier turco Erdogan si è trasferito con una mezza dozzina di ministri, tutti del partito islamico di destra, in casa del sindaco di Izmir, che è laico e di sinistra. Là tutti per uno. Qua tutti contro tutti. Cose da turchi.

LEGGENDE METROPOLITANE. Sono arrivati i sette ispettori del Bureau International des Exposition, che dovranno dare il voto a Milano, prima del verdetto definitivo dei delegati degli Stati del mondo, previsto per marzo 2008. In città sembra facciano le pulizie di Pasqua. Puliscono le strade, i muri, nei cestini per rifiuti ci si potrebbe mangiare tanto sono lindi. Dicono siano state costituite pattuglie volanti di ghisa, che fermeranno il traffico d’intralcio lungo le strade dove passeranno le auto degli ispettori, in modo che abbiano l’impressione che anche la circolazione stradale funziona a Milano. Poi domani sera potremo assistere alla visione virtuale dei grattacieli che saranno costruiti, se Milano vincerà la gara per l’Expo. Viene in mente quando Pietro il Grande viaggiava per la Russia e i ras locali costruivano villaggi finti, come quelli di Cinecittà, perché lo zar pensasse che il suo regno era disseminato di paesi belli, nuovi e ridenti. Ma i grattacieli fatti col laser non sono inganni. Solo proiezioni di una speranza.

È TRADIZIONE. Tutti i partiti importanti, quasi tutti, sono stati battezzati a Milano. La Dc rinata in casa Falck, non parliamo dei socialisti, Mussolini vi fece le prime marcette. La Costituente del nuovo partito democratico non poteva che riunirsi nel capoluogo della Lombardia, come programmato per fine mese. L’unico partito che ha origini terroncielle, nonostante si pensi sia nato ad Arcore, è Forza Italia, che in realtà è originario di Benevento, dove fu un movimento neofascista del dopoguerra. La spia Norman Lewis scrisse in un rapporto: «E’ guidato da un tipo che si crede Garibaldi e non è un partito pericoloso». Ma non dicevano che si crede Napoleone?

Intervista a Di Pietro: “Mastella? Ha fatto una porcata”

Martedì 23 Ottobre 2007

ATTAPIRATO Di Pietro, perché Mastella lo ha chiamato «un analfabeta del diritto?» Neanche un po’. Valerio Staffelli e quelli di Striscia lo aspettano sul marciapiedi e gli consegnano il tapiro. E lui: «Lo darò a Mastella. Se fosse stato il ministro della giustizia del governo Berlusconi a chiedere il trasferimento del magistrato che lo stava indagando ci sarebbe stata una rivolta. Oggi invece passa il tentativo di mettere il bavaglio e di deligittimare quel magistrato», chiosa l’ex pm in questa intervista in cui parla da Guardasigilli. Di un governo che non c’è e che lui immagina con metà dei ministri di oggi.
L’inchiesta tolta a De Magistris: brutta storia. Come uscirne?
Di Pietro indica una via di fuga teoricamente possibile. «L’avocazione è un fatto tecnico. In questo caso c’è la facoltà del procuratore generale di avocare a sé le indagini. Non è un obbligo, è un fatto di valutazione di opportunità. Io rispetto le decisioni della magistratura. E come rispetto il diritto-dovere del magistrato De Magistris di iscrivere nel registro degli indagati il presidente del Consiglio o il ministro della Giustizia, rispetto il provvedimento della procura generale. Ma ciò che reputo grave è quel che ha determinato la decisione di quella procura generale».
Che cosa?
«L’ha determinata il fatto che, mentre un magistrato indaga sul presidente del Consiglio, ministro della Giustizia e tanti altri personaggi, il ministro della Giustizia attiva una procedura di trasferimento immediato di quel magistrato per incompatibilità ambientale. Così da una parte un magistrato indaga su persone di governo e dall’altra parte queste persone di governo, utilizzando i loro poteri, indagano su di lui. E’ una situazione di conflitto, ma chi ha provocato questo conflitto?».
Che cosa c’entrano i poteri occulti di cui parla De Magistris?
«Io mi sono sempre comportato come San Tommaso, se non vedo non credo. La parola poteri occulti vuol dire tutto e niente. Potremmo ricorrere alla parola usata da Calderoli: è stata una porcata».
Lei ha chiesto un intervento di Prodi sul caso Mastella. Quale decisione dovrebbe prendere?
«Ho chiesto l’intervento di Prodi, o meglio del governo e del parlamento, prescindendo dal caso di specie, perché ormai la frittata è fatta, ed è difficile tornare indietro, anche se un meccanismo c’è, ma richiede tanta di quella umiltà, che la vedo difficile».
Qual è il passo?
«Il ritiro della richiesta di trasferimento da parte del ministro della Giustizia, per non dare l’impressione di voler togliere le indagini».
Non sarebbe una decisione tardiva?
«No, tecnicamente è possibile la revoca di un atto amministrativo. Ma la vedo difficile, se non impossibile conoscendo le capetoste, l’alterigia e l’arroganza dei soggetti protagonisti».
Sta parlando di Mastella?
«Anche. Ma direi di tutta la classe politica in generale. Ma non è tutto».
Che cosa?
«Venuta a mancare la richiesta di trasferimento, il procuratore generale che sta per essere nominato a Catanzaro, e quindi soggetto diverso dall’avvocato generale dello Stato che nella veste di facente funzioni in modo precipitoso ha provveduto a fare quell’avocazione, potrebbe revocarla. E De Magistris potrebbe continuare il proprio lavoro. Ma mi rendo conto di avere dato una risposta accademica».
Con quale accademico risultato?
«Che il politico potrebbe dimostrare di saper fermarsi quando entra in gioco lo Stato di diritto».
Lei ha chiesto al governo di aprire il quaderno giustizia. Che vuol dire?
«Che si faccia una discussione sulla politica giudiziaria, che vogliamo attuare. Chiedo un disegno di legge sulla riforma del codice penale sostanziale e di procedura penale, che riduca il numero dei reati a quelli ad alto allarme sociale, che dia certezza della pena, che riduca i tempi processuali, che ridefinisca i gradi di giudizio, che anticipi la pena anche dopo il primo grado di giudizio, che preveda un piano di edilizia carceraria. Queste e molte altre cose».
Sembra il programma del Guardasigilli. E’ stata una scelta sbagliata affidare il ministero della giustizia a Mastella?
«Non spetta a me giudicare. Ma mi spetta richiamare il governo all’assunzione di una responsabilità collettiva. Non si può banalizzare dicendo: lite Di Pietro Mastella».
Mastella l’ha insulta.
«Mi accusa di fatti, che riguardano vicende private, come la storia della Mercedes, per le quali sono stato già processato. Processi che si sono conclusi nel ’95, ’96 non solo con il mio proscioglimento ma anche con la condanna dei miei diffamatori».
E se Prodi non le rispondesse?
«Se non daremo una risposta rischiamo di andare tutti a casa. Tra poco ci prenderanno a sputi in faccia».
A primavera si andrà a votare?
«Non dipenderà da una strategia ma da un terno al lotto. Dovuto anche al fatto che al Senato, un parlamentare vale più di un partito di maggioranza. Tutto dipende dalla monetina come cade per terra».
Siamo alla casualità, nemmeno più alla navigazione a vista?
«Fossi io presidente del Consiglio procederei ad una ristrutturazione o rimpasto del governo con una riduzione di almeno 10 ministri su 25».
Quali abolirebbe?
«Il mio per primo. E abolirei anche 50, 60 sottosegretari, perché prevedere 102 sottosegretari solo per dare un posto a quelli che sono stati trombati non è un atto di trasparenza politica».
Alla fine dà l’impressione di ritenere inevitabile che si vada alle urne.
«Io però, fossi Prodi, li farei questi tagli».
E i ministeri da tagliare?
«Bisogna ridistribuire le deleghe, che oggi sono date a più ministeri, solo per accontentare più partiti. Prenda la solidarietà, spetta al ministero delle pari opportunità, della famiglia, delle politiche giovanili, della solidarietà, del lavoro. Cinque ministeri, troppe duplicazioni di funzioni».
Dove va Di Pietro? A destra o sinistra?
«Il centrodestra per me sta dall’altra parte».
Grillo, è già passato come fenomeno?
«Ognuno di noi ha il suo tempo. Ma ha un grande merito ancora attuale: aver segnalato l’esistenza di un’informazione alternativa, di aver contribuito al risveglio della voglia di fare politica. E di aver fatto dialogare istituzioni e opinione pubblica».

Le lacrime di Occhetto e l’euforia per il Pd

Martedì 16 Ottobre 2007

MI SEMBRANO più comprensibili le lacrime che versò Achille Occhetto quando sciolse il Pci che l’euforia di Veltroni, che fonda il Pd, seppellendo (definitivamente?) il suo passato. Che ci sarà da ridere? Uomini e donne che hanno creduto nel comunismo, che era una fede, in sedici anni, da quel 3 febbraio 1991 alla Bolognina, hanno visto cambiare quattro volte il nome del partito, Pci, Pds, poi via la parola partito, perché troppo leninista, solo Ds, e ora Pd. Da «il partito deve decidere tutto» siamo arrivati ai candidati-gladiatori, che si batteranno oggi nell’arena delle primarie. Sono manager, industriali, professionisti. E gli operai? Che il funerale, anzi, che lo spettacolo inizi.

«ME CIAMI BRAMBILLA e fu l’uperari/ Lavori la ghisa per pochi denari/ e non ho in tasca mai/ la lira per poter fare un ballo con lei/ mi piace il lavoro/ ma non son contento/ non è per i soldi che io mi lamento/ ma per questa gioventù/ c’avrei giurato che mi avrebbe dato di più.». Chi se la ricorda? E’ la famosa ballata pacifista scritta dal mitico Enrico Maria Papes per I Giganti, che con questa canzone parteciparono al Festival di Sanremo nel 1964. Si chiama «Mettete dei fiori nei vostri cannoni». A furia di dire che i figli sono bamboccioni e che i padri sessantottini, come rimpiange D’Alema, erano di altra pasta, sono stati accontentati. Gli studenti dei cortei di venerdì cantavano: «Mettiamo Fioroni
nei nostri cannoni».

«I MILANESI sono coglioni come poca gente al mondo», scriveva ad un amico Luciano Bianciardi nel 1954. Chissà se lo sono ancora un po’. La Milano che trovò il maremmano un po’ assomiglia a quella di oggi, perché c’era un gran fermento culturale oltreché economico. Il paese stava andando verso il boom e la città guidò la marcia del riscatto dalle miserie vissute. Anche allora Milano ce l’aveva con i fannulloni e perfino Bianciardi fu licenziato dalla Feltrinelli per scarso rendimento. La libertà dagli orari d’ufficio gli consentì di diventare uno scrittore famoso. Ha ragione Mario Cervi, quando scrive nella prefazione a «Il clan dei milanesi»: «Viva Milano. Ci si lamenta, ci si lamenta, ma poi tutti ci vengono se vogliono far carriera per merito. Se vogliono farla per raccomandazione vanno a Roma».

La paura di essere soli

Martedì 16 Ottobre 2007

AI TEMPI di Mani Pulite lo scandalo era se non si vedevano i magistrati in tv, oggi se qualche volta vi appaiono. Questa è la prima differenza. Uno dei motivi che deve avere indotto il giudice Clementina Forleo a partecipare con Luigi De Magistris ad Annozero di Santoro, va ricercata in un’immagine che ho stampata in testa. Un pomeriggio passeggiavo in una via di Milano e me la sono trovata davanti in mezzo alla folla, con un fascio di carte in una mano e il cellulare nell’altra. Senza scorta, lei tranquilla, ma per chi l’ha riconosciuta terribilmente sola, vulnerabile, priva di quel guerriero apparato protettivo, che difendeva il pool di Mani Pulite e che correda oggi il passaggio di tanti potenti vanitosi. Questa è la seconda differenza tra oggi e allora. Ho cercato di parlare con qualcuno del vecchio pool e non li ho trovati al massimo della disponibilità. Preferiscono tacere. Questa è la terza differenza. Il più chiaro di tutti è Francesco Borrelli, che fu potente procuratore capo ai tempi di Di Pietro e che si è chiesto dove sia lo scandalo se Forleo e De Magistris sono andati in televisione. Se sono andati a cercarsi compagnia, a cercare solidarietà, è normale dal momento che entrambi capiscono che è la loro solitudine l’elemento di debolezza del loro operare e del loro voler non fermarsi di fronte alle pressioni. Non ci sono state pressioni? Ma per favore, andate a raccontarlo da un’altra parte.

HA DETTO Borrelli, che era l’idolo dei giustizialisti e ora non più: «Non trovo sbagliato che i magistrati vadano in tv». Ai suoi tempi, dal suo ufficio, quelli del pool lanciarono perfino un ultimatum al governo Berlusconi, figuriamoci se l’ex magistrato può pensarla in modo diverso. Disse Di Pietro a nome del pool: o il governo ritira il decreto Biondi o ci dimettiamo. E fu ritirato il decreto. Inutile fare gli ipocriti: l’opinione pubblica ha un peso, chi è tanto Don Chisciotte da rinunciarci? L’unica differenza sta nel fatto che i giustizialisti di ieri oggi sono diventati garantisti e i garantisti di ieri oggi sono giustialisti. E questa è la quarta differenza. Il ministro Mastella ha detto: «Beata la giustizia che non ha bisogno di eroi». Potremmo dire: beata la giustizia che non è giusta solo quando arresta i tuoi nemici. E qui non c’è nessuna differenza tra ieri e oggi.