Le lacrime di Occhetto e l’euforia per il Pd

MI SEMBRANO più comprensibili le lacrime che versò Achille Occhetto quando sciolse il Pci che l’euforia di Veltroni, che fonda il Pd, seppellendo (definitivamente?) il suo passato. Che ci sarà da ridere? Uomini e donne che hanno creduto nel comunismo, che era una fede, in sedici anni, da quel 3 febbraio 1991 alla Bolognina, hanno visto cambiare quattro volte il nome del partito, Pci, Pds, poi via la parola partito, perché troppo leninista, solo Ds, e ora Pd. Da «il partito deve decidere tutto» siamo arrivati ai candidati-gladiatori, che si batteranno oggi nell’arena delle primarie. Sono manager, industriali, professionisti. E gli operai? Che il funerale, anzi, che lo spettacolo inizi.

«ME CIAMI BRAMBILLA e fu l’uperari/ Lavori la ghisa per pochi denari/ e non ho in tasca mai/ la lira per poter fare un ballo con lei/ mi piace il lavoro/ ma non son contento/ non è per i soldi che io mi lamento/ ma per questa gioventù/ c’avrei giurato che mi avrebbe dato di più.». Chi se la ricorda? E’ la famosa ballata pacifista scritta dal mitico Enrico Maria Papes per I Giganti, che con questa canzone parteciparono al Festival di Sanremo nel 1964. Si chiama «Mettete dei fiori nei vostri cannoni». A furia di dire che i figli sono bamboccioni e che i padri sessantottini, come rimpiange D’Alema, erano di altra pasta, sono stati accontentati. Gli studenti dei cortei di venerdì cantavano: «Mettiamo Fioroni
nei nostri cannoni».

«I MILANESI sono coglioni come poca gente al mondo», scriveva ad un amico Luciano Bianciardi nel 1954. Chissà se lo sono ancora un po’. La Milano che trovò il maremmano un po’ assomiglia a quella di oggi, perché c’era un gran fermento culturale oltreché economico. Il paese stava andando verso il boom e la città guidò la marcia del riscatto dalle miserie vissute. Anche allora Milano ce l’aveva con i fannulloni e perfino Bianciardi fu licenziato dalla Feltrinelli per scarso rendimento. La libertà dagli orari d’ufficio gli consentì di diventare uno scrittore famoso. Ha ragione Mario Cervi, quando scrive nella prefazione a «Il clan dei milanesi»: «Viva Milano. Ci si lamenta, ci si lamenta, ma poi tutti ci vengono se vogliono far carriera per merito. Se vogliono farla per raccomandazione vanno a Roma».

Collegamenti sponsorizzati


Scrivi un commento