di Xavier Jacobelli
Le cronache della repressione in Birmania sono sempre più drammatiche. Le cronache, s’intende, che riescono a sfondare la cortina di ferro calata dal regime che assassina a sangue freddo i giornalisti, incarcera i monaci buddisti, bastona e spara sui cittadini che chiedono la libertà, oscura internet e di ora in ora moltiplica il numero delle sue porcherie, dei suoi soprusi, della sua bestialità. Anche noi di quotidiano.net portiamo quel nastro rosso che è subito diventato il simbolo della resistenza dei monaci birmani e del loro popolo, così come lo stesso fa tutto lo sport italiano in questo week end. Mentre l’Onu, l’Europa e troppi politici di ogni latitudine dormono e se ne fregano, nel nostro Paese si moltiplicano le iniziative di sostegno alla protesta della Birmania che noi non chiamiamo Myanmar perchè questo è il nome imposto dai generali golpisti. Gli stessi che da anni opprimono e perseguitano la signora Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace, che con la sua Lega per la democrazia aveva stravinto le elezioni, ma non ha mai potuto governare. Lo sappiamo bene: un nastro rosso è una piccola cosa e portarlo è un piccolo gesto di fronte all’immane tragedia birmana. Ma quei monaci, straordinari come la loro gente, che continuiamo a vedere in tv mentre sfidano gli animali travestiti da repressori, hanno più che mai bisogno di non essere lasciati soli dall’opinione pubblica internazionale. Se i militari riescono a staccare la spina con il mondo, ripetono indisturbati i massacri che hanno già perpetrato in passato. Forse, anche un nastro rosso portato da milioni di persone, può servire a impedirglielo.
di Xavier Jacobelli