Quando il calcio aveva ancora un’anima, il signor Nils Liedholm ne rappresentava accortamente la nobiltà. Liedholm, detto il Barone, era stato prima un grande giocatore, poi un eccellente allenatore. Uomo di rara intelligenza, questo svedese aveva trovato la maniera di esaltare se stesso complimentandosi con la concorrenza. Dopo ogni vittoria, infatti, era prodigo di elogi per gli avversari. Abbiamo battuto una squadra formidabile, dichiarava sistematicamente lo svedese. E naturalmente questa forma di cortesia si trasformava in alibi ineccepibile nei non frequenti casi di sconfitta.
Ebbene, Fernando Alonso applica a se stesso una categoria del pensiero diametralmente opposta. Non so se abbiate avuto modo di seguire le ultime esternazioni del pupillo di re Juan Carlos e di Flavio Briatore. Richiesto di un parere sul conto di un certo Michael Schumacher, il campione del mondo in carica ha manifestato una gelida freddezza nei confronti del pensionato tedesco. Trattandolo come uno qualsiasi.
E’ evidente che Alonso, senza saperlo, è un iscritto al partito di Tafazzi. Ve lo ricordate, Tafazzi? Era quel personaggio, ideato dalla fantasia geniale di Aldo, Giovanni e Giacomo, perennmente intento a tirarsi vigorose martellate sulle parti basse del corpo. Perchè qui non si scappa: se Schumi non era poi ‘sto Fenomeno, allora la conseguenza è ovvia. Allora dobbiamo rileggere la storia recente della Formula Uno, ridimensionando lo spessore del bi-iridato. Se Michelone non era il Campionissimo delle quattro ruote, i successi ottenuti da Fernando con la Renault vanno reinterpretati, al netto di ogni eccesso. Accettando la curiosa teoria di Alonso, saremmo obbligati a concludere che lo stesso valore del giovanotto di Oviedo necessita di ulteriori verifiche, di nuovi esami. Chi lo ha esaltato, attribuendogli il merito di aver spedito in pensione l’eterno tedesco, ha esagerato.
Perchè diavolo il compagno di squadra di Lewis Hamilton sia così propenso all’autolesionismo, è un bel mistero, la cui soluzione lascio volentieri ai tre lettori di questa sgangherata rubrica. Senna detestava Prost per tante ragioni ma si guardava bene dal metterne in discussione il talento: avesse lasciato intuire di considerarlo una mezza pippa, sarebbe stato il primo, di riflesso, a rimetterci.
E però c’è un altro passaggio delle esternazioni del campione del mondo che merita un briciolo di attenzione. Ha detto infatti Fernando che il pilota da lui più temuto e rispettato, nell’arco della carriera, si chiamava Pantano. Sì, Pantano, il ragazzo italiano che tante speranze aveva alimentato con le sue brillanti prestazioni nelle formule minori.
Qui ci sarebbe da riflettere parecchio. Perchè le cronache recenti sono dolorosamente eloquenti: sprovvisto di appoggi adeguati, il pilota veneto non ha avuto la possibilità di confermare il suo talento al massimo livello.Dove poteva mai andare, con una carriola a quattro ruote chiamata Jordan? E infatti il povero Pantano non è andato da nessuna parte.
Non so se Alonso se ne sia reso conto, ma con le sue parole ha messo il dito nella piaga. Cosa determina una carriera, nell’automobilismo moderno? Il merito professionale, come pure sarebbe bello pensare? Oppure a decidere sono altri fattori, anche estranei alle qualità di guida?
Non è che qui stiamo scoprendo l’acqua calda: qui, per chi avesse voglia di ragionare senza pregiudizi, è in gioco la stessa credibilità della Formula Uno post moderna. Se piaci alla gente che piace, ti si aprono tutte le porte. Se invece ti mancano le entrature, le simpatie dei potenti, le amicizie altolocate, puoi anche essere bravissimo, ma non sfuggirai alla maledizione dell’anonimato.
Alonso, questo Tafazzi multimiliardario, dovrebbe fare un passo in più. Dovrebbe completare le sue affermazioni con una considerazione coraggiosa. Questa: date a Pantano e a quelli come Pantano la stessa chance che avete dato a me, così poi vediamo chi è il più bravo. Ma non lo farà: in McLaren hanno ragionato proprio così, con Hamilton. E pare che lo spagnolo mica abbia gradito.