Archivio della Categoria 'Storie e personaggi'

LAPO, MOGGI E UN SOSPETTO SBAGLIATO

Sabato 24 Febbraio 2007

Lapo Elkann è a Los Angeles. Motivi di lavoro. Si scusa con garbo. ‘Dovevamo andare assieme a vedere Modena-Juventus dice a chi scrive Mi dispiace perchè temo non ci sarà una prossima volta: i miei bianconeri tornano in A dritti sparati, i tuoi canarini non credo…’
Lapo Elkann è a Los Angeles e dall’altra parte degli States il ‘New York Times’ gli attribuisce un sospetto: dietro la reclamizzatissima disavventura del rampollo di Casa Agnelli, una dolorosa storia di droga e non solo, ci sarebbe addirittura il fantasma di Luciano Moggi!
Lui, il nipote dell’Avvocato, è stupito. Infatti ha sempre detto: ‘Io non ce l’ho con il signor Moggi’. Se può interessare, non ha cambiato idea. L’ex direttore generale della Juventus non sarà uno stinco di santo, ma accusarlo di tutto francamente pare eccessivo. Anche a chi non stravede per lui. (more…)

UN FRANCOBOLLO PER CAROSIO

Venerdì 16 Febbraio 2007

Sul francobollo che le Poste Italiane, meritoriamente, dedicheranno a Nicolò Carosio in occasione del centenario della nascita, il 15 marzo prossimo, forse sarebbe il caso di aggiungere una frase. Questa: alla prima vittima del ‘politically correct’.
Infatti fu il pensiero ‘politicamente corretto’ a silenziare la voce del calcio italiano. Correva l’anno 1970 e gli azzurri di Ferruccio Valcareggi erano impegnati nel mondiale messicano. L’11 giugno, a Toluca, la Nazionale affrontava Israele nella partita decisiva per l’accesso ai quarti di finale. Democristiani, comunisti, socialisti e missini si misero davanti alla tv, a mezzanotte in punto, aspettando il primo gol di Gigi Riva. Il quale Riva, per la verità, firmò addirittura una doppietta: ma in entrambe le occasioni, un perfido guardalinee etiope impose l’annullamento delle prodezze del bomber cagliaritano. (more…)

QUANDO SOTTO LE MACERIE DEL CALCIO SPUNTA UN FIORE

Lunedì 12 Febbraio 2007

Domenica 11 febbraio, proprio mentre una emittente nazionale proponeva al suo pubblico le fattezze di Lucianone Moggi, un episodio tanto semplice da suonare incredibile è accaduto su un campo di calcio di periferia. Lo racconto qui, forse in omaggio alla retorica dei buoni sentimenti. Oppure perchè siamo talmente disabituati alla normalità da stupirci, come mi sono stupito io, per un gesto collettivo che, invece, dovremmo considerare ovvio.
Domenica 11 febbraio, a Solignano di Castelvetro, in provincia di Modena, si giocava una partita valida per il campionato di Seconda Categoria. Dilettanti puri: ma anche per loro, anche per i dilettanti di Solignano come per i loro avversari di Montombraro, frazione di Zocca (do you remember Vasco Rossi?) vincere o perdere fa differenza, perchè c’è una classifica e perchè il risultato, alla fine della fiera, incide comunque sull’umore dei singoli, degli esseri umani che per divertimento rincorrono una palla.
Ebbene, all’ultimo minuto il Solignano ha pareggiato (stava perdendo 1-0), in modo bizzarro: doveva restituire la sfera ai rivali, che l’avevano buttata fuori per prestare soccorso al loro portiere, infortunato. Invece, per un equivoco grossolano, la…restituzione si è tradotta nell’1-1, nella rete del pareggio.
Ora, cosa hanno fatto i ragazzi della seconda categoria del Solignano, girone H? Si sono fermati, immobili, mentre il Montombraro riprendeva dal centro del campo. Hanno fatto le statue, quelli del Solignano, pur di permettere agli avversari di segnare il gol della vittoria. Hanno preferito la sconfitta ad un risultato immeritato. Per loro, per questi dilettanti, il fine non giustifica i mezzi. Risultato finale: Montombraro batte Solignano 2 a 1. Il signor Gino Torricelli, allenatore del Solignano, ha detto: .
In tv intervistano Moggi, sui drammi del calcio. Io racconterei storie (vere) come questa.

STAUDACHER, CAMPIONE DEL MONDO DEI TRAPIANTI

Martedì 6 Febbraio 2007

Per fortuna lo sport non è fatto solo di morti ammazzati nei paraggi di uno stadio, di Matarrese e compagnia bella (cioè brutta). Per fortuna lo sport riesce ancora a regalare storie vere che hanno il merito di commuovere.
Patrick Staudacher, un italiano dell’Alto Adige, ventisette anni tra due mesi, si è laureato in Svezia campione del mondo di sci alpino, specialità supergigante. Già in termini strettamente agonistici l’impresa è notevole: mai, dopo il mitico Zeno Colò, un azzurro aveva conquistato un titolo iridato nelle discipline veloci. Ed erano undici anni, dal Tomba della Sierra Nevada del 1996, che un maschio italico non saliva sul gradino più alto del podio in una manifestazione di tale livello. Ma c’è dell’altro.
Patrick è il primo campione del mondo reduce da un trapianto. Nel suo caso, stiamo parlando della cornea: il ricorso al trapianto era l’unica soluzione per contrastare una fastidiosa malattia degenerativa. So di cosa si tratta: ho subito lo stesso intervento, qualche anno fa.
La malattia in questione è noto come ‘cheratocono’: in pratica, si tratta di un progressivo ispessimento della cornea, un ispessimento che porta lentamente alla cecità. Si arriva ad un punto in cui nè gli occhiali nè le lenti a contatto garantiscono una ‘visione’ minima. L’estrema speranza è il bisturi, accompagnato dalla generosità dei donatori di organi.
Ora, è straordinario che un uomo sottoposto a tale intervento riesca poi (e sottolineo poi) a trasformarsi in un campione del mondo. I successi della microchirurgia hanno reso il trapianto di cornea sostanzialmente agevole, con esiti ottimali per decine di migliaia di pazienti: ma qui stiamo parlando di un atleta che deve scendere a velocità folle lungo pendii innevati!
La lezione di Patrick Staudacher, operato l’estate scorsa all’occhio malato, è meravigliosa proprio per questo: non si limita ad indicare le nuove frontiere raggiunte dalla scienza. Il campione del mondo di superg, l’erede di Zeno Colò, ci manda anche a dire, con il suo prodigioso risultato, che si può uscire dal tunnel di un trapianto recuperando una normalità ‘piena’, senza eccezione alcuna.
E’ un messaggio forte, per tutti noi. E’ una bella storia di sport, finalmente.

IL GOL DI PANCALLI

Domenica 4 Febbraio 2007

Di
Leo Turrini
Dal Vangelo secondo Luca. Meglio dirlo subito: meno male che c’è Luca Pancalli, al timone della Federazione Italiana Gioco Calcio. Perchè l’uomo, commissario straordinario della Figc da pochi mesi, ha il bonus della credibilità. Credibilità che non può essere invocata dai politici, di destra e di sinistra: avevano già annunciato misure straordinarie quando un tifoso crepò fuori le mura di San Siro, nel 1987. E prima ancora, quando c’era stata la strage dell’Heysel, nel 1985. E dopo: nel 1995 l’intero sport italiano si fermò per un week end, turbato da un omicidio eseguito in contemporanea con un Genoa-Milan.
Dal Vangelo secondo Luca, sì. Meno male che c’è Pancalli, perchè i Petrucci e i Matarrese e i Campana c’erano anche prima e il rispetto dovuto alle persone non esime da una amarissima constatazione: a dispetto di mille proclami, non è mai cambiato niente. Gli editoriali pieni di moralismo furibondo sono gli stessi del 1985 e del 1995: possiamo sostituire le firme, ma i testi restano identici. Purtroppo.
L’Italia, con qualunque governo, tragicamente si ripete. Giustamente Massimo Moratti fa notare che in Inghilterra la piaga della violenza dentro e fuori gli stadi è stata debellata da due decenni: da noi, si blatera e si legifera e ci si ferma lì. Aveva capito tutto Fabrizio De Andrè: in una indimenticabile canzone, l’artista ligure segnalava che lo Stato si indigna. E poi . Con , beninteso.
E allora, allora si comprende bene perchè Luca Pancalli, un disabile proiettato al timone della Figc sulla scia della estate dei veleni, rappresenti, agli occhi della gente perbene, l’ultima speranza. La residua scialuppa di salvataggio. L’estremo appiglio: lo abbiamo visto in tv, nella notte dell’orrore, e ci siamo accorti che magari di lui è possibile fidarsi. Non a torto: nel 1981, Pancalli, classe 1964, era un pentatleta di valore: cadde da cavallo, a Vienna, e si ritrovò su una sedie a rotelle. Non ha mollato: alle Paralimpiadi ha vinto 7 ori e 9 argenti, professionalmente si è distinto come avvocato, insomma non c’entra niente con i nani e con le ballerine, con i salici piangenti e con quelli che l’avevano detto.
Tra tante lacrime di coccodrillo, tra repliche di recite sincere e però inesorabilmente datate, questo giovane signore aveva il pregio della sincerità. Quando ha scandito che non si può morire per una partita di pallone, parlava come il pensionato o il bambino. Quando ha aggiunto che qui ci si deve fermare e non importa per quanto, escludendo quindi la valenza meramente simbolica di una ‘serrata’, Pancalli valicava i confini del ‘politicamente corretto’. Era, banalmente, uno di noi. Noi genitori, che da anni non possiamo portare i figli allo stadio, perchè temiamo l’effetto Colosseo. Noi che abbiamo il diritto di viaggiare e ci siamo accorti che al mondiale tedesco o a una partita della Premier League è normale prendere posto a cinque metri dal campo, a cinque metri da Materazzo o da Thierry Henry, senza rischiare la pelle, le botte, le risse, i coltelli.
Sarebbe bello se questo ex ragazzo, portatore sano di handicap, ex pentatleta che ha rifiutato coraggiosamente la sindrome della emarginazione, potesse governare il calcio italiano per i prossimi dieci anni. Già sappiamo che non sarà così, lui si è chiamato fuori e chi ha in mano il Potere ha finto di dispiacersene, dedicandosi nel frattempo alla preparazione di nuovi organigrammi.
Eppure, per una notte, per una notte sola, chi ama il calcio senza imbrogli e senza porcherie ha avuto la sensazione di essere, finalmente, difeso da una persona decente: Luca Pancalli, appunto.