Di
Leo Turrini
Dal Vangelo secondo Luca. Meglio dirlo subito: meno male che c’è Luca Pancalli, al timone della Federazione Italiana Gioco Calcio. Perchè l’uomo, commissario straordinario della Figc da pochi mesi, ha il bonus della credibilità. Credibilità che non può essere invocata dai politici, di destra e di sinistra: avevano già annunciato misure straordinarie quando un tifoso crepò fuori le mura di San Siro, nel 1987. E prima ancora, quando c’era stata la strage dell’Heysel, nel 1985. E dopo: nel 1995 l’intero sport italiano si fermò per un week end, turbato da un omicidio eseguito in contemporanea con un Genoa-Milan.
Dal Vangelo secondo Luca, sì. Meno male che c’è Pancalli, perchè i Petrucci e i Matarrese e i Campana c’erano anche prima e il rispetto dovuto alle persone non esime da una amarissima constatazione: a dispetto di mille proclami, non è mai cambiato niente. Gli editoriali pieni di moralismo furibondo sono gli stessi del 1985 e del 1995: possiamo sostituire le firme, ma i testi restano identici. Purtroppo.
L’Italia, con qualunque governo, tragicamente si ripete. Giustamente Massimo Moratti fa notare che in Inghilterra la piaga della violenza dentro e fuori gli stadi è stata debellata da due decenni: da noi, si blatera e si legifera e ci si ferma lì. Aveva capito tutto Fabrizio De Andrè: in una indimenticabile canzone, l’artista ligure segnalava che lo Stato si indigna. E poi . Con , beninteso.
E allora, allora si comprende bene perchè Luca Pancalli, un disabile proiettato al timone della Figc sulla scia della estate dei veleni, rappresenti, agli occhi della gente perbene, l’ultima speranza. La residua scialuppa di salvataggio. L’estremo appiglio: lo abbiamo visto in tv, nella notte dell’orrore, e ci siamo accorti che magari di lui è possibile fidarsi. Non a torto: nel 1981, Pancalli, classe 1964, era un pentatleta di valore: cadde da cavallo, a Vienna, e si ritrovò su una sedie a rotelle. Non ha mollato: alle Paralimpiadi ha vinto 7 ori e 9 argenti, professionalmente si è distinto come avvocato, insomma non c’entra niente con i nani e con le ballerine, con i salici piangenti e con quelli che l’avevano detto.
Tra tante lacrime di coccodrillo, tra repliche di recite sincere e però inesorabilmente datate, questo giovane signore aveva il pregio della sincerità. Quando ha scandito che non si può morire per una partita di pallone, parlava come il pensionato o il bambino. Quando ha aggiunto che qui ci si deve fermare e non importa per quanto, escludendo quindi la valenza meramente simbolica di una ‘serrata’, Pancalli valicava i confini del ‘politicamente corretto’. Era, banalmente, uno di noi. Noi genitori, che da anni non possiamo portare i figli allo stadio, perchè temiamo l’effetto Colosseo. Noi che abbiamo il diritto di viaggiare e ci siamo accorti che al mondiale tedesco o a una partita della Premier League è normale prendere posto a cinque metri dal campo, a cinque metri da Materazzo o da Thierry Henry, senza rischiare la pelle, le botte, le risse, i coltelli.
Sarebbe bello se questo ex ragazzo, portatore sano di handicap, ex pentatleta che ha rifiutato coraggiosamente la sindrome della emarginazione, potesse governare il calcio italiano per i prossimi dieci anni. Già sappiamo che non sarà così, lui si è chiamato fuori e chi ha in mano il Potere ha finto di dispiacersene, dedicandosi nel frattempo alla preparazione di nuovi organigrammi.
Eppure, per una notte, per una notte sola, chi ama il calcio senza imbrogli e senza porcherie ha avuto la sensazione di essere, finalmente, difeso da una persona decente: Luca Pancalli, appunto.