IN RICORDO DI CLAY
Sabato 16 Dicembre 2006Clay Regazzoni era un mio amico. Di più: per me, era un mito. Avevo dieci anni quando vinse il Gran Premio d’Italia al volante della Ferrari: allora la Formula Uno non godeva delle odierne vetrine e fu quasi uno shock ammirare in televisione la prodezza di un curioso pilota con il sorriso da attore hollywoodiano. Il bambino che ero, ingenuamente, scambiò Regazzoni per un italiano: il papà mi spiegò che invece si trattava di uno svizzero, però ticinese, insomma nostrano.
Ho conosciuto Clay quando il destino già lo aveva inchiodato alla sedia a rotelle. Siamo diventati compari di bevute e di battute, nelle occasioni che la vita ci offriva. Aveva un entusiasmo contagioso: a dispetto delle sventure, la sua esistenza è stata un continuo servizio al prossimo. Voglio dire che, con oltre venti anni di anticipo sul grande Zanardi, Rega non si è arreso alla dolorosa dimensione del disabile. Ha lottato, con orgoglio e dignità, per difendere i diritti dei suoi simili. E in questo è stato, davvero, un enorme, straordinario campione del mondo.
Io gli volevo bene e lui ricambiava. Una volta mi telefonò per contestare una ricostruzione del periodo da lui vissuto in Ferrari assieme a Lauda: era, nella sua tenera ingenuità, ossessionato dal rimpianto. Pensava di essere stato derubato di un mondiale sull’altare di logiche aziendali: Montezemolo, allora diesse, era troppo amico di Niki e dunque…
Regazzoni ha avuto il merito di non ripudiare mai le sue memorie, giuste o sbagliate che fossero. Non ha mai amato Schumi e la Formula Uno moderna e lo diceva con una franchezza che gli faceva onore. Per lui, il tempo degli eroi si era esaurito quando ancora a Montecarlo ci si piagava la mano per cambiare manualmente, quando ancora l’elettronica era una parola dal significato misterioso e il mestiere di piloti richiedeva una quantità industriale di coraggio, spesso ripagata dalla tragedia.
Non so quale pensiero abbia attraversato, per ultimo, la sua mente mentre staccava il biglietto per il Paradiso. So che gli volevo bene e che mi mancheranno le sue feroci critiche. Tu ti esalti tanto per questi polli allevati in batteria, mi disse un pomeriggio a Monza: ma pensa che romanzi avresti scritto, se avessi avuto in mano la penna quando in pista c’eravamo io, Mario Andretti, Ronnie Peterson, quel raccomandato di Niki, James Hunt…
Temo avesse ragione.