W il coach ma… solo se è bravo!

 
7 Luglio 2009 Articolo di Roberto Commentucci
Author mug

Secondo l’opinione prevalente, per i tennisti maturi il coach deve essere soprattutto un buon motivatore, poiché apportare modifiche tecniche ai colpi dopo una certa “età tennistica” è impossibile. Eppure, questo Wimbledon ci ha detto il contrario. Vediamo perché.

La grande prestazione di Andy Roddick nella recente finale del torneo di Wimbledon, dove il grintoso americano ha messo in mostra progressi tecnici davvero importanti ed inconsueti per un atleta di quasi 27 anni, pone al centro del dibattito un tema che negli ultimi tempi pareva superato: l’importanza degli allenatori nel tennis contemporaneo e la possibilità, anche per i tennisti già maturi e formati di conseguire, se ben guidati, progressi tecnici sostanziali. Su questo argomento la convinzione diffusa, la vox populi, è pressappoco questa: si, l’allenatore è importante, ma in campo ci vanno i giocatori, il coach può aiutare, ma deve essere soprattutto un bravo motivatore, quando un tennista è ormai formato è impossibile fare miglioramenti sostanziali sulla tecnica, bisogna lavorare sulla convinzione nei propri mezzi, sull’aspetto tattico e mentale, eccetera eccetera.

Ebbene, sarà anche vero tutto ciò. Ma in questo torneo di Wimbledon, si è visto dell’altro.

Si è visto un giocatore, professionista dal 2000, che aveva vinto il suo primo e unico Slam la bellezza di 6 anni prima, esprimere un tennis di qualità mai vista in precedenza, nemmeno quando, nel 2003, era arrivato al numero uno del mondo.

Non si può non riconoscere, dietro i miglioramenti dell’americano, la mano del coach statunitense Larry Stefanki, classe ‘57, che dopo essere stato un discreto giocatore (due titoli in carriera, un best rank al n. 35 Atp) è attualmente forse il miglior allenatore del circuito, uno che ha avuto a che fare, in passato,con gente come John McEnroe, Evgeny Kafelnikov, Marcelo Rios, Tim Henman, Fernando Gonzales

Ma allora come stanno le cose? E’ proprio vero che il coach, nel tennis, non è poi così fondamentale nelle prestazioni di un giocatore?

I progressi tecnici di Roddick

Il simpatico bombardiere del Nebraska è sempre stato, fin dal suo apparire, un tennista dal gioco a tratti travolgente ma molto diseguale, caratterizzato da alcuni punti di forza di livello stratosferico (il portentoso servizio, l’eccellente diritto) ma anche da lacune tecniche davvero inconsuete per un atleta di questo livello (la debolezza dal lato del rovescio, sia a fondo che a rete, la poca sensibilità di mano, la scarsa reattività in risposta). Non stupisce, pertanto, che dopo qualche tempo nel circuito i primi della classe gli abbiano gradualmente preso le misure: i suoi rivali hanno iniziato a leggere le traiettorie del servizio, e imparato a sfruttare l’inconsistenza del suo lato sinistro, specie nel passante.

Né coach celebrati come Brad Gilbert, né ex campioni prestigiosi come Jimmy Connors, sono riusciti a rilanciarne la competitività al vertice. Una situazione deludente, per uno che era arrivato in cima alla classifica mondiale a poco più di 20 anni, nella dorata estate del 2003: ne è derivato, per Andy, anche un certo calo di motivazione e convinzione, sebbene il nostro, con grande orgoglio, non sia mai uscito dai primi 10.

Poi, alla fine della scorsa stagione, ecco il deus ex machina. Larry Stefanki, l’uomo che ha disciplinato la follia di Rios, che ha rivelato a Tim Henman i segreti della terra battuta, che ha insegnato a ragionare persino a Mano De Piedra Gonzales.

I due si rifugiano ad Austin, Texas, abituale base operativa di Roddick. E inizia un lavoro a tutto tondo. Lavoro fisico (”quanto pesavi quando hai vinto lo US Open?” È la prima domanda che Andy si sente rivolgere) mentale (”puoi far male anche con il rovescio, hai due armi, non una sola”) e soprattutto tecnico.

Il rovescio ballerino dell’americano, da sempre funestato da un movimento sincopato e poco fluido (una fase di apertura per la ricerca della palla, una piccola esitazione, e poi il movimento a colpire, con poco swing e insufficiente estensione del finale del colpo), diviene progressivamente un movimento fluido, continuo, armonioso, quasi bello da vedere. Acquista pesantezza, profondità, controllo, fiducia.

Nei primi mesi di questo 2009, gli osservatori più accorti segnalano un nuovo Roddick, ma bisogna aspettare Church Road, e i Championships, per la conferma definitiva.

Per primo se ne accorge Andy Murray, in semifinale, sistematicamente anticipato, sulla favorita diagonale sinistra, dai traccianti lungolinea dello yankee, che fanno piangere una nazione.

E, poi, nell’atto conclusivo tocca al Re svizzero: nei primi games, Roger tenta, fiducioso, le consuete discese a rete sul lato sinistro di Roddick, ma stavolta viene trafitto come un fantaccino da una mitragliatrice: un passante vincente,un secondo,un terzo. Federer non ha un coach, però è un uomo intelligente e cambia tattica. Inizia ad adoperare il suo celebrato rovescio incrociato slice per mandare fuori giri l’avversario, costringerlo ad accorciare, e preparare così l’accelerazione letale. Ma non succede niente. Roger affetta, taglia, indirizza traiettorie velenose, bassissime.

Ed Andy, con eroica fermezza, continua a piegarsi sulle ginocchia, un colpo dopo l’altro. Adopera opportunamente il polso sinistro per dare rotazione, e la sua palla non si accorcia mai: sempre robusta, sempre profonda, gli consente di tenere il pallino in mano, fino all’accelerazione vincente in lungolinea, con lo svizzero vanamente proteso a cercare il diritto. E spesso, il primo ad accorciare lo scambio è proprio Roger, ed è Andy, tra la sorpresa generale, a prendere la rete con alcuni perfetti chip and charge. Conclusi con voleè magari un po’ scolastiche, ma efficaci, specie con il diritto.

Sul piano tecnico, è un autentico miracolo.

Come abbiamo visto, Federer troverà comunque, nella sua immensa classe, le risorse per portare a casa il match, sfruttando i residui punti molli del gioco dell’americano: la relativa debolezza in risposta (che spiega in discreta parte i 50 aces dello svizzero) e la goffaggine, storica, nella volèe alta di rovescio, crudelmente palesatasi nel quarto set point del tie break del secondo set. E attenzione: non è stato “vassallaggio”, come va di moda dire oggi (non è vassallo uno che serve 10 volte per restare nel match!) ma solo, più semplicemente, crudele limite tecnico.

Ma noialtri, grazie soprattutto a Larry Stefanki, abbiamo avuto una finale molto più bella di quel che ci aspettavamo.

Il caso italiano. Potito Starace e Umberto Rianna.

A guardar bene tra le mille pieghe di questo Wimbledon, qualcosa di analogo è capitato anche a casa nostra. Qualcuno avrà sicuramente visto, su Sky, la splendida, sfortunata prova di Potito Starace, terraiolo di buona fama, che nel secondo turno ha rischiato di battere in 5 set, sull’erba, uno specialista come Radek Stepanek.

Starace è da sempre giocatore di buon talento, ma la sua impostazione tecnica troppo terraiola, nonché, probabilmente, una scarsa fiducia nelle proprie qualità, gli hanno finora impedito di raggiungere buoni risultati anche sul veloce.

Anche per Potito può valere, con le debite proporzioni, il ragionamento fatto per Roddick: punti di forza importanti (l’insidioso kick di servizio, il notevole diritto) ma anche lacune notevoli (il rovescio tenero, la lentezza negli spostamenti, specie fuori dalla terra, la mancanza di alternative al servizio kick, la risposta da una posizione troppo arretrata, le aperture troppo ampie). Tutti fattori che ovviamente ne hanno precluso l’adattamento alle superfici rapide.

Ebbene, l’azzurro, alla veneranda (tennisticamente) età di 28 anni ha dimostrato cosa voglia dire applicarsi, credere in un progetto di sviluppo tecnico ed in un coach come Umberto Rianna (un coraggioso emigrante formatosi da Nick Bollettieri), che lo segue ormai da molti anni.

Si è trattato di un lavoro lento e paziente, condotto in mezzo ad una lunga serie di “stop and go”, fra cali di forma, infortuni, crisi personali (come quella seguita alla tragica scomparsa dell’amico del cuore di Potito, il povero Federico Luzzi). Starace infatti ha il suo tallone d’achille nella particolare costituzione fisica,che non gli consente di sopportare ritmi di lavoro troppo intensi per un tempo prolungato. A questo, poi si sommavano le remore di natura psicologica “ma no, sul veloce mi faccio male” o “io là sopra non ci so giocare” ecc. ecc.

C’era di che scoraggiarsi.

Eppure, pazientemente, caparbiamente, Umberto Rianna ha compiuto il prodigio: il Potito visto contro Stepanek è un tennista che ha finalmente capito che il servizio kick serve soprattutto sulla terra, e ha messo in mostra ottime battute slice ad uscire e inedite traiettorie piatte; ha imparato a muoversi sull’erba, senza scivolare; ha risposto e colpito con i piedi vicino alla linea di fondo, riuscendo spesso a mandare in crisi il serve and volley del ceko; ha passato benissimo con il rovescio, il suo colpo meno sicuro. Insomma, una bellissima figura, per uno che era stato bollato come un classico terraiolo, magari piacevole da vedere, ma condannato ad essere tennista rigorosamente monosuperficie.

Conclusioni.

Che i tennisti già maturi non possano più ottenere progressi tecnici nei colpi fondamentali è un luogo comune destituito di fondamento.

Oltre a questi due esempi recenti, se ne possono rammentare centinaia, anche nel tennis femminile. Come dimenticare la metamorfosi tecnica di Gabriela Sabatini sotto la guida del brasiliano Carlos Kirmayr, che fu capace di ripulirne il gioco dalle scorie arrotine, liberandone il talento, fino a trasformare la bella Gaby in una tennista da serve & volley, portandola ad uno storico trionfo agli US Open del 1990 sull’eterna rivale Steffi Graf, con la tedesca - incredula - costantemente aggredita e costretta a tirare decine di passanti di rovescio? O ancora, tanto per restare a casa nostra, la trasformazione di Renzo Furlan, sotto la guida di Riccardo Piatti, da pedalatore terraiolo in tennista da cemento, capace di giocare in tutte le zone del campo, fino a battere un certo Michael Chang nella finale del torneo americano di San Josè del 1994?

Ne consegue che i coach nel tennis possono essere molto, ma molto importanti.

A patto che siano bravi.

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12 Commenti a “W il coach ma… solo se è bravo!”

  1. luca scrive:

    Brillante e impeccabile analisi del sempre ottimo Commentucci, al quale chiedo un suo personale parere circa un Bolelli in cerca forse d’autore, a livello di coach.
    E poi: Ubaldo Scanagatta già lo sottolineava, ma credo che tutti quelli che hanno visto il match Seppi-Andreev siano concordi: ma come è possibile ‘leggere’ così male il match (tra l’altro in 2 giorni!) da parte di Andreas e del suo coach Massimo Sartori? Un suicidio tennistico senza senso, col cervello in modalità off (e d’accordo, nonostante tutto ciò, il match è rimasto alla sua portata: ma che rimpianto!)

  2. Stefano Grazia scrive:

    Tutto giusto, tutto perfetto, ma bisognerebbe anche aggiungere che,in unosport in cui e’ il giocatore ad assumerlo e a licenzirlo, un Coach e’ bravo quanto glielo puo’ permettere il suo Allievo. Anche con Connors si era parlato di un miglioramento del rovescio di Andy. E sicuramente Brad Gilbert (che fino a prova contraria e’ l’unico ad averglielo comunque fatto vincere, lo Slam)potrebbe dire che anche lui sul rovescio ci voleva lavorare ma … (Magari Roddick lo licenzio’ proprio per quello …. Per quanto bravo poi anche Larry Stefanky e’ stato via via licenziatoda Rios, da Gonzalez e,vedrete,magari fra un po’ anche da Roddick … Piuttosto, Larry un po’ sfigato lo e’: ma come, prepara Gonzalez da dio e lo porta alla sua unica finale in uno Slam…e viene asfaltato dal miglior federer di sempre…Riporta Roddick in finale a Wimbledon e quello gli va a perdere 14 a 16 al quinto! Diciamolo, il Tennis e’ la dimostrazione che Dio (o almeno il Dio del Tennis) non esiste: se esistesse, Roddick avrebbe vinto…

  3. Fabrizio Scalzi scrive:

    Ottima analisi caro Roberto!Credo che alcuni tennisti si siano ostinati a sottovalutare le proprie potenzialità:Poto e Renzo come hai detto te nè sono l’esempio…Andy Roddick mi ha molto stupito per la sua tenacia per i progressi fatti sul rovescio;peccato che Roger nonostante la partita sia stata cruda di scambi(come vuole un match su erba),alla fine abbia prevalso su Andy con la sua abitudine agli incontri “all’ultimo sangue”!inoltre un mio pensiero…mi Auguro che Bolelli trovi una guida che sappia dare lustro ad una carriera, ancora acerba di grandi risultati che Simone merita.

  4. Avec Double Cordage scrive:

    certo vedere una finale di Wibledon dove Roddick infilza Federer con un passante rovescio lungolinea in corsa e non per puro caso è sorprendente, avesse vinto Roddick non avrebbe rubato nulla, complimenti

    complimenti anche a Roberto, tema azzeccato, contenuto, argomentazione e forma splendidi come al solito

    peccato per Seppi e per noi poveri guardoni che al servizio sia molto più dura, anche se non è ancora troppo tardi

  5. wik scrive:

    pienamente d’accordo con tutto l’articolo, Stefano Grazia ha aggiunto un punto importante, ” finchè te lo lasciano fare “

  6. enzo cherici scrive:

    Come si fa a non essere d’accordo con Roberto? Ci siamo soffermati molto, e giustamente, sulle ultime due prestazioni di Roddick contro Murray e Federer. Non sottovaluterei neanche quella nei quarti contro il ritrovato Hewitt. È stato il primo match di Roddick che ho potuto seguire per intero in questo Wimbledon 2009 e stentavo a credere ai miei occhi! Hewitt che cercava improbabili discese a rete per uscire dallo scambio sulla diagonale sinistra contro l’americano. In semi e in finale le altre conferme. Come ebbi modo di apprendere in altri momenti della mia vita, tre indizi fanno una prova. E allora grandissimo Roddick, ma grande anche il suo coach, l’ottimo Larry Stefanki. Il miglioramento tecnico sul rovescio è visibile ad occhio nudo e gli ha addirittura permesso di non sfigurare (finendo per vincere) di fronte al celebrato rovescio di Andy Murray. Fateci caso. Prima della cura Stefanki, se attaccato, Roddick colpiva di rovescio quasi scappando all’indietro. Adesso colpisce con le braccia meno rigide, con la sinistra che finalmente lavora e con la tendenza a colpire aggredendo la palla. Non cosucce da poco, che richiedono un lavoro enorme. Quando stanca la manina poi, è in grado di non soffrire le rotazioni avversarie e anche questo prima non avveniva affatto.
    Insomma, non sto cercando di dire che Roddick è di colpo divenuto Rosewall, ma che il lavoro paga. Eccome. Lui ne è la prova provata.
    Su Starace non posso dire nulla, non avendo avuto modo di vederlo contro Stepanek.

  7. alessandro mastroluca scrive:

    Stefanki ha ridato a Roddick un gioco, il suo. In passato c’è stato un periodo in cui aveva smesso di vincere anche perché, secondo me, aveva cercato di snaturare un po’ i movimenti più naturali, come il dritto, per cercare di ottenere risultati anche su superfici diverse dal cemento (un po’ il percorso di Ferrero, anche se mirato ad ottenere risultati sul veloce).

    Stefanki, secondo il mio modesto e pertanto opinabile parere, l’ha fatto tornare quello dei tempi migliori e in più l’ha dotato di armi che prima non aveva, come il rovescio slice o i passanti lungolinea. Ha ancora da lavorare nel gioco di volo, ma Stefanki ha avuto il merito di riscoprire la genuinità, di riportare alla luce le forze primigenie del campione del Nebraska, provando a ridurre le sovra-costruzioni che negli anni ne hanno accompagnato lo sviluppo.

    PS: come sempre, grande Rob!

  8. paolo scrive:

    Si sa qualcusa sul futuro coach di Bolelli ?
    Simone parlava di voler trovare un allenatore esperto ma ora sembra più orientato ad una condivisione con allenatore di Seppi : Sartori.
    Cosa ne pensi Commentucci è un bene o no?
    Io ritengo che Simone dovrebbe avvalersi di un coach tutto suo e tu?

  9. anto scrive:

    Ottima disamina Rob, come sempre d’altronde………..credo che attualmente il coach americano sia tra i primi top 3 a livello mondiale…..ci vorrebbe lui per il ns Bolelli!

  10. Pete Agassi scrive:

    Analisi come sempre solida ed impeccabile, anche io, da vecchio tifoso del buon vecchio Andy, sono rimasto sbalordito dalla trovata efficacia col rovescio, che sino a qualche tempo fa era inguardabile, e vero impedimento per proseguire sui risultati avuti nella famosa estate del 2003 ( Montreal, Cincinnati e New York).
    Resta però insoluto un problema presumibilmente insormontabile, la scarna risposta, che con Hewitt ha impedito allo statunitense di vincere agevolmente la contesa. Ma se è riuscito a migliorare cosi tanto a rete e sul rovescio, perchè non prospettare un eventuale miglioria sl lato sinistro…

  11. clever scrive:

    La penso diversamente, per me il rovescio in back incrociato
    è il colpo che ha di fatto deciso la finale a sfavore di Roddick.
    Infatti è un colpo che Federer sa fare meglio di chiunque.
    Non si deve giocare questo colpo contro tutti coloro ugualmente o superiormente dotati dello stesso.
    Usato per spezzare il ritmo negli scambi in cui si subisce è una scelta intelligente purchè si stia attenti a variarne la direzione e non lo si giochi mai corto (e magari sia un’arma in più e non la sola) ma negli scambi dove si sta attaccando è una scelta conservativa e inopportuna. Mi riferisco al punto sul servizio Roddick sul 6-2 del tiebreak: dove potrei citare le parole di ubaldo Scanagatta: “Roddick ha avuto una palla piuttosto comoda sul suo rovescio a seguito della risposta di Federer. Invece di tirare la spazzolata coperta-piatta che gli ha procurato
    diversi punti, ha giocato (con un po’ di braccino secondo me) un rovescino choppato in cross a mezzo campo che non solo non ha infastidito minimamente Federer, ma gli ha regalato anzi il comando dello scambio.” ecc. Che mi trovano d’accordo con lui ad eccezione del braccino perchè uno che per 4 ore non ha
    ceduto il servizio non mi pare così debole mentalmente o pauroso di vincere anzi per due volte lo ha strappato a uno che ha servito non bene ma benissimo. A mio parere il rovescio in back è controproducente contro chi lo usa altrettanto bene
    o anche meglio: mi spiego meglio, Federer viene attaccato spesso sul lato del rovescio, da quel lato lo si vede bene nei replay non soffre palle medio-basse anche velocissime ma piatte:
    è un fenomeno da questo punto di vista. Soffre invece le palle con rimbalzo alto e pesanti con rimbalzo improvviso le quali gli tolgono il tempo d’interveto. E secondo me anche
    sul dritto non è più quello di un tempo ne ha sbagliati diversi che avevano il rimbalzo alto, pesante e arrotato. Roddick avrebbe dovuto insistere più su questo che sui quei rovescini
    che gli facevano il solletico dal punto di vista tecnico se non giocati alla perfezione. Dal punto di vista tattico si è rivelata una scelta che non paga, perchè così riesci a far “centrare” i colpi avversari ed è chiaro che poi si deve rischiare sempre di più.
    Al posto di Larry Stefanki quantomento avrei detto a Roddick di non usare mai il rovescio in back se non costretto da Federer come arma di difesa e gli avrei detto di attaccare
    sempre col il top alto, pesante e sporco negli scambi pari sul dritto ma piatto e con rimbalzo alto sul lato sinistro per potere venire avanti a chiudere a rete eventualmente.
    Sull’importanza del coach sono completamente d’accordo che non conta l’età del tennista: conta l’insegnamento ricevuto e il lavoro specifico svolto.

  12. Roberto Commentucci scrive:

    Grazie a tutti per i commenti. Rispondo a Paolo e Luca, che mi chiedono notizie sul nuovo coach di Bolelli. Non si sa ancora nulla di ufficiale. Nella sua rubrica su “Tennis Italiano” Simone ha manifestato stima e amicizia per max Sartori, che lo ha seguito a Parigi e a Wimbledon, ma ha detto che proprio a Wimbledon lui, suo padre e il suo agente Mosconi avrebbero incontrato dei coach e acquisito ulteriori elementi di valutazione.
    A mio avviso Simone, con cui Pistolesi ha compiuto un ottimo lavoro, è ora, a 23 anni, davanti alla scelta più importante della sua vita. Non può sbagliare, e anche per questo, credo, sta prendendosi il suo tempo per decidere. Io spero in un coach di scuola francese o spagnola, ma spero soprattutto che Simone abbia modo di trovare un preparatore atletico davvero di primissimo livello, un Paganini o un Gil Reyes, in grado di renderlo più reattivo in risposta, con un lavoro specifico e sofisticato. Il pur ottimo Marco Panichi, bravo e preparato, che ha lavorato con lui in questi anni, lo ha fatto progredire in tante cose, (forza esplosiva, sposamenti) ma molto poco nella capacità di rispondere al servizio (task obiettivamente molto difficile, ma decisivo per il bolognese, se vuole fare davvero il salto di qualità ed entrare nei primi 20, come a mio avviso potrebbe).

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