Non è mai troppo tardi
Ecco Alberta Brianti

 
23 Settembre 2009 Articolo di Roberto Commentucci
Author mug

Con la finale raggiunta a Guangzhu la scorsa settimana, la 29enne parmense tocca il suo best ranking: n.69 WTA. Eppure, fino a 3 anni fa, giocava solo gli ITF. Storia di una mestierante del circuito minore che si trasforma in una top100. Ma perché in Italia ci sono così tanti tennisti “a lenta maturazione”? 

Il Circolo Tennis Eur è un autentico gioiello architettonico, che la Capitale ha ereditato dai prosperi e felici anni ’60. Lo stile vagamente razionalista della club house e dei vialetti, le aiuole perfettamente curate, il marmo bianco delle rifiniture, richiamano da vicino il Foro Italico, e suscitano malinconici ricordi. Ricordi del boom economico e delle Olimpiadi di Roma. Di quando eravamo una nazione giovane, vitale, ottimista, e dotata di tennisti ambiziosi. Qualcosa dell’antico spirito, tuttavia, sembra essere rimasto, e i tornei internazionali che il Circolo organizza, per lo più durante la dolce primavera romana, hanno sempre una discreta cornice di pubblico. Cinque anni fa, in una sonnolenta domenica di marzo, si giocava appunto la finale di uno di questi tornei, un piccolo ITF femminile da 10.000 dollari. In campo, una nerboruta picchiatrice ceka, tale Tereza Veverkova, e una piccola giocatrice italiana. Tra gli spettatori, in queste occasioni, c’è sempre qualcuno speranzoso, alla caccia di giovani promesse: “Però, gioca benino la nostra. Quanti anni ha?” “Non farti illusioni. Si chiama Alberta Brianti, è di Parma, e ha quasi 24 anni. Sono 3 o 4 stagioni che è intorno alle prime 300, e vale esattamente la sua classifica. Non c’e da sperare di vederla più su“. Sembra una sentenza inappellabile, ma il match racconta una storia diversa.

La piccola parmense in effetti è piuttosto sfornita di muscoli, non è potente né particolarmente veloce, ma è dotata di una tecnica notevole. Servizio ben costruito, diritto anticipato e incisivo, elegante rovescio ad una mano con cui alterna traiettorie in back molto basse ad improvvise accelerazioni. Un armamentario che disorienta la clavatrice slava, e consente alla nostra di aggiudicarsi il match ed il titolo, per la soddisfazione dei presenti. Durante la premiazione, l’ottimista si sbilancia: “Mah, secondo me questa qua gioca un tennis molto superiore alla sua classifica. Se ci credesse davvero, e lavorasse bene sul piano fisico, potrebbe anche entrare nelle prime 100“. Il suo interlocutore sfoggia un bel sorriso, misto di incredulità e simpatia, per l’inguaribile, ingenuo buonismo dell’amico. Era il 9 marzo 2004.

I fatti, per qualche tempo, sembrano dare ragione allo scettico socio del circolo romano. Due anni dopo quella vittoria all’Eur Alberta Brianti, a quasi 26 anni, è ancora impelagata nella palude dei tornei minori, intorno alla 200° posizione. Ma qualcosa è cambiato. Da inizio 2006 ha un nuovo allenatore. E ha trovato in Laura Golarsa, tennista anche lei di piccola taglia, ma tecnico di notevole personalità, un coach che crede nel suo tennis e nelle sue qualità. “Tu puoi arrivare nel circuito, quello vero” le ripete di continuo.

Le due intraprendono un lavoro di sviluppo a 360 gradi: potenziamento fisico (ah, se ce n’era bisogno!) perfezionamento del servizio, affinamento della tattica di gioco, programmazione ambiziosa. Insomma, sia pure con 10 anni di ritardo, si fanno le cose sul serio, quelle stesse cose che negli altri paesi si iniziano a fare sui giovani a 15-16 anni.

I risultati lasciano stupefatti. La parmense comincia a collezionare vittorie e finali, cogliendo scalpi importanti e guadagnando in autostima, fiducia, convinzione. Passa le qualificazioni a Parigi (battendo tra le altre la canadese Woszniack) e poi, di concerto con la sua allenatrice, progetta una ambiziosa campagna estiva sul cemento USA, la long hot summer tanto temuta dai nostri maschietti, per giunta partendo sempre dalle qualificazioni. Il botto arriva a Montreal, dove Alberta mette in fila la cinese Tian Tian Sun, l’ucraina Katheryna Bondarenko e l’indianina Sania Mirza, n. 40 del mondo, arrendendosi solo alla solida slovena Srebotnik. Tutta gente che, solo pochi mesi prima, la nostra vedeva giocare su Eurosport.

Alla fine di quel memorabile 2006, la piccola emiliana entra fra le prime 100 giocatrici del mondo, dando così ragione al più ottimista dei due appassionati del CT Eur.

L’anno successivo, Alberta gioca prevalentemente nel circuito maggiore. Per la nostra è una stagione di assestamento. Resiste fra le prime 100 per parecchi mesi, ma poi non riesce a difendere i punti conquistati nella seconda parte della stagione e viene risucchiata nelle retrovie. Decide che è il momento di cambiare. Il sodalizio con la Golarsa si interrompe, e Alberta nel novembre 2007 si trasferisce a Roma, nell’accademia dell’esperto Claudio Pistolesi. Non è una scelta felice. La tennista emiliana non riesce ad ambientarsi nella capitale, e il suo tennis non decolla. Arrivano mesi difficili, la classifica langue. Finché, nell’estate successiva, la nostra decide di tornare a Milano, dove sarà seguita da Niccolò Vercellino e Matteo Cecchetti, i suoi attuali coach. Alberta non è più una ragazzina, ma riparte fortissimo, decisa a tornare nel mondo dorato del circuito maggiore. Ad inizio 2009, deve ricominciare dalle qualificazioni, ma tenta ugualmente la trasferta australiana. Si qualifica ad Auckland, si qualifica a Melbourne, dove passa un turno battendo una allora sconosciuta valchiria belga, tale Wickmaier (toh!). Tornata in Europa, si qualifica a Stoccarda, a Roma, a Wimbledon. Finché, a Portorose, coglie la sua prima semifinale in un torneo Wta, e non sfigura affatto davanti alla n. 1 Safina. E’ l’agognato ritorno fra le top100. Il resto, con la magnifica finale raggiunta sul cemento di Guangzhou, è storia di oggi. Così come il suo best ranking: n. 69 del mondo, alla verde età di 29 anni e mezzo. Per una che fino ai 26 ha giocato solo ITF, è un traguardo pazzesco.

E vediamo allora che giocatrice è, questa emiliana a lenta maturazione, come la pasta sfoglia dei tortellini. Alta poco più di 1,60, sul piano atletico la qualità migliore di Alberta è la notevole rapidità di piedi, che le consente di coprire bene il campo e, grazie anche alle aperture compatte dei suoi fondamentali, di colpire sempre piuttosto vicina alla riga di fondo. Nonostante la statura contenuta il servizio è un colpo di buon livello, caratterizzato da un movimento molto rapido e ben mascherato. Sulle superfici veloci, in particolare, la prima palla dà spesso all’azzurra il controllo dello scambio. Alquanto vulnerabile, inevitabilmente, la seconda palla. Dei due fondamentali, il migliore è il diritto, eseguito con una classica presa eastern, un ottimo timing e un impatto sempre molto avanzato. Ne esce una palla molto pulita e veloce, incisiva su ogni traiettoria. Tecnicamente molto valido è anche il rovescio ad una mano. Insidioso nella variante in back, ma soprattutto molto elegante e penetrante quando viene eseguito coperto. L’azzurra conferma nei pressi della rete la qualità della sua impostazione classica. La volèe è molto buona da entrambi i lati, e anche lo smash è molto sicuro.

Vale per Alberta quanto detto su Robertina Vinci, alla quale rassomiglia alquanto nel tipo di gioco: con questo ben di Dio di repertorio tecnico, ad avere qualche centimetro di statura e qualche chilo di muscoli in più, si sarebbe potuto davvero pensare in grande, specie sulle superfici veloci.

Resta, potente, l’insegnamento di questa vicenda sportiva, su cui meditare: anche fra coloro che stanno da una vita nei tornei minori, si può nascondere un potenziale top 100.

In conclusione, la storia di Alberta è davvero paradigmatica, per il nostro tennis. Quanti sono i giocatori italiani che riescono a trovare la “quadratura del cerchio” nell’approccio alla professione solo dopo i 25 anni? E’ sempre e solo la vecchia storiella che sentiamo da sempre “gli Italiani maturano tardi“? Oppure la verità è un’altra, e da noi si matura tardi (a volte troppo tardi) perché mancano tecnici di qualità, programmi, strutture, ambizione?

Quanti Alberta Brianti, maschi e femmine, ci sono ancora in Italia, in giro per i tornei minori, alla ricerca del loro deus ex machina, della loro Laura Golarsa?

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18 Commenti a “Non è mai troppo tardi
Ecco Alberta Brianti”

  1. Avec Double Cordage scrive:

    Roberto sei un incurabile italiettista ;) scusa ma non ho letto perchè devo andare a letto quindi non posso entrare in dettagli, prometto però che leggerò e commenterò, ma adesso è ora di andare a nanna

  2. Il Barba scrive:

    Una ragazza come la Brianti, del tutto priva di doti fisiche, è normale che non possa arrivare al top in giovane età.
    Bravissima a crederci ed a alvorare duro per ottenere questi risultati, ma rimane comunque una giocatrice limitata, che ha costruito la sua classifica in tornei minori.
    Molto bella sul campo, gioca un tennis leggero e piacevole, con buon tocco e dotata di discreto talento, ma purtroppo tutto questo non basta nel tennis di oggi.

  3. Pete Agassi scrive:

    Anche io mi sono sempre posto la questione: perchè in Italia i sportivi tendono ad esplodere in età “avanzata?”. In Italia da qualche anno, in molti sport, le promesse hanno fatica ad imporsi nei piani alti delle varie discipline, perdendo energie e motivazioni nelle periferie dei grandi apputamenti. Così nel calcio: D’Agostino, conosciuto sin dalla Roma, esploso definitivamente a 26 anni, Bazzani, autore di una folgorante stagione alla Samp, anche in tal caso all’età di 27 anni, e potrei elencare all’infinito. Nel tennis italiano, stessa sorte: Silvia Farina, che ha toccato l’apice attorno alla trentina, la Pennetta, da sempre ritenuta brillante talento, approdata nella top ten anch’essa a 27 anni. E Gianluca Pozzi, best ranking a 36 anni, cose da far impallidire federazioni di altri stati.
    Da quanto detto si deduce che in Italia la difficoltà maggiore per uno sportivo (nel nostro caso un tennista) è compiere il balzo successivo, maturare definitivamente. Questo problema è da imputare, a mio parere, ad un movimento sportivo italiano in flessione da anni e che, per arginare l’emorragia di successi, sfrutta fino al midollo i pochi atleti aventi a disposizione, depotenziando di contro i vari settori giovanili logorati da fondi insufficienti e politiche totalmente errate.
    Ciao a tutti

  4. petesam scrive:

    brava alberta , sono contento per te e ti faccio i miei complimenti perche’ dimostri che se uno ci crede veramente ce la puo’ fare davvero!!!e’ sempre una grande lezione o almeno lo e’ per me!!!!e i bravi maestri devono essere prima brave persone!!!!

  5. king of swing scrive:

    io credo sia una questione fisico-mentale dei nostri…mi spiego meglio…alcuni giocatori non hanno il fisico per esplodere giovanissimi…altri non hanno lavorato benissimo a livello fisico…e poi c’è la questione mentale…siccome tutti gli italiani maturano tardi..i più giovani non sentono la necessità di lavorare al massimo per l’immediato…pensano più in prospettiva futura…e questa cosa nel tennis di oggi non ha molto senso…e impedisce quindi il salto di qualità da giovani…

    la verità è siamo dei comodisti..mentre gli altri si fanno il mazzo così…fin dalla tenera età…noi non abbiamo nè la mentalità…nè i mezzi…

    Fognini è il tipico caso di giocatore che poteva esplodere fin da giovanissimo se si fosse lavorato come si deve dal punto di vista fisico…

    stesso discorso Bolelli…che sarebbe sempre esploso un pò più tardi ma appunto qui c’è il rischio che Simone posssa fare il grande salto nei big solo dopo i 26 anni…

    l’unico dei nostri tre moschiettieri in linea con il programma è Seppi a mio parere…per caratteristiche fisiche e tecniche…si poteva immaginare un salto di qualità tardivo…sempre se ci sarà…perchè appunto ci sono ancora delle problematiche da risolvere..nonostante il giocatore sia già costruito ormai…

    ovviamente una Federazione incompetente ha agevolato tutte queste cose purtroppo

  6. dyana scrive:

    Da oggi in dieci anni prometto di darti una risposta esauriente - come sono modesta - oggi un primo appunto: questo bel autunno romano sono dovuta girare come una trottola per ben due settimane prima di trovare una SAT disposta ad accettare mia figlia ( nata a gennaio 2005). Veramente con questo argomento volevo andare a rompere le scatole sul blog di Grazia, visto che è fatto apposta, però un articolo del genere non me lo potevo lasciar sfuggire. Prima che mi dimentico, a proposito della “sconosciuta valchiria belga”, che tenevo d’occhio dal torneo di Anversa dello scorso anno e mi aspettavo una sua molto più rapida scalata: quando l’ho vista perdere con la Brianti mi sono detta: Noooo, anche questa si è persa per strada, ma dico io, perdere con la Brianti!!! E chi sarebbe???!!!Questione di punti di vista :). Non sapevo ancora niente di Alberta, adesso che, insensibile al fascino della Davis in versione prevedibilmente double loser ( Romania- Svezia, Italia – Svizzera) ho seguito passo dopo passo il suo percorso in terra cinese mi sono dovuta ricredere. Perché è anche vero che la strada era abbastanza sgombra, una Sevastova esaurita dopo aver eliminato la Medina garrigues, una sgangherata Morita in semifinale, però si sa, più gli ostacoli sono piccoli più facile s’inciampa…
    Bene. Torniamo alle SAT. Che per quanto riguarda l’avvio al tennis, almeno nel area romana alla mia portata di mano, sono di due tipi: il primo tipo prende rigorosamente, tra i più piccini, solo il 2004. Perché, come mi è stato gentilmente spiegato in una nota polisportiva inclusa nel elenco FIT dei centri PIA ( non che io sappia che cosa vuol dire, e un’attenta lettura delle 4500 pagine di Genitori&Figli non mi schiarito granché le idee, mi sa che le devo rileggere :() e che in realtà è un vivaio della Roma, sono “costretti” ( ha detto proprio così, mi limito a riportare tutto fedelmente) insomma sono costretti ad avere un certo numero di iscritti del 2004 alla scuola tennis. Non ho capito bene il perché. Il secondo tipo quelli del 2005 li prenderebbero pure, a patto che ci siano almeno tre bambini, anzi si accontentano anche di due, però due almeno devono esserci.
    Booon. Il primo tentativo, comunque, prima di complicarmi l’esistenza con i centri PIA che no so cosa siano però sembra siano qualcosa di superiore al famigerato circolo sotto casa, il primo tentativo, dicevo, lo abbiamo fatto proprio al famigerato circolo sotto casa. Mi sembra giusto a questo punto mettere il plurale e includere anche mio marito nel resoconto, visto che, una volta sgombrato il campo del “complesso del pediatra”, di cui non avevo mai avuto sentore e di conseguenza ignoravo e continuo ad ignorare alla grande, ha partecipato attivamente alla ricerca. Il tentativo lo abbiamo fatto lì per tutta una serie di ragioni: perché è letteralmente sotto casa; perché è del secondo tipo; perché ci giochiamo tutti i fine settimana da almeno sei sette anni, perché mia figlia qui la conoscono tutti e conosce tutti, perché è accanto alla scuola materna e quando vado a prenderla all’una è solita sgambettare una mezz’oretta tra i campi, dispensando critiche e consigli a chi li vuole e sopratutto a chi no ( Troppo lento! Hai sbagliato! Dovevi andare di diritto, non di rovescio!) insomma perché si sente a casa e non vedeva l’ora di entrare in campo come tutti gli altri. Qui il primo incontro ufficiale con il complesso del pediatra, l’allenatrice sconsolata mi fa“signora noi i bambini di quattro anni non li vediamo mai, purtroppo i pediatri sconsigliano ai genitori di farli giocare a tennis così presto, è una c@volata però difficile da sradicare, se arriva qualche altro bambino di questa età possiamo farlo il corso, ma se è solo lei no”. Giustissimo. Ha fatto cmq la prova che è andata benissimo, si è divertita molto c’erano pure altri due bimbi coetanei e sembrava fatta. Poi è finito tutto in un nulla di fatto, gli altri bimbi erano lì giusto perché accompagnavano il fratello /la sorella di 7-8 anni che dovevano fare la prova, e visto che c’erano…
    OK. Mi armo di santa pazienza, vado contro tutti amici, conoscenti, soci incontrati per caso, i pensionati del palazzo che stanno tutto il giorno a giocare a carte al circolo bocciofilo ( che è all’interno del circolo di tennis, circondato dai campi, metà delle palline prima o poi finiscono lì) incluso uno che ai suoi tempi ( molto remoti) aveva palleggiato con Pietrangeli perciò gode di grande autorità nel quartiere. Fortunatamente mio marito, all’inizio un po’ incerto per la questione del pediatra e anche un po’ sconcertato dal fatto che io non la prendevo per niente in considerazione, è dispiaciuto quanto me e la bimba e mi chiede di sua iniziativa di cominciare a vedere in giro anche altri circoli, la bimba dopo aver chiesto diverse volte “ma quando andiamo a fare di nuovo la prova?” una volta afferrato il concetto ( questo anno niente prove) mi fa “Beh, allora andiamo sul campo e mi tiri tu le palline, tanto io so come fare”, mi sa che mi tocca a fare proprio questo, però avrei preferito farti fare un corso vero e proprio, con un maestro vero, ed insieme ad altri bambini.
    Perciò mi stampo l’elenco delle scuole dal sito FIT, una volta svanito il vantaggio dell’immediata vicinanza tanto valeva andare sulle più quotate, e comincio a chiamare quelle che non si trovano dall’altra parte della città ( ahimè, la maggior parte sono, appunto, dall’altra parte) collezionando diverse risposte negative, perché le più quotate sono, a quanto pare, del primo tipo, alla fine becco il direttore di un circolo che si prende la briga di parlare con il maestro e di richiamarmi ( cosa più unica che rara) e poi è andato tutto più liscio di quanto speravo.
    Insomma, queste sono le impressioni sulla fase iniziale di un percorso tennistico, dal punto di vista di chi è completamente fuori dal giro e non sa nulla su come viene organizzata l’attività tennistica in Italia. Da questo punto di vista, ahimè, il sottoblog del grande Stefano Grazia più che un faro di luce è una tempesta di confusione, non per colpa sua ovviamente. Personalmente ho imparato tante cose – che poi magari tutti gli altri conoscono da sempre – certo che se l’avvio si fa a manovella non mi sorprende che i bambini di 10-11 anni che vedo giocare alla SAT sotto casa farebbero ridere un Jan Silva, che a cinque ani si muove meglio, e anche non volendo andare su esempi cosi estremi, ecco, i piccoli calciatori della stessa età ( ho tre scuole calcio in raggio di cento metri, ma perché non ho avuto un maschietto?) sono molto più coordinati, hanno una certa presenza fisica, non so se rendo l’idea, sembrano già degli sportivi veri e fatti.
    Come dicevo all’inizio, a condizione ovviamente che la piccola peste non decida di fare altro, man mano che mi addentro nel mondo del tennis under – perché il bando della matassa secondo me si trova sempre in questa fase - spero di farmi un’idea piuttosto precisa sui motivi della famosa maturazione tardiva … e di trovare delle contromisure. Nel frattempo, auguro ad Alberta Brianti buon proseguimento e di riuscire a mantenersi a lungo ai piani medio alti. Nella maggioranza degli sport si dice che è facile arrivarci, più difficile mantenersi ad alti livelli, mi sono fatta l’idea che nel tennis è vero il contrario, secondo me dovrebbe avere una vita più facile d’ora in poi.

  7. Giovanni da Roussillon scrive:

    Le “politiche totalmente errate” non sono probabilmente appannaggio del solo mondo sport.
    Pier Vittorio Tondelli (si) interroga nell’ottobre 2007: “Chi sono i giovani d’ oggi? Che cosa pensano? Saranno vere le categorie, così pubblicizzate dai mass media, che li vedono raggruppati in comportamenti e mode assolutamente non paragonabili tra di loro? Saranno tutti stupidi, reazionari, bambocci preoccupati soltanto del vestito e del “cosa mettere stasera”? È possibile che i problemi dei ragazzi di oggi, per esempio, siano del tipo: “Festa in casa: tenere le luci accese o spente durante i balli? Dentro o fuori i genitori?”, quesiti posti proprio qualche ora fa da un programma televisivo nazionale. Ora, non si vuole proprio credere che i ragazzi italiani di oggi non abbiano nulla da dire; che siano abissalmente separati dai loro coetanei di ogni altra generazione precedente; che produrranno soltanto graffitini e decorini, sculturine di capelli e musichette da Tempo delle Mele. C’ è in ballo anche la grande reponsabilità degli organi di informazione e dell’ establishment culturale, poiché se tutti noi offriamo ai più giovani soltanto schifezze, che cosa potremo mai chiedere in cambio?”

    Domande che ogni adulto, ogni genitore in particolare, potrebbe rivolgersi.

  8. Stefano Grazia scrive:

    Alberta Brianti,mi pare, ogni tanto scriveva sul Blog, agli inizi…Perche’ non chiederle un contributo o un commento all’articolo dell’Autorevole per antonomasia?
    Dyana: ho gia’ copiato e incollato il tuo post anche su G&F…
    Sull’argomento in questione la mia opinione e’ la seconda che hai detto (la verità è un’altra, e da noi si matura tardi (a volte troppo tardi) perché mancano tecnici di qualità, programmi, strutture, ambizione).O meglio, e’ anche (o solo) una questione culturale.da noi si e’ inclini a chiamare il Telefono Azzurro o comunque a criticare ferocemente chi fa cose che anche noi vorremmo aver fatto ma non abbiamo avuto il coraggio o la voglia di fare…

  9. Giorgio Errani scrive:

    leggo questo post rimbalzando da G&F (dopo che stefano ha copia-incollato) e concordo totalmente:

    “…da noi si matura tardi (a volte troppo tardi) perchè mancano tecnici di qualità, programmi, strutture…”

    è solo ed esclusivamente questione di organizzazione, di voglia e di disponibilità ad un rischio che deve coinvolgere chi tiene le fila in prima persona

    auguri a dyana a prescindere (anche se personalmente non sono d’accordo con la specializzazione troppo precoce)

  10. nic kelman scrive:

    E così, se siamo andati a vedere le gare di nuoto di un nostro figlio o figlia, con tutto quell’odore di cloro e quell’umidità e quella foschia nell’aria, con quella paura di scivolare mentre andiamo a prendere i posti o a comprare una bibita alla macchinetta, e lui batte il suo record personale in quella gara ma arriva comunque ultimo, noi lo abbracciamo. Mentre lui sta lì a rabbrividire avvolto in un asciugamano, coi capelli bagnati che escono scompigliati dalla cuffia, mentre guarda i vincitori che ricevono le medaglie, diciamo: “Non preoccuparti, hai battuto il tuo record personale, no? Dovresti essere più fiero di te: cosa potevi fare di più?”.
    E lui dice: “Lo so, lo so”.
    Perché lo sa. Sa che non basta essere veloci, bisogna essere più veloci. Sa che le virtù sono tali solo se oggetto di paragone. Sa che, se lui è veloce ma tutti gli altri sono più veloci, lui è lento. Sa che, se lui è veloce ma tutti gli altri sono più veloci, arriva ultimo. Perde. Sa che se fosse stato più veloce, gli avremmo detto: “Bravo! Hai vinto! Sei stato fantastico!”, e lo avremmo portato fuori per una cena speciale, euforica, dove ci sarebbe stato uno dei suoi amici o persino tutta la sua squadra.
    E se non lo sa, se non ha fatto la gara di nuoto o le olimpiadi di matematica o il concorso di gruppi rock, se non è stato competitivo in qualcosa tanto per cominciare, sappiamo che è nostro compito insegnarglielo.
    E così le nostre figlie. Perchè sono le nostre figlie, non quelle di qualcun altro. Non basta che siano belle. Non basta che amino divertirsi. Non basta che siano vive, ma devono sopravvivere.
    Ed ecco perchè ci sentiamo dei genitori falliti se vediamo che i nostri figli credono di non avere niente da dimostrare. Perché quando non dicono: “Voglio fare il surfista di professione”, ma solo “Voglio fare surf”, anche il più comprensivo di noi (e a volte anche quelli abbastanza ricchi da non doversi preoccupare che i loro figli trovino da mantenersi) li guarda e si chiede, solo per un attimo, come ha fatto questa cosa che è venuta fuori da noi ad essere così poco simile a noi, così lontana da noi, si chiede, per un attimo, se sono davvero nostri.
    Ecco perché, se siamo dei buoni genitori, gli insegniamo a nuotare il più presto possibile. Glielo insegniamo per il loro bene. Glielo insegniamo, anche se sappiamo che è proprio tenendo la testa sopra il pelo dell’acqua che anneghiamo.

  11. Pete Agassi scrive:

    Hai ragione Giovanni, la situazione deficitaria del movimento sportivo nostrano è conseguenza della situazione “inguaiata” in cui vige il nostro sistema-paese. Sono d’accordissimo nel ritenere che non puoi pretendere da un giovane qualcosa, un qualcosa che invece è stato del tutto sovvertito in precedenza da quello steso universo dai cui provengono le pretese. Buddha diceva che si poteva constatare il livello civile di un paese vedendo il suo rispetto per gli animali. Al posto degli animali mettiamoci lo sport ed ecco che si disvela l’Italia degli Sgarbi e dei reality

  12. Agatone scrive:

    Per quanto riguarda l’articolo non si può che essere d’accordo con l’autore. E’ chiaro che il tennista giovane in Italia ha molte più probabilità di sbagliare strada, scelta, coach, luogo che non di fare la scelta giusta. Solo con una grande costanza e perseveranza si riesce a non adagiarsi e magari venire fuori relativamente tardi.

    Vorrei poi fare due brevi considerazioni:
    La prima è che penso che i genitori che cerchino di far fare la carriera sportiva ai figli abbiano in mente che diventare professionisti significhi sì fare sacrifici ma anche poter avere una bella vita nel caso di riuscita. E’ questo penso che spinge i più. E non mi pare una cosa così negativa. Magari è possibile che un genitore veda del talento dove non c’è e questo forse è più pericoloso. Questo mi è venuto in mente dopo aver letto la bella mail di nic kelman.

    La seconda riguarda i giocatori. Io penso che in Italia ci sia così voglia di avere un tennista forte che i giocatori dovrebbero capire che basterebbe poco per diventare degli eroi tennisticametne immortali. Tutti loro dovrebbero avere questa spinta eccezionale, cioè che non è necessario che vincano uno slam, come deve succedere a uno spagnolo o un francese ma basta che diventino competitivi, che entrino tra i dieci del mondo e tutte le televisioni, i giornali, gli sponsor gli correrebbero dietro. Perché si adagiano? Un gradino in più e diventano eroi!

  13. Stefano Grazia scrive:

    GIOVANNI DE ROUSSILLON: Pier Vittorio Tondelli e’ morto nel 1991.

  14. Avec Double Cordage scrive:

    ora ho letto, molto interessante, viene il dubbio che ci sia qualcosa che non funzioni proprio benissimo in questa macchina meravigliosa e perfetta che è il tennis italiano. Ma può essere? No, impossibile. Sarà perchè il paese è troppo piccolo, il serbatoio troppo esiguo, come si fa a confrontarsi con nazioni come Svizzera, Serbia, Belgio e la repubblica Ceca. E poi qui da noi non ci sono tornei, dove vuoi andare con 25 ciellenge o come li chiamano, e anche se ci aggiungi gli altri non vai oltre i 50 tornei all’anno, se vuoi fare sul serio poi ti tocca andare all’estero, troppo lontano, posti selvaggi e barbari poi, posti come la costa azzurra in Francia, Monte Carlo (anche se con una puntatina al casinò poi li magari ne potrebbe valere la pena), la Svizzera, L’Austria bah, la Germania addirittura 100 km più a nord, la Croazia nel lontano oriente e la Slovenia dove ti fanno giocare persino sul cemento quei pazzi. No, non ha proprio senso, meglio passare il finesettimana al mare, caso mai nella piscina del circolo o dare un calcio a quel pallone.

  15. Giovanni da Roussillon scrive:

    Grazie, Grazia. Non urlare, tuttavia. Il mio commento precedente deve allora leggersi:
    “…In una riflessione del già defunto Pier Vittorio Tondelli, apparsa nell’ottobre 2007 su un quotidiano del vostro Paese, questi si interroga: “Chi …”…
    Mi spiace essere incorso nell’imprecisione, che ha il pregio nondimeno, di farmi tornare, oltre che a porre rimedio, a sottolineare come l’interrogativo vada datato, pur non essendo datato.

  16. dyana scrive:

    @Giorgio Errani
    Grazie perl’intevento e per gli auguri. forse il mio post incentrato su un unico episodio possa aver dato questa impressione, cmq siamo lontani anni luce dalla specializzazione precoce, che ritengo dannosa. sempre imho, se poi è anche condivisa tanto meglio. ho precisato meglio la situazione su G&F, rispondendo anche ad un commento di Stefano Grazia.

  17. Avec Double Cordage scrive:

    cribbio, mi sono dimenticato San Marino tra i tornei all’estero

  18. anto scrive:

    Me la ricordo cinque o sei anni fà in un challenger di livello bassissimo nella bergamasca…………..uscita al primo turno……e adesso top 70…..incredibile…….

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