Roberta Vinci
sbucata dal passato.

 
20 Aprile 2009 Articolo di Roberto Commentucci
Author mug

Per celebrare la bellissima vittoria nel Wta di Barcellona, ripercorriamo la vicenda sportiva della più spettacolare delle nostre tenniste, dotata di un gioco tanto antico quanto bello da vedere, ma frenata da un fisico fragile e da un carattere troppo sensibile. Ora, con la ritrovata condizione atletica, Robertina può essere uno splendido testimonial  per nostro il tennis.

Roma, 2 maggio 1999. Al Foro Italico si gioca il secondo turno delle qualificazioni del torneo femminile. C’è un pubblico variegato, anche se non troppo numeroso, in cui si mescolano veri appassionati a semplici curiosi, che girano fra i campi interessati più alle fattezze delle giocatrici che all’aspetto agonistico. A poco a poco, però, tutti quanti si ritrovano a guardare lo stesso match. “Aho, venite qua, c’è una che batte e va a rete…”.
Sul campo n. 1 va in scena un affascinante contrasto di stili, fra due ragazze giovanissime. Da una parte, una diciottenne slava, splendida atleta, fisico da sprinter, piedi che sembrano volare sul campo, due fondamentali fluidi, potentissimi, ma anche un servizio tremebondo, funestato da un lancio di palla spesso sciagurato.

La sua avversaria italiana è una ragazza piccolina, di soli 16 anni, dall’aspetto decisamente mediterraneo: forme generose, piuttosto sfornita di muscoli, non troppo potente, né troppo veloce. Ma dotata di un braccio fatato.
Nettamente inferiore nello scambio di forza da fondo campo, la sedicenne mette in mostra un armamentario tecnico di rara bellezza, che illumina il pomeriggio. Un back di rovescio tagliente e sicuro, con cui anestetizza la potenza della rivale, serve & volley impeccabili, palle corte imprevedibili, improvvise accelerazioni di diritto, uso sapiente degli angoli stretti, pallonetti millimetrici. Uno spettacolo.

La ragazza slava si guarda intorno, smarrita. Non ha mai affrontato una che gioca così. Piega più che può le sue magnifiche gambe, ma fa una fatica enorme ad imprimere potenza alle bassissime rasoiate di rovescio con cui la sua avversaria la sta torturando.

Tra l’entusiasmo del pubblico, la piccolina si aggiudica il primo set con un netto 62, e a suon di colpi vincenti si procura un break di vantaggio nel secondo.

Ma la russa non molla. Inizia a trovare il ritmo, cerca di spostare la rivale, di stancarla, di tenerla lontana dalla rete. Il match si fa più duro ed equilibrato. Fa caldo.

La piccolina è al servizio, avanti 43, 40-30. Cerca una traiettoria esterna, e la segue a rete. La slava risponde con un rabbioso lungolinea di rovescio. La piccola italiana arriva in equilibrio precario sulla volèe bassa di diritto, ma trova un ottimo impatto, e manda di là una profonda traiettoria incrociata, che atterra nei pressi della riga. Le magnifiche gambe della ragazza slava sprintano, e la portano a un gran passante lungolinea. La piccolina, intelligente, ha chiuso l’angolo alla sua sinistra, ma la palla è  molto bassa e violenta. Ne esce una bella volèe incrociata di rovescio, che pare definitiva. Pare. La slava riparte a mille, arriva sul rovescio di gran corsa. L’italiana, di puro istinto, si appiccica a rete, per chiudere l’angolo.
E viene scavalcata da un magnifico lob liftato, che atterra ben dentro al campo, fra gli oooohhh! di meraviglia del pubblico.

E’ la resa. Il fiato della nostra si fa sempre più corto, l’altra prende fiducia. L’atletismo slavo prevale sulla fantasia mediterranea, e il match si chiude con un netto 26 64 62.

Il pubblico sfolla, un po’ deluso, ma soddisfatto per lo spettacolo. “Certo però che gioca bene questa russa… Come hai detto che si chiama?” “Aspetta… Dementieva, Elena Dementieva. Pare sia una grande promessa.” Peccato per la nostra però… Bellissima da vedere, fa i miracoli, ma se non hai il fisico, oggigiorno…”.

Quel match, che la talentuosa Roberta Vinci, giocò sedicenne, da n. 650 Wta, contro una tennista che sarebbe diventata ben presto una delle protagoniste del tennis mondiale, racchiude un po’ tutta la sua vicenda sportiva. La vicenda di una tennista d’altri tempi, dotata di un talento notevole e di un gioco altamente spettacolare, che ha avuto forse un solo torto. Quello di nascere con un paio di decenni di ritardo.

Roberta Vinci da Taranto, classe 1983, si fa notare ben presto per la sensibilità del tocco e per la pulizia dei suoi gesti. A livello juniores, gioca spesso con la sua quasi coetanea e corregionale Flavia Pennetta, più anziana di un anno, sotto la guida tecnica di Michelangelo Dell’Edera. Le due pugliesi in quel 1999 si aggiudicano il titolo di doppio al Roland Garros juniores.

Poi, con l’ingresso nel professionismo, le due ragazze prendono strade diverse. La determinata brindisina si accasa a Milano, con Barbara Rossi, mentre la nostra tarantina si sistema a Roma, al Parioli, alla corte di Vittorio Magnelli. E lì per lì, non sembra credere troppo alla possibilità di emergere in singolare, in un circuito dominato da possenti valchirie. Le sue prime affermazioni Roberta le coglie in doppio, dove affianca la “francese de Roma” Sandrine Testud, moglie di Magnelli. Il sodalizio ha successo. L’azzurra arriva, diciottenne, al n. 12 delle graduatorie mondiali di specialità, e le due ragazze nel 2001 si qualificano per il master finale Wta.

Poi piano piano, iniziano ad arrivare soddisfazioni anche in singolare, per lo più sulle superfici veloci. Nel 2002, una semifinale sul cemento di Tashkent, dove la palla rimbalza bassissima.

Per l’exploit vero e proprio, tuttavia, bisogna aspettare il 2005, e la stagione sull’erba. La tarantina, ancora fuori dalle prime 100 del mondo, si iscrive alle qualificazioni del torneo di Eastbourne, prestigioso prologo di Wimbledon. Le passa di slancio, e si ferma solo in semifinale, mettendo in fila, per strada, gente come Zvonareva e Myskina, con il suo impeccabile tennis d’attacco. Sul sito della Wta nelle news del torneo inglese, scrivono: Anastasia Myskina of Russia defeated by Italian serve-and-volleyer Roberta Vinci… A leggere l’asciutta prosa anglosassone, c’è da inorgoglirsi.

Pochi giorni dopo, ai Championships di Church Road, la nostra arriva al terzo turno, dove ha l’onore di sfidare, sul centrale, nientemeno che Kim “Kong” Clijsters, in diretta tv su Sky. In termini di chili e di centimetri, è un match impari, ma Roberta, pur sconfitta, ne esce bene, ricevendo una valanga di complimenti da un ammiratissimo Gianni Clerici.
Rino Tommasi, dal canto suo, non tradisce la sua estrazione statistica: “Epperò… 3 aces di fila. A mia memoria, non ricordo una tennista italiana capace di mettere a segno tre aces consecutivi”.  Insomma, un figurone.
Il segreto di questa nuova Roberta Vinci è in realtà uno solo: l’amore. Il rapporto con il tecnico siciliano Francesco Palpacelli da poco avviato, le conferisce stabilità psicologica, le infonde fiducia e convinzione nei propri mezzi. E la porta da Roma a Palermo, dove, seguita da Francesco Cinà, trova finalmente l’habitat ideale per affermarsi nel circuito professionistico.

L’anno successivo l’azzurra raggiunge il suo best ranking (37 Wta), ma poi a causa di una lunga serie di guai fisici, esce nuovamente dalle prime 100, per rientrarci fragorosamente nel 2007, con la vittoria sulla terra in altura di Bogotà, la sua prima affermazione in un torneo del circuito maggiore. Poi, ancora infortuni su infortuni: il ginocchio, la spalla, la schiena. Un calvario.

E finalmente ecco l’ultima resurrezione, targata 2009. La gran battaglia contro la Ivanovic a Brisbane, i quarti a Marbella mettendo paura alla Jankovic, fino alla cavalcata trionfale di Barcellona.

Le interviste ci parlano una Roberta Vinci ancora diversa, più matura e sicura di sè. La sua storia con Francesco Palpacelli è finita, ma Roberta sembra non risentirne, e pare anzi aver ancora migliorato il suo repertorio tecnico. Vediamolo nel dettaglio.

Un colpo molto importante per l’azzurra è il bellissimo servizio. Un gesto di grande fluidità e coordinazione, con una azione della spalla e del braccio armoniosa e continua, splendidamente sincronizzata con la spinta delle gambe e culminante in un mulinello rapidissimo. Roberta conosce benissimo ogni traiettoria e ogni variazione di effetto. E nonostante la statura contenuta, i muscoli non certo da wonder woman, grazie alla sua tecnica di esecuzione strepitosa è in grado di sparare prime palle a oltre 170 km/h, di eseguire slice esterni di grande precisione e servire robusti kick avvelenati. Un servizio, insomma che se lo avesse Karin Knapp, con le sue spalle da canottiere, farebbe le buche per terra.

Altra caratteristica vincente del gioco di Roberta è la perniciosa (per le avversarie) disomogeneità dei fondamentali, dai quali scaturiscono due tipi di palla profondamente diversi, su cui trovare ritmo è impresa davvero improba.

Il rovescio è giocato sistematicamente in back, si giova di un gran controllo della profondità del colpo (micidiali e ben fintate le palle corte) e consente a Roberta di mettere in gran difficoltà le atletiche colpitrici del tennis attuale, non abituate a fronteggiare queste rotazioni.
Con il diritto invece l’azzurra, grazie ad una classica impugnatura eastern e ad una azione estremamente fluida del polso, è in grado di alternare parabole alte e morbide, cariche di top spin, ad improvvise accelerazioni perfettamente piatte, colpite con grande anticipo, che spesso le procurano il punto diretto o le propiziano la via della rete.

Il gioco al volo è un grande punto di forza per Robertina, e in genere vale da solo il prezzo del biglietto per  i suoi match. I gesti sono eleganti e sicuri (la voleè di rovescio in particolare coniuga splendidamente bellezza ed efficacia) e anche lo smash è impeccabile. Purtroppo, come è ovvio, la struttura fisica tutt’altro che imponente impedisce a Roberta di coprire sufficientemente la rete, e la costringe a centellinare le sue discese. Un gran peccato, perché la tecnica di esecuzione delle volèe è forse la migliore di tutto il circuito femminile.

Contro un simile modo di giocare, quando è sorretto, come in queste settimane, da una adeguata condizione atletica e da una sufficiente mobilità, molte delle tenniste contemporanee vanno in grandissima difficoltà. Parafrasando certe trame di fantascienza, il gioco di Robertina è come un virus estinto, appartenente ad una lontana era geologica, rimasto congelato per migliaia di anni, che improvvisamente si risveglia e va ad attaccare organismi che non hanno sviluppato i necessari anticorpi, con esiti devastanti.

Se ne è avuta la riprova anche nella finale di ieri. Maria Kirilenko, che pure passa per una delle migliori doppiste del circuito femminile, contro i passantini in back della nostra, sui quali non basta appoggiarsi, ma bisogna saper giocare una voleè  spinta come si deve, si è imballata in infiniti errori.

Insomma, la nostra Robertina mette d’accordo davvero tutti: esteti e tifosi nazionalisti. Se riuscirà a mantenere questa condizione atletica (suo storico tallone d’achille) la ragazza tarantina può diventare un magnifico testimonial per il nostro movimento.

Un’ultima provocazione. A veder giocare la Vinci  viene spontaneo chiedersi: ma perché i tecnici moderni non insegnano più questo tipo di tennis? Possibile che al mondo non nasce più una ragazzina dotata di sensibilità di tocco?

Non sarà forse che costruire in serie delle giocatrici basate sulla sola potenza è più semplice e rapido e quindi i ritorni economici arrivano prima?

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11 Commenti a “Roberta Vinci
sbucata dal passato.”

  1. Agostino scrive:

    Qui si parla di tennis. Quindi di Roberta (da) Vinci.
    Lo ripeto: fosse nata 25 anni prima avrebbe fatto finale a Wimbledon e se a Martina entrano poche prime se la gioca pure…
    Si parla di tennis perché in tv se danno il primo turno di un challenger maschile e una finale tra le williams mi sintonizzo sul challenger e mi godo le palline Tretorn che viaggiano in uno stadio deserto, ed invece, se c’è la Vinci, guardo il tennis femminile. Un po’ perché la Vinci non gioca quel bruttissimo sport chiamato “tennis femminile” ma quello meraviglioso ed antico chiamato semplicemente “tennis”.
    Le valchirie moderne, si dice, hanno fatto rassomigliare il tennis in gonnella a quello maschile. Ma a quello di chi tra i maschi? Non credo che nel circuito vi siano molte tenniste che si siano ispirate a qualcosa di diverso dai Djokovic, Murray, Davydenko, Hewitt, Ferrer et similia. Da quando la Henin poi se ne è andata mi manca anche l’emula di Federer. Invece Roberta gioca un tennis unisex, un tennis che non scimmiotta nessun Pat Cash o Stefan Edberg, che non ripete i gesti di Jana Novotna o della citata Martina. Roberta gioca un tennis da vergine delle rocce, oggi unico. Riesce persino a nascondere l’insicurezza nel rovescio dietro la beozia e la cecità tecnica delle sue avversarie incapaci di attaccarlo a rete. Forse Roberta. allora, emerge per contrasto, e se fosse nata davvero 25 anni prima non ci saremmo tanto esaltati nel vedere un simile panda in finale ai Championships: ci sarebbe sembrato normale.
    Purtroppo oggi non può farlo più. Ed è anche questo che la rende speciale. Lo stesso infinito Roger ha dovuto normalizzarsi per vincere ciò che ha vinto. Roberta a 26 anni non può più farlo, e forse non l’ha mai neanche voluto. Resterà ribelle in eterno, vincente troppo poco, ammirata da chi ama il tennis e legge poco gli albi d’oro.

  2. Renèe scrive:

    Che bell’articolo! Grazie a Commentucci di aver trasmesso così bene la “meraviglia” di questo sport.. Complimenti a lui e complimenti alla “nostra” Robertina per una vittoria davvero magnifica e meritata.

  3. Avec Double Cordage scrive:

    sottoscrivo il commento di Renèe e ci aggiungo anche i complimenti al commento di Agostino, maledetto calcio se anche da noi fosse uno sport spiccatamente femminile come lo è negli USA avremmo qualche medaglia d’oro olimpica in più e ciò che importa di più anche qualche ATP top 10 in più…

  4. anto scrive:

    Bravo Rob, bell’editoriale, la Vinci se lo merita.

  5. Fabrizio Scalzi scrive:

    Robertina ha un gioco meraviglioso!non ho altro da aggiungere a ciò che è stato già detto!!!

  6. mirco 73 scrive:

    allora complimenti a tutti !!!!

  7. Elisa Piva scrive:

    Robertina ha davvero un tennis bellissimo, e questo suo secondo trionfo mi ha riempito di gioia. Ho visto tutta la sua partita contro la Jankovic, e mi ha davvero colpito, è una giocatrice con un grandissimo talento e va preservata. Complimenti anche a Roberto per averle dedicato uno dei suoi profili tecnici. Tra l’altro ricordo con piacere la sua sfida a Wimbledon contro la Clijsters, fu la mia prima partita di tennis, anche se in quella occasione fu la belga a colpirmi. Rino la soprannominò Azdora Vallone, e Clerici incalzò:”è troppo forte per la nostra Robertina”, ma l’azzurra non sfigurò nemmeno in quel grangente. Speriamo che Barazzutti la metta titolare, senza Zvonareva, la più intelligente tra le russe, abbiamo ancora più possibilità e una Vinci in più!

  8. pedrinho&luvanor scrive:

    Colpa del suo primo tecnico se non è diventata una fuoriclasse.
    Giocava il diritto con la western .
    Il maestro, figlioccio di Rasicci, cambio’ la presa.
    Addio velocità di palla e sicurezza.

  9. Nicola RF scrive:

    Complimenti a Roberta. Bel tennis davvero. Complimenti anche quando non vince… la lotta con le titane è durissima, ma qualche soddisfazione …. arriva lo stesso. Prendere esempio. E se il modello fossero alcune delle nostre ragazze? Mai sentito che si lamentino di qualcosa, concentrate al punto giusto. Meno vittime del protagonismo da Circolo che ammorba tanti giovani probi italici tennisti….

  10. marcos scrive:

    vinci/commentucci: un doppio mistico da applauso interminabile!

  11. Peppe 38 scrive:

    Brava Roberta,
    il tuo modo di interpretare lo sport mi ricorda tempi passati e felici.
    Credo che tu abbia ereditato molta da tua madre, la volontà e la derterminzione non ti mancano ,la continuità si acquisisce con la sicurezza dei tuoi mezzi e della conoscenza corretta delle tue potenzialità .
    I tarentini hanno bisogno di una stella.
    Ad maiora.

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