Quando Gaudenzi ci faceva sognare.
La finale di Davis Italia-Svezia del 1998.
Una squadra valorosa e sfortunata
che si fermò a un passo dalla storia

 
10 Aprile 2008 Articolo di Roberto Commentucci
Author mug

La drammatica conclusione del primo singolare. Gli azzurri, una squadra compatta che sapeva esaltarsi nei match contro pronostico. La forza degli svedesi. Sembra incredibile, oggi, pensare che solo 10 anni fa eravamo in finale di Davis…

Azzurri in Davis

Milano, 4 dicembre 1998. Il Forum di Assago è strapieno, ribollente di tifo tricolore, urlato senza posa da 15.000 aficionados giunti da tutta l’Italia tennistica, decisa, finalmente, a vivere un fine settimana da protagonista. Un rubicondo telecronista è saldamente installato in cabina di commento, per la diretta integrale su Rai 3, e alterna con sapienza spiegazioni semi-tecniche a commosse urla di incitamento patriottico. Sul campo, una lentissima terra rossa indoor, un ragazzo di Faenza, ben piantato, i capelli racchiusi in una fascia tricolore, si appresta a servire per il match, sul punteggio di 6 a 5 in suo favore nel quinto set. Il suo avversario, un atletico vichingo con la faccia da bambino, pare rassegnato al peggio, le energie ormai prosciugate. E’ stato un match infinito, durissimo, contraddistinto da feroci scambi dalla linea di fondo. Il ragazzo con la fascia tricolore ha l’aria stanca, ma sembra deciso. Raccoglie le ultime forze, lancia in alto la palla, scaglia un bolide a oltre 200 km/h… E in quella si sente, netto, un crack, un rumore sordo, seguito da un urlo disperato. Il tendine della spalla destra ha ceduto, l’incontro è perduto. Il pubblico ammutolisce, il telecronista ripiega sul tono di voce più grave, simile a quello usato nelle cronache dei funerali di Stato.

In quel preciso momento, finisce il sogno del nostro tennis di conquistare una seconda coppa Davis.

Non sono passati nemmeno dieci anni, da allora, eppure l’idea di giocare una finale, per il nostro movimento, sembra una possibilità remota, quasi come andare a fare una passeggiata su marte. Come ci eravamo arrivati?

Nella seconda metà degli anni ’90 la squadra italiana di Coppa Davis aveva trovato una apprezzabile continuità di rendimento, che la aveva portata per due anni consecutivi in semifinale nel gruppo mondiale. Nel 1996 eravamo stati sconfitti in trasferta dalla Francia; l’anno successivo, sempre in trasferta, dagli svedesi.

Il capitano Paolo Bertolucci, che aveva sostituito, non senza polemiche, il suo ex compagno di doppio Adriano Panatta sulla panchina azzurra, aveva creato un gruppo coeso, basando il suo lavoro sul dialogo con i giocatori, che erano spesso in contrasto con la dirigenza, ma in compenso erano molto in sintonia con il Capitano.

Il leader indiscusso del gruppo era lo sfortunato faentino di cui scrivevo sopra, Andrea Gaudenzi, un tennista che, dopo essere stato campione annunciato, ed aver rischiato di smettere di giocare per una difficile transizione dal mondo junior a quello professionistico, aveva scelto di sacrificare il suo talento tennistico, preferendo costruirsi un gioco estremamente solido, basato sulla forza muscolare e sul peso di palla, alla scuola di Ronnie Leitgeb e Thomas Muster. Un uomo e un giocatore di indubbia personalità.

Gaudenzi

Gaudenzi era l’elemento più importante della squadra, primo singolarista e doppista, dove giocava al fianco del napoletano Diego Nargiso, talentuoso e incostante mancino, al quale l’aria della Davis dava enormi motivazioni, che gli facevano toccare picchi di rendimento importanti, e del tutto sconosciuti sul circuito Atp. I due formavano una coppia solida e affiatata, in cui si miscelavano estro e concretezza, virtuosismo e forza mentale, e avevano al loro attivo vittorie importanti, come quella contro i russi Kafelnikov e Olhovsky.

Il secondo singolarista era un giocatore atipico, lo spezzino Davide Sanguinetti, che aveva sostituito da qualche tempo l’acciaccato Renzo Furlan. La nostra squadra doveva proprio a Sanguinetti, e alla sua straordinaria prestazione in semifinale contro Todd Martin, in quel di Milwakee, la conquista della settima finale di Davis della sua storia, nella quale avremmo affrontato la Svezia e, per la prima volta, avremmo potuto giocare in casa.

L’approccio al match era stato accompagnato, come sempre, da molte polemiche. Fino all’anno precedente, schierando Gaudenzi e Furlan in singolare, la nostra era stata una squadra da terra battuta, e non ci sarebbero stati dubbi sulla scelta della superficie. Ma ora la presenza di Sanguinetti, tennista di scuola americana, uomo da rimbalzi bassi e rapidi, che quell’anno aveva raggiunto i quarti di finale a Wimbledon, complicava parecchio le cose e rendeva la nostra squadra molto disomogenea. Un aiuto a risolvere il rompicapo venne dall’esame delle caratteristiche dei nostri avversari, tra cui l’elemento più temibile era senza dubbio Jonas Bjorkman, uno dei più forti giocatori del mondo sulle superfici rapide, dotato di una reattività eccezionale, che lo rendeva temibilissimo in risposta e molto efficace nel gioco al volo. Jonas era anche uno dei più forti doppisti del mondo, sebbene non sempre riuscisse a trovare, in Davis, dei compagni all’altezza. In questa vicenda avrebbe fatto coppia con il potente ma ruvido Niklas Kulti. Alla fine, decidemmo per la terra rossa, puntando tutto su Gaudenzi e sul doppio.

Nel Forum di Assago venne allestita una cornice davvero degna di una finale di Davis, con un campo opportunamente rallentato. Per completare l’opera, vennero scelte palle dal rimbalzo ben alto, le Roland Garros, in modo da massimizzare l’efficacia del top spin del faentino.

Andrea, che aveva fortissimamente voluto, peraltro meritandolo sul campo, un ruolo da protagonista, veniva purtroppo da un brutto infortunio alla spalla destra, che era reduce da una delicata operazione alla cuffia dei rotatori, la componente dell’articolazione più sollecitata dal movimento del servizio. Il recupero era stato rapido, forse troppo rapido, ma il generoso faentino, che sentiva sulle sue spalle il peso dell’intero movimento tennistico italiano, era deciso a correre il rischio.

Gli svedesi, prevedendo che si sarebbe giocato su una specie di palude, schierarono in singolare i loro atleti più competitivi sul rosso: il trentunenne Magnus Gustafsson, diritto ampio e poderoso, all’epoca n. 31 Atp, ma che era stato anche nei primi 10, e il giovane talento emergente Magnus Norman, che era intorno alla 50a posizione, ma che nel giro di due anni sarebbe arrivato fino al n. 2 Atp. Norman era dotato di due rimbalzi strepitosi, era già fortissimo sulla terra battuta, e valeva molto più della sua classifica.

La prima giornata vedeva impegnati nel confronto di apertura Gaudenzi, il nostro n. 1, contro Norman, sulla carta n.2 svedese, ma in realtà l’avversario più temibile, e a seguire Sanguinetti contro Gustafsson. Ovviamente, Dado aveva poche chances sulla superficie a lui più avversa, e tutte le nostre speranze erano puntate su Andrea.

L’incontro apparve fin dall’inizio estremamente equilibrato. Le condizioni di gioco consentivano a Gaudenzi, meno dotato sul piano delle accelerazioni, di contenere la potenza dello svedese e di agganciarlo in infiniti palleggi, ai quali però il suo avversario sembrava adattarsi bene, continuamente pungolato a resistere, sul piano mentale, dal Capitano Carl-Axel Hageskog. Il match si tramutò presto in una estenuante maratona. Andrea vinse il primo set di misura, in un convulso tie-break, deciso solo al ventesimo punto, ma poi perse a 0 il tie del set successivo e non sfruttò un vantaggio di due set a uno. Infine, 5 pari nel quinto, Andrea ottenne un break che parve decisivo, con l’avversario ormai stremato. Al cambio di campo, il rubicondo telecronista, Bisteccone Galeazzi, intonò un commento che pareva risuonare come le note della marcia trionfale dell’Aida…

Poi successe quello che successe.

Per la nostra squadra fu uno shock.

Pare che Andrea, che a metà del terzo set non riusciva più a sopportare il male alla spalla, si sia fatto iniettare, nell’intervallo, un potentissimo antidolorifico, che gli consentì di proseguire ben oltre i limiti di resistenza del suo tendine. Quando, dopo il match, l’effetto del farmaco svanì, il faentino quasi svenne dal dolore.

Sanguinetti scese in campo sfiduciato, quasi traumatizzato, e venne rapidamente sconfitto da Gustafsson.

Il giorno dopo, Dado, che non era mai stato particolarmente efficace in doppio, fu schierato a destra, con Diego. I due tennero per un set ma poi, persa al tie break la prima frazione, naufragarono, sommersi dalle risposte anticipate di Bjorkman che su quella superficie, così lenta, riusciva a neutralizzare senza difficoltà, con il celebrato rovescio bimane, anche le prime palle di un incredulo Nargiso.

Tuttavia, ciò che va sottolineato, nel chiudere una pagina tanto triste, è il vergognoso comportamento della nostra dirigenza federale dell’epoca. Gaudenzi, per eccesso di generosità, aveva praticamente compromesso la propria carriera, ma negli spogliatoi del Forum, per chiedere delle sue condizioni, dopo la drammatica conclusione del match con Norman scese il solo Nicola Pietrangeli, l’unico vero uomo di sport che allora vi fosse nella nostra Federazione. Assenti ingiustificati tutti gli altri.

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21 Commenti a “Quando Gaudenzi ci faceva sognare.
La finale di Davis Italia-Svezia del 1998.
Una squadra valorosa e sfortunata
che si fermò a un passo dalla storia”

  1. renato scrive:

    io ricordo con gioia e con rabbia quei giorni.
    ma ricordo pure le prese di posizione della federazione contro le richieste dei giocatori.

  2. Nikolik scrive:

    In realtà, l’Italia è sempre stata in credito di fortuna con la coppa Davis.
    Tutte le finali giocate fuori casa, mentre, sulla terra, saremmo già stati favoriti nelle finali degli anni ‘60.
    La prima finale che si riuscì a giocare in casa fu quella raccontata magnificamente in questo articolo da Roberto dove, c’è poco da dire, avremmo vinto.
    La Svezia era avversaria temibile ma, a ben vedere, schierava la sua squadra più debole degli ultimi 10 anni abbondanti.
    Si poteva vincere benissimo.
    E successe quello che successe.
    Purtroppo, nella vita ci vuole anche fortuna.

  3. marcos scrive:

    una finale di davis in casa, nella mia città. biglietti in mano: non riuscii ad andare!

    vidi quel maledetto singolare in differita, in piena notte: alla fine, ero molto più preoccupato dell’infortunio patito da andrea, che triste per l’esito della finale.

  4. Stefano scrive:

    Non voglio nemmeno parlare della Federazione, sarebbe tempo sprecato.
    Ma in questa vicenda anche Gaudenzi ha commesso un errore grave, quello di sottovalutare il dolore. Un tennista professionista non può permettersi scelte suicide di questo genere, nemmeno in finale di Davis.

  5. anto scrive:

    Io c’ero!

  6. Alessandro Nizegorodcew scrive:

    Quanti ricordi, Roberto… grande pezzo!
    Io avevo 16 anni all’epoca e ricordo ogni istante di quella finale, da solo a casa incollato alla tv. Ricordo una mia amica che, conoscendo la mia passione, mi telefonò a fine partita per sapere se ero ancora vivo!
    Gaudenzi scelse di rischiare la carriera per la partita più importante.. come dargli torto..

  7. Andre scrive:

    anch’io c’ero e fu sconvolgente quel finale di partita…

  8. chloe de lissier scrive:

    kant affermava che il valore più importante di qualsiasi affermazione è la sua effettiva capacità di accrescere la conoscenza. gli articoli di roberto commentucci sono sempre eccellenti perché hanno immancabilmente questo valore. complimenti.

  9. Fabrizio Scalzi scrive:

    Ero presente alla finale di Milano.Un generosissimo Gaudenzi mette a rischio la propria salute,giocando un Match memorabile…putroppo l’esito fu drammatico..in quei due anni dal 96 fino al 98,la nostra nazionale è stata capace di darci delle forti emozioni positive,sopratutto grazie alla grande forza di volontà di Andrea Gaudenzi,Renzo Furlan e anche Sanguinetti e Nargiso.I nostri tennisti di adesso, sono sicuro che faranno bene..anche se con i sorteggi siamo stati un pò sforunati ultimamente nella davis cup….comunque FORZA AZZURRI,battiamo questa CROAZIA!!!

  10. Giuseppe scrive:

    non vorrei sbagliarmi (in caso sbagliassi vi prego di correggermi) ma ricordo che gaudenzi si fece male servendo l’ace del 6-5 italia quindi con lo svedese che avrebbe servito nel game successivo. Non ricordo che gaudenzi stesse servendo per il match quando si fece male. La partita infatti finì 6-6 0-30 (mi sembra) con gaudenzi che dopo aver perso il turno di risposta provò a servire sul 6-6.

  11. Emiliano Faeti scrive:

    Ciao Roberto, ottimo articolo come sempre. Mi permetto una correzione: Gaudenzi si fece male sul 5 pari del quinto set. Gaudenzi piazzò un servizio vincente che lo portò sul 6 a 5 per lui (senza break di vantaggio) e bisteccone Galeazzi escalmò: “Non perdiamo più”. Al cambio di campo servì Norman ma Gaudenzi purtroppo era ko

  12. Giuseppe scrive:

    mi sembra che gaudenzi si fece male servendo l’ace del 6-5 . Non ricordo abbia servito per il match

  13. stefan scrive:

    non ha servito x il match,avete ragione

  14. Roberto Commentucci scrive:

    Ringrazio tutti sia per i complimenti, sia per l’attenzione con cui avete letto l’articolo. E ringrazio soprattutto Emiliano e Giuseppe per la precisazione sull’andamento del punteggio.
    L’articolo è stato scritto di getto, sull’onda dei ricordi.
    E a volte nel ricordo le sensazioni (sembrava proprio che ormai l’inerzia della partita fosse dalla parte di Andrea, che pareva meno stanco di Norman), nonché, soprattutto, i nostri desideri di tifosi finiscono per sostituirsi ai fatti reali.
    Grazie ancora e forza azzurri.

  15. Emiliano Faeti scrive:

    Grazie a te per l’articolo, Roberto, è stato bello ripensare a quei momenti. Peccato che la prima finale di coppa Davis giocata in Italia sia andata male per noi ma almeno….ci arrivavamo.
    Erano altri tempi e soprattutto la Rai si degnava di trasmettere almeno la Davis. Ogni volta che pago il canone mi sento fregato.. sbaglio?? Speriamo di sovvertire il pronostico contro i “pivot” croati.

  16. Avec Double Cordage scrive:

    do ragione ad Emiliano Faeti, il canone è una fregatura infatti io non lo pago e non ho nemmeno una tivù

    bellissimo articolo sulla finale italia svezia che effettivamente aspettavo da tempo e avevo anche già più volte richiesto anche a marcos mi sembra, finalmente è arrivato, grazie

  17. Avec Double Cordage scrive:

    aggiungo, in italia è una fregatura perchè altrove il canone ancora ha un minimo di senso anche se le cose stanno peggiorando un po’ ovunque e il gradiente è segnato, meno male che c’è internet

  18. Tancredi Palmeri scrive:

    Mi aggiungo ai complimenti all’articolo. Io l’ho vissuta in maniera ancora diversa: dopo aver sudato, ma proprio materialmente, per ogni incontro della semifinale, durante le ore della partita di Guadenzi fui costretto a prendere il treno Bologna-Bari. Al tempo ancora non esistevano i messaggini di news sul cellulare. Così ogni cambio di campo ricevevo la telefonata di mio fratello per l’aggiornamento. L’ultima fu un attimo dopo il 6-5 al quinto set: lui mi chiamò eccitato e senza rendersi conto dell’infortunio. Mi disse ‘gaudenzi ha fatto 6-5′ e poi la batteria morì per il resto della serata… E io come un fesso a esultare in treno che tanto era fatta…

  19. Emiliano Faeti scrive:

    Io me la ricordo bene perchè nel primo pomeriggio arrivò a casa mia Barbara (attualmente mia moglie, all’epoca mia fidanzata) e la costrinsi a vedere la partita di Gaudenzi. Premessa: a lei non piace il Tennis e in più ha un antipatia viscerale verso bisteccone Galeazzi che faceva la telecronaca.
    Quando lui disse profeticamente: “Questa non la perdiamo più”, lei formulò una tesi secondo la quale il caro bisteccone portava un pò sfortuna. Tutto il resto è storia…

  20. ivan802 scrive:

    robi….mi hai fatto emozionare…tanti ricordi….Andrea un leone….

  21. paolobertolucci scrive:

    ringrazio Commentucci per avermi riportato a vivere quei meravigliosi momenti.Sono orgoglioso per aver avuto la fortuna di guidare quella squadra.

    Ovviamente sono io che ringrazio, di cuore, il grande Paolo Bertolucci per aver letto il mio articolo.
    (Rob. Comm.)

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