Archivio della Categoria 'Storie dall'Italia'

Politica contromano, ma non esagerare

Martedì 16 Ottobre 2007

QUANDO Grillo ha detto che i politici devono andare contromano non intendeva dire al presidente della sua Regione, il diessino Burlando, di imboccare lo svincolo della Genova-Savona dalla corsia sbagliata. L’episodio può diventare una metafora per dire che anche in questa gara per adeguarsi all’antipolitica bisogna stare attenti a non esagerare. Bisogna non sbagliare corsia. Da che parte andare? C’è chi dice che la sinistra paga sulla sua pelle l’abuso di cui ha fatto del moralismo per colpire i suoi avversari, strumento che ora le si è ritorto contro. Chi di spada ferisce di spada perisce. E Di Pietro interpreta che questa rivolta è la fase due di Tangentopoli. Vedremo. I più impropri sono i paragoni con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, che pure fu un fenomeno importante all’alba dell’Italia repubblicana, nonostante la storiografia ufficiale l’abbia minimizzato perché non conveniva nè alla Dc nè al Pci valorizzare un movimento politico, che veniva dal sud, che esprimeva la paura del comunismo da parte dei terrieri e che ebbe così successo da portare alla Costituente una trentina di parlamentari. Certo la tentazione di pensare a Grillo come a Giannini c’è, anche perché entrambi uomini di teatro. Ma solo per questa casuale coincidenza, perché tutto il resto non è avvicinabile nonostante che i due movimenti abbiamo una comune matrice antipartitica. L’antipolitica che cresce oggi nel Paese però non nasce come protesta della destra meridionale come quella di Giannini, semmai del nord. Codroipo? Mai sentito nominare? No, non fa parte degli ungulati, è un paesino friulano, vicino a dove nacque Pier Paolo Pasolini, una chiesta, una piazza e un bar con le ragazze dell’est. L’altra sera a Codroipo sono arrivati in 7 mila per sentire Grillo. Vi paion pochi?
Dunque, se invece di essere un movimento antipolitico fosse una rivolta, che nasce dalla voglia di tornare a far politica? Pensandoci bene, lo sguaiato comico sbeffegga i politici non la politica. E il pubblico ride e approva, «perché dice la verità».

Forleo, il gip che ha rotto il tabù del patto tra sinistra a toghe

Martedì 16 Ottobre 2007

NON HA IL FISICO per fare il magistrato. Esile, cammina veloce attaccata al cellulare, scarpe bianche, tacchi alti, pantaloni a tubo. Nessuno la riconosce. Difficile vederla in giro con la scorta. I passanti non la notano. «Sono fisicamente anonima». E’ Clementina Forleo, giudice per le indagini preliminari al tribunale di Milano, quella che ha assolto tre islamici accusati di terrorismo internazionale e che conduce l’inchiesta sulla scalata Antovenenta, con D’Alema, Fassino, il braccio di ferro sulle intercettazioni. Sembra una ragazzina. Tipo nervosetto. Intelligente ma meglio averla amica. Dice di sè: «Sono una rompicoglioni».
Le piace mostrarsi come una qualsiasi. Legge Chi, Novella, quelle riviste lì. Le legge per i gossip e non s’inventa di averle sfogliate dal parrucchiere. Quando può se ne sta per ore a letto, senza far niente, a telefonare, in dialetto, alle amiche del suo paese. Ha 44 anni, è di Francavilla Fontana, Brindisi, vicino al mare. Ma del mare ha sempre avuto paura. Per questo s’è messa a frequentare un corso di nuoto in una piscina di Milano. Ha imparato a rimanere a galla.
Paura? A parte il mare, quasi non la conosce. Quando la mattina apre la posta trova le immancabili lettere minatorie. Più trucidi sono più la divertono. Non ebbe paura nemmeno quando morirono in un incidente stradale i suoi genitori, nell’estate dei furbetti, quando lei firmava le ordinanze di sequestro contro Fiorani e Ricucci.

«UNA LETTERA minatoria — è il ricordo della Forleo — mi aveva profetizzato che avrei seguito la bara dei miei genitori e poco dopo ci fu questa tragedia». Pensò subito ad un sabotaggio. Corse all’ospedale oltreché distrutta dal dolore, inviperita. Sì, inviperita. Una furia. Ha detto di sé: «Quando mi sento minacciata divento aggressiva. Il senso della paura non mi appartiene». Le obiezioni sulle competenze per l’uso giudiziario delle intercettazioni telefoniche, il rimpallo della Camera su Strasburgo, per lei sono solo penosi cavilli. Non una sua figuraccia, come vorrebbero far credere.
A volte si rifugia in qualche barrettino del centro e ordina Schweppes. «Mi porti anche degli stuzzichini!». Che puntualmente non tocca. E sennò come farebbe a mantenersi con una linea così. La sua notorietà è dovuta anche agli indagati eccellenti, Fassino, D’Alema. E all’aria che tira in Italia. Sembra di essere alla vigilia di un’altra Tangentopoli, con la rabbia che cresce nell’opinione pubblica contro la Casta. Ma ora, ha detto la Forleo ad un suo collega, siamo oltre Tangentopoli perché allora non c’era la trasversalità che c’è ora. Allora erano reati più percepibili, le mazzette, le tangenti. Oggi invece, vai a spiegare alla gente che cos’è l’aggiotaggio. Lei parla spesso di «poteri forti che si sono attrezzati», un patto di solidarietà all’interno della Casta. Tutto è diventato più sofisticato, tutti si affannano a trovare i cavilli. In fondo, ha raccontato una volta, la differenza tra i politici di oggi e Craxi può essere paragonata alla storia delle auto. Quando Bettino Craxi disse alla Camera: siamo tutti colpevoli, perché tutti chiediamo le tangenti, è come se avesse detto: siamo tutti colpevoli perché tutti abbiamo l’auto in sosta vietata. Oggi invece non c’è il riconoscimento della colpa e dicono che le auto sono nel posto giusto, che nessuno ha commesso infrazione e dunque non c’è colpa.
E’ nei confronti di questa politica, dice l’amica di Clementina che racconta le loro chiacchiere telefoniche, che Grillo rischia di diventare pericoloso. Perché «le liste civiche metterebbero in ginocchio il sistema». Quello che si regge sulla politica degli impunibili.

MA CLEMENTINA non è sola. Sbotta una collega: «Se invece di D’Alema la Forleo avesse toccato Berlusconi e questi avesse avuto le stesse reazioni dell’altro, stia tranquillo che il Consiglio superiore della magistratura l’avrebbe difesa. Qui invece c’è un gran silenzio». Già, questa ragazzina, pensandoci bene, ha tutta l’aria di essere poco protetta. Ma lei non se ne cura.
Le basta di avere dalla sua l’opinione pubblica. Anzi non le interessa affatto. Ci mancherebbe altro che un giudice stesse dietro al vento degli umori. Ma non c’è dubbio che l’opinione pubblica sostiene il lavoro di questo giudice, perché gli elettori si sentono traditi. «Perché chi si era fidato ha scoperto l’imbroglio e così la delusione è diventata trasversale».
Tante volte le hanno chiesto che cos’ha in comune con Antonio Di Pietro, che lei, anche lei come lui ex poliziotta, ricorda come un «ottimo investigatore: i suoi interrogatori non si dimenticheranno mai». Di Di Pietro a Clementina Forleo è sempre piaciuta la forza, la coerenza e ha sempre pensato che è stato un peccato che abbia lasciato la toga. Ma tra i due c’è prima di tutto una diversità di funzioni, importante per una come lei che, come quelli di destra, hanno a cuore la divisione delle carriere in magistratura: lui era un pubblico ministero, lei è un giudice. Eppure la chiamano la nuova Di Pietro.

Il prefetto buonista che paga le bollette e regala illusioni

Martedì 16 Ottobre 2007

Che differenza c’è tra lui e Mastella e Rutelli, che vanno a Monza a vedere il Gran Premio sull’Air Force One? Nessuna, perché né il primo né gli altri due hanno commesso un reato (in più possono dire di essere giustificati da motivi di sicurezza) ma comune è l’errore di aver ostentato, di non aver tenuto conto del clima, che c’è in giro e che consiglia cautela e basso profilo.
Tenete a mente questo nome: Ferdinando Buffoni. Chi è? Non lo conosceva nessuno fino a quando, un mese fa, l’hanno nominato prefetto di Pavia. E’ il prefetto che ha inventato o che ha aderito (attingendo anche a fondi pubblici, ovvero, soldi nostri) alla bella idea di dare 1000 euro ai rom che lasciano l’Italia, con il risultato che quelli che li hanno presi, hanno fatto finta di andarsene e poi sono tornati indietro. Il re dei rom romeni ci ha dato degli scemi, avvertendo che ci ritroveremo il pieno di nomadi, che verranno a incassare l’assegnino.
Nel Basso Pavese i rapporti tra popolazione e rom sono molto tesi e cautela avrebbe dovuto suggerire al prefetto di essere meno avventato, a maggior ragione visto il suo ruolo di rappresentante del governo sulla realtà locale. Invece no, e non s’è fermato qui. Ha anche dato ospitalità ad una famiglia di rom (così bella da indurre perfino il sospetto sia stata scelta anche per questo), che per tre mesi abiterà in una casa di alcune stanze, tv, con bollette, luce, gas pagate da lui. I pensionati italiani da 500 euro al mese hanno cominciato a tartassare il prefetto di telefonate per informarsi se hanno anche loro qualche possibilità di avere le bollette pagate da lui.
Il problema dell’immigrazione non si risolve con i protagonismi ma con la serietà e iniziative di questo tipo falsano la realtà, complicano le cose, generano illusioni, radicalizzano le ragioni contrarie. E Buffoni ha dimostrato di essere il prefetto che si merita questo governo.

Questa improvvisa vocazione da sceriffi

Mercoledì 12 Settembre 2007

PERMESSO, scusi, c’è posto? No, non c’è posto. Inutile sgomitare, pestare i piedi, allargarsi nel pigia pigia: a destra non ci sono più posti. Nemmeno in piedi. Perché sull’autobus ci sono saliti tutti, anche quelli di sinistra e non ci si capisce più nulla. O meglio, si capisce. Tutti a dire: dagli al lavavetri, dagli al rom. Nel Pavese, in cittadine a maggioranza di sinistra, il popolo sinistramente ha perfino scandito: “Ca-me-re-a-gas”. Siamo diventati tutti sceriffi.

SCERIFFONI e sceriffini come Gentilini, prosindaco di Treviso, che faceva lo sceriffo quando sceriffo voleva dire magnabaluba e voleva dire di destra. Ora è diventato un vocabolo di sinistra. Parola di Cofferati, che con candore infantile ricorda che anche nei fumetti di Tex lo sceriffo è il buono. Ma se a settembre fare il sindaco sceriffo è diventato di sinistra, perché nel marzo scorso — solo sei mesi fa — era di destra? Ormai per farsi dire qualcosa di sinistra bisogna andare a Palazzo Marino, dove Letizia Moratti, pur gelosa della sua personale autonomia dagli schieramenti politici, non ha fama di essere una barricadera.

E LEI, che fino a ieri era il simbolo di un bieco potere xenofobo, è rimasta sola a raccomandare moderazione ai suoi colleghi di sinistra, come Cofferati e Domenici, che ora vogliono poteri speciali di polizia mentre lei ha detto che no, altri poteri non servono, basta che ognuno, a livello nazionale o locale, faccia il suo dovere. Il 26 marzo alla fiaccolata che aveva come slogan: “Proteggiamo Milano”, la Moratti dovette sfilare senza fascia tricolore, perché la sinistra le negò che quella protesta rappresentasse tutta la città. Fecero anche una contromanifestazione, che fu un fiasco con tre gatti coi palloncini in mano in piazza della Scala. Perfino il prefetto definì “anomalo” il corteo a cui presero parte 27 sindaci, non tutti di centrodestra, e Berlusconi venuto a fare il mattatore. Un corteo che esprimeva le preoccupazioni del 57 per cento dei milanesi, come rilevò un’indagine. Poi ci sono state le elezioni. La sinistra ha preso una legnata proprio sulla sicurezza e così chi stava a sinistra è finito a destra e chi era a destra s’è ritrovato a sinistra. Al grido di: facite ammuina.

Lo scandalo siede più in alto

Martedì 28 Agosto 2007

IN UNA società a responsabilità limitata come la nostra, dove le colpe si elidono, non si capisce dove sia lo scandalo nell’aver scoperto che ci sono pensionati che non muoiono mai, dal momento che ci sono fior di pensionati che non sono mai nati. O se lo sono non hanno quasi mai lavorato. In una società che ha fatto dell’illecito la ragione di un modo eufemistico di rappresentare il mondo, possiamo dire che entrambi sono diversamente abili alla pensione, ovvero diversamente pensionati essendo diversamente vivi o diversamente morti, a seconda dei casi.

LO SCANDALO d’agosto questa volta viene da Bologna, dove il Nucleo controllo spesa pubblica e repressioni frodi (nome altisonante) della Guardia di Finanza di Roma ha scoperto che l’Inps paga la pensione a 300 morti. E comprendiamo lo sgomento nel paradosso che ci siano vitalizi corrisposti a chi manca del requisito minimo di idoneità ma allora che pensare di quei ben più numerosi vitalizi, di cui beneficiano onorevoli che pure non hanno alcun decente requisito per goderne ma che essendo vitalizi legalizzati non possono essere oggetto di indagine? Come scandalizzarci davanti all’ultimo scandalo, quando siamo stati messi nella condizione di dover ritenere legittimo quello precedente? Ci sono ad esempio nel Parlamento deputati che beneficiano di un vitalizio (oltre a quello di parlamentare) variabile dai 3 a oltre 8mila euro al mese, solo in virtù del fatto che sono stati mambri dell’Assemblea regionale siciliana che ha ritenuto di gratificarli con questo ulteriore privilegio.

QUANDO verranno acciuffati i parenti furbastri dei 300 pensionati defunti, potranno forse giustificare la mancata segnalazione all’Inps del caro estinto come quell’architetto palermitano che aveva costruito una piscina olimpionica senza riscaldamento e, richiestogli ragione di tale mancanza, esclamò: «Minchia, m’u scurdai». Ma i parlamentari che si portano a casa gli 8mila euro solo per essere stati consiglieri della Regione Sicilia nemmeno questa fatica devono fare. Dal che si arriva a una conclusione: in Italia sarà difficile cambi qualcosa in materia di pensioni. Più facile cambino le funzioni di quel Nucleo della Guardia di Finanza dal nome ingiustificatamente ottimista.