Forleo, il gip che ha rotto il tabù del patto tra sinistra a toghe

NON HA IL FISICO per fare il magistrato. Esile, cammina veloce attaccata al cellulare, scarpe bianche, tacchi alti, pantaloni a tubo. Nessuno la riconosce. Difficile vederla in giro con la scorta. I passanti non la notano. «Sono fisicamente anonima». E’ Clementina Forleo, giudice per le indagini preliminari al tribunale di Milano, quella che ha assolto tre islamici accusati di terrorismo internazionale e che conduce l’inchiesta sulla scalata Antovenenta, con D’Alema, Fassino, il braccio di ferro sulle intercettazioni. Sembra una ragazzina. Tipo nervosetto. Intelligente ma meglio averla amica. Dice di sè: «Sono una rompicoglioni».
Le piace mostrarsi come una qualsiasi. Legge Chi, Novella, quelle riviste lì. Le legge per i gossip e non s’inventa di averle sfogliate dal parrucchiere. Quando può se ne sta per ore a letto, senza far niente, a telefonare, in dialetto, alle amiche del suo paese. Ha 44 anni, è di Francavilla Fontana, Brindisi, vicino al mare. Ma del mare ha sempre avuto paura. Per questo s’è messa a frequentare un corso di nuoto in una piscina di Milano. Ha imparato a rimanere a galla.
Paura? A parte il mare, quasi non la conosce. Quando la mattina apre la posta trova le immancabili lettere minatorie. Più trucidi sono più la divertono. Non ebbe paura nemmeno quando morirono in un incidente stradale i suoi genitori, nell’estate dei furbetti, quando lei firmava le ordinanze di sequestro contro Fiorani e Ricucci.

«UNA LETTERA minatoria — è il ricordo della Forleo — mi aveva profetizzato che avrei seguito la bara dei miei genitori e poco dopo ci fu questa tragedia». Pensò subito ad un sabotaggio. Corse all’ospedale oltreché distrutta dal dolore, inviperita. Sì, inviperita. Una furia. Ha detto di sé: «Quando mi sento minacciata divento aggressiva. Il senso della paura non mi appartiene». Le obiezioni sulle competenze per l’uso giudiziario delle intercettazioni telefoniche, il rimpallo della Camera su Strasburgo, per lei sono solo penosi cavilli. Non una sua figuraccia, come vorrebbero far credere.
A volte si rifugia in qualche barrettino del centro e ordina Schweppes. «Mi porti anche degli stuzzichini!». Che puntualmente non tocca. E sennò come farebbe a mantenersi con una linea così. La sua notorietà è dovuta anche agli indagati eccellenti, Fassino, D’Alema. E all’aria che tira in Italia. Sembra di essere alla vigilia di un’altra Tangentopoli, con la rabbia che cresce nell’opinione pubblica contro la Casta. Ma ora, ha detto la Forleo ad un suo collega, siamo oltre Tangentopoli perché allora non c’era la trasversalità che c’è ora. Allora erano reati più percepibili, le mazzette, le tangenti. Oggi invece, vai a spiegare alla gente che cos’è l’aggiotaggio. Lei parla spesso di «poteri forti che si sono attrezzati», un patto di solidarietà all’interno della Casta. Tutto è diventato più sofisticato, tutti si affannano a trovare i cavilli. In fondo, ha raccontato una volta, la differenza tra i politici di oggi e Craxi può essere paragonata alla storia delle auto. Quando Bettino Craxi disse alla Camera: siamo tutti colpevoli, perché tutti chiediamo le tangenti, è come se avesse detto: siamo tutti colpevoli perché tutti abbiamo l’auto in sosta vietata. Oggi invece non c’è il riconoscimento della colpa e dicono che le auto sono nel posto giusto, che nessuno ha commesso infrazione e dunque non c’è colpa.
E’ nei confronti di questa politica, dice l’amica di Clementina che racconta le loro chiacchiere telefoniche, che Grillo rischia di diventare pericoloso. Perché «le liste civiche metterebbero in ginocchio il sistema». Quello che si regge sulla politica degli impunibili.

MA CLEMENTINA non è sola. Sbotta una collega: «Se invece di D’Alema la Forleo avesse toccato Berlusconi e questi avesse avuto le stesse reazioni dell’altro, stia tranquillo che il Consiglio superiore della magistratura l’avrebbe difesa. Qui invece c’è un gran silenzio». Già, questa ragazzina, pensandoci bene, ha tutta l’aria di essere poco protetta. Ma lei non se ne cura.
Le basta di avere dalla sua l’opinione pubblica. Anzi non le interessa affatto. Ci mancherebbe altro che un giudice stesse dietro al vento degli umori. Ma non c’è dubbio che l’opinione pubblica sostiene il lavoro di questo giudice, perché gli elettori si sentono traditi. «Perché chi si era fidato ha scoperto l’imbroglio e così la delusione è diventata trasversale».
Tante volte le hanno chiesto che cos’ha in comune con Antonio Di Pietro, che lei, anche lei come lui ex poliziotta, ricorda come un «ottimo investigatore: i suoi interrogatori non si dimenticheranno mai». Di Di Pietro a Clementina Forleo è sempre piaciuta la forza, la coerenza e ha sempre pensato che è stato un peccato che abbia lasciato la toga. Ma tra i due c’è prima di tutto una diversità di funzioni, importante per una come lei che, come quelli di destra, hanno a cuore la divisione delle carriere in magistratura: lui era un pubblico ministero, lei è un giudice. Eppure la chiamano la nuova Di Pietro.

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1 Commento a “Forleo, il gip che ha rotto il tabù del patto tra sinistra a toghe”

  1. vittorio scrive:

    Lei come sa che la Forleo ha a cuore la divisione delle carriere in magistratura?
    Sembra di capire che Lei conosca gli orientamenti politici della Forleo, com’è possibile?
    E per finire: il CSM in silenzio e se invece fosse stato indagato Berlusconi l’avrebbe difesa?

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