Archivio di Ottobre 2007

Non è più la Milano da bere, ma del pensare e del creare

Martedì 16 Ottobre 2007

Non ne ho mai visti tanti assieme, eppure non mi è mancata l’opportunità in passato di trovarmi per lavoro in mezzo a grandi fatti. Più di 2300 giornalisti per vedere gli aironi filiformi sulle passerelle di Milano Moda Donna. Non c’è nessun vertice mondiale, nessun G8, forse le Olimpiadi, non c’è alcun evento, che è capace di eguagliare questa concentrazione mediatica. E non è un circo di poeti ma di gente che si muove perché c’è business. Succede a Milano, che quasi non si accorge del primato, o per meglio dire, del patrimonio che ha. Una città fatta così, sempre troppo presa dal fare per trovare il tempo di pensare. Bella o brutta che sia, questa Milano è l’unica centrale nucleare di cui dispone il Paese, l’unica fonte di energia di lunga durata. Prodotta mentre la città sta sterzando, si lascia alle spalle il passato industriale per trasformarsi in città a vocazione culturale. Una trasformazione, un’evoluzione anche fisica oltrechè intellettuale, che è visibile al di là dei recinti dove lavorano alacremente le gru che stanno costruendo i grattacieli del futuro. Tutto questo probabilmente non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata la forza creativa di quella generazione di stilisti, che anche nelle avversità ci ha permesso di guardare sempre avanti e di essere orgogliosi del nome Italia. Trovate un altro posto al mondo dove ci sia stata una così alta concentrazione di intelletti. Vogliamo dirci anche queste cose, o preferiamo avvelenarci l’esistenza con le maldicenze degli invidiosi, magari quelli che abitano a Parigi o più vicino ancora? Stiamo vivendo una primavera culturale, di cui il fervore delle iniziative è il segnale, la Scala, la Milanesiana, la Triennale, le mostre a Palazzo Reale, il Festival MiTo, l’entusiasmo di tanti piccoli circoli, salotti, associazioni che promuovono e faticano per realizzare mostre, concerti, convegni. Un fervore tanto disordinato quanto commovente. Non una nuova Milano da bere ma da ripensare. Per fare e creare. Eppure c’è qualcuno che non se accorge. Che guarda indietro, rimpiange e predica a vuoto.

Politica contromano, ma non esagerare

Martedì 16 Ottobre 2007

QUANDO Grillo ha detto che i politici devono andare contromano non intendeva dire al presidente della sua Regione, il diessino Burlando, di imboccare lo svincolo della Genova-Savona dalla corsia sbagliata. L’episodio può diventare una metafora per dire che anche in questa gara per adeguarsi all’antipolitica bisogna stare attenti a non esagerare. Bisogna non sbagliare corsia. Da che parte andare? C’è chi dice che la sinistra paga sulla sua pelle l’abuso di cui ha fatto del moralismo per colpire i suoi avversari, strumento che ora le si è ritorto contro. Chi di spada ferisce di spada perisce. E Di Pietro interpreta che questa rivolta è la fase due di Tangentopoli. Vedremo. I più impropri sono i paragoni con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, che pure fu un fenomeno importante all’alba dell’Italia repubblicana, nonostante la storiografia ufficiale l’abbia minimizzato perché non conveniva nè alla Dc nè al Pci valorizzare un movimento politico, che veniva dal sud, che esprimeva la paura del comunismo da parte dei terrieri e che ebbe così successo da portare alla Costituente una trentina di parlamentari. Certo la tentazione di pensare a Grillo come a Giannini c’è, anche perché entrambi uomini di teatro. Ma solo per questa casuale coincidenza, perché tutto il resto non è avvicinabile nonostante che i due movimenti abbiamo una comune matrice antipartitica. L’antipolitica che cresce oggi nel Paese però non nasce come protesta della destra meridionale come quella di Giannini, semmai del nord. Codroipo? Mai sentito nominare? No, non fa parte degli ungulati, è un paesino friulano, vicino a dove nacque Pier Paolo Pasolini, una chiesta, una piazza e un bar con le ragazze dell’est. L’altra sera a Codroipo sono arrivati in 7 mila per sentire Grillo. Vi paion pochi?
Dunque, se invece di essere un movimento antipolitico fosse una rivolta, che nasce dalla voglia di tornare a far politica? Pensandoci bene, lo sguaiato comico sbeffegga i politici non la politica. E il pubblico ride e approva, «perché dice la verità».

Forleo, il gip che ha rotto il tabù del patto tra sinistra a toghe

Martedì 16 Ottobre 2007

NON HA IL FISICO per fare il magistrato. Esile, cammina veloce attaccata al cellulare, scarpe bianche, tacchi alti, pantaloni a tubo. Nessuno la riconosce. Difficile vederla in giro con la scorta. I passanti non la notano. «Sono fisicamente anonima». E’ Clementina Forleo, giudice per le indagini preliminari al tribunale di Milano, quella che ha assolto tre islamici accusati di terrorismo internazionale e che conduce l’inchiesta sulla scalata Antovenenta, con D’Alema, Fassino, il braccio di ferro sulle intercettazioni. Sembra una ragazzina. Tipo nervosetto. Intelligente ma meglio averla amica. Dice di sè: «Sono una rompicoglioni».
Le piace mostrarsi come una qualsiasi. Legge Chi, Novella, quelle riviste lì. Le legge per i gossip e non s’inventa di averle sfogliate dal parrucchiere. Quando può se ne sta per ore a letto, senza far niente, a telefonare, in dialetto, alle amiche del suo paese. Ha 44 anni, è di Francavilla Fontana, Brindisi, vicino al mare. Ma del mare ha sempre avuto paura. Per questo s’è messa a frequentare un corso di nuoto in una piscina di Milano. Ha imparato a rimanere a galla.
Paura? A parte il mare, quasi non la conosce. Quando la mattina apre la posta trova le immancabili lettere minatorie. Più trucidi sono più la divertono. Non ebbe paura nemmeno quando morirono in un incidente stradale i suoi genitori, nell’estate dei furbetti, quando lei firmava le ordinanze di sequestro contro Fiorani e Ricucci.

«UNA LETTERA minatoria — è il ricordo della Forleo — mi aveva profetizzato che avrei seguito la bara dei miei genitori e poco dopo ci fu questa tragedia». Pensò subito ad un sabotaggio. Corse all’ospedale oltreché distrutta dal dolore, inviperita. Sì, inviperita. Una furia. Ha detto di sé: «Quando mi sento minacciata divento aggressiva. Il senso della paura non mi appartiene». Le obiezioni sulle competenze per l’uso giudiziario delle intercettazioni telefoniche, il rimpallo della Camera su Strasburgo, per lei sono solo penosi cavilli. Non una sua figuraccia, come vorrebbero far credere.
A volte si rifugia in qualche barrettino del centro e ordina Schweppes. «Mi porti anche degli stuzzichini!». Che puntualmente non tocca. E sennò come farebbe a mantenersi con una linea così. La sua notorietà è dovuta anche agli indagati eccellenti, Fassino, D’Alema. E all’aria che tira in Italia. Sembra di essere alla vigilia di un’altra Tangentopoli, con la rabbia che cresce nell’opinione pubblica contro la Casta. Ma ora, ha detto la Forleo ad un suo collega, siamo oltre Tangentopoli perché allora non c’era la trasversalità che c’è ora. Allora erano reati più percepibili, le mazzette, le tangenti. Oggi invece, vai a spiegare alla gente che cos’è l’aggiotaggio. Lei parla spesso di «poteri forti che si sono attrezzati», un patto di solidarietà all’interno della Casta. Tutto è diventato più sofisticato, tutti si affannano a trovare i cavilli. In fondo, ha raccontato una volta, la differenza tra i politici di oggi e Craxi può essere paragonata alla storia delle auto. Quando Bettino Craxi disse alla Camera: siamo tutti colpevoli, perché tutti chiediamo le tangenti, è come se avesse detto: siamo tutti colpevoli perché tutti abbiamo l’auto in sosta vietata. Oggi invece non c’è il riconoscimento della colpa e dicono che le auto sono nel posto giusto, che nessuno ha commesso infrazione e dunque non c’è colpa.
E’ nei confronti di questa politica, dice l’amica di Clementina che racconta le loro chiacchiere telefoniche, che Grillo rischia di diventare pericoloso. Perché «le liste civiche metterebbero in ginocchio il sistema». Quello che si regge sulla politica degli impunibili.

MA CLEMENTINA non è sola. Sbotta una collega: «Se invece di D’Alema la Forleo avesse toccato Berlusconi e questi avesse avuto le stesse reazioni dell’altro, stia tranquillo che il Consiglio superiore della magistratura l’avrebbe difesa. Qui invece c’è un gran silenzio». Già, questa ragazzina, pensandoci bene, ha tutta l’aria di essere poco protetta. Ma lei non se ne cura.
Le basta di avere dalla sua l’opinione pubblica. Anzi non le interessa affatto. Ci mancherebbe altro che un giudice stesse dietro al vento degli umori. Ma non c’è dubbio che l’opinione pubblica sostiene il lavoro di questo giudice, perché gli elettori si sentono traditi. «Perché chi si era fidato ha scoperto l’imbroglio e così la delusione è diventata trasversale».
Tante volte le hanno chiesto che cos’ha in comune con Antonio Di Pietro, che lei, anche lei come lui ex poliziotta, ricorda come un «ottimo investigatore: i suoi interrogatori non si dimenticheranno mai». Di Di Pietro a Clementina Forleo è sempre piaciuta la forza, la coerenza e ha sempre pensato che è stato un peccato che abbia lasciato la toga. Ma tra i due c’è prima di tutto una diversità di funzioni, importante per una come lei che, come quelli di destra, hanno a cuore la divisione delle carriere in magistratura: lui era un pubblico ministero, lei è un giudice. Eppure la chiamano la nuova Di Pietro.

Il prefetto buonista che paga le bollette e regala illusioni

Martedì 16 Ottobre 2007

Che differenza c’è tra lui e Mastella e Rutelli, che vanno a Monza a vedere il Gran Premio sull’Air Force One? Nessuna, perché né il primo né gli altri due hanno commesso un reato (in più possono dire di essere giustificati da motivi di sicurezza) ma comune è l’errore di aver ostentato, di non aver tenuto conto del clima, che c’è in giro e che consiglia cautela e basso profilo.
Tenete a mente questo nome: Ferdinando Buffoni. Chi è? Non lo conosceva nessuno fino a quando, un mese fa, l’hanno nominato prefetto di Pavia. E’ il prefetto che ha inventato o che ha aderito (attingendo anche a fondi pubblici, ovvero, soldi nostri) alla bella idea di dare 1000 euro ai rom che lasciano l’Italia, con il risultato che quelli che li hanno presi, hanno fatto finta di andarsene e poi sono tornati indietro. Il re dei rom romeni ci ha dato degli scemi, avvertendo che ci ritroveremo il pieno di nomadi, che verranno a incassare l’assegnino.
Nel Basso Pavese i rapporti tra popolazione e rom sono molto tesi e cautela avrebbe dovuto suggerire al prefetto di essere meno avventato, a maggior ragione visto il suo ruolo di rappresentante del governo sulla realtà locale. Invece no, e non s’è fermato qui. Ha anche dato ospitalità ad una famiglia di rom (così bella da indurre perfino il sospetto sia stata scelta anche per questo), che per tre mesi abiterà in una casa di alcune stanze, tv, con bollette, luce, gas pagate da lui. I pensionati italiani da 500 euro al mese hanno cominciato a tartassare il prefetto di telefonate per informarsi se hanno anche loro qualche possibilità di avere le bollette pagate da lui.
Il problema dell’immigrazione non si risolve con i protagonismi ma con la serietà e iniziative di questo tipo falsano la realtà, complicano le cose, generano illusioni, radicalizzano le ragioni contrarie. E Buffoni ha dimostrato di essere il prefetto che si merita questo governo.