Non è più la Milano da bere, ma del pensare e del creare

Non ne ho mai visti tanti assieme, eppure non mi è mancata l’opportunità in passato di trovarmi per lavoro in mezzo a grandi fatti. Più di 2300 giornalisti per vedere gli aironi filiformi sulle passerelle di Milano Moda Donna. Non c’è nessun vertice mondiale, nessun G8, forse le Olimpiadi, non c’è alcun evento, che è capace di eguagliare questa concentrazione mediatica. E non è un circo di poeti ma di gente che si muove perché c’è business. Succede a Milano, che quasi non si accorge del primato, o per meglio dire, del patrimonio che ha. Una città fatta così, sempre troppo presa dal fare per trovare il tempo di pensare. Bella o brutta che sia, questa Milano è l’unica centrale nucleare di cui dispone il Paese, l’unica fonte di energia di lunga durata. Prodotta mentre la città sta sterzando, si lascia alle spalle il passato industriale per trasformarsi in città a vocazione culturale. Una trasformazione, un’evoluzione anche fisica oltrechè intellettuale, che è visibile al di là dei recinti dove lavorano alacremente le gru che stanno costruendo i grattacieli del futuro. Tutto questo probabilmente non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata la forza creativa di quella generazione di stilisti, che anche nelle avversità ci ha permesso di guardare sempre avanti e di essere orgogliosi del nome Italia. Trovate un altro posto al mondo dove ci sia stata una così alta concentrazione di intelletti. Vogliamo dirci anche queste cose, o preferiamo avvelenarci l’esistenza con le maldicenze degli invidiosi, magari quelli che abitano a Parigi o più vicino ancora? Stiamo vivendo una primavera culturale, di cui il fervore delle iniziative è il segnale, la Scala, la Milanesiana, la Triennale, le mostre a Palazzo Reale, il Festival MiTo, l’entusiasmo di tanti piccoli circoli, salotti, associazioni che promuovono e faticano per realizzare mostre, concerti, convegni. Un fervore tanto disordinato quanto commovente. Non una nuova Milano da bere ma da ripensare. Per fare e creare. Eppure c’è qualcuno che non se accorge. Che guarda indietro, rimpiange e predica a vuoto.

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