I nuovi fuochi in Libano e a Gaza accrescono i rischi per la nostra missione di pace

L’ITALIA HA MANDATO duemilacento uomini (e progetta di inviarne altri quattrocento) in un braciere che continua a bruciare. Quel braciere si chiama Libano e si trova al centro di una faglia in perenne movimento sismico, il Medio Oriente. Il contingente militare del Bel Paese ha avuto nella prima fase di intervento la lodevole funzione di imporre l’alt ai 34 giorni di combattimenti fra Israele e gli Hezbollah, i miliziani libanesi che l’Iran ha creato e rifornito successivamente di razzi di varia gittata e comunque in grado di portare morte e distruzione anche a Tel Aviv.
MA I FATTI DI IERI hanno dimostrato quello che tutti temevano. Nel braciere Libano il fuoco continua ad ardere. E i nemici della Siria continuano a cadere. Pierre Gemayel era l’erede del clan cristiano più influente del Paese dei cedri e titolare dell’industria nel governo filo occidentale guidato da Fouad Sinora. Il gabinetto è nel mirino degli Hezbollah. Dopo la guerra di luglio e agosto il loro leader Hassan Nasrallah ha rivendicato la «divina vittoria» delle sue milizie e, in sostanza, il potere di veto degli sciiti nelle decisioni dell’esecutivo. Sei ministri su ventotto si sono dimessi. Nasrallah minaccia manifestazioni di piazza. L’assalto si consuma mentre Sinora e i suoi ministri si apprestano ad approvare l’insediamento di un tribunale internazionale che dovrà giudicare gli ispiratori dell’assassinio dell’ex premier sunnita Rafiq Hariri, ammazzato perché aveva voltato le spalle a Damasco. L’indagine voluta dall’Onu ha portato all’incriminazione di ufficiali dei servizi segreti libanesi e siriani.

NELLA STRISCIA DI GAZA, qualche centinaio di chilometri più a sud, sono stati rapiti, e liberati dopo nove ore, due funzionari italiani della Croce Rossa, Gianmarco Onorati e Claudio Moroni. Potrebbe essere una semplice coincidenza. Tutti si augurano che il sequestro sia stato solo l’ennesimo blitz di uno dei tanti gruppi armati che popolano il formicaio incandescente di Gaza. Sottotraccia resta la non rassicurante consapevolezza del fatto che molti guerriglieri della Striscia hanno avuto contatti con i combattenti libanesi.

IN QUESTO QUADRO ribollente sarebbe di grande conforto per il contingente italiano in Libano avere regole di comportamento precise.
Si sa per ora che i soldati della missione Unifil2 non debbono aspettare di essere colpiti per difendersi. Si sa che dovranno segnalare ai militari libanesi la scoperta di eventuali depositi o traffici di armi e che dovranno assisterli, anche ricorrendo alla forza, se incontreranno resistenze. Non risulta che l’ armata del Paese dei Cedri abbia messo le mani su un solo arsenale clandestino di Hezbollah. Nasrallah l’aveva diffidata dal farlo a guerra appena finita. Il prisma – braciere del Libano è sul punto di avvolgere e bruciare anche la nuova missione di pace che a partire da febbraio sarà guidata dall’Italia?

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