Gp Francia: un’altra domenica mondiale

Un’altra domenica mondiale. All’italiana. Con Valentino vestito da Materazzi sul gradino più alto del podio. E poi con Schumi che dimentica le amarezze calcistiche dei tedeschi impugnando la bandiera biancorossoverde, manco fosse un tifoso al Circo Massimo. Poveri francesi: speravano in una rivincita a trecento all’ora, invece hanno perso un’altra volta. Se ne faranno una ragione. Anzi, come avrebbe detto Sergio Leone al cinema, pensando forse già a Zidane: giù la testa. Insomma, l’estate azzurra continua. Tra inno di Mameli e po-po-po, una insolita colonna sonora scandisce i trionfi patriottici. Che sommano le logiche di squadra, care a Marcello Lippi come a Jean Todt, alle geniali interpretazioni dei singoli, perché Rossi e Michelone sono due fuoriclasse unici.

In questa miscela tra valori collettivi e valori individuali si sublima l’effetto-Mondiali: siamo i migliori, almeno nello sport che conta, forse perché stiamo uscendo dalla sindrome dello stellone, della botta di fortuna, forse perché sta cominciando a prevalere una cultura che connette il talento al lavoro. Siamo diventati moderni, ecco. Ridurre il trionfo di Berlino al culo di Lippi è una provocazione buona per intellettuali annoiati e vagamente infastiditi dalla felicità popolare, a meno di non considerare aiuti della buona sorte la preparazione del torneo più importante nel bel mezzo di uno scandalo gigantesco o i guai fisici del campione più forte (Totti), sceso in campo mezzo rotto. Ma lasciamo stare. E lasciamo pure perdere i tromboni in servizio permanente effettivo, quelli che discettano sul mezzo punto di Pil conseguenza delle vittorie e quelli che invocano penose amnistie (seguendo lo stesso schema, se si perdeva dall’Australia mandavamo la Juve in terza categoria?) per gli imbroglioni della pedata: quando Renzo Arbore lanciò il complesso dei «Senza vergogna», forse pensava a costoro. Le imprese sportive non cambiano la realtà di un Paese, bella o brutta che sia. Prendiamo atto, piuttosto, di una realtà incoraggiante. Ammirando l’impresa di Schumi a Magny Cours, sotto gli occhi di francesi sempre più incazzati, ci siamo accorti di una cosa: gli avversari ci copiano, sissignore. Dopo la doppietta di Indianapolis, da Briatore, l’italiano di Francia, alla Michelin era stato un coro: quello americano era un fuoco di paglia, sul circuito amico la Renault sarebbe tornata al top e bla bla bla. Vero niente. Ieri Alonso sembrava Cannavaro: ha corso da stopper, al fine esclusivo di limitare i danni. Primo non prenderle: a quanto pare, Fernando punta a vincere il suo, di mondiale, ai rigori.

Poichè lo spagnolo ha centrato lo scopo, sacrificando appena due punti sull’altare del tedesco (che bara sulla carta d’identità: è il più giovane di tutti, per spirito e combattività), è chiaro che un piccolo neo affiora sulla trionfale facciata Rossa. Bravissimo in partenza, purtroppo Massa non ce l’ha fatta a tener dietro il Matador, nonostante il vantaggio di macchina e di gomme. Con la situazione di classifica che si è creata, non essendoci in giro una Corte Federale che possa ridurre la penalizzazione (meno diciassette) che grava su Michelone, numericamente messo peggio persino del Milan, qui si gioca, sull’asfalto, la partita dell’estate. Onestà intellettuale impone al vostro cronista di segnalare i progressi del piccolo brasiliano, rispetto ad una evanescente primavera: ma Jean Todt, che ha celebrato i tredici anni da italiano con questa grande impresa, dovrà chiedere qualcosa di più al suo pupillo. Serve un Massa formato… Grosso: senza paura di sbagliare nel momento decisivo, perché un suo sorpasso ai danni di Alonso, magari fra due domeniche ad Hockenheim, sarebbe prezioso come un gol alla Germania al centodiciannovesimo minuto. In sintesi: Schumi è straordinario, esattamente come la Ferrari intera, che sta vincendo la difficile scommessa della rinascita sportiva a dispetto di cifre ancora non completamente favorevoli. Ma da solo, in pista, il mitico tedesco non ce la può fare, così come Gattuso non avrebbe potuto conquistare il mondiale senza l’aiuto dei compagni.

Certo, Falvio Briatore è furbo, ha imparato dall’amico Lippi e ha spiegato la lezione ad Alonso: ride bene chi ride ultimo. Ne riparleremo. Intanto può ridere Valentino, che quasi senza saperlo porta sulla sua motocicletta la stessa sfrontata allegria di un Roberto Benigni, la stessa gioia di vivere di un Fiorello. I suoi non sono semplici successi, sono sberleffi alla concorrenza. Sembra quasi che il signor Rossi faccia apposta: per dare un sapore diverso ad imprese già vissute, parte regolarmente da dietro e si inventa rimonte straordinarie. Non male, come antidoto contro la noia delle repliche. Valentino vestito da Materazzi e il tedesco Schumi che sventola il tricolore sotto gli sguardi sbigottiti dei francesi: questa estate mondiale, tra inno di Mameli e po-po-po, finirà sempre troppo presto.

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