Serbi all’attacco: dalle bombe a Parigi.
A due minuti di distanza Jankovic e Ivanovic in semi: le due “…vic” metton k.o. due “…ova”.
E se Djokovic batte Andreev…

 
5 Giugno 2007 Articolo di Stefano Semeraro
Author mug

(da La Stampa del 5 giugno, per concessione dell’autore, e scelta dell’…editore del blog, io…, visto che due serbe, Jankovic e Ivanovic (le due “vic” hanno battuto le due “ova” Vaidisova e Kuznetsova e sono in semifinale) potrebbero addirittura arrivare in finale.

I russi, gli spagnoli, va bene. Ma i serbi? Al Roland Garros siamo ai quarti di finale e ci sono tre giocatori di Belgrado e immediati dintorni ancora in gara. Tre top-ten. Novak Djokovic, n.6 del mondo, che ieri ha stroncato il povero Verdasco, in quello maschile. E quei due fisicacci di Jelena Jankovic Ivanovic, n.5, vincitrice due settimane fa a Roma, e Ana Ivanovic, numero 7. Miele pregiato, secreto improvvisamente da una nazione che nel tennis fino a ieri stentava a trovare posto sulla cartina. I piccoli gesti di Nikola Spear negli anni 70, le due semifinali anni ’80 a Wimbledon e in Australia di Bobo Zivojinovic, attuale presidente della federtennis, uno che sull’erba serviva missili. Poi sui Balcani sono arrivate le bombe vere.
“Quello che vedete oggi viene dal fango”, spiega Janko Tipsarevic, che a Parigi ha eliminato Safin prima di cedere a Robredo. “La Federazione non ha fatto nulla per noi, ma non voglio accusarla, la colpa vera è stata stata di Milosevic e della vecchia classe politica. Nessuno ha investito un dinaro su di noi, tranne i nostri parenti”. Spore individuali, irradiate dai vicini esempi di Croazia e della Russia, paesi dove lo sport, e il tennis in particolare, dopo il crollo del muro sono diventate porte per il benessere. Tipsarevic, classe 1984, ha faccia e pupille alla Gattuso, ma a Perugia, dove si allena con Alberto Castellani, studia Aristotele e Nietzsche. Sul braccio porta tatuata la grande, enigmatica speranza che Dostojevskji fa pronunciare al principe Myskin: “La bellezza salverà il mondo”. Eppure durante i bombardamenti Janko si allenava sul campo tracciato con il gesso sul fondo scrostato di una vecchia piscina coperta. La stessa dove è cresciuta, qualche anno più tardi, Ana Ivanovic. Poca estetica, molta pratica. “La cosa terribile”, spiega oggi la bruna dagli occhi di velluto, “è che dopo la guerra all’estero ci guardavano con sospetto. Ottenere un visto e passare la dogana ogni volta era un incubo, mi sembrava di impazzire. Ma sono state quelle esperienze che mi hanno resa più forte dentro”. La Ivanovic è stata finanziata per anni da un uomo d’affari svizzero, Dan Holzmann, che l’ha estratta dalle macerie morali e materiali della Serbia investendo quasi 400 mila dollari sul suo futuro. Jelena Jankovic, come la Sharapova, per salvarsi è dovuta emigrare in Florida, da Nick Bollettieri. Ora i media serbi stanno montando una rivalità fra le due, che provengono da quartieri diversi di Belgrado, hanno caratteri opposti, non si amano ma neppure si odiano: “Più che altro ci stimoliamo a vicenda con le vittorie”, taglia corto Ana.
“Djokovic invece me lo portò a Perugia un italiano, Romano Rossi, che ha una fabbrica di scarpe a Belgrado”, spiega coach Castellani. “Aveva 13 anni, e mi bastarono due minuti per capire che sarebbe diventato minimo un top-ten. Grande testa, fra l’altro, grande scacchista. Provai a tenerlo, ma la sua famiglia voleva troppe garanzie, troppi soldi”. E così Novak emigrò da Niki Pilic, in Germania. “La generazione di oggi è fatta di casi individuali”, spiega Dejan Petrovic, capitano serbo di Coppa Davis. “Sono tutti cresciuti grazie alle loro forze, alla loro voglia e all’aiuto di alcuni mecenati. Un ruolo importante negli ultimi 5 anni lo ha avuto Georghie Antelj, un serbo che ha fatto fortuna in Svezia con l’edilizia. Ha sempre avuto la passione per il tennis, e quando è tornato a Belgrado ha costruito il Tennis Club Gemax, dove finalmente i nostri tennisti migliori hanno trovato strutture decenti. Il vero boom del tennis sta nascendo ora, grazie ai successi di Novak, Ana e Jelena, che oggi sono i veri ambasciatori della Serbia all’estero. Le scuole sono piene di ragazzini, la Federazione sta costruendo un vero centro nazionale e molte compagnie estere hanno iniziato a investire sui giovani”. L’invasione, forse, è appena cominciata.

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5 Commenti a “Serbi all’attacco: dalle bombe a Parigi.
A due minuti di distanza Jankovic e Ivanovic in semi: le due “…vic” metton k.o. due “…ova”.
E se Djokovic batte Andreev…”

  1. Marcello scrive:

    Djokovic raggiunge di nuovo i quarti e ha tutte le possibilità per arrivare in semifinale…è già un risultato per uno che non ha la terra cime superficie congeniale…ha un gioco solido che sul veloce dà fastidio a chiunque…Federer compreso.

    L’esplosione del tennis serbo significa quanto un paese con poche risorse economiche possa ambire a grandi risultati in questo sport…sintomo ulteriore che in Italia ci sia qualcosa che non funziona a livello dirigenziale e tecnico-didattico.

  2. pibla scrive:

    Analisi molto semplicistica e brutale che deriva da questo bell’articolo, diversi sono i modi attraverso cui si possono formare dei giocatori di tennis professionisti:
    -le ricche academies o scuole tennis dove i ragazzini si formano e diventano tennisti se ne hanno mezzi, qualità ed anche genitori che si possono permettere di fargliele frequentare;
    -le federazioni che riescono a creare una struttura ed un “sistema” in grado di aiutare i ragazzi a diventare tennisti, sopratutto in quella fase in cui i costi ed i sacrifici sono di gran lunga superiori ai benefici;
    -LA FAME, che fa sì che i ragazzini, ed ancor di più i loro genitori, vedano nello sport in genere ed in alcuni sport in particolare, la via migliore per uscire dalla povertà da cui sono circondati.
    Naturalmente non occorre essere sociologi per capire che l’ultimo sistema è, come in tutte le cose, di gran lunga il più efficace ed ovviamente anche il meno augurabile e per notare che negli ultimi trent’anni in Italia non c’è stato nessuna di queste cose ed infatti i risultati si sono visti.
    Ora pare esserci una Federazione che lavora un pò meglio….speriamo bene…

  3. Miguel Seabra scrive:

    Ubaldini ed tutti quanti,

    Questa é una parte della storia di Novak Djokovic quando ha giocatto (ed vinto) quest’anno il Estoril Open. Ho fatto questo articolo per tennis.com.; ecco il giorno della sua partita com Igor Andreev ed il suo rincontro con il piccolo canonieri italiano Fabrizio Miccoli, calciatore di Benfica. La notte precedente ‘Nole’ ed io siamo andati a vedere il match Benfica-Sporting (la prima cosa che me a detto quando é stato arrivato a Lisbona: «Voglio vedere il derby portoghese Benfica-Sporting!»).


    «We sat together in the first row of the presidential box at the Benfica stadium, alongside the usual assortment of ministers and diplomats and other VIPs. The match ended up a 1-1 tie, much to the dismay of Benfica supporters. Novak celebrated Miccoli’s goal with a lot of enthusiasm and, the next morning, Benfica sent a present for him: an official team shirt with his name and favorite number (4) on the back. I went over to the players lounge and, with Marian Vajda and Novak’s trainer, Ronen Bega, hung the red shirt on a nearby coat hook. When Novak joined us, he glanced it. A few moments later, he realized what it was, and that it was for him. He reacted like a kid on Christmas day.

    I told Novak he could wear the shirt on court, before or after the match – since it was from his own sponsor, Adidas, it wouldn’t be a problem for him, and his picture would be everywhere. A couple of hours later, I saw him heading to the stadium with Igor Andreev; the red Benfica jersey was nowhere to be seen… but, right before walking on court, he stopped, took the shirt out of his bag, and put it on. The crowd in the stadium was sparse (he was first on, and it was lunch time) and they greeted him with a chorus of boos! I felt terrible, I should have realized the sociological realities at play: Benfica is the popular club, but tennis attracts a posh crowd, and they’re largely Sporting supporters.

    Novak took it in stride, though, and he broke Igor Andreev right at the beginning of the match. We couldn’t forsee it, but from that break on until he clinched championship point, Novak performed like a veteran warrior. The conditions became — and stayed — extremely difficult: the wind was terrible, and it kept changing and swirling in different, unpredictable directions (click here for our video coverage of the tournament).

    Igor Andreev, the last man on the planet to beat Rafa Nadal on clay, is getting back to form after a lengthy injury and, with his big, high-bouncing, “Made in Spain” topspin forehand (Andreev left Moscow while in his teens), he soon started dictating play; Nole hung tough, but expressed frustration over not being able to play more aggressively. He was a break down in the third and the match was decided by a couple of points in the tiebreak: leading 3-2, Andreev double-faulted and then Novak finished off a long, intense exchange with a drop volley. He grabbed the momentum right there and went on to win the match and celebrated as if he’d won the whole tournament.

    And then… he put on the Benfica jersey again and waved. He was booed a bit more than cheered, and on his way out he gestured to his ear and looked at me, a bit puzzled – but Vajda told him not to worry, that he did OK — it’s just that it was a Sporting crowd.

    One person who did appreciate Novak’s support was the Benfica striker, Italy’s Fabrizio Miccoli. He was there, and he signed the shirt in a photo-op that was all over the papers the following day!»

  4. lallo scrive:

    Parlare invece di doping sembra brutto???
    Ma queste calate di connazionali a compartimenti stagni davvero non certificano il passaggio all’utilizzo di sostanze più performanti??
    Quando ho letto del magnate svizzero (e sottolineo svizzero, cioè della nazione delle multinazionali farmaceutiche e dei loro centri di ricerca all’avanguardia… federer docet) ho capito tutto….

  5. Stefano Grazia scrive:

    nice piece of sport writing,miguel!

    lallo: interessante il tuo punto di vista, ovviamente è difficile generalizzare ma capisco il tuo punto…solo che spesso nel tennis, sport globale per eccellenza,tennisti della stessa nazione si allenano appunto chi a casa, chi in US, chi in spagna, chi addirittura in Italia…il che potrebbe demolire la tua ipotesi…o no? Ma capisco il concetto, in effetti fa pensare… Quando vennero fuori gli Svedesi dopo Borg, per es, possibile che era tutta questione di buoni geni? Ma era anche evidente che era buono il sistema, era buona la scuola…Con gli Argentini invece i dubbi potrebbero essere un po’ più perrtinenti, ahimè…

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