Amelie ha vinto il secondo Slam senza dubbi e senza ombre.

 
8 Luglio 2006 Articolo di Ubaldo Scanagatta
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di Ubaldo Scanagatta
8 luglio 2006

WIMBLEDON. “E adesso non voglio più sentir parlare dei miei nervi!”. Siamo cattivelli, noi giornalisti, e così invece alla sua fragilità forse ci ritroveremo ad accennare ancora quando lei rigiocherà il torneo di casa sua nel quale ha sempre combinato disastri, il Roland Garros (appena due quarti di finale in 12 anni).
Ma è certo che con il suo primo trionfo ieri a Wimbledon, 81 anni dopo l’ultima francese Suzanne Lenglen (“Dio mio che effetto strano mi fa…”), Amelie Mauresmo dovrebbe essere riuscita a scrollarsi di dosso molte delle antiche angosce, quelle che le erano valse la reputazione di amazzone dal cuore fragile, sulla scia di altre talentuose tenniste (Novotna, Sabatini…) tanto brave quanto, in fondo, perdenti (almeno in termini di Slam).
Ora l’incubo dei nervi per la ragazzina di St Germain in Laye che a 4 anni ancora da compiere aveva fortissimamente voluto impugnare la prima racchettina dopo aver visto in tv il trionfo di Yannick Noah al Roland Garros (1983), dovrebbe finalmente essersi dissolto.
Quattordici anni dopo, a 19, e dopo una carriera straordinaria da junior (campione del mondo) Amelie, avrebbe raggiunto in Australia la sua prima finale in uno Slam, seppur perdendola con Martina Hingis.
Non c’era chi _ allora _ non le pronosticasse una bacheca ricca di Slam. Ma, chissà, potrebbe essere stato anche il suo “outing” _ così dicono gli americani di chi dichiara apertamente la propria omosessualità _ dovuto anche all’eccessivo esibizionismo di Silvy Bordon, la sua compagna-barista d’allora, a metterle addosso anche tanta pressione supplementare nei rapporti con il prossimo, con i media.
Fatto sta che sono dovuti passare 8 anni prima che Amelie, quest’anno in Australia, riuscisse a giocare una seconda finale d’uno Slam. Vinta, ok, ma con la grande gioia rovinata da Justine Henin, poco sportiva fino a ritirarsi senza il minimo fair-play, togliendole così la soddisfazione di esultare e celebrare l’exploit come fan tutti.
Ma ieri Amelie _ 27 anni compiuti da tre giorni _ ha vinto il secondo Slam della carriera senza dubbi, senza ombre, in ginocchio sull’erbetta del centre court come Bjorn Borg e con le lacrime che scendevano sul viso.
Di nuovo in finale contro la favorita Justine Henin, vittoriosa per la terza volta al Roland Garros (suo quinto Slam) e reduce da una serie di 13 vittorie consecutive senza perdere un set.
Amelie, che invece era stata costretta al terzo tanto dalla Miskyina che dalla Sharapova, ha deciso di giocare un match tutto d’attacco, facendo addirittura serve&volley fin dal primo punto, come non fanno più nemmeno i maschi.
Forse era il solo modo di giocare per farsi coraggio e per non ritrovarsi a pensare.
Lo diceva sempre Becker di Edberg: “Lui fa serve&volley, non ha altri piani tattici, non deve pensare come me…alla fine per lui è più semplice”.
L’ho chiesto ad Amelie e lei ha giustamente ricordato: “Sì, però io il primo set l’ho perso e qualcosa ho dovuto cambiare. Solo nel terzo (dopo aver dominato il secondo che avrebbe potuto vincere addirittura 6-0, palla del 4-0, palla del 5-1…) ho ricominciato ad attaccare. E ho servito così bene (8 aces, 2 nell’ultimo game) che tutto ha funzionato”.
Fra qualche anno nessuno ricorderà che il match è stato brutto, costellato di errori. Tantomeno Amelie.
Oggi Nadal cercherà di dimostrare che Federer non è quel mostro che credono tutti. Sull’erba sembra difficile che riesca a farlo.

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