La morte di David Foster Wallace.
Scrittore. Conoscitore di tennis

 
14 Settembre 2008 Articolo di Gianluca Comuniello
Author mug

Ci sono dei momenti in cui la vita fa click. Che vuol dire che la vita fa click? Quel click sta a rappresentare il rumore che senti quando tutto sembra andare al suo posto. Perfettamente al suo posto.

Quando la ragazza che hai sempre sognato ti guarda in quel modo. Quando il colpo che hai sempre sognato di fare su un campo da tennis riesce su un punto importante di una partita. O quando, come nell’agosto del 2006 il più grande scrittore vivente scrive un suo articolo/saggio sul più grande tennista vivente, pubblicandolo sul più grande quotidiano esistente. David Foster Wallace, Roger Federer, il New York Times. Questo trittico si era presentato con tutta la “pesantezza della sua grazia” due anni or sono. Io, in quel momento, ho sentito la vita fare click: stavo leggendo il più grande, che parlava del più grande, scritto sul più grande. Questa grandezza al cubo mi sembrava l’espressione di una trinità pagana che non può capitare spesso di incontrare nella vita. Di David Foster Wallace, per fortuna, avevo letto già molto. “La scopa del sistema”, cioè lo splendore dell’età acerba. Infine Jest: la potenza del pesante. Con quell’accademia di tennis in cui chiunque abbia mai preso in mano una racchetta una volta nella vita avrebbe voluto entrare per poi fuggirne un minuto prima di diventare pazzo. Tennis, tv, trigonometria e tornado, con la quint’essenza della descrizione del gioco di André Agassi, ma anche di cos’è una fiera paesana del Midwest. E di tante altre cose. Oblio: l’angoscia della modernità. Incarnazione di bimbi bruciati: l’angoscia assoluta della perdita e del dolore. In ogni cosa, anche nel già citato “Federer as a religious experience”, David Foster Wallace parlava di tante cose diverse, in tanti modi diversi, con infiniti canali linguistici intrecciati fra loro. E parlava, sempre, anche quando con un’ironia inarrivabile descriveva situazioni grottesche, dell’angoscia e della morte delle cose, dei gesti. Delle persone. Delle anime. Perché ciò che rendeva grande la sua scrittura massimalista è proprio questo comprendere tutto. Quindi l’alfa, ma anche l’omega.
Ci sono dei momenti in cui la vita fa click. Ma purtroppo, come è stato venerdì scorso, ci sono anche momenti in cui la vita fa un rumore più sordo: quello di una corda che si tende su un collo, per scelta della persona a cui quel collo appartiene. Sono momenti in cui il senso vacilla. Il senso: quello che persone come David Foster Wallace cercano in maniera così mirabile affrontando i loro mostri ma anche i nostri. Il senso. Fernando Pivano ha citato Pavese, ha citato Hemingway. Altri che come David (non riesco ancora a crederci, ma è così) hanno deciso che a un certo punto non ne valeva più la pena. Io ci aggiungo un altro, che per la mia generazione ha significato molto: Kurt Cobain. Anche lui sconfitto dai demoni. In una loro canzone non proprio riuscita, gli U2 dicono comunque una cosa vera: “non sono il solo che fissa il sole, spaventato di quello che potrei trovare guardandomi dentro”. Forse Wallace non riusciva a trovare il senso. Forse lo ha trovato, ed è per questo che ha deciso di piantarla lì. Degli scrittori si dice sempre: ci rimarranno sempre le loro opere. E’ più facile accettarlo per quelli che sono già morti da un po’. Perché quando muore un tuo contemporaneo ti incazzi: perché pensi a quello che poteva ancora dare. E a me, tutti i libri che David Foster Wallace non potrà più scrivere mancheranno un sacco. Le sue divagazioni tennistiche mancheranno un sacco. Tutto di lui mi mancherà. E in giornate come questa, il senso delle cose, quello vero e profondo, sembra più lontano e insondabile. Ciao David.

Collegamenti sponsorizzati


43 Commenti a “La morte di David Foster Wallace.
Scrittore. Conoscitore di tennis”

  1. marcos scrive:

    grazie gianluca.

  2. Avec Double Cordage scrive:

    difficile trovare parole sovrastati dalla grandezza

  3. Supermad scrive:

    Poco da dire, su questo articolo.
    Ben scritto, soprattutto è evidente la passione e la tristezza di Gianluca: non è il classico pezzo scritto per riempire lo spazio buco di una pagina.
    Complimenti.

  4. antoine scrive:

    @antoine
    Ho letto stamani sulla Gazzetta della morte di Wallace ma non sapevo assolutamente che fosse un appassionato di tennis ne tantomeno avesse scritto sul N.Y.T. di Federer.
    Davvero sono sorpreso.

    L’articolo che hai scritto Gianluca è uno dei più belli che abbia letto qui da quando sono entrato in questa comunità.
    Davvero complimenti sopratutto per le parole piene di commozione con cui hai espresso i tuoi sentimenti.

  5. Gianluca Fg scrive:

    Sadness.

  6. Ubaldo Scanagatta scrive:

    grande gianluca. Sono orgoglioso di averti tra i miei collaboratori. Anzi…ti vorei veder collaborare più spesso…viste le tue qualità. e sì che hai l’umiltà di prestarti a organizzare il Fanta-tennis con infinita pazienza. Grazie di cuore

  7. Ubaldo Scanagatta scrive:

    Qui aggiungo ancora, per chi non l’avesse letto, il testo di David Foster Wallace, pubblicato in altro post nel caso vi fosse sfuggito:
    Federer il mutante e il segreto del tennis perfetto
    Repubblica — 03 settembre 2006 pagina 42 sezione: DOMENICALE

    Quasi tutti quelli che amano il tennis e seguono i tornei maschili in televisione avranno sperimentato, negli ultimi anni, uno di quelli che potrebbero essere definiti “Federer Moments”. Ci sono delle volte, quando guardi giocare il giovane tennista svizzero, in cui la mascella scende giù, gli occhi si proiettano in avanti ed emetti suoni che inducono il coniuge nell’ altra stanza a venire a vedere se ti è successo qualcosa. Questi Federer Moments sono ancora più intensi se hai abbastanza esperienza diretta di gioco da comprendere l’ impossibilità di quanto gli hai appena visto fare. Tutti possiamo citare qualche esempio. Questo è uno. Finale dello US Open 2005, Federer contro Agassi, siamo all’ inizio del quarto set, Federer ha il servizio. C’ è uno scambio piuttosto lungo di colpi da fondocampo, con il caratteristico andamento a farfalla del tennis da picchiatori che predomina ai giorni nostri, con Federer e Agassi impegnati ognuno dei due a far correre l’ avversario da un lato all’ altro del campo, cercando di trovare il colpo vincente~ fino a quando, improvvisamente, Agassi tira fuori un potente rovescio incrociato che costringe Federer a decentrarsi alla sua sinistra: ci arriva, in allungamento col rovescio, ma il tiro esce corto e tagliato, mezzo metro oltre la linea di battuta, una di quelle situazioni in cui Agassi va a nozze, e mentre Federer si scalmana per cambiare direzione e recuperare la posizione centrale, Agassi si fa sotto per prendere la palla corta di controbalzo e la scaglia con forza nello stesso angolo di prima, per cercare di prendere Federer in contropiede, e in effetti ci riesce: Federer è ancora vicino all’ angolo, ma sta correndo verso il centro, e la palla ora è diretta verso un punto dietro di lui, dove stava appena un attimo fa, e non c’ è tempo di girare il corpo, e Agassi segue il colpo scendendo a rete sul rovescio~ ed ecco che Federer, non si sa come, riesce a invertire istantaneamente la spinta, arretra di tre o quattro passi quasi saltellando, a velocità impossibile, e colpisce la palla di diritto sul suo lato di rovescio, con tutto il peso spostato all’ indietro, e quel diritto è un topspin lungolinea da urlo, e Agassi, sceso a rete, si protende per cercare di intercettarlo, ma la palla lo supera, corre lungo la linea e va a atterrare esattamente sull’ angolo destro del campo di Agassi, conquistando il punto, con Federer che ancora sta danzando all’ indietro quando la palla tocca terra. E poi segue quel consueto, breve secondo di silenzio attonito prima che la folla newyorchese esploda, e in tv John McEnroe, con il suo auricolare da commentatore in testa, che dice (più che altro a se stesso, sembra): «Come ha fatto a far punto da quella posizione?». E ha ragione: considerando la posizione di Agassi e la sua straordinaria velocità, Federer doveva indirizzare la palla dentro un corridoio largo cinque centimetri se voleva superarlo, ed è quello che ha fatto, muovendosi all’ indietro, senza tempo per preparare il colpo, e senza poter sfruttare il peso del corpo per imprimergli potenza. Era impossibile. Era una roba alla Matrix. Non so che razza di suoni siano usciti dalla mia bocca, ma la mia consorte dice di essere accorsa nella stanza e di aver trovato il divano pieno di popcorn e il sottoscritto in ginocchio, con gli occhi che sembravano quelli finti a palla che si trovano nei negozi di cianfrusaglie. Questo è un esempio di Federer Moment, ed era solo in tivù, e la verità è che il tennis in tivù sta al tennis dal vivo più o meno come il video porno sta alla realtà percepita dell’ amore umano. Giornalisticamente parlando, non ho notizie succose da offrirvi su Roger Federer. A venticinque anni è il miglior tennista vivente. Forse il migliore di tutti i tempi. Biografie e profili si sprecano. Il programma di informazione della Cbs, 60 Minutes, gli ha dedicato una puntata lo scorso anno. Tutto quello che volete sapere su mister Roger N. M. I. Federer, il suo passato, la sua città natale in Svizzera, Basilea, il modo assennato e disinteressato con cui i genitori hanno sostenuto il suo talento, la sua carriera tennistica giovanile, i suoi iniziali problemi di fragilità e carattere, il suo amato allenatore delle giovanili, la morte accidentale di quell’ allenatore, nel 2002, che lo ha al tempo stesso annichilito e temprato e lo ha aiutato a diventare quello che è oggi, i trentanove titoli conquistati finora in singolo nella sua carriera, gli otto titoli del Grande Slam, l’ attaccamento, insolito per costanza e maturità, alla sua ragazza, che lo segue nei suoi viaggi (nel circuito maschile è una cosa rara) e gestisce i suoi affari (nel circuito maschile è una cosa mai sentita), il suo stoicismo di altri tempi e la sua solidità mentale e la sua bella sportività e la sua generale, evidente modestia e la sua meditata e filantropica prodigalità: è tutto a portata di Google. Rimboccatevi le maniche. Il presente articolo vuole descrivere il modo in cui Federer viene sperimentato da uno spettatore, e il contesto in cui ciò avviene. La tesi specifica è la seguente: se non avete mai visto il ragazzo giocare dal vivo, e poi lo andate a vedere, di persona, sul sacro manto erboso di Wimbledon, in mezzo a un caldo letteralmente disidratante, seguito da vento e pioggia come nell’ edizione di quest’ anno, allora siete il soggetto ideale per sperimentare quella che uno degli autisti dei pulmini riservati alla stampa durante il torneo descrive come «un’ esperienza che rasenta lo spirituale» <…&. La bellezza non è l’ obbiettivo degli sport di competizione, ma lo sport di alto livello è uno degli ambiti in cui la bellezza umana ha le maggiori probabilità di esprimersi. Il rapporto è più o meno quello che intercorre fra il coraggio e la guerra. La bellezza umana di cui parliamo in questa sede è una bellezza di tipo particolare: la potremmo chiamare bellezza cinetica. La sua forza e il suo fascino sono universali. Non ha niente a che vedere con il sesso o i modelli culturali. Sembra legata, in realtà, alla riconciliazione degli esseri umani con il fatto di avere un corpo. Naturalmente, negli sport maschili nessuno parla mai di bellezza o di grazia del corpo. Gli uomini possono professare il loro “amore” per lo sport, ma questo amore deve sempre essere casto e rappresentato secondo la simbologia della guerra: eliminazione contro avanzamento, gerarchia del rango e della classifica, ossessione per le statistiche, analisi tecniche, fervore tribale e/o nazionalista, uniformi, masse rumoreggianti, striscioni, gente che si batte il petto, facce dipinte, ecc. Per ragioni non per tutti evidenti, i codici espressivi della guerra dalla maggior parte di noi sono considerati più sicuri dei codici espressivi dell’ amore. Magari la pensate così anche voi, e in questo caso il mesomorfico e marzialissimo spagnolo Rafael Nadal è l’ uomo-uomo che fa per voi, con la manica tirata su a mostrare il bicipite e le autoesortazioni in stile teatro Kabuki. E per di più, Nadal è la nemesi di Federer nonché sorpresa dell’ anno a Wimbledon, dato che è uno specialista della terra battuta e nessuno si aspettava di vederlo andare più avanti dei primi turni. Mentre Federer, dal primo turno alle semifinali, non ha offerto la minima sorpresa o la minima suspense competitiva. Ha surclassato ogni avversario con tale eclatante superiorità che stampa e televisione si preoccupavano che i suoi match, troppo noiosi, non riuscissero a tener testa al fervore nazionalista dei Mondiali di calcio. Ma la finale del 9 luglio è il sogno di chiunque. Nadal contro Federer è un replay della finale del Roland Garros del mese prima, vinta da Nadal. Federer, in tutto l’ anno, aveva perso appena quattro partite, ma sempre contro Nadal. <…& E si aggiunga che Nadal aveva adattato il suo stile di gioco terragnolo all’ erba, avvicinandosi più alla linea di fondo per i tiri da fondocampo, potenziando il servizio e superando la sua allergia alla rete. Al terzo turno, ha praticamente sventrato Agassi. <…& Nella finale di quest’ anno va in scena il fascino della vendetta, la dinamica re-contro-regicida, il contrasto stridente fra i caratteri. Il machismo passionale dell’ Europa del sud contro la contorta, clinica abilità artistica di quella del nord. Apollo e Dioniso. Scalpello e mannaia. Destrorso e mancino. Numero uno e numero due al mondo. Nadal, l’ uomo che ha spinto fino alle estreme conseguenze il tennis moderno tutto potenza e fondocampo, contro un uomo che ha trasfigurato questo tennis medesimo, eccezionale sia per precisione e varietà sia per ritmo e rapidità, ma che può essere incredibilmente vulnerabile, o intimidito, di fronte al primo. Un giornalista sportivo britannico, eccitatissimo insieme ai suoi colleghi in tribuna stampa, ripete due volte: «Sarà una guerra». <…& La bellezza di un grande atleta è quasi impossibile da descrivere in modo diretto. O da evocare. Il diritto di Federer è una grande frusta liquida, il suo rovescio a una mano può diventare piatto, carico di effetto o tagliato, tagliato con una spinta tale che la palla cambia forma nell’ aria e schizza sull’ erba ad altezza caviglia. Il suo servizio ha una velocità e un livello di precisione e varietà tale che nessun altro riesce ad avvicinarcisi; quando serve, il suo movimento è sinuoso e diseccentrico, distinguibile (in tivù) solo da un particolare schiocco tipo anguilla che coinvolge tutto il corpo al momento dell’ impatto. La sua capacità di anticipazione, il suo senso del campo, sono di un altro pianeta, e il suo gioco di gambe non ha eguali nel mondo del tennis (da bambino, era anche un calciatore prodigio). Tutto questo è vero, eppure niente di tutto ciò spiega veramente qualcosa, niente evoca l’ esperienza di guardare quest’ uomo che gioca. Di testimoniare, in prima persona, la bellezza e la genialità del suo gioco. Ti devi avvicinare all’ essenza estetica per vie indirette, girarci intorno, o come faceva San Tommaso d’ Aquino col suo ineffabile soggetto di studio, cercare di definirlo dicendo ciò che non è. <…& Esistono tre tipi di spiegazioni valide per dar conto dell’ ascendente di Federer. Una ha a che fare con il mistero e la metafisica ed è, ritengo, quella che più si avvicina alla realtà. Le altre sono più tecniche e più praticabili per un testo giornalistico. La spiegazione metafisica è che Roger Federer è uno di quei rari, soprannaturali atleti che sembrano essere esentati, almeno in parte, da certe leggi della fisica. Esempi analoghi sono quelli di Michael Jordan, che oltre a riuscire a saltare ad altezze disumane era capace di rimanere sospeso in aria un istante o due di più di quanto consentito dalla forza di gravità, e Muhammad Ali, che riusciva a “galleggiare” sul ring e a mettere a segno due o tre diretti nel tempo necessario per assestarne uno. Dal 1960 a oggi di altri esempi del genere ce n’ è forse una mezza dozzina. E Federer appartiene a questa categoria, una categoria che si potrebbe chiamare geni, mutanti o incarnazioni divine. Non è mai in affanno o sbilanciato. La palla che si avvicina rimane sospesa, per lui, una frazione di secondo in più di quanto dovrebbe. I suoi movimenti sono sinuosi, più che atletici. Come Ali, Jordan, Maradona e Wayne Gretzky sembra essere al tempo stesso meno solido e più solido degli uomini che affronta. Specialmente nel completo bianco che Wimbledon ancora ama imporre ai partecipanti, Federer appare quello che forse (secondo me) è: una creatura dal corpo fatto sia di carne sia, in un modo o nell’ altro, di luce. Questa storia della palla che con spirito collaborativo rimane sospesa lì, rallentando, come se fosse suscettibile al volere dell’ elvetico: la metafisica sta qui. Qui e nel seguente aneddoto. Dopo la semifinale del 7 luglio in cui Federer ha distrutto Jonas Bjorkman - non semplicemente battuto, distrutto - e subito prima della rituale conferenza stampa post-partita in cui Bjorkman, che è amico di Federer, dice di essere contento di «aver avuto un posto in prima fila» per vedere lo svizzero «giocare il tennis più vicino alla perfezione che si possa immaginare», Federer e Bjorkman chiacchierano e scherzano fra di loro, e lo svedese gli chiede se la palla quel giorno per lui era più grande del solito, visto come aveva giocato, e Federer gli conferma che «era grande quanto una palla da bowling o da basket». Per Federer era solo un modo modesto e scherzoso di consolare Bjorkman, per confermargli che anche lui era sorpreso dalla qualità del gioco espresso quel giorno; ma è anche una battuta rivelatrice di quello che è il tennis per lui. Immaginate di essere una persona con riflessi, coordinazione e velocità soprannaturali, e di giocare a tennis ad alti livelli. Giocando, non vi sembrerà di possedere dei riflessi e una velocità fuori dal comune; vi sembrerà invece che la palla sia grande, che si muova lentamente e che avete tutto il tempo che volete per colpirla. In altre parole, non proverete niente di simile alla velocità e all’ abilità (empiricamente reali) che vi attribuirà il pubblico dal vivo, guardando le palline muoversi a una velocità tale da diventare indistinte masse sibilanti. La velocità è solo un elemento. Ora passiamo al tecnico. Il tennis spesso è definito un «gioco di centimetri», ma è un luogo comune che prende come punto di riferimento più che altro il punto in cui atterra la pallina. Se il punto di riferimento è il giocatore che colpisce la palla in arrivo, allora il tennis è più correttamente un gioco di micron: cambiamenti tanto sottili da essere quasi inesistenti riguardo al momento dell’ impatto, avranno ripercussioni considerevoli sulla direzione e la traiettoria della palla. Lo stesso principio spiega perché la minima imprecisione quando si mira a un bersaglio con un fucile farà sbagliare il tiro, con un bersaglio sufficientemente lontano. Per illustrare la tesi, rallentiamo il tutto. Immaginate di essere un giocatore di tennis, posizionato appena dietro la linea di fondo sull’ angolo destro. L’ avversario vi serve una palla sul diritto, voi ruotate in modo che il vostro fianco sia sulla traiettoria della palla in arrivo, e cominciate a portare indietro la racchetta per effettuare la risposta di diritto. Continuate a visualizzare il punto in cui vi trovate quando siete a metà del movimento: la palla ora è all’ altezza del fianco più avanzato, a una quindicina di centimetri dal punto di impatto. Consideriamo alcune delle variabili implicate. Sull’ asse verticale, cambiare l’ angolo di inclinazione della testa della racchetta di un paio di gradi soltanto produrrà rispettivamente un topspin o un colpo di taglio; mantenendola perpendicolare, verrà fuori un diritto piatto, senza effetto. Orizzontalmente, spostare anche di pochissimo a sinistra o a destra la testa della racchetta, e colpire la palla un millisecondo prima o dopo farà la differenza tra una risposta incrociata e un lungolinea. Ulteriori, piccole modifiche nella curva del movimento del vostro colpo da fondocampo e dell’ accompagnamento del colpo contribuiranno a determinare se la palla supererà la rete a una distanza lontana o vicina dal bordo della medesima, e questo, insieme alla velocità del colpo (e a certe caratteristiche dell’ effetto che imprimete alla palla) determinerà la profondità della risposta, l’ altezza del rimbalzo, ecc. Queste, naturalmente, sono solo le distinzioni di massima: per esempio, c’ è la distinzione tra topspin potente e topspin morbido, o quella fra colpo incrociato da un angolo all’ altro del campo e colpo incrociato appena accennato, e così via. E poi c’ è anche la questione della distanza a cui consenti alla palla di avvicinarsi al tuo corpo, della presa che usi, di quanto pieghi le ginocchia e/o di quanto porti avanti il peso, se sei in grado o meno di guardare la palla e simultaneamente vedere cosa sta facendo il tuo avversario dopo aver servito. Anche tutte queste cose contano. E in più c’ è il fatto che non stai mettendo in moto un oggetto statico, stai invertendo la traiettoria e (in varia misura) l’ effetto di un proiettile che arriva verso di te, a una velocità, nel caso del tennis professionistico, tale da rendere impossibile un pensiero cosciente. Il servizio di Mario Ancic, ad esempio, spesso viaggia a una velocità intorno ai 210 chilometri orari. Considerando che dalla linea di fondocampo di Ancic alla vostra intercorre una distanza di poco meno di 24 metri, questo significa che il suo servizio impiega 0,41 secondi per arrivare fino a voi. è meno del tempo necessario per battere le ciglia due volte, rapidamente. La conclusione è che il tennis professionistico comporta intervalli di tempo troppo brevi per agire in modo deliberato. Da un punto di vista temporale, siamo piuttosto nel raggio d’ azione dei riflessi, reazioni esclusivamente fisiche, che bypassano il pensiero cosciente. E ciononostante, rispondere a un servizio in modo efficace dipende da un ampio insieme di decisioni e aggiustamenti fisici molto più consapevoli e intenzionali di un battito di ciglia, del sobbalzo che facciamo quando qualcosa ci spaventa, ecc. Per riuscire a rispondere con efficacia a un servizio potente ci vuole quello che qualcuno chiama “senso cinestetico”, che significa la capacità di controllare il corpo e le sue estensioni artificiali tramite un sistema complesso e molto rapido di compiti. La nostra lingua ha un vasto campionario di termini per descrivere i vari elementi di questa capacità: percezione, tocco, forma, propriocezione, coordinamento, coordinamento occhio-mano, cinestesia, grazia, controllo, riflessi, e via elencando. Per i giovani tennisti promettenti, l’ obbiettivo principale dei durissimi programmi di allenamento quotidiani di cui si sente parlare è affinare il senso cinestetico. <…& Siamo sul 2-1 per Nadal nel secondo set della finale, e lo spagnolo è al servizio. Federer ha vinto il primo set lasciando l’ avversario a zero, ma poi ha avuto un leggero calo, come a volte gli succede, e si è trovato subito sotto di un break. Siamo ai vantaggi, è avanti Nadal, un punto con 16 tocchi. Rispetto a Parigi, le battute di Nadal sono molto più veloci, e in questo caso serve centrale. Federer tiene a galla la palla con un diritto morbido alto: può permetterselo perché Nadal non scende mai a rete dopo il servizio. Lo spagnolo effettua un tipico diritto potente in topspin, con palla indirizzata in profondità sul rovescio di Federer; Federer replica con un rovescio in topspin ancora più potente, quasi un colpo da terra battuta. Nadal è preso di sorpresa ed è costretto ad arretrare leggermente e risponde con una palla corta, bassa e tesa, che atterra appena oltre la T della linea di battuta, sul diritto di Federer. Contro qualsiasi altro avversario, più o meno, Federer su una palla del genere potrebbe semplicemente chiudere il punto, ma una delle ragioni per cui Nadal lo mette tanto in difficoltà è che è più veloce degli altri, può arrivare su palle su cui gli altri non arrivano: e quindi Federer in questo caso si limita a incrociare di diritto, piatto e di forza media, cercando, più che il colpo vincente, una palla bassa e non troppo angolata, che costringe Nadal a salire decentrandosi sul lato destro, quello di rovescio per lui. Nadal effettua un rovescio lungolinea in corsa; Federer, sempre di rovescio, restituisce la palla tagliata con un backspin, sulle stessa linea, lenta e fluttuante, costringendo Nadal a tornare nello stesso punto. Nadal rimanda la palla indietro tagliandola - e siamo a tre colpi lungo la stessa linea - e Federer a sua volta gliela rimanda indietro, sempre tagliata e sempre nello stesso punto, questa volta ancora più lenta e più fluttuante, e Nadal pianta i piedi per terra e spara un violento rovescio a due mani in lungolinea sempre sullo stesso lato, è come se ormai lo spagnolo avesse piantato le tende sul suo lato destro: non cerca più di tornare indietro al centro della linea di fondo tra un colpo e l’ altro, Federer lo ha come ipnotizzato. Ora lo svizzero tira fuori un rovescio in topspin, profondo e violentissimo, di quelli che fanno sibilare la palla, in un punto leggermente spostato sulla sinistra di Nadal: Nadal ci arriva e spara un diritto incrociato; Federer risponde con un rovescio incrociato ancora più forte e potente sulla linea di fondo, talmente veloce che Nadal deve colpire di diritto all’ altezza del piede di appoggio e poi correre verso il centro mentre la palla atterra a mezzo metro circa da Federer, di nuovo sul rovescio. Federer fa un passo avanti e confeziona un altro rovescio incrociato, ma completamente diverso, molto più corto e angolato, un angolo che nessuno avrebbe previsto, e talmente potente e carico di effetto che atterra corto, appena al di qua della linea laterale, schizzando via dopo il rimbalzo, e Nadal non può avanzare per intercettare il tiro e non può arrivarci lateralmente sulla linea di fondo, a causa dell’ angolazione e dell’ effetto: fine del punto. è un punto spettacolare, un Federer Moment: ma guardandolo dal vivo, ti rendi conto che è anche un punto che Federer ha cominciato a costruire quattro o cinque colpi prima. Tutto quello che è avvenuto dopo quel primo lungolinea tagliato è stato progettato dalla svizzero per abbindolare Nadal, cullarlo e poi spezzargli il ritmo e l’ equilibrio aprendosi quell’ ultimo, inimmaginabile angolo, un angolo che sarebbe stato impossibile senza un topspin estremo. <…& Federer <…& non ha niente da invidiare a Lendl e ad Agassi quanto a potenza dei colpi, si solleva da terra quando colpisce ed è capace di colpire da fondocampo con una potenza che nemmeno Nadal. La raffinatezza, il tocco e la classe non sono morti nell’ era del tennis dei picchiatori. Perché ora, nel 2006, siamo ancora nell’ era del tennis dei picchiatori: e Roger Federer è un picchiatore di prima categoria, uno dei più agguerriti. Il fatto è semplicemente che lui non è soltanto questo. è anche la sua intelligenza, la sua capacità occulta di anticipare gli eventi, il suo senso del campo, la sua capacità di interpretare e manipolare gli avversari, di mescolare effetto e velocità, di sviare e mascherare, di usare capacità di visione tattica, vista periferica e gamma cinestetica invece della semplice potenza meccanica, e tutto questo ha messo in mostra i limiti, e le possibilità, del tennis maschile così come viene giocato oggi. <…& Roger Federer sta dimostrando che la velocità e la potenza del tennis professionistico odierno sono semplicemente lo scheletro, non la carne. Federer, in senso figurato e in senso letterale, ha reincarnato il tennis maschile, e per la prima volta da anni il futuro di questo sport è imprevedibile. <…& Copyright New York Times Magazine-la Repubblica David Foster Wallace è l’ autore di “Infinite Jest”, “Consider the Lobster” e molti altri libri (Traduzione di Fabio Galimberti) - DAVID FOSTER WALLACE

  8. haiv scrive:

    grazie Ubaldo per aver messo quest articolo!!!!quando tento di piegare a quei pochi(per fortuna)che non apprezzano federer il motivo della mia passione per lui vorrei tanto sapermi spiegare cosi ma purtroppo io sono io e lui è un certo DAVID FOREST WALLACE!..onore a lui..
    Invito i tifosi di nadal a leggere quest articolo per capire il perche lo svizzero viaggi su un mondo parallelo rispetto allo spagnolo e a tutti gli altri
    Nadal è un grande e sono io il primo a dirlo ma chi è un conoscitore vero di tennis sa qual è la differenza fra i 2 e non per niente questa differenza è stata spiegata da probabilmente uno dei piu grandi conoscitori di tennis e scrittori della storia

  9. +PSTN+ scrive:

    Avevo appreso la notizia il 14 sera dall’originale quanto piacevole blog di Federico Ferrero.
    Io di Wallace avevo scaricato in pdf e letto questo splendido articolo su Federer riportato da Ubaldo nell’ultimo commento.
    Delle altre sue pubblicazioni non ho letto nulla ma in futuro vedrò di provvedere.

    ….Only the goods die young….

  10. zio tony scrive:

    solo un grandissimo può riuscire a trasmetterti “decodificandole” emozioni del genere…grazie Wallace!

    p.s.: haiv non si riesce proprio a godersi un momento magico (e te lo dico da tifoso di Nadal) senza tirare in ballo le solite insopportabili battutine?

  11. Avec Double Cordage scrive:

    @+PSTN+
    the goods sono le merci

  12. haiv scrive:

    hai frainteso…nessuna battutina…è solo che mi identifico in pieno in qst commento…guarda che se ricontrolli tutti i post io non sono mai entrato in una vostra discussione accanita sul duo federer nadal…quindi non mi puoi dire che non sono sportivo…ho sempre riconosciuto la bravura del tuo beniamino…

  13. Marcelus Edberg Wallace scrive:

    Niente da aggiungere. E’ una parte del mio nickname, e sono ancora senza parole, come appassionato di letteratura, di tennis, e dei geni che hanno qualcosa in più.
    Perchè? è l’unica domanda che, tristemente, mi pongo.

  14. Ros scrive:

    E’ una fortuna che il ricordo di Wallace sia ricamato in maniera così limpida e luminosa -malgrado la tristezza del fatto in sè- da te,Gianluca.
    Avevo letto Oblio e il suo saggio “Considero l’aragosta” ancor prima di scoprire quell’articolo su Roger che tanto rivela dell’effetto che la bellezza può causare ai sensi,anche la bellezza di un impatto tra pallina e racchetta. Spesso soprattutto quello,condito da movimenti e dal mondo creato dall’insieme di tutto ciò. C’è chi ha il tocco per spiegare il tocco,viverlo e riportarlo,comprenderlo ed assecondarlo. Wallace,in tutte le sue opere,lo ha dimostrato. E la sensibilità con la quale lo ha fatto è probabilmente parte di quella che ha sovrastato ogni senso,alla fine.

  15. +PSTN+ scrive:

    @Avec Double Cordage
    Hai ragione, c’è una “s” in più ;-)

  16. chloe de lissier scrive:

    la prima nostra reazione di fronte alla morte improvvisa di una persona che conosciamo direttamente o per fama è sempre lo stupore. ancor più se questa fine avviene per suicidio. tanti, i sentimenti che proviamo per l’uomo che si dà la morte. fra questi, una sorta di dolore rabbioso perché siamo portati a credere che quell’estremo comportamento sia stato scelto liberamente e consapevolmente.
    ma non è così: ogni processo decisionale dell’uomo è l’esito di una molteplicità di fattori che in massima parte non sono accessibili all’introspezione. le nostre azioni, quelle di tutti, dipendono da moltissimi elementi non controllabili. ci arrendiamo invece troppo spesso a un razionalismo ingenuo, secondo il quale saremmo poco più di un computer programmabile. in sostanza, possiamo definire un comportamento come scelto liberamente qualsiasi azione approvata da noi senza riserve o, più precisamente, un atto che non ci stupisce di aver compiuto.
    sono convinta che tutti gli uomini che si danno la morte sarebbero ancora più stupiti di noi se si trovassero di fronte alla loro azione dopo che è stata compiuta.

  17. flexible scrive:

    mmhhh se scriveva così in vita chissà come scriverà ora da lassù…..

  18. Giovanni da Roussillon scrive:

    Benché qui sia discusso un fatto del tutto speciale, mi sento dapprima di contraddire Ubaldo Scanagatta. Prestarsi ad organizzare il fanta-tennis con infinita pazienza, potrà anche connotare l’umiltà in Gianluca Comuniello, ma soprattutto dice assai più sulle sue doti e inclinazioni. Eccellente nel frangente (proprio visto l’argomento, forse non è questo il luogo più consono per lodarlo), ottimo nell’organizzare il suo gioco. Il Virtual Tour è per me una perla del blog intero.

    Mi tocca altresì discordare pacatamente dalle considerazioni tenute dalla carissima Chloe. Non perché false, tutt’altro. Bensì per l’enfasi che pone sullo stupore davanti al suicida, ed il dubbio avanzato circa la libertà e la consapevolezza con le quali compie il suo atto definitivo.
    Ammettendo (senza prove), che chi si dia la morte viva emozioni incontrollabili o si senta prigioniero di dolori ed angosce terribili al culmine di volersi fermare irrazionalmente; resta la tesi che, se la sua decisione, triste, stupefacente per noi terzi, avviene in stato di coscienza, va interpretata come tale. Può essere anche dato che il suicida si stupisca di fronte alla propria azione se potesse osservarla dopo il compimento, ma, sempre presumendo un certo grado di coscienza, ciò non gli impedirà di non ripeterla.
    A me non stupisce che Wallace si sia dato la morte. Mi rattrista.
    Per l’intelligenza dimostrata in vita, il suo suicidio riassume una grande verità: il mare di dolore in cui tutti naufraghiamo, naufragheremo presto o tardi, salvo incidente. Ha anticipato quel destino, non per negarlo o sottrarglisi, quanto per affermare, un’ultima volta, di essere almeno un po’ il dominus della propria esistenza; e pure per accettarne i limiti, che nel suo caso stavano, in ordine all’espressione culturale in senso lato, quasi all’infinito.
    Nutro grande stima di Chloe. Vorrei accertarmi di aver inteso correttamente il senso delle sue proposizioni.

  19. Ubaldo Scanagatta scrive:

    Una cosa divertente che non faremo più.
    piccolo racconto da un grattacielo sul tennis, sulle conseguenze dei battiti delle ali delle farfalle e su un sacco di altre cose…
    racconto di
    Pier Paolo Zampieri

    Una manciata di coriandoli luminosi sopra un’insostenibile tappeto nero col vento che traversava le ditina dei nostri piedi. Questa era per noi la città. Ho vissuto i miei anni buoni nell’ultimo piano di un grattacielo calabrese incompleto gomito a gomito con un futuro premio Nobel. Forse tante cose dovevo capirle subito ma ero troppo giovane allora, e il mio amico si chiamava U.F.O. e il grattacielo si chiamava Pitagora, ed era stato cagato dalla folle euforia di fine secondo millennio ed era dritto e muto come un dio cattivo, e faceva una striscia nera lunga un kilometro che tutti evitavano come la peste, e poi aveva davvero troppe scale, tutte buie, tutte rotte, e di notte c’era un vento che non si può dire, e d’inverno si piangeva dal freddo ma quel tappeto di velluto nero che diventava pece dove cominciava il mare il prezzo lo valeva tutto. Davvero. Eravamo gli Uomini Più Alti Del Mondo, eravamo giovani e i miei migliori amici si chiamavano U.F.O. e Flex. Gli eletti sulla collina. In fondo è tutto qui. Non appena il tappeto si srotolava e la pece vinceva sulla striscia di fuoco parlavamo di tennis, solo di tennis e sognavamo di poterlo giocare il Grande Tennis su quel tappeto, con le luci delle coste come righe e col ponte sullo stretto come rete, almeno a qualche cosa sarebbe servito. Non sono mai riuscito ad immaginare niente di più bello. Giganti immaginari con racchette fluorescenti che scivolavano su acque notturne vincendo partite titaniche col destino del mondo sulle nostre giovani spalle. Solo a ripensarci mi vengono le lacrime ancora adesso amorini miei. Certo, si parlava anche di musica, di rivolta localizzata, di ornitorinchi domestici, di mostri marini, ma solo se c’era Goccia, quando eravamo tra noi si andava alle cose serie e non si parlava d’altro.
    U.F.O. sosteneva che le 8 settimane degli Slams coincidessero con potenti riti ancestrali “gli Slams, anzi i Majors come dicono gli anglosassoni, sono 4 come 4 sono le stagioni, gli elementi dell’oroscopo, i sessi degli antichi, i punti cardinali, e in fin dei conti come tutte le cose che rimangono”. Poi si beveva lo stupore nostro e continuava “Non si celebrano a Parigi, a Londra, a Sydney a N.Y. City per caso, sono posizionati nelle perpendicolari dei giorni in cui le energie astrali sono più potenti, quando i Pianeti raggiungono il massimo del loro potere cinetico, quando la galassia sfiora il collasso. Quei tornei sono lì per salvarci amici miei, soprattutto Wimbledon, soprattutto quello, da sempre in quei giorni si sono celebrati riti di sangue, fidatevi, le racchette sono semplici diapason e i giocatori dei piccoli medium inconsapevoli”.
    U.F.O. accompagnava queste affermazioni con una sicurezza disarmante, come si poteva non credergli? poi lanciando sassolini che venivano inghiottiti da tutto quel nero metteva in relazione avvenimenti storici, aneddotiche varie e match point. Lui ci svelò la strada e quello diventò il nostro gioco magico, il ponte per le stelle. Ogni insalatiera alzata verso il cielo era il sisma, o l’esorcismo, di qualche terremoto energetico su scala planetaria.
    “Le cose vere succedono solo ogni quattro mesi cazzettini miei, fidatevi…”
    Beh, forse eravamo davvero solo dei cazzettini però le cose che U.F.O. ci diceva in quelle radiocronache trimestrali erano davvero fantastiche.
    Sentite qui.

    U.F.O. con voce ieratica durante gli australian Open del 1996.

    “Signore&Signori ciclo del signore 1974-1981 DopoCristo, un biondino dalle fattezze di un Dio Vichingo con uno sguardo che ai più richiamava fiordi e silenzi e a me, solo a me, ricordava angoli acuti, attirò gli occhi di tutto il mondo. Correvano gli anni dei capelli lunghi, delle droghe lisergiche e degli armamenti nucleari, lui si chiamava Borg e con la sua gelida dittatura segno’ la fine della terribile crisi petrolifera iniziata nel 73. Fu Nixon, mero strumento inconsapevole, durante la sua prima partita a New York, a pochi chilometri di distanza a sganciare con una firma il dio dollaro dal suo tallone aureo. Da allora niente fu più come prima: l’America decollò e cominciò la Golden Age. Del tennis ovviamente”
    “Amorini mei” sussurravo io a tempo di blues.
    “Fidatevi, IceBorg della guerra fredda e del suo gelido equilibrio fu solo il garante. La punta dello stesso. Il suo Totem di ghiaccio”
    “Amorini miei”
    “e l’America divenne luce e la Russia ferro, fu il trionfo degli alchimisti a stelle e strisce ma ferro più luce fanno ghiaccio, e il ghiaccio vince, il ghiaccio uccide, ma si scioglie in fretta e uccide i dinosauri, quelli in bianco e nero, did you Mr. Newcombe? e in fondo fu solo una piccola guerra tardonovecentesca, senza soldati, senza bombe, una specie di Grande Rincorsa all’energia, alle sue fonti, non si era mai visto colplire con così tanta violenza su un campo di tennis, e quella guerra fu battezzata qualche anno prima a furor di grugniti da Jimmy Connors, il più yankee di tutti, Jimmy Connors il più medium di tutti, Jimmy Connors l’uomo senza un Dio che armato solo di un poderoso rovescio bimani e di meravigliose erezioni agonistiche diede il la all’era moderna e scrisse the end al modello di produzione coloniale, did you Mister Laver?”

    Flex con la stessa voce ieratica (anche se non ammeterebbe mai) ma più incalzante

    “Fu Mc a rimettere le cose a posto, ma era l’ultimo colpo di coda dell’America, del suo splendore, della sua maleducazione, Lendl non conta, Lendl era dell’est, era ferro arrugginito, volle diventare americano e lo fece quando era ormai troppo tardi, fu Chang a spiegarglielo, Chang che inaugurò il secolo cinese che ancora viviamo e lo fece pochi mesi dopo la strage di piazza tien-a-man., perché è sempre tutto collegato…”
    “amorini miei”
    “e Sampras era un dio greco, e Agassi un semplice iraniano, la vendetta delle colonie, e Panatta uccise Aldo Moro, rossa la terra, rossa la bandiera o forse a pensarci bene fu lo statista a farci vincere Parigi chiudendo per sempre quella primavera iniziata negli elisi campi nel marzo del 68, quando, come pochi ricordano, fu l’anno zero dell’era Open e del tennis professionistico.”
    “Amorini miei fu da lì che si è scatenato l’effetto domino del novecento, non dalle piazze. Gli inglesi? gli inglesi sono morti, hanno troppe colpe coloniali da pagare per poter alzare insalatiere contro il cielo, Londra sarà terreno di conquista prima delle colonie e poi degli svizzeri, la neutralità paga amici miei…..”.
    “O yes…” ridevamo in coro e via così per ore con la Luna che rotolava su quel nero solonostro.

    Ma c’era di più, secondo U.F.O. tutto quello che di importante può succederti nella vita può succederti solo in quei giorni benedetti perché “è tutto collegato, cazzettini miei…”
    “Sempre”.
    Col senno del poi in quell’anno successero due cose davvero rilevanti e per chi sapeva vedere i sottili fili collegati tra i riverberi del battito delle farfalle e i terremoti. Due cose collegate tra di loro.
    La prima fu una morte: quella del doppio, o ad essere esatti il suo canto del cigno. Da quel Korda-Edberg datato 1996 mai più le mani di un campione vero alzarono le insalatiere di uno Slam. Mai più. (una volta un permalosetto di nome Tizio mi ha detto tronfio “Hewitt USA 2001”. Gli ho tolto il saluto per il resto della sua inutile vita e a quello che invece, più timidamente, mi ha detto interrogativo “Rafter 1999?”, ho ripreso a salutarlo solo da poco).
    La seconda cosa fu una nascita anzi un vagito. Il vagito di un cantore. Si chiamava David Foster Wallace e quando scriveva di tennis ti svelava le cose che da solo non avresti mai visto o che meglio vedevi ma non riuscivi a realizzare. In quel 1996 leggemmo avidamente “UNA COSA DIVERTENTE CHE NON FARO’ MAI PIU’” e sebbene in quello scritto Wallace non parlasse di tennis per la prima volta Gianni Clerici, il sommo poeta, non ci sembrò più un uomo così solo. Non avevo mai letto descrizioni così fulminanti. Mai. Nemmeno U.F.O. che da lì a poco diventò il primo Nobel Calabrese poteva tanto. Non avevo mai pensato che le tapezzerie delle navi di crociera di lusso potessero essere color mestruo o “ guardate il modo in cui Agassi sposta il peso ripetutamente da un piede all’altro mentre si prepara per il lancio, come se avesse un disperato bisogno di pisciare…” o che quei suoi passettini frenetici tra un punto e l’altro sono la prova evidente di “piedi senza peso”. Mai. E che dire di Korda “un esempio di conglomerato clastico male assortito: 1 metro e 88 per 72 kg, ha la corporatura di un levriero in posizione eretta e la faccia di – cosa inquietante e misteriosa – di un pulcino appena uscito dall’uovo (e in più, degli occhi assenti che non riflettono nessuna luce e sembrano “vedere” solo nel senso in cui “vedono” gli occhi dei pesci e degli uccelli)”. Ed Edberg? Io sul buon stefanello ero diviso tra ammirazione pura e il sospetto insinuatomi da Clerici sulla strana somiglianza con Stanlio. Dopo che lessi Wallce non ebbi più dubbi: “che invece ha la bellezza bionda inspida di un giocatore di Golf, ed è ritenuto in l’uomo in assoluto più ottuso del Tour e forse del mondo intero, un uomo il cui hobby passa per essere “fissare le pareti” e il cui silenzio non è il silenzio del riserbo, ma quello della vacuità, l’equivalente verbale di un canale televisivo saltato”. Come dirlo diversamente, semplicemente da quel giorno il mondo ci sembrò più bello, più divertente, avevamo due occhi in più per vedere le cose, e che occhi ragazzi, i migliori. Non c’è niente di più confortante di vivere a 200 metri d’altezza in un grattacielo del Sud “e sapere che sopra di te l’Olimpo non è vuoto”. Fu ufo a fare questa considerazione. Io ne feci un’altra ma la tenni per me perché mi spaventò “e loro come fanno che non hanno nessuno sopra di loro?”. Questa cosa di come fanno loro la scoprìi qualche anno dopo e… fu una brutta bestia, davvero, comunque questa storia parla di proprio di quella cosa lì e di come le cose sono collegate tra di loro. “Sempre”.

    Beh, in realtà ne successe anche una terza di cosa. Col senno del poi non vedevamo partite ma costruivamo quella cosa che solo con una certa approssimazione si può chiamare amicizia, o destino. Io flex e ufo. Gli eletti sulla collina. Eravamo isolati dal mondo, sotto di noi il Grande Tennis e sopra David F. W. e il Giùannin nazionale. Che potevamo chiedere di più? Nessun disoccupato fu mai più felice. Fu nel 2003 che giurammo che qualsiasi cosa ci sarebbe successa nella vita per quelle 8 settimane saremmo stati assieme “per sempre”. Non si poteva davvero non credere a U.F.O., non si poteva proprio, io mi vergognai quando dubitai dell’enormità di quelle due parole che mi scatenavano sempre un ansia mostruosa.
    Adesso lo posso dire, avevo ragione.

    Quello che successe dopo è un po’ troppo lunga da spiegare, vi basti sapere che Reggio Calabria (e Via Sbarre Centrali) stava ormai diventando davvero la Capitale delle Stelle. Come fu possibile? Semplice c’era ufo, il nostro cannone puntato verso quel cielo ogni giorno piùnostro e i primi cinque anni volarono e lo fecero sotto il segno di Federer. Fu la Golden Age Again, la Pax svizzera, i gesti bianchi alla velocità della luce, fu il periodo degli inverni temperati, del trionfo dei soprannomi, dei primi soldi, delle telefonate, delle interviste, e ogni 3 mesi l’uomo di cera alzava un’insalatiera solo per noi. Tranne a Parigi chiaro, lì era uno spagnolo con la faccia da Mowgli a farlo ma il suo appuntamento con la storia, e con il Grande Slam, era solo rinviato. Ne eravamo sicuri. Non credo che un essere umano abbia mai distanziato così tanto il resto dei suoi simili. Eravamo d’accordo su tutto e lui metteva tutti d’accordo. Forse troppo. Forse fu la noia delle sue vittorie che diede potenza alle nostre telecronache colte in dialetto. Ah la potenza del neonato streaming, un pc, un microfono, una bottiglia di grappa e venghino signori venghino, Wimbledon gratis direttamente sul vostro computer con le nostri voci che rimbalzavano tra aneddotica storica, segni zodiacali, dialetto stretto e risate pantagrueliche. Il pezzo forte? Le fotografie di Wallace L’idea? Chiaro di U.F.O.. Fu il suo “Mancu li cani” davanti ad un passante rovescio di controbbalzo del divino a provocare il Big Bang e a stabilire nei manuali di comunicazione un prima e un dopo. Mai prima di allora si era usato in mondovisione un commento in dialetto per uno sport anglosassone, e comunque mai usato in maniera colta e non caricaturale. Lui ebbe l’idea, chiaro, ma fu Flex a contattare Gianni Clerici che dagli schermi di sky disse “avessi cento anni di meno e meno amanti da mantenere sarei lì con loro”. Bene, amorini miei, non so se qualcuno di voi abbia mai assaporato il successo, beh io sì, nel Wimbledon del 2003 cominciammo per gioco, in quello del 2005 avevamo come contatti quasi scavalcato il colosso di Sky , e diventammo un vero cult al punto che anche i giornali di carta e le televisioni con le cravatte ci cercarono, ma non ci potevano trovare, perché eravamo schermati, perché eravamo pirati, perché dalla schiena di Pitagora col cazzo che scendevamo, e se anche lo facevamo erano solo i nostri nomi che camminavano per le strade di Reggio Calabria, mai i nostri soprannomi. Anche se non erano molti a Reggio Calabria a seguire il tennis Pitagora cominciava ad essere davvero il centro di qualcosa di importante. Divenne la nostra cassa di risonanza, fu da lì sopra che ufo cominciò a guadagnarsi la fama di Re Mida e a sparare nell’etere le sue stelle di provincia, fu lì sopra che flex lesse le sue pagine, fu lì sopra che Merrick&sottovoce sparsero le loro note aliene e, chiaro, fu lì sopra che cominciai a fare i miei quasi famosi oroscopi capovolti. Quei cento metri quadi sospesi su di in un cielo intollerabile divennero la prova che “anche Dio era passato da Reggio Calabria ”
    Lì sopra cominciò tutto. Lì sopra tutto finì. Su cosa successe nel mezzo, beh, se volete dare credito alle parole ufficiali e bagnare il fazzoletto liberissimi di farlo, anzi ad essere sincero un po’ vi invidio, sul serio, se però volete la verità, soltanto la verità, nientaltro che la verità, come dirlo meglio amorini miei, sedetevi comodi sulla poltrona stringete forte le chiappe e…. seguitemi.

    …col senno del poi la prima crepa coincise con la semifinale australiana del 2008, quando Djokovic, uno slavo sbruffoncello dal rovescio totale e una testona sproporzionata, sconfisse Federer in semifinale impedendo al Re la sua tredicesima finale consecutiva. Fino ad allora lo svizzero perdeva solo con Nadal e solo sul rosso e lo faceva solo una volta all’anno, quasi per dare segni di appartenenza alla nostra stessa razza. Vederlo annichilito in tre set a zero fu per me un duro colpo. U.F.O. osservò la partita con una preoccupazione eccessiva. Si volto versò di noi e ci disse “mmmhh da qualche parte sta succedendo qualcosa di molto brutto”. Poi si chiuse in un silenzio pensoso ed aggiunse “Ed è solo l’inizio. Fidatevi.”. Anche se tutti sono sempre stati folgorati dalle sue parole a me è sempre piaciuto guardarlo quando era pensoso. Si chiudeva in un silenzio impermeabile con gli occhi che inseguivano i pensieri fino a quando con un battito di ciglia troncava il processo. O aveva capito o aveva deciso, ammesso che per lui ci fosse davvero una grande differenza tra le due cose. Comunque quello che vidi quel giorno mi sembrò impossibile. Federer non poteva perdere, non così, perché ufo stava zitto?, che cos’è questa vertigine? le cose non possono essere collegate, non cambierà nulla, questo pensai, Gianni Clerici mi telefonava per avere oroscopi personalizzati, il romanzo di flex era ormai un best seller e poi il pezzo di Wallace su Federer e “sull’esperienza religiosa” diceva parola per parola quello che pensavo. Ne ero certo, quello che ci stava succedendo sarebbe durato “per sempre”.
    U.F.O. me lo aveva giurato.
    Il persempre sì frantumò durante la finale di Parigi del 2008. Nadal arrivò in finale travolgendo chiunque gli si parasse davanti, sembrava una specie di Sansone che traeva forza dall’amata terra rossa e dal sangue degli avversari. A sinistra aveva una chela a destra una clava. Non avevo mai visto uno tale strapotere fisico su un campo di tennis. Temetti davvero la fine del mondo. Federer arrivò di nuovo in finale, per il terzo anno consecutivo, ma lo fece balbettando, qualche set gli scivolò dalle tasche, la sua maschera di cera fece intravedere qualche crepa anche se ristuccata da colpi incredibili ma per la prima volta la sua aurea di invincibile era incrinata. E’ strano come le cose possano mutare così in fretta. Non pensai nemmeno per un momento che era sì la fine del mondo, ma del nostro mondo. E forse anche di quello di Wallace. Eravamo in pochi a credere ad una sua possibile vittoria. Forse nemmeno lui nonostante nelle dichiarazioni ostentasse sicurezza e ripetesse con sospetta ossessione “so’ cosa fare”. Quando chiesi a ufo che partita si aspettasse rispose secco in mondovisione “un funerale”. Lo sguardo di Flex diceva la stessa cosa, solo che c’era più tristezza e meno consapevolezza. Io guardai Federer negli occhi e ci scorsi determinazione. Una determinazione cupa, definitiva, la stessa che lo accompagnò per il resto della sua carriera. Nei games d’apertura invece di aspettare e accettare lo scambio come fece stoltamente tante volte, si prese i suoi bei rischi e attaccò Sansone senza remore sia dalla parte della chela sia dalla parte della clava. Ne ero sicuro. Ufo si sbagliava e a fine partita il Re avrebbe conquistato lo scalpo di Sansone lasciandolo nudo ai piedi del suo trono. L’immortalità era ad un passo. Ed io ne sarei stato il cantore, o almeno il suo vassallo…

    …beh, dovete fidarvi, o armarvi di pazienza, ed avere fiducia nelle cose invisibili e nei riverberi dei battiti delle ali delle farfalle. Coincise tutto. Altro che immortalità, fu un funerale, anzi un funerale doppio. Mentre a Parigi Federer veniva letteralmente umiliato a molti chilometri dal nostro nido sospeso si svolse un’altra tragedia, forse peggiore, quasi che spezzatosi l’equilibrio cosmico della pax svizzera e dei gesti bianchi tutto cominciò a precipitare. Si sa la Sicilia è stata terra di Pupari ma lo è stata solo per poco meno di duecento anni e Messina ha sempre avuto un pessimo ufficio stampa. Quando l’ultimo Puparo ha lasciato la Sicilia senza le voci di Orlando e di Rinaldo, senza il clangore delle loro spade, sono molti quelli che piansero come se fosse morto un parente ma sono ancora di più quelli che non sanno che cosa si sono persi. E’ curioso che l’ultimo a morire sia stato anche il capostipite della famiglia più antica. Flex che per un certo periodo fu il suo agente si segnò sul suo quaderno magico le dichiarazioni di tutte le autorità che lo piansero pubblicamente. “Sono i loro mandanti” mi disse cupo.
    Quando cade un simbolo è un’era che finisce, ripeteva al microfono un Ufo sovraeccitato mentre Federer veniva letteralmente asfaltato. Ma a chi si riferiva davvero? Non so se le cause e gli effetti fossero davvero collegati, però tutto coincise, tutto, un dritto in rete, un cuore che si blocca, un Re in ginocchio, un burattino che cade, Sansone che urla, i bambini che piangono e le penne dei sindaci di Reggio e Messina che si incrociano e firmano la fusione delle due città, “nell’unica città al mondo divisa dal mare e dalla storia ma unita da un ponte e dal Futuro: Signore & Signori: Meridiana”. Fu l’inizio della fine, Amorini miei. Il futuro tanto coccolato ci stava arrivando addosso. E il futuro per loro era pura matematica, base per altezza diviso due, la base era il ponte, l’altezza il primo grattacielo del meridione e sul diviso due lasciamo perdere. Fu proprio come nei romanzi di fantascienza, in principio fu fantastico, finalmente il futuro al Sud tanto sognato era arrivato e noi ne eravamo addirittura gli alfieri, Pitagora il simbolo e Ufo il poeta, l’uomo magico, il Re Mida che trasformava in oro tutto quello che toccava (con la sua penna). Diffidate sempre del potere e delle sue lusinghe amorini miei, perché? beh diciamo che qualche anno dopo me ne andai da Meridiana con la schiena insanguinata e giurai di non tornarci più mentre U.F.O. prese il premio Nobel, ma questa è un’altra storia. Può suonare strano ma la cosa che mi pesò di più non furono i tradimenti, o gli uffici, o le aule dell’Università di Meridiana dentro Pitagora, per non parlare dei culi dell’immenso plotone di figli di papà che di fatto si sedette dove noi guardavamo il cielo, la cosa intollerabile era non potervi più chiamare così, amorini miei. Questo fu quello che successe. Ma successe anche un’ altra cosa, anche se di questa non ho le prove. La cosa più importante. In quel giorno di Giugno, perché è tutto collegato, sempre, si spezzò qualcosa dentro il mio secondo cantore preferito, l’uomo seduto sopra l’olimpo che descriveva il dritto di Federer come una “grande frustata liquida”. Quell’uomo si sentì improvvisamente solo come ci si può sentiri soli in mezzo al mare con il cielo coperto. Per usare parole sue “La sua esperienza religiosa” finì. Ho capito solo in quel fottuto 12 settembre come facevano loro a stare sull’olimpo con la penna in mano senza nessuno sopra a guidarli. Avevano bisogno di stelle. La sua ultima stella polare era caduta durante la finale di Wimbledon e la cosa che mi diede più rabbia è che appena qualche giorno prima del suicidio lo svizzero ci era tornato di nuovo su quel cielo, e lo aveva fatto da uomo, ma era troppo tardi, ormai David Foster Wallace. aveva distolto lo sguardo dal cielo per rivolgerlo esclusivamente dentro di sé o nell’abisso sotto di lui. Il vero peccato Mortale. Beh non sta a me trovare morali nelle cose, posso solo dire quello abbiamo fatto noi. Siamo scesi dal nostro nido, abbiamo firmato le carte e poi pieni di vergogna non ci siamo parlati più. Il tennis? Beh il tennis, il Grande Tennis, in quella maniera è…. una cosa divertente che non abbiamo fatto mai più….

  20. Giovanni da Roussillon scrive:

    Man muss noch Chaos in sich haben, um einen tanzenden Stern gebären zu können (Friedrich Nietzsche, Zarathustra).

    Il “Grande Tennis, in quella maniera è… una cosa divertente che non abbiamo fatto mai più” di Zampieri suona a conferma che tutti moriamo a poco a poco con le nostre rinunzie e prese di coscienza. Nietzsche ci dice che bisogna ancora ospitare in se del caos, per partorire una stella danzante.
    Wallace ha raggiunto in un tratto il suo ordine personale, perfetto, ineluttabile, allontanando da se ognuna delle stelle che racchiudeva, tra le più fulgide. Per suo volere e nostra tristezza.

  21. chloe de lissier scrive:

    *** NOTA PER LA REDAZIONE ***
    stamattina ho inviato un post di commento in questa pagina. ho notato che sono stati pubblicati altri scritti ben successivi come ora di invio. vi chiedo perciò cortesemente di verificare se il mio commento non sia finito per caso fra quelli che il vostro sistema probabilmente elimina identificandoli forse come spam. grazie.

    Chloe, mi dispiace, ma i commenti finiti nello spam non siamo in grado di riprenderli, dovresti provare ad inviarlo di nuovo, magari senza mettere troppi links, in genere vanno nello spam quando ci sono dei link. Non si possono mettere più di due/tre link per ciascun commento. Scusaci. (Rob. Comm.)

  22. marcos scrive:

    mi vien voglia di stamparlo, per rileggerlo sul sofà.

  23. chloe de lissier scrive:

    william james fece notare che se è vero che la coscienza umana è introspettiva e riflessiva, in quanto osserva il panorama del proprio mondo interiore fatto di immagini, visioni, sogni, pensieri e sentimenti prendendo tutto questo suo mondo a oggetto della sua attenzione, ciò significa, paradossalmente, che l’”io”, l’io-soggetto che è il punto di osservazione centrale di tutto questo panorama di contenuti della coscienza, si riduce a un luogo senza dimensione. e dunque l’”io” è solo una convenzione, un centro immaginario. o forse addirittura una finzione.
    questo suggerisce che non vi sia nulla di primario nella nostra mente. ma va detto che non è facile, né razionalmente né emotivamente, accettare l’ipotesi che la materialità dei meccanismi naturali, e il cervello, e le viscere, siano precisamente ciò che è primario, e dunque ciò che fa emergere, come sottoprodotto di una biologia complessa, anche il nostro sentimento dell’io, il faro presunto della nostra coscienza.
    la coscienza ci sembra un dato irriducibile, forse perché altrimenti insorgerebbero in noi i sentimenti angosciosi di una perdita del centro, il sospetto di una frattura nel piedistallo dell’esistenza. noi ci diciamo che l’io cosciente deve essere solido in qualche modo; e al tempo stesso, e sempre in qualche modo, ma contraddittoriamente, vorremmo che questo stesso io fosse smaterializzato in quanto non vincolato dai meccanismi dei neuroni, dalle meccaniche del cervello. ci piace illuderci che questo io non sia vincolato alla fine da nulla, perché questo presupposto ci garantisce di collocarci nella dimensione della scelta gratuita, del libero arbitrio. in questo modo torniamo a farci sedurre dall’idea che esista un principio immateriale della coscienza, un nucleo di sostanza impalpabile che vive dentro di noi ed è fonte misteriosissima di libertà. un fantasma nella macchina. con qualche candore siamo inclini a darne per certa la presenza anche se non crediamo più nella sua sopravvivenza dopo la morte.
    forse è comprensibile che il soggetto auto-consapevole non si accontenti di pensare a sé stesso alla medesima stregua di tutti gli altri animali: questo atteggiamento, che possiamo defininire di salvaguardia “nobile” della specie umana, ha qualche seria motivazione. se non altro noi disponiamo dell’introspezione e di un linguaggio grammaticale mentre gli animali ne sono privi: è una differenza non piccola. meno giustificabile è che l’individuo, trovandosi confuso tra l’essere un corpo e l’avere un corpo, finisca per dequalificare la propria entità corporea considerandola una macchina che contiene al proprio interno un punto di osservazione meno materiale e più prezioso. questo punto di osservazione, che è virtuale, viene immaginato come fosse un’entità e dunque trasformato in un fantasma che è sempre lo stesso, sia che lo si voglia chiamare anima, o spirito, o psiche, o mente.
    le forme della psicologia ingenua ci portano a trasformare in entità fittizie alcune funzioni, o, per essere precisi, alcune apparenze, della nostra coscienza.
    quella che noi chiamiamo, con una certa approssimazione, coscienza umana è di fatto rappresentata soprattutto dalla capacità di motivare nuovamente “ex post” le proprie azioni o, meglio, di approvare di continuo ciò che si sta facendo. lo studio moderno della molteplicità dei fattori decisionali conferma nella sostanza questa ipotesi. esistono tutti i dati necessari e sufficienti per dimostrare e convalidare la tesi (peraltro nemmeno nuova) che l’espressione “libero arbitrio” (cioè la formula di una libertà del volere) sia completamente priva di senso.
    persino il comportamento più banale non dipende dalla “libera” decisione di attuarlo: per esempio la determinazione di uscire di casa a sgranchirsi le gambe, per non parlare di azioni più importanti. un comportamento qualsiasi risponde piuttosto a una catena di fattori motivazionali inconsci all’interno dei quali viene a prodursi anche, in un determinato momento, la consapevolezza di stare per muovere il proprio corpo in modo finalizzato. se io esco a sgranchirmi le gambe, insomma, non è tanto perché ho deciso di farlo, quanto perché le mie gambe hanno provveduto a inviare al cervello segnali di disagio in conseguenza dei quali esso comincerà a pensare a spazi più ampi e a movimenti diversi del mio corpo. in decisioni e azioni molto più importanti intervengono una quantità incalcolabile di fattori tanto compositi da risultare indecifrabili. le nostre azioni sono assai raramente frutto di una vera deliberazione progettuale: il caso, il caos e l’inconsapevolezza hanno un’importanza fondamentale, nonostante i nostri sforzi per non riconoscerla.
    perciò, caro giovanni, l’illusione di controllo, il “libero arbitrio”, la “volontà di potenza” sono miti che faremmo bene a lasciare esclusivamente alle religioni e alle ideologie. queste ci regalano l’illusione di essere angeli e non scimmie, perché non ci piace essere animali evoluti e tendiamo ad affidarci nelle mani di chi ci regala qualche titolo di nobiltà. ci garantiscono rassicurazioni formidabili, ma ci chiedono in cambio di rinunciare a pensare in modo diretto e onesto.
    la vita umana è piena di quesiti e dubbi assai difficili da districare. ma credere nei dogmi e nelle ideologie è come copiare il compito dal vicino di banco: ci lascia atterriti, ignoranti e pieni di vergogna.

  24. david scrive:

    sono anch’io un appassionatissimo del tennis e è da un po che la mia visione del gioco va oltre il simplice scambio.

    Federer è dotato di un genio di tecnixca incredibile, di un occhio impossibile e di una lettura di gioco straordinaria.
    A fronte, NAdal a lavorato tanto, ma tanto….perché nasce per domare la terra batutta e lo ha fatto….credo che vincera ancora Roland Garros per molti anni….perché come effetti impressi alla pala, sia migliore di federer e lo sa. perché il suo gioco consiste nello sfidare l’aversario a cambiare le traiettorie piene dei suoi effetti sensa fare fallo….lui è capace di fare una partita di 4 ore solo con una 15 di falli diretti…..il che è impressionante e richiede un grande controllo del gioco.
    lui a scoperto il punto, debole di federer….. quel roverscio cosi falloso contro Nadal, non per colpa di Federer, ma per colpa di Nadal….perché se serve 90% delle volte sul suo roverscio, gli fa giocare 2500 roversci in una partita……io lo vedo mentre mette rigorosamente nelle stesse posizioni le sue bottiglie….quello non è solo conxcentrazione,….è un lavoro di estrema precisione.
    il suo gioco è cambiato perché voleva diventare N°1 del mondo , ma non è cosi bello come quello di prima(almeno su terra battuta)
    pensate, se non ci fosse stato Nadal, Federer avrebbe gia sicuramente lasciato il tennis….. ci vuole solo un genio per aiutare un altro genio a tirare fuori tutto quello che ha dentro… e in questo Nadal e Federer si sono aiutati tanto, a tal punto che ci sono loro due, poi vienne il 15 in classifica, perché gli altri sembrano dei dilettanti di fronte a questi due.

  25. Giovanni da Roussillon scrive:

    Leggo con attenzione il tuo scritto, cara Chloe, e condivido i tuoi assunti in grande parte. Non ho da opinare. Senonché, l’uso dei termini probabilmente impropri di cui mi servo, ti conduce a “predicare ad un convinto”, tranne per un aspetto semplice semplice. La mia concezione di coscienza fonda su quel che viene saggiamente chiamato buonsenso. Lo stesso che ti permette di scrivere ciò che hai scritto, che mi permette di scrivere ciò che ho scritto, e che permette al suicida - di questo munito - di darsi la morte e attuare il proposito.
    Poi, l’impossibilità di esercitare pienamente il libero arbitrio, così come la difficoltà di definirci (sia pure come “l’ultima delle negazioni possibili”, che Wallace nel suo saggio attribuisce a Tommaso d’Acquino, ed invero già enunciata dalla tradizione vedica, a Tommaso dunque ben preesistente), la negazione orribile del nostro corpo in favore dello spirito puro, e infine gli errori derivanti dalle nostre approssimazioni nell’esprimerci mi sono del tutto famigliari. Mi sento come l’esempio dell’irrisolto. Da agnostico giungo anche e tuttavia a pensare che, perseguendo la negazione dei dogmi con accanimento intellettuale, o ergendo il solo dubbio a paradigma immutabile, non si è lontani come atteggiamento dall’assunzione del dogma dei dogmi.
    Ciò che per l’uno rappresenta un postulato, un lemma, può essere oggetto di ricerche di dimostrazione lungo l’esistenza intera per il secondo, rispettivamente di disinteresse per il terzo. Nondimeno siamo portati a relazionarci, a stringere amicizie. Perché soprattutto siamo beneficiari del buon senso, non da ultimo connaturato all’amore diffuso. Penso che Wallace fosse stato pienamente in possesso di entrambi.

  26. Avec Double Cordage scrive:

    si può leggere il pezzo scritto da David Foster Wallace per TENNIS magazine sugli US OPEN “Democracy and Commerce at the US Open”

    al seguente link

    http://tennis.com/features/general/features.aspx?id=145230

  27. chloe de lissier scrive:

    caro giovanni, concordo pienamente sul pericolo derivante da qualsiasi tipo di accanimento. e quello intellettuale sicuramente è il più pericoloso, ovunque conduca.
    è probabile che dentro di noi esista non solo la tendenza alla competizione, all’autoaffermazione e alla aggressione, ma anche un’inclinazione verso l’altruismo e una certa sensibilità verso gli altri. quel che decidiamo di fare dipende in larga misura dalle circostanze e da quanto abbiamo sperimentato; ma anche da come è fatto il nostro cervello. in situazioni “normali” facciamo ciò che è appunto “normale”. ma è del tutto evidente (la storia umana è un paradigma in questo senso) che in circostanze insolite possiamo fare praticamente qualsiasi cosa. anche cose assai tremende.
    noi essere umani dunque disponiamo della potenzialità di agire come desideriamo in situazioni diverse, ma non abbiamo efficaci difese che possano impedire le nostre azioni più distruttive.
    david foster wallace era certamente un uomo di profondissima sensibilità, un essere capace di comprendere profondamente il significato della parola “amore”. ma come tutti noi aveva la sorprendente capacità di fare anche le cose peggiori. perché la violenza, pure quella verso se stessi (ammesso che esista una violenza solo verso se stessi), è cosa assai terribile.

  28. Giovanni da Roussillon scrive:

    Cara Chloe, occupo uno spazio forse non destinato ad approfondire il nostro discorso. Siamo al tabù, talvolta stoltamente dissimulato anche da qualche esibizione estrema, e non conosco l’interesse o la repulsione che il tema suscita negli altri fruitori.
    Mi trovo nella difficoltà di comprendere la contrapposizione “normalità non tremenda” - “anormalità tremenda”, mi viene da associare il concetto della tremendezza alle speculazioni di Hanna Arendt. Ma non intendo contraddirti e ti porto solo a conoscenza di un’esperienza.
    Un mio caro docente mi confidò durante una delle nostre conversazioni amichevoli, che, vecchio ed usato (a suo asserire; all’anagrafe nemmeno cinquantenne), sentiva il suo fardello come pesantissimo da portare, era stanco, esaurito energeticamente, dunque anche mentalmente, giacché pensare è un tipo sottile di azione, oltretutto strumento del suo mestiere. Si sentiva sopraffatto dal vissuto, solare e generoso il suo, da come l’avevo conosciuto negli anni. Stanco da perdere anche il gusto per la speculazione, di cui era fervido praticante. Credeva insomma, aveva capito, che trascinava l’esistenza senza ormai alcuno scopo, nemmeno, affermava, “di solo vivere” (in fondo il mio da sempre). Mi spinse giovialmente a godermi gli anni della mia gioventù, a non preoccuparmi del suo stato di persona ormai svuotata. In uno degli ultimi incontri esultò quasi, esclamando “Arriva il galletto ottimista!”. Mi disse, con un sorriso subito intristito, regalato per farmi contento, che avrei “fatto bene a cambiare interiormente”. I suoi discorsi brevi, pieni di desolazione, mi parvero da allora via via più orribili, non sapevo accettarli, finché mutarono in silenzio. Così come inconsolabile fu l’evento del suicidio annunciato(mi). Quell’uomo carissimo non si fece violenza alcuna, per me. Era già morto, perché niente in lui vibrava.
    Proprio per i doni che ci ha elargito attraverso i suoi scritti, preferisco seppellire in me il David bell’essere conscio della sua fine, anziché vederlo dantescamente violento contro se stesso. Mi servo della preferenza, perché in verità non sappiamo quale fosse il suo movente triste, e riconosco allora che ogni affermazione non è sostenibile se non da sensazioni e sentimenti. Questi ultimi per me di affetto tenero.
    Ti auguro un buon mattino, cara Chloe.

  29. Agatone scrive:

    La discussione tra Chloe e Giovanni è così alta e fatta con così tanta sensibilità e compostezza che quasi mi entusiasmano. Capisco che è un sentimento contraddittorio rispetto all’argomento e infatti sono un po’ turbato, ma fin quando in un blog in cui si dovrebbe parlare di tennis ci sarranno voci così io penserò che una possibilità esiste ancora. Che la salvezza salverà il mondo, come ha scritto J.Tipsarevic sul braccio, tanto per tornare al tennis. Forse D.F.Wallace non credeva più che fossero possibili lampi di bellezza. Eppure lui la conosceva, e il suo articolo su Federer era lampante da questo punto di vista.

    Rispetto a quello che hanno scritto loro a me è venuta una domanda. Ma la volontà esiste? Una volontà che può superare tutte le pulsioni fisico-ottiche-emotive del nostro io?
    Per fare un es: Se alle 8 devo essere in un ufficio per lavorare, alzarmi alle 7 e prepararmi, muovermi fino lì etc da cosa può derivare? Se non posso associarle a nessuna voglia e a esigenze corporeee rimane solo la volontà intellettiva di farlo.

  30. Giovanni da Roussillon scrive:

    Ma caro Agatone, il tuo lapsus linguae è molto bello: una tautologia, in apparenza, ma esprime un che di fulgido. Se intanto esiste la parola, cerchiamo di non farle mancare il suo supporto concreto e naturale!
    Grazie per l’apprezzamento. Essenzialmente spetta a Chloe, per come solleva l’attenzione ad ogni suo intervento iniziale e per altre ragioni ovvie, che a citarle passerebbero quasi per lusinghe.

  31. chloe de lissier scrive:

    gentile agatone, anzitutto grazie per le tue belle parole. la sensibilità è una qualità alta. per quel che concerne il tuo quesito, mi pareva in qualche maniera di aver già espresso la mia opinione nel merito di quella che tu chiami “volontà”. la tua azione di andare a lavorare è sicuramente anche volontaria e consapevole, ma non solo: i fattori che la determinano sono moltissimi e assai diversi fra loro, e non tutti decifrabili. provo ad elencarne qualcuno: la necessità materiale di guadagnarsi da vivere, l’aspettativa del tuo ambiente familiare e sociale nel suo complesso, le tue stesse speranze e i tuoi desideri, la tua condizione psico-fisica, l’educazione che hai ricevuto e la tua reazione ad essa, la tua esperienza esistenziale, il reddito che ricavi dal tuo lavoro, la tua risposta emotiva a quelli che si definiscono doveri sociali, la tua capacità di rapporto con l’autorità. insomma, per ogni azione che compiamo, esiste una serie infinita di circostanze che la determinano, compresa anche quella che chiamiamo “volontà” e che invece sarebbe più corretto definire inclinazione.
    le nostre inclinazioni non sono indefinite, ma si confanno ad un complesso di strutture mentali, emotive e di comportamento. i nostri modi di rispondere ai diversi eventi sono armonizzati e bilanciati in maniera diverso in ciascun individuo. alla fine risultano sostanzialmente tesi all’adattamento alla realtà che percepiamo: si sono formati e selezionati nel corso di milioni di anni per garantirci la massima probabilità di sopravvivere e di generare a nostra volta figli capaci di giungere almeno all’età feconda.
    ovviamente, pur trattandosi di uno schema noto da molto tempo, non si tratta di qualcosa di rigido, perché non vi è nulla nel nostro patrimonio genetico che ci obblighi a comportarci in un modo anziché in un altro: le nostre decisioni dipendono certo dai nostri geni, ma soprattutto dalle circostanze e dalla nostra esperienza.
    spero di aver dato una risposta esauriente al tuo quesito

  32. flexible scrive:

    mah articolo su Binaghi 108 post su wallace 29, che dire?

  33. Marcelus Edberg Wallace scrive:

    @Flexible
    Giusto così, direi.
    E’ dura leggere, conoscere e apprezzare D.F.W., per un popolo che non legge, conosce e apprezza niente.
    29 non è niente male, e va a onore di questo blog.
    Di polemisti su beghe federali è invece piena l’Italia: e meno male che qui non si parla di calcio.
    Guarda il bicchiere mezzo pieno, Flexible. Con simpatia.

  34. flexible scrive:

    ok è mezzo pieno,
    e ti alzo un brindisi
    alla salute

  35. andrew scrive:

    …ho acquistato “Infinite Jest”, che mi accompagni nel sonno durante i mesi invernali di quest’annata 2008-2009 A.D.

  36. zio tony scrive:

    Attenta Cloeh, secondo me sto Giovanni De Rossi…edopononmiricordo e Agat”T”one, hanno scoperto I tuoi punti deboli e ci stanno provando!! ;-) sto scherzando…raga, mi arrendo e inchino di fronte a sti popo di ragionamenti (anche se ogni tanto devo bagnarmi la testa x riprendermi…forse certe volte è meglio andare a lavorare senza pensarci tanto su sul perchè lo stiamo facendo ;-) Buona notte a todoss

  37. flexible scrive:

    andrew,
    io adoro wallace però onestamente Infinitive Jest ho cominciato a leggerlo tre volte e tre volte l’ho abbandonato perchè è davvero troppo, davvero, ci sono pagine fulminanti, però David a mio avviso si è lasciato prendere la mano, personalmente trovo wallace inarrivabile quando spiega una cosa o quando racconta una cosa “reale” quando invece deve inventarla secondo me perde un po’ il giro, e poi in infinite vuol fare vedere ad ogni riga quanto è bravo e siccome è troppo bravo dopo un po’ diventa fine a se stesso.
    e comunque ci proverò per la quarta volta prima o poi…

  38. Agatone scrive:

    x Chloe
    certo, sono d’accordo: siamo molto più sovradeterminati (socialmente) e anche sottodeterminati (emotivamente e fisicamente). E il gioco del tennis è un mezzo molto interessante per capire ancora meglio questo.
    grazie della precisazione

  39. Nik85 scrive:

    Mi permetto di aggiungere alla splendida tenzone Giovanni-Chloe una citazione tratta dalla voce “Libertè” di Voltaire: “la vostra volontà non è libera, ma le vostre azioni sì. Voi siete liberi di agire, quando avete il potere di agire”. Ci sono due libertà in Voltaire. La libertà metafisica, ovvero il libero arbitrio, non esiste. Credo sia il concetto espresso da Chloe riguardo il complesso fenomeno del suicidio. Ma la libertà nella vita associata, ovvero la libertà di azione, l’abbiamo, quella sì. E credo sia ciò che intende Giovanni quando parla di buon senso e amore e sentimento verso il prossimo. Ma forse quando si parla di amore per la Vita, Giovanni, si trascende la “semplice” libertà di azione e si cade ineluttabilmente nell’assenza di libero arbitrio. La coscienza di un suicida è un’entità talmente complessa che se lo stesso potesse staccarsi dal proprio “io” (ammesso che ce ne sia uno definibile, come sostiene Chloe) e osservarsi, probabilmente non proverebbe nè un sentimento di stupore nè di pentimento, ma si troverebbe nell’assoluta incapacità di comprensione del fenomeno, utilizzando i “semplici” strumenti della ragione e del buon senso umano. Eppure - e questa è la straordinarietà dell’essere umano - quel fenomeno così complesso, indecifrabile, metafisico, non è così lontano, non necessita di essere osservato con apparecchi avanzati e solo di riflesso, come una stella a miliardi di anni luce. Forse e’ troppo vicino a noi, è troppo dentro di noi per riuscire a decifrarne il messaggio, a coglierne il significato. E chissà che non avesse ragione Hegel nell’affermare che la scienza più complessa non è la fisica, non l’astrosifica, non è alcuna delle scienze naturali, ma, quasi banalmente, è lo studio dell’uomo, della sua psiche e del suo comportamento. In fondo, è lo studio di noi stessi.

  40. Thomas Yancey scrive:

    David Foster Wallace ha tentato con tutte le sue forze di afferrare il “Grande Romanzo Americano”. E’ stato paragonato a scrittori con i quali aveva in realtà poco a che spartire se non la stessa ossessione. Ma Wallace non perseguiva con ferocia il suo sogno. Non era duro e smaliziato, ma sensibile e confuso, ironico e nauseato, appassionato e solo.
    Ha sperato di aggrapparsi alle colonne d’Ercole crollanti della generazione del dopoguerra, ai grandi visionari che prima di chiunque altro sono stati sopraffatti dall’orrido mondo che li circondava, perché ormai la poesia pura non era più in grado di sovrastare quel mondo.
    L’uomo non crea idee, le elabora. La proprietà di un’idea appartiene solo a chi la esprime meglio. A me pare che Wallace abbia aderito alla verità che emana dalla grande arte. Ma non ha saputo andare oltre, seppure la sua spasmodica tensione lo spingesse con disperante violenza verso l’espressione artistica. Questa è forse la ragione per la quale la sua vita è diventata una conflagrazione accelerata.
    La stupidità profonda a cui siamo abituati ci spinge a interessarci delle idee altrui solo quando queste lambiscono le nostre afflizioni. La cosiddetta industria della cultura ce ne presenta a bizzeffe di eroi adatti al nostro limitatissimo immaginario. E i preposti non lo fanno artatamente, come molti vogliono ritenere perché è politicamente comodo: sono semplicemente ignoranti loro per primi. Ecco perché una notizia di cronaca può rendere più famoso un artista altrimenti poco meno che oscuro per tanti.
    Spero che per David Foster Wallace la porzione di infinito che ora lo accoglie sia finalmente lieve.

  41. Gianluca Comuniello scrive:

    Grazie a tutti, signori. Il dibattito che si sta sviluppando sarebbe sicuramente piaciuto a DFW.
    Per andrew, un consiglio che dettero a suo tempo a me: comincia da “La scopa del sistema”, se non lo hai letto. Se invece lo hai letto: Infinite Jest va preso con pazienza, per assaporarne la complessità: c’è la politica, c’è l’individualismo, ci sono le droghe(intese nella loro accezione più vasta)… c’è il tennis. E’ un viaggio che merita fare, ma occorre avere la consapevolezza che ogni tanto ci si può perdere.

  42. Giovanni da Roussillon scrive:

    Trovo bello l’invito rivolto a Andrew dall’autore del pezzo.
    Mi permetto aggiungere con rispetto un pensiero in ordine alla perdita.
    Col presupposto che decidiamo (tagliamo) ogniqualvolta si presenta una situazione con più sbocchi, le perdite sono frequenti, spesso dolorose; ma anche ci sono infierite, nel cui caso ci manca persino la facoltà di come tagliare e siamo vittime del taglio. Eppure più riusciamo a prendere le cose per quel che sono, col distacco ragionevole necessario, e senza ritenerle del tutto fisse rispetto alla prima percezione, anche la nozione di perdita perde almeno una parte della sua accezione più drammatica che le attribuiamo. Penso in particolare a quella “ogni tanto” di se.
    Tenendo un poco presente questa riflessione, provo a guardare alla grandezza di ciò che rimane di Wallace.

  43. andrew scrive:

    …troppo tardi…ma grazie comunque del consiglio…

    sono già a pag. 95…

    leggo solo le figure…

Scrivi un commento