Fine della caccia

 
13 Settembre 2008 Articolo di Marcos
Author mug

Senza prove contro Davydenko e Vassallo, l’Atp chiude il caso.

Ripercorrendo la storia dei giornali di tutto il mondo, è impossibile non imbattersi in prime pagine mostruose. Nel 1972, uscì il film “Sbatti il mostro in prima pagina”, di Marco Bellocchio: è la storia di un omicidio a sfondo sessuale, strumentalizzato da un quotidiano per fini politici. I titoli del giornale si trasformano in sentenza: è una condanna morale, pubblica e indelebile, dalla quale non è possibile difendersi. Dal film, purtroppo, si passò, poi, alla tragica realtà: prima Pietro Valpreda, ingiustamente accusato per la strage di Piazza Fontana, poi, Enzo Tortora, ingiustamente accusato di essere un camorrista. Prima, il “mostro era un ballerino anarchico”, poi, era “il mostro a 21 pollici”. Per ragioni diverse, molti cronisti parteciparono alla gara di linciaggio. Per l’ironia di una perfida sorte, Tortora, da giornalista, si trovò nelle vesti di accusatore, quando fu il turno di Valpreda e, poi, si trovò nelle vesti di vittima, quando fu il suo terribile momento. All’inizio degli anni ‘90 scoppiò tangentopoli. Furono fuochi e fiamme, anche allora: molti politici e molti redattori si scagliarono contro la criminale commistione tra politica e affari. Molti di quelli che allora accusavano senza pietà, ora, sono garantisti fino al midollo: prima c’era da spazzare via un’intera classe politica, ora, bisogna mantenerla in vita. Sulle prime pagine dei giornali scorrevano i primi piani di numerosi mostri: qualcuno di questi si lasciò morire di vergogna; qualcun altro fu condannato; qualcun altro risultò innocente. È un’usanza umana, quella di cavalcare l’onda dello sdegno. Un pò meno umana, quella di fomentarla. È, però, del tutto disumano non riparare, seppure in minima parte, ai danni compiuti ingiustamente. Quando si decide di buttare un mostro in prima pagina, esercizio che, in ogni caso, detesto, bisogna poi avere il coraggio di rimetterlo in prima pagina, una volta assolto, utilizzando caratteri ed enfasi ancor maggiore: è un piccolo risarcimento che non dovrebbe mai mancare.

Scrivo per questo straordinario blog anche perché non s’usa sbattere mostri in prima pagina, ma nemmeno in seconda o in terza. Epperò, nei mesi scorsi, abbiamo scritto molto su Davydenko, sul Betting Exchange, sull’incredibile andamento di alcune partite, sulla pericolosità di alcune bande di scommettitori senza scrupoli, sul pericolo di ricatti, corruzioni, infiltrazioni di personaggi oscuri, sulla salute del tennis messa in discussione dal binomio doping/scommesse: per questo, a mio parere, oggi dobbiamo tornare a parlarne.

L’Atp, a seguito dello strano movimento delle puntate sull’incontro giocato a Sopot da Davydenko e Vassallo all’inizio dell’agosto 2007, incontro che visse momenti altalenanti come spesso capita, ma che vide scommettitori puntare fortune sulla sconfitta del russo, mentre il punteggio lo vedeva avanti di un set e un break (se non ricordo male), decise di mettere sotto inchiesta i due giocatori per comportamento illecito. L’Associazione dei Tennisti Professionisti era decisa a dimostrare che il russo aveva venduto la partita a chissà quale organizzazione di malaffare o che i due giocatori si erano messi d’accordo a tavolino. Mentre affidava ad un losco allibratore americano il compito di spiegare ai tennisti professionisti il pericolo della trappola delle scommesse, assoldava un paio di Sherlock Holmes in pensione, ma molto preparati, per dimostrare la colpevolezza di Davydenko. Si chiedeva a Nikolay di consegnare i tabulati telefonici suoi, di suo fratello, dei suoi famigliari e del suo entourage, senza, inizialmente, sostenere tale rischiesta con strumenti legali. Si investigava tra i camerieri di Sopot, s’ipotizzava la tresca tra uno dei suoi ed un malavitoso. Ci si chiedeva come mai, la settimana successiva, era in grado di giocare in Canada, visto che s’era ritirato per dolori al piede, senza tener conto che, tra i due tornei, il russo s’era fatto preparare una soletta speciale. Non voglio ipotizzare che si riesumò il bisnonno dal camposanto, per vedere se anche nell’oltretomba s’era scommesso sul quel match, ma l’atroce sospetto di scorrettezza inseguiva Davydenko come un’ombra. Fintanto che, in ottobre, a San Pietroburgo, un giudice di sedia, al secondo o al terzo doppiofallo consecutivo (il russo stava giocando contro un ottimo Cilic), lo riprese, intimandogli di impegnarsi, come se stesse perdendo a bella posta. In realtà, Davydenko stava vivendo il periodo più buio della sua carriera: perse, distrutto dall’ennesima accusa non dimostrabile, questa volta velata, e finì in lacrime negli spogliatoi.

Nel frattempo, De Villiers, che s’era già dato oltremodo da fare per mostrare il suo irrefrenabile iperattivismo (l’esperimento dei Round Robin finì tra i fischi e gli sberleffi), tuonava contro le combine, minacciando a destra e a manca di squalificare a vita chiunque, facente parte del circuito, fosse stato sorpreso a scommettere sul tennis e, comunque, di farla pagare cara anche a chi tra questi fosse stato sorpreso a scommettere su altri sport. A suffragio di questo entusiastico ritorno al controllo della moralità sportiva, l’Atp incastrò cinque giocatori italiani, nel giro di tre o quattro mesi: qualcuno di questi aveva scommesso su altri sport, qualcun altro sul tennis, ma non su incontri da lui disputati o disputati in un torneo in cui era impegnato. Questi cinque, al momento delle loro scommesse, non del tutto consapevoli dell’errore che stavano commettendo, erano iscritti a siti di betting con il loro nome ed il loro cognome. L’accordo tra l’Atp ed una dozzina di società di scommesse data gennaio 2007: lo stesso prevede un continuo scambio di informazioni, per assicurarsi che nessun tennista (entourage compreso) si dedichi alle scommesse. Potrei sbagliarmi, ma credo che i nostri cinque siano stati squalificati e multati per puntate precedenti a tale accordo.

Questo, infine, è il risultato dell’inchiesta durata un anno, durante il quale Davydenko ha dovuto pensare più a difendersi che a giocare, sfibrato da un’accusa infamante: “Nessuna prova di violazione delle regole da parte di alcuno dei due giocatori o individui a loro associati e’ stata riscontrata”.

Mi ripeto abbastanza spesso e me ne scuso, ma, questa volta, mi ripeto letteralmente. Ai primi di ottobre dell’anno scorso, scrivevo, a chiosa di un pezzo sulle scommesse, che: “Nei roghi della caccia alle streghe non ne è mai finita una”.

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22 Commenti a “Fine della caccia”

  1. Fabio P. scrive:

    Fossi Davydenko o Vassallo Arguello, io farei causa a tutti quelli che mi hanno denigrato ….

  2. ugo scrive:

    fossi uno degli italiani squalificati penserei che qualcosa non e’ chiaro….

  3. Marco Sicolo scrive:

    Grande Marcos

    avere speso del tuo tempo pur di scrivere questo pezzo è una cosa eticamente ed educativamente altissima

    complimenti

  4. Supermad scrive:

    Questa storia si è rivelata una pagliacciata: nessuno ne è uscito bene, tantomeno l’atp e lo stesso Davydenko.

    Sono d’accordo con l’articolo di Marcos, non è ammissibile condannare una persona basandosi solo su dei sospetti. Ci vogliono le prove, i fatti: i danni interiori che si possono causare ad un individuo possono avere conseguenze incontrollabili.

    Io però vado controcorrente: prima ancora del famoso match contro Vassallo, Davydenko fu protagonista (a mio modo di vedere) di altri match “strani”: a Sydney si ritirò al secondo turno (può non voler dire molto, anche Nadal si rititò al 1 turno); successivamente il russo giocò Marsiglia (out al 1 turno contro Soderling), Dubai (out al 2 turno), Miami (out al 2 turno), Montecarlo (out al 2 turno, perse da Soderling sulla terra!), Estoril (out al 1 turno con Patience…), Gstaad, Amersfoort e Umago (in tutti e tre prima testa di serie e tutte e tre le volte fuori al 1 turno).

    Magari non significa niente, però anch’io, al posto dell’ATP, mi sarei insospettito: prima ancora del match contro Vassallo, a me erano già sorti dei dubbi, del tipo “ma come, Davydenko si iscrive ad un sacco di tornei, da favorito, e poi va a perdere sempre ai primi turni?”. La partita di Sopot ha dato conferma all’idea che mi sono fatto: il russo si iscriveva ai tornei (prendendo assegni sottobanco), in seguito per intascare ancora qualcosa si vendeva i match. Non lo sto accusando, come dicevo prima ci vogliono le prove: questa però è l’opinione che mi sono fatto sulla vicenda.

    Anche l’ATP ha fatto queste ragionamento, però ha agito in modo a dir poco ridicolo: ha perseguitato un giocatore per un anno, per poi dire “mi spiace non ci sono le prove”. Hanno squalificato solo gli italiani e lo slovacco Mertinak (in sintesi, hanno pescato dei pesci piccolissimi solo per dimostrare che loro sono efficienti) ma di fronte alla patata bollente Davydenko (un top ten) si sono tirati indietro. Non hanno avuto il coraggio di fare un’indagine seria, se lo avessero voluto credo che avrebbero trovato in 2 mesi le prove per incastrare Davydenko.

  5. marcos scrive:

    ad ugo suggerisco di fare un salto sul sito ubitennis per leggere l’articolo “gli italiani attaccano l’atp”.

    ringrazio marco per i complimenti!

    e convengo con supermad riguardo ai problemi creati dai bonus che i direttori dei tornei assicurano ai campioni, per ottenerne la partecipazione. credo che siano bonus soprabanco, ormai: ma la questione non cambia, se non per gli aspetti fiscali. c’è chi si presenta al torneo, infatti, anche in condizioni fisiche precarie; c’è chi, ritirato il bonus, non sputa sangue per superare il turno. talvolta, credo, il bonus di partecipazione supera il prize money del vincitore del torneo, o del finalista. scorrendo i risultati di quasi tutti i tennisti, si leggono sconfitte ai primi turni (quelle nei tornei minori) che fanno pensare, in questo senso. agassi, che è immune da qualsiasi sospetto per la sua specchiata sportività, non di rado ci ha deliziato con partite orribili nei primi turni di alcuni tornei.

    non c’è rimedio: vietare i bonus d’ingresso, significa tornare ai sottobanco.

    non sono daccordo, invece, quanto al sospetto di partite vendute: a mio parere, a questo livello, nessuno vende partite. forse, ma non ci giurerei, a livelli assai più bassi.

  6. stefan scrive:

    l’indagine ,poco seria xche i matches truccati ci sono stati, ogni scommettitore abituale ne conosce i protagonisti ma atp non ne ha colpito nemmeno 1,ha cmq scaturito un effetto: non si sono segnalati in questa stagione ulteriori casi sospetti probabilmente xche gli “autori” non han + trovato collaborazione nei (in ogni caso pochi) tennisti,diventati meno”avvicinabili”….poi se si vuole pensare che le combines siano solo un’invenzione e tutto il tennis sia cristallino padronissimi di farlo,ma non è vero

  7. anto scrive:

    Che farsa……..che ridicolaggine…………..tanto tutti sanno che cosa è successo………la gente non è imbecille…….

  8. Thomas Yancey scrive:

    L’articolo su questa notizia avrebbe dovuto essere scritto da Ubaldo Scanagatta. Il quale, nell’occasione della “questione Davydenko”, ha dato al blog una linea fatta di insinuazioni ambigue e di illazioni di colpevolezza non consone e non rispondenti ai fatti effettivamente conosciuti. Nel merito della “vicenda Davydenko” Ubaldo Scanagatta, sulle pagine di questo blog, ha reso un cattivo servizio all’informazione e al giornalismo.

    Nota di UBS: Caro Thomas non sono per nulla d’accordo con te e con le tue certezze. E rinvio i lettori che abbiano pazienza ad andare a rileggersi i miei articoli dell ‘epoca. Ivi inclusa l’intervista esclusiva resami dallo stesso Davydenko a Shanghai in compagnia di Ronnie Leitgeb, il suo manager. Ho riferito una campana e l’altra. Poi, se Thomas mi permette, ho espresso anche la mia opinione personale, che credo in un blog sia doverosa per rispetto degli stessi lettori che mi usano la pazienza di leggermi. Può essere anche che io abbia sbagliato, per carità, mi succede spesso, ma non è una sentenza _ o peggio l’abbandono di una causa per l’impossibilità di provare una tesi _ che mi farà cambiare opinione sul caso Valpreda, sul caso Pinelli, su alcuni casi Berlusconi, sul caso _ domani - Del Turco. Se la stampa avesse dovuto aspettare una sentenza per accertare l’esistenza della Mafia, negata dalle prove e dalla giurisprudenza ufficiale, per molti decenni, avremmo dovuto tutti far finta che non esistesse. Quando sapevamo che esisteva eccome.
    L’informazione non è soltanto quella ufficiale, delle veline, ma anche quella che risulta dal controllo delle fonti più disparate. Se tu Thomas credi di averne più di me nel mio ambiente, ti prego di venir a farne parte al più presto, perchè di gente bene infomrata abbiamo sempre bisogno.
    Le insinuazioni ambigue cui tu alludi sono quelle che hanno spinto l’ATP a imbastire un processo e ad attivare un gruppo di investigatori che è costato all’ATP qualche milione di dollari, sulla base di sospetti che non dovevano essere così campati in aria, a meno che tu pensi che l’ATP avesse voglia di scialacquare il suo patrimonio. Anche l’Atp, figurarsi, non è immune da vizi, errori, false credenze (vedi come si è comportata nel caso scommesse con gli italiani) però proprio deficienti non saranno. Quel che l’Atp aveva sottovalutato, ingenuamente, è che fosse possibile risalire dalle matrici telefoniche russe appartenenti a tutto un nutrito gruppo di persone, forse perfino vicine alla mafia russa. Ma un qualsiasi frequentatore dei bookmakers _ e non solo le agenzie collegate, e non solo BetFair (magari avrà orchestrato il tutto per farsi pubblicità: ma non aveva mai sospeso prima delle scommesse, guarda caso ) _ riteneva l’andamento di quelle scommesse, sul match Davydenko- Vassallo Arguello, del tutto anomalo. Quindi, per carità, mi sarò sbagliato io, ho certo meno sicurezza di quelle che oggi manifesti tu caro Thomas, ma a me la vicenda Davydenko tuttora non convince. Anche se l’Atp, non riuscendo a trovare prove (e sottolineando il fatto che dato il perdurare delle indagini le sono state sottratte anche le disponibilità di alcuni tabulati telefonici), si è dovuta arrendere. Chiarisco. Non sono per nulla certo che Davydenko fosse colpevole (come si fa ad esserlo?), ma ritengo per averlo appreso anche da giocatori russi, che molti di loro vengano aiutati all’inizio della carriera anche da persone non del tutto disinteressate che, prima o poi a seconda dlele circostanze, chiedono favori indietro. E che certe facce che giravano a Sopot e dintorni (in questo me lo confermano anche amici polacchi) non fossero proprio raccomandabili, come quel russo che feci cacciare dalla sala stampa degli internzionali d’Italia dopo che Riccardo Bisti me lo segnalò alle prese con il computer e le scommesse on line. Cari saluti e se ho sbagliato perdonami, spero di riscattarmi in avvenire con qualche buon servizio all’informazione (anche non quella paludata dall’ufficialità) e al giornalismo che indegnamente mi sforzo di onorare da una trentina di anni.

  9. stefan scrive:

    Ubaldo hai tutta la solidarietà:il sig Yancey ha perso una buona occasione x tacere,ottima soluzione quando non si sa

  10. marcos scrive:

    sul caso davydenko e sui problemi legati alle scommesse sono quello che, forse, ha scritto di più su questo blog.

    a prescindere da come sarebbe andata a finire la vicenda del russo, ho ritenuto, sin dai primi tempi, che l’atp sbagliasse nel metodo ed, in taluni casi, anche nel merito.

    ho scritto di mostri in prima pagina, di caccia alle streghe, di utilizzo di personaggi ambigui, di metodi persecutori e non del tutto suffragati da strumenti legali, di piste geografiche, di tentativi brancolanti, del pericolo che le quote venissero pesantemente condizionate da bande di scommettitori del tutto incontrollabili.

    per questo, ho ritenuto autonomamente di scrivere un pezzo di chiusura, su una vicenda che meritava una chiusura molto prima e, senza meno, un’apertura diversa.

    preciso che ubaldo non mi ha suggerito alcuna linea da seguire, pur avendo sul tema, da quel che scrive, un’idea piuttosto diversa dalla mia.
    anche per questo motivo, mi piace scrivere su questo blog. così come mi piace molto leggere. e con molta attenzione ho sempre letto gli scritti di thomas.

  11. Thomas Yancey scrive:

    Non avevo alcun dubbio sul fatto che il tuo articolo fosse stato scritto in assoluta autonomia, Marcos. Ho letto sempre i tuoi pezzi e mi sono formato la convinzione che il tuo atteggiamento è sereno, equilibrato e fondato sul rispetto degli altri. Soprattutto di coloro sui quali esprimi un parere nel merito della loro professione o del loro atteggiamento in una determinata circostanza.
    Considerato però che, all’epoca della “vicenda Davydenko, la parte più significativa degli articoli sul caso era redatta da Ubaldo Scanagatta e che la tendenza che ne derivava al blog era palesemente volta alla colpevolizzazione “a priori” di Davydenko e allo “scandalismo” a tutti i costi, ho ritenuto che sarebbe stato almeno coerente che anche la notizia finale venisse fornita e commentata dallo stesso Ubaldo Scanagatta.

  12. Giovanni da Roussillon scrive:

    Per confutare Thomas Yancey, vi sono almeno due condizioni da adempiere indipendentemente dal contendere: disporre di una porzione di rispetto riguardo ai modi (vedi Marcos, che persino non lo contraddice, anzi!), ed una sufficiente capacità ad intenderlo. Entrambe sembrano fare difetto al fedele Stefan, nella pochezza del suo intervento.
    Abbondanzialmente preciso che chiunque scrive sul blog non emette alcun fonema udibile, ed è superfluo dunque augurarsi che debba tacere.

    Offendere Yancey non ci migliora. E’ dell’ordine della gratuità vacua, tesa esclusivamente a cancellare, senza peraltro fortunatamente riuscirvi (come potrebbe d’altra parte?), ciò che di migliore e consistente è deposto nei commenti da quando consulto il blog di Ubaldo Scanagatta.

  13. enrico riva scrive:

    ho scritto anche io qualcosa sull’affare davydenko per il sito e sempre con una certa prudenza. l’idea anzi era che fosse grottesco come un giocatore fosse sottoposto ad una sorta di tortura psicologica senza che si arrivasse ad una rapida conclusione del caso. l’amarezza rimane infatti per una vicenda mal gestita che ha visto un giocatore umiliato per piu’ di un anno, e non solo dalla stampa, ma dagli stessi abritri.

  14. stefan scrive:

    giuan hai ragione: yancey non poteva “tacere” visto che in un blog si scrive,doveva chiudersi le dita nel coperchio del pc….chiedo venia x l’imprecisione.
    e continua pure a pensare che davydenko + alcuni altri siano puliti e immacolati,non c’è problema viviamo tutti lo stesso,stammi bene

  15. Giovanni da Roussillon scrive:

    In margine al pensiero di Thomas Yancey, secondo il quale l’informazione del non luogo sancito nella vicenda “Davidenko-Vassallo Arguello” di Sopot avrebbe dovuto essere resa da Ubaldo Scanagatta, tenuto conto del suo scrivere parziale, dettato da scandalismo.

    Premetto che mi servo del fatto per chiarire una posizione mia personale dalle implicazioni aventi più nessi con il contesto.
    Al tempo dello scandalo scommesse che coinvolse Starace e compagni, tradussi un pezzo interessante, indicatomi da uno stretto collega di Scanagatta, scritto dal redattore sportivo Wofgang Scheffler della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Nell’articolo l’autore si prende un po’ burla del modo italiano di giudicare i “colpevoli”, ed in particolare termina con un riferimento alla Davidenko-Vassallo Arguello: un affondo assestato all’azienda inglese Bedfair, rea, secondo Scheffler ed anche secondo il sottoscritto, “in questa faccenda fastidiosa” di “gestirsi come il moralista” e “ancora incapace di chiedere agli scommettitori come fossero pervenuti ad arrischiare somme alte sull’outsider argentino. Inoltre Betfair esamina apparentemente l’identità di ogni scommettitore…”.
    Fui sorpreso di apprendere da Ubaldo Scanagatta che la traduzione avrebbe corso il rischio di non essere pubblicata per ragioni di disponibilità di spazio e calendario. Rischio divenuto successivamente evento.
    E’ importante sapere che sono per certi versi assai presuntuoso riguardo alla mia capacità di capire, traslare e riferire, un povero illuso sofferente di una sorta di complesso di primo della classe. Inghiottii dunque la pillola amara (un offesa alla mia intelligenza), senza colpo ferire, e tenni in debito conto il “fattaccio”, con l’idea ferma che Ubaldo Scanagatta, avvedutosi dell’agressione a penna dello Scheffler, volesse “coprire” la casa di scommesse, una consorella della quale appare nel blog alla selezione dei “Risultati in tempo reale”.
    Mi parve inoltre che il signor Ubaldo scrivesse successivamente, con frequenza prevedibile, di tutto, ma proprio di tutto, utile a confermare la mia convinzione, rimasta fissa fin qui. Avevo insomma finito per associarlo alla stragrande parte degli addetti ai media di oggi (è sovente una questione di catene: una maggioranza al soldo di un’altra “maggioranza”, o di se’ stessi) più propensi ad obbedire al pagante di turno che ad informare con obbiettività.
    Mi sentii umiliato dalla mia stessa propensione ad illudermi, entusiasmarmi, regalare fiducia senza condizioni. Mi tolsi il sassolino (una pietra sciancante nella scarpa di un presuntoso) sul forum aperto da Ros: riprodussi l’articolo Scheffler.

    Senza permettermi di criticare la reazione contestuale di Thomas Yancey (sono ancora preso dalla mia vicissitudine affatto personale), del quale non si può mettere in dubbio l’acume, la solidità di pensiero e l’aspirazione all’autentico; la querelle mi viene in aiuto, perché Yancey ha avuto l’impressione opposta alla mia. Mantengo la convinzione che i giudizi (miei, altrui) negativi verso il giornalismo, i media in generale, vengono, oh sciagura!, giornalmente confermati dai fatti. Traggo al tempo da questa esperienza, un insegnamento tutto nuovo: proprio dalla confezione massimalistica di leggi tradotte da fenomeni frequenti, osservabili su campionature di dimensioni quasi pari all’universo osservato, può nascere la distorsione simmetrica: l’errore di percezione, da parte del lettore, di una o più notizie correlate. Per quanto infima sia la probabilità di incorrere in tale errore, avverto ora il bisogno di considerare probo ogni singolo giornalista, almeno fino alla prova concreta del contrario.
    Nondimeno, se Yancey ha percepito la notizia correttamente come sembra essere, ovvero Davidenko venne colpevolizzato dal giornalista privo di indizi noti, allora devo le mie scuse ad Ubaldo Scanagatta (sarebbe comunque benvenuta la sua ammissione di un certo gusto per l’effetto…), continuando a pensare, di contro, che un giudice ha facoltà di prosciogliere chi vuole, non di appormi fette di salame sugli occhi. Aggiungo per sdrammatizzare: piangere in uno spogliatoio vale il dolore per un torto subito quanto il riconoscimento dell’errore commesso. Rincaro, approfittando, e con perfidia: piangere per la medaglia mancata in finale vale un segno di sensibilità fino ad allora celata quanto un cedimento nervoso.

    ———————
    Al gioco di Gianluca Comuniello adoro inserire finzioni da lui designate simpaticamente trame oscure.
    Qui vorrei contribuire alla trasparenza.

  16. chloe de lissier scrive:

    vediamo se ho capito bene: thomas yancey ha sostenuto che la posizione di ubaldo scanagatta su davydenko è stata colpevolista senza il suffragio dei fatti per inseguire un obiettivo di “vendita” del suo prodotto (il blog), incurante delle sue primarie responsabilità professionali (l’informazione reale); giovanni da roussillon rivela un fatto attinente alla “questione scommesse” dichiarando di aver giudicato una scelta di scanagatta operata “pro betfair” e aggiungendo che la percezione di yancey, ove mai fosse stata esatta, avrebbe smantellato la sua.
    è probabile che abbia compreso erratamente il ragionamento di giovanni. ma francamente non vedo contraddizione nei giudizi espressi sia da yancey quanto da giovanni nel merito dell’atteggiamento di scanagatta: entrambi affermano che il comportamento del giornalista non era completamente rivolto unicamente all’informazione sui fatti e all’espressione delle sue opinioni nel merito degli stessi effettivi fatti.
    quel che invece differisce nelle opinioni di yancey e giovanni è l’interpretazione delle motivazioni che sarebbero state alla base dell’atteggiamento di ubaldo scanagatta. a mio parere, le ragioni che sottendono un comportamento sono assolutamente secondarie all’azione effettiva: perché il comportamento è un fatto preciso (in quanto tale perciò valutabile), le ragioni invece costituiscono una possibile spiegazione che può aggravare o attenuare soltanto l’eventuale giudizio, ma non modificare la sostanza effettiva dell’azione.
    il comportamento effettivo di scanagatta è stato quello di dichiarare, e dunque tentare di convincere anche i suoi lettori, che davydenko fosse colpevole nella vicenda che lo ha visto coinvolto. le sue affermazioni non erano evidentemente basate su fatti, ma su illazioni. le motivazioni che hanno fondato il suo atteggiamento non mi interessano perché io non sono davydenko e perciò non ho alcun titolo per portare eventualmente scanagatta in giudizio per le sue affermazioni.
    resta comunque il fatto che ubaldo scanagatta non ha svolto il suo compito di giornalista, in occasione della “questione davydenko”, nel modo migliore. che poi abbia onorato o meno la sua professione nei precedenti trent’anni, poco importa: si tratta di un’attenuante o di un’aggravante, a seconda dei punti di vista, la cui eventuale valutazione spetterebbe unicamente a un giudice. e io non lo sono.

  17. chloe de lissier scrive:

    è stupefacente che un commento, inviato alle 9:46 di questa mattina, non sia stato ancora pubblicato.questa volta non posso neanche pensare che non sia giunto in redazione perché sulla mia pagina compare, seppure con l’usuale dicitura “il tuo commento è in attesa di essere approvato”. al momento in cui scrivo sono le 17:15.
    debbo pensare che il commento abbia infastidito assai il dominus. il quale starà pensando a una delle sue risposte in grassetto piazzate direttamente sotto lo scritto del critico di turno. come ha fatto con thomas yancey, in questa stessa pagina.
    rispondere a un’opinione nello stesso post di chi scrive è come alzare la voce per avere ragione a tutti i costi. sarebbe più opportuno e anche corretto lasciare che chi legge abbia la possibilità di far sedimentare il proprio pensiero nel merito e formarsi un parere senza immediate sovrapposizioni. come fanno i migliori giornali, che ospitano un’opinione, se ritengono, per rispondere successivamente, anche nei giorni seguenti.
    a meno che ubaldo scanagatta non ritenga che gli scritti critici siano solo una lettera al direttore o magari alla posta del cuore.

    Chloe faccio pubblica ammenda. Mea culpa. Oggi sono solo a moderare, e sono molto impegnato anche sul lavoro. Avevo visto il tuo commento, mi ero riproposto di leggerlo meglio in un secondo tempo, e poi purtroppo, preso da mille altre cose, me ne sono dimenticato e lo ho lasciato lì. Ubaldo è a Montecatini per la Davis, e non credo abbia ancora aperto il blog, da stamane, eventualmente vi risponderà stasera. Mi spiace. E sorry per la risposta in grassetto. (Rob. Comm.).

  18. Giovanni da Roussillon scrive:

    Nella mia esposizione dell’accaduto a cui si riferisce Chloe metto purtroppo ancora eccessiva enfasi sulla posizione immutabile (per questioni di igiene etica, e col conforto delle teorie sui giochi, non confutabili quanto sfruttate malamente) che tengo e terrò per le case da gioco. Avrei dovuto almeno aggiungere che Scheffler non “proscioglie” Davidenko. Come potrebbe farlo, a rigor di logica, se tiene un discorso critico sulla casa di scommesse? Chi sarebbe la mano di Bedfair se non il povero Nicolai? Solo in questo senso la non pubblicazione della traduzione scagiona ai miei occhi Ubaldo Scanagatta dallo scandalismo, anche se gli sarei molto grato se ci spiegasse perché sul blog molti titoli ad effetto non trovano sostanza corrispondente nei testi che essi precedono.
    Dico ora parzialmente la mia a proposito della querelle Yancey/Scanagatta. E’ non raramente constatabile, talvolta, la scarsa probità nell’operato degli esercenti attività professionale, qualunque essa sia. Gli amministatori della giustizia, in particolare i giudici, non possono sfuggire alla tara, a meno che si voglia ritenerli infallibili nel giudicare alla stregua dei papi nell’afferente il papato e la dottrina da loro confezionata, o ancora alla stregua di altri unti. Allora immaginare reo Davidenko da non giudici, secondo le proprie convinzioni, non offende la logica e nemmeno la storia, tenuto altresì conto che gli elementi noti dall’interruzione di quel match bastano ed avanzano per formarsi un giudizio, certo non per comminare la pena. Un giornalista non dovrebbe formarsi il proprio? Io direi: “Perché no?, la pubblichi, ma non ricorra ad allusioni e insinuazioni”.
    Vorrei far osservare alla gentile Chloe che “le ragioni che sottendono un comportamento” non “sono assolutamente secondarie all’azione effettiva”. Persino la giustizia, nella quale penso creda, stabilisce la discriminazione.

    Non desidero rappresentare la difesa di Ubaldo Scanagatta, anche se di fatto sembrerebbe. Anzi, per dare con serenità la mia risposta alla querelle “Ubaldo Scanagatta è stato o non è stato tendenzioso, colpevolizzante lungo i suoi articoli trattanti il caso Davidenko?”, vado a rileggerlo ora, con occhi un po’ meno offuscati da preconcetti.

  19. anto scrive:

    L’atp ha scagionato il russo…..ufficialmente……….ma suvvia non siamo ominidi con le fette di salame sugli occhi…..addetti ai lavori……giocatori stessi………scommettitori on line………tutti sanno che quell’incontro è stato ………diciamo anomalo……e poi a farci credere che nulla è successo e io sono cicciolina………

  20. chloe de lissier scrive:

    caro giovanni, le tue osservazioni sono sempre gradite, non fosse altro perché costringono ad una più ampia riflessione. fatto che può solo giovare alla salute della nostra mente.
    è indubbio che le motivazioni non sono secondarie all’azione effettiva, in linea di massima. ciò vale soprattutto quando si deve stabilire una sanzione ad un comportamente. nel mio caso, e relativamente all’oggetto della discussione, intendevo riferire tale affermazione al fatto che le ragioni sottese al comportamento di un giornalista non mi riguardano per due ovvi motivi: in primo luogo perché non posso essere in grado di stabilirle con sicurezza; e poi perché il mio interesse di lettrice non viene scalfito dalle ragioni, ma dal fatto puro e semplice del modo in cui mi viene fornita una qualsiasi notizia. le motivazioni che fondano siffatti comportamenti possono avere interesse per me, quando conosciute con certezza, solo perché possono consentirmi di valutare più ampiamente la figura complessiva di chi ha operato quell’azione. nel caso in questione tale valutazione è del tutto secondaria. anzi, di scarsissimo rilievo.
    mi pare inoltre ovvio e scontato che nessuno a questo mondo possa essere considerato depositario della verità e dell’infallibilità. nemmeno i giudici, naturalmente. ma non mi pare che davydenko sia stato giudicato. è stato soltanto sospettato e indagato. quindi non comprendo il riferimento ai giudici, nel suo caso.
    un’altra cosa che mi sembra evidente consiste nel fatto che si possa certo esprimere un parere su una vicenda anche fondandolo su basi aleatorie come le sensazioni. guai se non potessimo esprimere le nostre opinioni liberamente, comunque siano e in qualunque modo ce le fossimo formate. ma dobbiamo assumercene la responsabilità. la quale è comunque assai diversa fra gli individui e dipende dal ruolo che ricopriamo: un conto sarebbe se io dicessi che la costituzione italiana non mi piace e ben altro sarebbe se questa affermazione provenisse dal presidente della repubblica, che di quella legge fondamentale dovrebbe essere il garante.
    allo stesso modo, un lettore di giornali può anche dichiarare a chi lo ascolta la sua convinzione, pur senza prove, della colpevolezza di davydenko, ma cosa ben diversa sarebbe se così agisse un giornalista (non metterti a ridere: lo so che succede di continuo). perché chi è preposto all’informazione dovrebbe perseguire come principale obiettivo la ricerca della verità invece che la manipolazione dell’opinione pubblica.
    può anche darsi che la mia sia solo una pia illusione. ma penso che ognuno di noi abbia il dovere verso se stesso e nei confronti degli altri di rifiutare e denunciare qualsiasi comportamento non consono al ruolo che chi lo attua riveste.
    perché altrimenti anche le nostre azioni e le nostre parole perderanno valore e credibilità.

  21. stefan scrive:

    @anto
    esatto…qui filosofeggiano e fanno a gara x far vedere come san scrivere bene ma nel concreto la partite taroccate ci sono state,atp sa benissimo i giocatori coinvolti, noi che scommettiamo pure ma nomi atp stessa non ne farà mai,noi poveri utenti non possiamo,ubaldo che penso li sappia pure lui nemmeno e va bene cosi …bravissimi quelli che in questi anni truccando i matches su BEDFAIR(ahahahahah) han fatto i soldi veri,avrei fatto lo stesso al posto loro.
    continuino pure con l’esercizio di bella scrittura,non disturbiamo + mi raccomando

  22. Giovanni da Roussillon scrive:

    Chloe cara, sei molto luminosa nella speculazione, ed anche ricca di spirito nel tradurla nei commenti, checché scrivano quei mattacchioni di Stefan e dello zio dell’omino. Sto abbozzando un sorriso alla lettura del “se così agisse il giornalista”, quando il sorriso mi diventa scoppio, una risata piena per la parentesi che fai seguire.

    La mia tiritera sui giudici è nata ad una lettura superficiale, errata del tuo penultimo intervento. Perdonami se vuoi, non considerarla, se non come “annonce de couleur” da parte mia, semmai fosse necessario.

    In ordine alle tue spiegazioni: mi sono di aiuto, ti ringrazio. Mi convincono di non “andare oltre” fintantoché non mi sarò letto, o riletto, tutti gli articoli Scanagatta sul caso.
    Ad un solo punto, secondario, e purtroppo solo in parte, posso replicarti. A proposito del paragone, di termini il Presidente della Repubblica a cui non piace la Costituzione e il Giornalista che diffonde un parere basato su fatti manifestamente non avvenuti. Per me sia il primo sia il secondo possono attaccare sul piano delle idee l’oggetto che sono deputati a garantire ovvero la Carta per l’uno, l’Informazione per l’altro. Ciascuno nel rispetto del compito assunto. Purché ce ne spieghino le ragioni. La Carta, benché di carattere durevole, non poteva ad esempio contemplare le implicazioni dell’avvento di certe innovazioni più recenti, così come il giornalista può riferire di fatti che formano l’opinione del pubblico anche a zig zag, a seconda di quanto emerge di rilevante su di essi.
    Forse la difficoltà di far reggere il paragone risiede nella diversità di caratteristiche del loro rispettivo “prodotto” e di chi partecipa a forgiarlo: la Costituzione è soggetta a mutamenti (minimi, talvolta anche malamente stravolgenti) frutto del lavoro lontano nel tempo dei molti ed assunta da tutti, mentre il fatto, meglio le notizie intorno ad esso, sono rese dal giornalista isolato, dal quale attendiamo resoconti trasparenti.

    Ritornerò dunque volentieri, meglio “munito”.
    Scorgerai queste righe prima del viaggio verso Calcutta, il Perù, ecc.? Auguri.

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