Il Primo Maggio dei senza lavoro

IL 25 APRILE, una festa di tutti, e il 1° maggio una festa solo di una parte? Il sindaco Moratti che ha partecipato al corteo per la ricorrenza della Liberazione, ha declinato l’invito di Cgil-Cisl-Uil di essere martedì in piazza Duomo, spiegando di essere, in quel giorno, fuori Milano ma di essere comunque “idealmente” con i sindacati.
Volendo ricercare le ragioni della diversità di atteggiamento, non è difficile capire che una cosa è una manifestazione che celebra la fine della guerra da cui nacque la nuova Italia democratica e una cosa è quella che una volta veniva enfaticamente chiamata la festa dei lavoratori, intesi prevalentemente come operai e dunque rappresentativa non di tutta ma di una parte della società, anche idealmente e ideologicamente. Perché festa legata alle lotte del movimento operaio, organizzato in termini prevalentemente marxisti. Questo è ciò che riguarda il passato e quel che rimane di esso.
Ma oggi chi sono i lavoratori? Quali sono i diritti da affermare e per cui vale la pena battersi? Non ci sono i metalmeccanici, in quanto masse numericamente dominanti, a cui veniva riconosciuto il ruolo di avanguardie politiche. Gli operai non sono più gli italiani ma quegli immigrati extraeuropei, con i quali è difficile non solo la comprensione linguistica ma a volte anche la coesistenza. I diritti da affermare non sono quelli dei lavoratori tutelati ma di quelli irregolari e che muoiono in incidenti, guarda caso, sempre nel primo o secondo giorno di assunzione, perché truffaldini accomodamenti burocratici consentono di sfuggire alle pene contro il lavoro nero. I diritti da ricordare non sono quelli dei padri, che avevano una riconoscibile identità sociale e corrispondenti riferimenti politici, che offrivano se non vantaggi almeno speranze. I diritti per i quali è giusto battersi sono quelli dei figli che non hanno un lavoro e non l’avranno, almeno in tempi ragionevoli.
Il comunismo entrò in crisi, quando i comunisti si accorsero che i tempi lunghi per veder sorgere il sol dell’avvenire superavano quelli della vita. Alla stessa condizione abbiamo condannato i nostri figli, creando un sistema di lavoro, che offre, sì, loro un impiego tanto per sopravvivere ma rimanda a tempi indefiniti uno, che permetta loro di avere una vita normale.

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