Archivio di Maggio 2007

Lavorare di più per guadagnare di più

Domenica 20 Maggio 2007

Spett.Dott.De Carlo

Vorrei rispondere al trafiletto presente sulla NAZIONE del 15 Maggio 2007, dove si parla di lavorare di più per una maggiore competitività.
Io sono un operaio di 32 anni e non so quanto sia la media di ore lavorate in Europa o nel mondo, non conosco i dati della produttività o del pil., non passo le ore a fare sondaggi o statistiche dalla attendibilità discutibile, ma trascorro buona parte della giornata in fabbrica.
Uno, dei milioni di operai, che si sporcano le mani e creano quel benessere che tanto spesso citate.
Ma mentre qualcuno si gode il benessere e il circolo virtuoso, molti di noi sgobbano, per salari da fame o contratti improponibili, alla catena di montaggio, nelle concerie, sulle impalcature e in tantissimi altri posti, molto spesso lasciandoci la salute o addirittura la vita.
Non mi stupisco del signor A.M.( che di sicuro nasconde un interesse di parte), ma di un giornalista serio e intelligente come lei.
Ho trovato francamente il trafiletto alquanto offensivo, perchè tratta di un argomento importante come il lavoro con una superficialità davvero sconvolgente.
Egregio Dott. De Carlo noi operai chiediamo rispetto, il che significa non solo lavoro e dignità, ma anche di godere dei frutti del lavoro.
Ritengo che si faccia un uso distorto della parola benessere.
Quel benessere che, per me, non è solo pil., consumi, produttività, ricchezza, competitività, ma anche poter passare il tempo con la propria famiglia, i propri amici, coltivare i propri interessi ( lettura, pittura ecc.).
Questo è quello che chiedo ad un paese civile.
Chiudo il mio intervento invitandola a fare più attenzione nel trattare argomenti delicati come questi.
Grazie.

Gabriele C.

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Caro Gabriele,

la mia ‘’superficialità sconvolgente’’ ha qualche valida attenuante: è la proiezione della brevità imposta dalla moderna grafica. Noi giornalisti dobbiamo essere concisi, servire ai lettori i concetti in pillole e posso dunque capire che qualcuno di loro scambi la concisione per superficialità. D’altra parte non abbiamo scelta.
Nell’epoca della tv satellitare, di Internet, dei Dvd e di dozzine di altri mezzi di comunicazione la stampa scritta se vuole conservare i lettori deve essere breve, schematica, semplice.
Ovvio che il tema dell’orario di lavoro avrebbe meritato una ben più ampia trattazione. Ma avevo a disposizione quindici righe. Se ne avessi avute di più avrei affrontato un aspetto collaterale e cioè quello dei bassi salari che contraddistinguono il mondo del lavoro italiano. Non per auspicarne un aumento a freddo, come spesso chiedono i sindacati, quanto piuttosto per ribadire un concetto che in Italia sembra così difficile da recepire. Questo: la ricchezza prima di ridistribuirla attraverso maggiori compensi, maggiori spese sociali, maggiori previdenze, maggiore sicurezza bisogna produrla. E per produrla bisogna lavorare.
Chi lavora di più determina ovviamente una maggiore produttività. E a sua volta una maggiore produttività significa più competitività, più vendite, più utili, più consumi, salari più alti e via di seguito nella spirale virtuosa dell’economia di mercato.
In Italia invece la spirale è viziosa. Non ci illuda la ripresina di cui parla il governo. L’Italia ha un sistema produttivo vecchio e poco competitivo. Gli stranieri non investono perché sanno che prima o poi si scontreranno con gli interventi del governo, con l’alta conflittualità sindacale e con un sistema che non premia qualità e merito, non incoraggia la competizione all’interno dell’azienda per cui chi meglio fa più guadagna, non combatte ma favorisce il livellamento delle retribuzioni.
In un’economia globale la mancanza di investimenti è penalizzante. E la poca ricchezza prodotta (guardi gli indici della crescita) comprimerà i salari verso il basso.
Lei mi dice che comunque anche potendo lavorare di più non lo farebbe perché intende dedicare molto tempo alla famiglia, agli svaghi, alla cultura, insomma al tempo libero. Ha tutta la mia comprensione e anche il mio rispetto. Si goda i frutti del lavoro, come è suo diritto. Ma si rassegni allora ad essere pagato come viene pagato.
Suppongo che a questo punto lei mi domanderebbe che fare per invertire il ciclo negativo. La risposta è quella che ho già dato: un patto sociale fra le parti, come appunto quello raggiunto di recente in Austria fra organizzazioni degli imprenditori e organizzazioni dei lavoratori, in un quadro legislativo che non leghi loro le mani. In Austria (che non è la Thailandia, voglio dire è proprio al di là delle Alpi, e che è una delle nazioni socialmente più avanzate d’Europa) chi vuole potrà lavorare sino a 60 ore settimanali. Potrà, non dovrà. Chi non sarà d’accordo andrà a passeggio nei boschi della Corinzia..
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La Repubblica non esiste?

Domenica 20 Maggio 2007

La Repubblica Italiana NON ESISTE legalmente, è un mero fatto senza
legalità, ed è un fatto certo non discutibile in base ai decreti
legge .
Il Decreto Luogotenenziale di indizione del Referendum per la forma
di stato prevedeva che si votasse in tutti i territori italiani.
Fra i vari collegi ve ne era uno per la terra di Dalmatia con Zara,
ma anche l’Istria era compresa fra le terre della Venetia.
Tuttavia, dato che i territori della Venetia erano occupati da
Alleati, Titini ecc , si fece un decreto in cui i collegi elettorali
vennero momentaneamente sospesi, MA CON LA CHIARA INDICAZIONE CHE
ESSI DOVEVANO VOTARE IN SEGUITO APPENA RISTABILITO L’ORDINE.
Fra i territori che non poterono votare contiamo Bolzano, Udine (con
Pordenone), la Venezia Giulia con l’Istria, Zara con la Dalmatia.
Ma dopo soli 9 mesi la neonata Repubblica Italiana cedette cedette
Istria e Dalmatia alla Jugoslavia, e non fece mai votare Bolzano,
Udine, Pordenone e Trieste. Era certo infatti che essi avrebbero
votato per la monarchia ribaltando il risultato.
In pratica, dato che MILIONI DI PERSONE AVENTI DIRITTO NON HANNO
POTUTO VOTARE, il referendum del 1946 non è valido per conoscere la
volontà del popolo, e quindi E’ NULLO giurdicamente.
Tutto ciò rivoluziona i rapporti giuridici fra l’attuale Stato e i
suoi cittadini.
Lo Stato ‘’Repubblica Italiana’’ non rappresenta i cittadini , specie
quelli di Istria e Dalmatia, ma in pratica tutta la Venetia .
La stessa Costituzione Italiana non vale .
Scriverò sulle conseguenze giuridiche di questo, ma per intanto e’
costituito nel Tribunale del Popolo Veneto la rappresentanza legale
del popolo della Venezia Giulia.
Loris Palmerini
Tribunale del Popolo Veneto

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E’ un punto di vista originale. Può essere fonte di discussione. Lo giro ai lettori di questa rubrica.

Blair, perchè la sinistra non lo ama

Lunedì 14 Maggio 2007

Gent.mo Dott. De Carlo,
Come mai in generale nella sinistra italiana il premier Tony Blair, che a mio parere a saputo guidare
bene il Regno Unito coniugando la giustizia sociale con il libero mercato, è stato quasi sempre osteggiato?
Ma cosa hanno da proporre di meglio gli pseudo intellettuali della sinistra italiana?
Inoltre in Italia i politici non si fanno mai da parte per limiti di età.
Lei cosa né pensa?
Distinti saluti,da sempre un suo assiduo lettore
Luciano Travaglia e-mail: mlqdxt@tin.it
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Caro Travaglia,
Blair è di sinistra come lo possiamo essere lei o io. Voglio dire che un laburista (socialista) che inizia la sua premiership con un pellegrinaggio ideologico da Margaret Thatcher, madre del moderno conservatorismo, marca una linea divisoria profonda con la sinistra tradizionale.
Di quella sinistra Blair ha sempre respinto le pregiudiziali ideologiche. E invece ha recepito i principi basilari del liberismo trasmessigli dalla Lady di ferro.
Risultato: la Gran Bretagna ha consolidato la rivoluzione economica impostata sulla competizione, sul merito, sul basso fiscalismo, in una parola sull’iniziativa privata. E mentre il resto dell’Europa intossicata dal vecchio socialismo languiva nella stagnazione, si accodava alla locomotiva americana e cresceva al ritmo del 4-5 per cento del pil all’anno.
Negli anni novanta ho partecipato ai convegni sulla cosiddetta terza via, una via che non sarebbe dovuta essere né capitalismo né collettivismo, ma a metà strada, una specie di socialismo democratico. I postcomunisti, rimasti orfani dell’Urss e non volendo ammettere che la sfida epocale era stata vinta dalla patria del capitalismo (gli Usa), ne parlavano come della nuova formula politica.
Ebbene in quei convegni (prima a Firenze e poi a Berlino) si delineavano due fronti contrapposti: da una parte Clinton e Blair e dall’altra Jospin, D’Alema e Schroeder. I primi due parlavano il linguaggio del mercato. Gli altri il vecchio linguaggio della piazza. Pragmatismo contro demagogia.
Eppure erano tutti di sinistra o considerati tali. Il che ci porta a una conclusione: la sinistra per avere successo deve rinnegare se stessa. Deve rubare la parte alla destra. Così hanno fatto in Spagna Felipe Gonzales e in Germania Helmut Schmidt.
Da noi questi personaggi non ci sono. Anzi al governo ci sono proprio coloro che sono stati sconfessati dalla storia. E che senza smentire se stessi non possono rendere omaggio a Blair e ai suoi successi.

Fare come l’Austria, lavorare di più

Lunedì 14 Maggio 2007

Caro De Carlo,
ma perché non facciamo come l’Austria? Ma perché non introduciamo anche noi la settimana lunga? Lo so, lo so. Parlare di settimana lunga, cioè di una settimana lavorativa di sei e non di cinque giorni nel Paese delle vacanze e degli scioperi è pura illusione. Ma i nostri governanti e sindacati debbono smettere di cacciare la testa sotto la sabbia italica e rifiutarsi di vedere cosa accade al di là delle Alpi.
In Austria, dico in Austria e non negli Stati Uniti (che in certi ambienti della sinistra è meglio nonosti citare), le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro hanno accettato una regolamentazione di orari che consente di lavorare – chi lo voglia fare, beninteso – sino a 60 ore la settimana. Non per un soprassalto di masochismo, ma perché lavorando di più aumenta la produttività. La quale a sua volta porta al contenimento dei costi di produzione e dunque a una maggiore competitività. Maggiore la competitività e maggiori le vendite. Maggiori le vendite e le esportazioni e maggiori l’occupazione e la ricchezza.
Elementare Watson! direbbe Sherlock Holmes. E invece nel Paese di baby pensionati e di pontisti un tale concetto appare di difficile comprensione. Ho calcolato che con appena cinque giorni di ferie, molti a fine aprile, sono stati in vacanza undici giorni. Mi chiedo quale sia stata la produttività in quello stesso periodo. Bassa suppongo.
Non le pare?
A.M., Rovigo

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Sì. Mi pare. Gli austriaci hanno capito che in un’economia globalizzata non si sopravvive se il prodotto non è competitivo. Per ottenerlo ci sono due strade: pagare poco il lavoro o lavorare di più. L’Italia ha scelto la prima: i lavoratori italiani sono fra i peggio pagati d’Europa. Dunque sono meno ricchi, consumano di meno, producono di meno nel solito circolo vizioso che porta a un impoverimento e non a un miglioramento delle condizioni di vita.
Nell’Austria felix imprenditori e sindacati si sono guardati attorno e hanno visto che negli Stati Uniti l’orario annuale di lavoro è di circa 2 mila ore, in Gran Bretagna di 1872, in Austria al di sotto delle media europea che è di 1630. E allora hanno reintrodotto, come lei dice, la settimana lunga su base volontaria. Quella corta appartiene a un’epoca irrimediabilmente tramontata.
In Italia si lavorano 1505 ore l’anno. In Francia ancora di meno 1390. Ecco perché Sarkozy ha fatto dell’aumento dell’orario di lavoro e della sua flessibilità uno dei punti della sua campagna elettorale. E ha vinto.

‘’Tesoretto'’: di chi il merito?

Lunedì 14 Maggio 2007

Gent.mo signor DE CARLO dott. Cesare.
Per un bel po’ di tempo ha tenuto banco nel mondo della politica e sui mass media, l’imprevisto gettito extra (e non extra gettito, come solitamente viene definito), prima per quantificarne l’ammontare e poi per cercare di definirne la destinazione.
Fino a qua tutto bene, dove sono cominciate le manfrine, è stato sul chi avesse il merito di tali maggiori entrate, più di qualcuno in maniera plateale, ha cercato di metterci il cappello sopra, con il solito seguito di cassa di risonanza dei mass media compiacenti.
La realtà come sempre è un’altra, trattandosi alla fin fine di nuove tasse, si fa presto a capire da dove arrivino: C’è una ripresa in corso, in campo economico, sia in Europa che nei paesi di maggiori possibilità finanziarie e quindi anche in Italia, con il doppio risultato (per il nostro paese) di stimolare i consumi interni e le esportazioni; il tutto ha determinato maggiori produzioni e quindi maggiori fatturati, che in parte si traducono in tasse (dirette ed indirette). Come si vede i meriti della politica, se ci sono, non sono facilmente attribuibili, quindi i mancanza di padri certi, gli aspiranti padri proliferano.
Quanto sopra rientra nella normale dialettica politica: a me i meriti, agli altri le eventuali manchevolezze, penso che nessuno ci faccia più caso. Sul piano lessicale, invece, qualcosa mi ha dato fastidio, ed è stato quando in maniera ammiccante, si è indicato la parte residua del gettito extra (il 25%), come il “Tesoretto”, ignorando volutamente che trattasi di proventi inaspettati, non attribuibili a serie azioni governative, ed in più usciti dalle tasche dei contribuenti, e non di risparmi di cassa dovuti ad azioni del governo e/o a comportamenti virtuosi delle varie amministrazioni pubbliche.
Anche per la distribuzione dei 2,5 miliardi di euro, siamo alla posa dei cappelli, infatti, vari ministri hanno indicato le possibili direttrici di spesa, ovviamente ognuno tirando l’acqua della propria ideologia. Se si facessero i conti delle varie indicazione date, non solo non basterebbe l’intero gettito extra, ma per accontentare tutti, servirebbe una nuova manovra fiscale correttiva.
Visto che anche in Europa si sono adeguati e lo chiamano Tesoretto anche loro, allora verrebbe da pensare che la cosa possa anche essere seria; vediamo quindi, in termini quantitativi di cosa si tratta: Quando, finita la prossima tornata elettorale amministrativa, il governo potrà “spartire” il Tesoretto, senza aver paura delle eventuali ripercussioni sul voto; con quanto ha a disposizione, sarà in grado di esaudire le aspettative di una sparuta minoranza di persone; infatti i 2,5 miliardi di Euro (che possono anche sembrare una bella cifra), rappresentano lo 0,17% del PIL nazionale, quindi poco più di un brodino da ammannire ai famelici (di giustizia socioeconomica) portatori delle più svariate istanze della società civile.
A ben guardare quindi, viene da pensare ad una ben riuscita operazione promozionale basata sul poco, fatta dal governo, dai partiti e dai mass media che lo sostengono.
Se riparametriamo infatti il Tesoretto su una famiglia tipo di quattro persone, con un reddito di circa 40.000 € annui, la disponibilità di spesa dello Stato è equivalente, ad una maggior disponibilità per quella famiglia, di € 68, quindi per ogni componente una gratifica annua, di una pizza e di un gelato, od altro di pari valore.
Proviamo a pensare quanto tempo e quante discussioni, verrebbero fatte in quella famiglia sul come spandere quei non previsti 68 €: se per la suddetta pizza e gelato, se per un libro (procapite), o per i biglietti di un concerto di musica classica in loggione, od altro? Penso molto poco vista l’irrisorietà del disponibile ….. e la sicura serietà della famiglia stessa.
Alla fine di tutto, mi sento di dire, con poca tema di smentita: QUANTO RUMORE PER (quasi) NULLA!
Ringraziando per la cortese attenzione, distintamente saluto.
Romolo Rubini
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Diceva Kennedy (più o meno): il successo ha molti padri, l’insuccesso è orfano. Ebbene nel caso del ‘’tesoretto’’ non sarebbe il caso di ringraziare o almeno di ricordare l’azione del precedente governo?