Archivio di Novembre 2007

Quando un caso diventa un’emergenza nazionale

Domenica 18 Novembre 2007

Egregio Sig. De Carlo,
…ecco alcune riflessioni sul brutto episodio del ragazzo ammazzato da un colpo di pistola in un autogrill ad Arezzo.
1) In un autogrill sull’autostrada scoppia un tafferugio fra tifosi, i soliti cretini. Dall’altra parte una pattuglia della Polstrada, che sta facendo controlli, nota la bagarre ed un agente spara due colpi in aria per far capire che lì attorno ci sono le Forze dell’Ordine-
2) L’agente è in servizio da dieci anni, esperto e riconosce di aver sparato senza aver mirato (TG). Il colpo potrebbe essere partito mentre alzava il braccio per sparare in aria, frazioni di secondo: possibile, ma spaventosa fatalità che il proiettile faccia quello che è successo,
3) Non so che tipo di arma avesse in mano, non il calibro, né la portata, ma è certo che il proiettile deve aver superato la distanza fra sé ed il guard-rail se l’agente era dentro l’autogrill (il TG non l’ha detto), ma certamente le due carreggiate con corsia d’emergenza (TG), l’intervallo fra loro, lo spazio fra il guard-rail e la vettura, avrebbe colpito il lunotto posteriore obliquamente, lo avrebbe forato, e colpito il ragazzo che era dal lato opposto del sedile (TG). Non vi è rimbalzato, se mai solo deviato..
4) Il questore di Arezzo ha dato in 24 ore tre versioni diverse del fatto di cui al mio messaggio precedente. Il che vuol dire che ha parlato a caso.

5) Hanno trovato il proiettile, e al TG1 il ministro Amato ha detto che il Viminale non ha celato nulla e che hanno detto quello che potevano. In “Pinocchio” di Collodi si legge: “Il medico che non sa che cosa dire, è bene che stia zitto!”

6) E siamo già al poliziotto che ha sparato ad altezza uomo, a braccia tese, il che vuol dire per uccidere: fra poco saremo all’omicidio volontario per futili motivi, come dire allo schifo: senza certezze sarebbe meglio tacere per evitare danni al prossimo e figurette da baraccone.
Distintamente,
Renzo Lucchesi

*** *** ***

Capita solo in Italia che un episodio doloroso ma dalla portata limitata determini un’emergenza nazionale. Bene avrebbe fatto il governo a tenersene fuori. Bene avrebbe fatto la Lega a non sospendere il Campionato di calcio. Bene avrebbe fatto il questore a tacere prima di conoscere i fatti.

Il poliziotto andava semplicemente sospeso con provvedimento disciplinare, in attesa che la magistratura nel massimo riserbo per non incendiare gli animi conducesse l’inchiesta. E invece è stato tutto un fuoco d’artificio di dichiarazioni, smentite e controsmentite. La polizia è stata messa subito sul banco degli imputati in un momento in cui andrebbe invece sostenuta e non mortificata, perchè la vera emergenza non è quella calcistica ma quella della pubblica sicurezza. Come dimostrano le statistiche della criminalità spesso impunita.

E pensare che l’Italia in rapporto alla popolazione ha il maggior numero di tutori dell’ordine, fra Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili Urbani, Guardie Forestali, per non parlare dei vigilantes privati.

Italiani schiavi del melodramma

Domenica 18 Novembre 2007

Anche se non si vive in Italia, è sufficiente dare uno sguardo ai suoi
quotidiani, oppure seguire i programmi radiofonici o televisivi che da lì ci
giungono, per rendersi conto della maniera patologica in cui nella penisola
trattano gli avvenimenti di politica, di cronaca nera, e tutto il resto.
I mass media, in Italia, svolgono la funzione che il bar e il salone del barbiere hanno
nelle discussioni: fungono da cassa di risonanza per concitate polemiche in cui
tutti vogliono aver ragione, e in cui nessuno ascolta gli altri.

Quasi tutto lo spazio disponibile, sulla pagina scritta e sulle onde, è
consacrato al tema del momento, il che permette di dare la stura al gusto
dell’esagerazione e dell’allarmismo ad oltranza degli italiani, giornalisti in
testa.
Tutti si agitano. Tutti si allarmano.Tutti catoneggiano. Tutti propongono una
soluzione al problema dell’ora. Ognuno, naturalmente, interpreta i fatti alla
luce della propria affiliazione partitica. È un po’ l’antica storia dei guelfi e
ghibellini…

I politici della Casta, sempre al centro di tutto, fanno anche gli attori in
certi strani programmi televisivi di cui gli italiani sono ghiottissimi. E cosa
fanno questi “attori”? Si esibiscono gargarizzandosi – more solito – con
discorsi polemici.

I fatti di cronaca suscitano, in Italia, un interesse che definire morboso forse
è dir poco. Nella penisola tutti i fatti di nera, se solo un po’ gravi,
assurgono istantaneamente ad avvenimenti nazionali. Annualmente si verifica il
giallo estivo che permette a colpevolisti e innocentisti di partecipare, anche
in vacanza, allo spettacolo “giustizia”. Quest’anno vi è stato l’omicidio di
Chiara Poggi, di cui è sospettato il fidanzato. Rientrati dalle vacanze, gli
italiani hanno avuto quest’anno il piacere di inorridire, di lamentarsi e di
allarmarsi per la studentessa inglese uccisa a Perugia. Come se non bastasse, i
mass media ritornano all’infinito sui delitti del passato. Inquirenti, giudizi,
poliziotti, esperti, giornalisti si mettono in mostra intorno ad un cadavere che
tornano periodicamente a riesumare sotto il flash dei fotografi. Il delitto di
Cogne è un esempio fra i tanti.

Ma non è solo la cronaca a stimolare le ugole. I fatti scatenanti l’orgia
parolaia sono i più disparati. L’importante per gli italiani è polemizzare.
Nella penisola si ha una nozione africana del tempo: nulla passa, tutto ritorna.
E così su tutti gli argomenti già affrontati, come in un bolero di Ravel, si
ritorna all’infinito.

In queste logomachie condotte con le chiappe incollate sulla sedia, ha facile
gioco il “voodoo” dei dietrologi. Gran cultori della furbizia, gli italiani non
accettano l’evidenza dei fatti, preferendo credere all’azione diabolica di
fantomatici registi che tirano i fili in questa commedia dell’arte dove tutti
gli italiani sono attori e spettatori, contemporaneamente.
Claudio Antonelli (Montréal)

*** *** ***

Come tutti sanno, l’Italia è il Paese che ha inventato il melodramma. E dunque esagerazioni emotive, enfasi a non finire, ampollosità verbale, entusiasmi eccelsi e disperazioni profonde.
Per gli stranieri questa mancanza di misura e di buon senso è stupefacente. E motivo di divertimento.

In una recente pubblicità televisiva sul network Abc (non ricordo a che proposito) si vede un calciatore in maglia azzurra rimanere sul terreno di gioco per un infortunio. La mamma urla angosciata ‘’tragedia’’. Il parroco accende candele propiziatorie. La gente prega nelle strade. Poi il calciatore si riprende e ritorna a giocare. E allora la mamma urla ‘’miracolo’’. Il parroco scioglie le campane. La gente applaude freneticamente. Insomma i soliti italiani!

Buon calcio e patriottismo

Domenica 18 Novembre 2007

Egr. dr. Cesare
le invio il racconto con le foto di una particolare
incontro di calcio da me organizzato. Sono la dottoressa Furlano, consigliere
comunale di Cosenza e presidente squadra di calcio dei consiglieri
comunali. Mi farebbe piacere che venisse pubblicato proprio perchè di
buon calcio ancora si può parlare.
Grazie

Mercoledì 14 novembre 2007 il Cosenza calcio arriva nella caserma “LUIGI SETTINO” per incontrare il 1° reggimento bersaglieri. Una amichevole organizzata con uno scopo importante, avvicinare realtà diverse per lavoro, con diverso colore di divisa ma con identici valori cioè la solidarietà, la pace, l’onore, il rispetto e l’orgoglio di essere definiti esseri umani sotto la stessa bandiera. Alle 14.30 il pulman del Cosenza, seguito dalle auto della dirigenza, arriva puntuale all’ingresso prinicipale e come accaduto già in penitenziario io – Carmensita Furlano – salgo per il saluto di buon auspicio per l’incontro a tutta la squadra. E ritrovo sempre – anche se per l’occasione in divisa sociale, tute e cravatte - quegli stessi occhi e sorrisi di un gruppo giovane e serio che ha voglia di vincere.

La prima presentazione al comandante Maurizio Angelo Scardino seguito dal personale di fiducia – mar. Tatoli, maresciallo Torre in veste di allenatore, maresciallo Montefusco - padre anche dell’arbitro Montefusco Anna - è quella del mister Toscano come ex bersagliere, poi seguono tutte le altre, il presidente Paletta, l’AD Chianello, il DG Mirabelli, il resp. Org. Spadafora ed il resto del team.

Dopo la calda accoglienza bersaglieresca, i rossoblù prima dell’incontro hanno ascoltato con grande interesse le spiegazioni fornite dai militari tra armi e cingolati, bersaglieri in mimetica, mitragliatori, parata di movimenti e la visita al cc dardo v 80, il carrarmato in dotazione all’esercito italiano presente unicamente nel 1° reggimento lo stesso visitato all’interno da Altomare che ha poi raccontato con stupore la sua prova ai colleghi, e come Vincenzo Cosa al mitragliatore di alta precisione. Si è proseguito con la visita al museo storico tra i ricordi di eroi e battaglie, divise e medaglie dando una occhiata a tutti i comandanti succedutesi iniziando dal generale Pallavicini che nel 29 agosto del 1862 con 3500 bersaglieri bloccava e feriva l’avanzata di Garibaldi nelle montagne dell’Aspromonte. Racconto che il comandante mi ha permesso di fare non come consigliere Furlano ma come studiosa, e ancora le varie missioni, Kossovo, Nasseria, Iraq, Afghanistan; e poi in visita della bandiera Italiana la più decorata dell’esercito italiano, ben 15 medaglie che ricordano la storia di vita del reggimento tra battaglie vittorie perdite, gioie e dolori, ma anche soddisfazioni; e proprio nella stanza del comandante dove è custodita la bandiera, lo stesso mi ha ceduto la parola e stavolta come organizzatrice dell’evento e come istituzione presente all’incontro.

È stato un momento particolare, erano tutti là, calciatori e dirigenti, bersaglieri e la terna arbitrale, giornalisti e quanti sono invitati. Non mi è stato difficile salutare la giornata e dire loro che questo incontro è stato voluto fortemente per motivi precisi, non una partitella qualunque, ma incontro tra due istituzioni che portano alto il nome della città. I bersaglieri non sono solo soldati, ma uomini e donne che lavorano si per lo stato ma anche per noi per i cittadini e che danno lustro alla città di cosenza. Il reggimento è una grande squadra capitanata da un comandante che è il primo ad uscire e l’ultimo a rientrare, e così deve essere anche la squadra del cosenza calcio che già in parte sta dimostrando di essere un corpo unico tra calciatori e dirigenti dove alla base di tutto c’è serietà e voglia di fare. “Oggi, voi ragazzi del cosenza calcio per l’occasione sarete accompagnati a cambiarvi nella prima compagnia che è la compagnia storica del reggimento, dove dalle immagini sui muri vi accorgerete di quanta vita è passata anche dolorosa, cose che si raccontano e altre che non si vorrebbero mai raccontare. Ma i bersaglieri sono là, pronti ad accorrerre in qualunque istante”.

Ho continuato ancora: “vi auguro ragazzi di poter cantare un giorno in un terreno di gioco particolare l’inno di Mameli, ma riuscendo a capire cosa significa specialmente quando si pronunciano le ultime parole “siam pronti alla morte l’Italia chiamò”, ebbene i bersaglieri perdono davvero in alcuni casi la vita per quella bandiera che state ammirando, voi dovete perderla in forza e fatica sul terreno di gioco. E allora comandante mi permetto di chiederle di fare oggi un gemellaggio, di suggellare questo incontro in modo tutto particolare. Il motto del 1° reggimento è ictu impetuque primus cioè primo nel colpire e nell’assalire, perché si da prima il colpo per stordire e poi si assale per vincere. Ebbene che questo motto - se lei dice si comandante - possa diventare anche il motto del cosenza calcio sul terreno di gioco. E infine un augurio al 1° reggimento che possa sempre portare avanti il lavoro svolto sino ad oggi e al cosenza calcio di continuare a vincere, e ad entranbe queste squadre speciali di tenere alto il nome della città di Cosenza”.

E così è stato e per suggellare questo momento c’è stato lo scambio di doni in targhe e crest tra il comandante Scardino ed il presidente Paletta e l’ad Chianello, mentre al dg Mirabelli proprio in merito del gemellaggio è stata donata la giacca a vento con il motto del reggimento ed il numero uno che lo distingue. Quindi tutti in partita dove il tifo da vero stadio è stato tenuto alto dai bersaglieri presenti intorno al campo, bersaglieri combattivi come sempre e in divisa amaranto, colore dei bersaglieri, il comandante Scardino ha capitanato la squadra, foto di rito e via al fischio d’inizio.

Due tempi, uno da trenta e uno da venti. Il Cosenzacalcio vince per 4 a zero con i gol di Petrucci, Danti, Nicoletti, Fabio. Non è mancata grande giocata dei bersaglieri con un tiro da fuori aria quasi nella porta del portiere Cosenza. E poi bel gioco da parte di Chianello, e Ciccio De Rose. Ma l’intero incontro è stato un bel vedere nonostante fosse una piccola ma grande amichevole per contenuto e contesto. Alla fine dell’incontro il comandante Scardino salutando i dirigenti li ha ringraziati per la presenza esclamando: “è davvero la squadra che merita di essere, prima in classifica”. La società rossoblù ha regalato divise da gioco alla squadra del 1° reggimento e al comandante. A fine partita tutti insieme per gustare la buona crostata preparata appositamente da un militare addetto, e tutta per l’occasione.

Cosa rimane della giornata?
Il respirare vero sport, respirare il buon calcio giocato con cuore intelligenza e gambe, un incontro istituzionale tra uomini fieri e orgogliosi di rappresentare una città che merita di sedere sullo sgabello più alto. Una squadra di calcio che è andata via con il motto del reggimento in cuore e nella mente da applicare da questa domenica in poi in tutti gli incontri, ed un reggimento, il primo che ha aperto le porte non solo alla squadra della città ma all’intera città di Cosenza che ancora non conosce la grande ricchezza che esso è.
Il mio grazie alla società del Cosenza-calcio che ha compreso l’importanza di questo incontro con la classe e la serietà che la distingue e al 1° reggimento nella persona del suo comandante che ogni giorno ci insegna cosa significa soprattutto essere persona ed essere veri.
Questa squadra di calcio e questa dirigenza meritava di diventare parte di questo reggimento : il Primo.

Troppo aperte le frontiere italiane

Martedì 13 Novembre 2007

Gent.mo signor DE CARLO dott. Cesare.
Come sempre quando ci si fa prendere dall’emotività, il raziocinio perde colpi: si parla di massimi sistemi e si tralascia di porre attenzione alle cose semplici.
Il trattato di Schengen, nell’aprire le frontiere ai cittadini dei nuovi paesi sottoscrittori, contiene una clausola che prevede la possibilità di dilazionare fino a due anni l’ingresso libero, senza alcuna formalità, in pratica l’effettiva abolizione delle frontiere stesse, può essere spostata di due anni. Clausola della quale alcuni importanti Paesi (se ricordo bene Francia, Germania, Spagna) ed altri, si sono avvalsi.

La cosa semplice è quindi una domanda molto chiara al Governo sul perché, anche l’Italia non si sia avvalsa di tale possibilità, soprattutto dopo essersi informati su chi degli altri paesi comunitari l’avesse utilizzata.
E’ evidente che si doveva mettere nel conto, che più Paesi mantenevano chiuse le frontiere, più migranti sarebbero arrivati in quelli che toglievano da subito ogni controllo.

Quello che mi meraviglia è che nel profluvio di parole (anche in libertà), dette e scritte a destra ed a sinistra, nessuno abbia posto in maniera decisa, tale domanda, per avere in risposta una esauriente spiegazione nel merito.
Una domanda però sarebbe giusto farla anche alla Comunità Europea, che ci dovrebbe spiegare perché i cinque Paesi promotori del trattato di Schengen (1985), abbiano impiegato dieci anni prima di farlo entrare in vigore (1995), l’Italia ne abbia impiegati sette di anni (1990 – 1997) e che il tempo medio tra adesione ed entrata in vigore, per 25 paesi aderenti sul totale di 28, sia stato di cinque anni, perché per gli ultimi tre, mentre Cipro è in lista di attesa dal 2004, Bulgaria e Romania, che hanno il serbatoio di migranti più grande dell’Europa Unita, abbiano avuto la liberalizzazione delle frontiere, l’anno stesso dell’adesione!

Un’ultima considerazione al riguardo: visto l’enorme volume di migranti od aspiranti migranti comunitari, cosa si aspetta a rivedere il programma di flussi dai Paesi extracomunitari?
Non farlo comporta il rischio che la precarietà e la disoccupazione dei migranti, anche se in regola con “le carte”, diventi un ulteriore grosso problema, che andrebbe ad aggiungersi a quelli, già tanti, determinati dall’attuale, già notevole, flusso migratorio in entrata.
Ringraziando per la cortese attenzione, distintamente saluto

Romolo Rubini

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Le sue logiche considerazioni sono improponibili a un governo e a una maggioranza che hanno fatto dell’illogicità il parametro delle proprie azioni.
Prenda, tanto per fare un esempio, il pacchetto sicurezza! Da ora in poi le espulsioni saranno più difficili e non più facili.
Prenda lo zelo degli amministratori rossi ad aprire sempre nuove moschee nelle nostre città.

La libertà di culto fa certo parte dei valori di uno Stato democratico, ma solo se non crea problemi alla convivenza civile, non conduce alla sopraffazione da parte dei nuovi arrivati e gode della reciprocità nel mondo islamico.

Ma lei immagina la costruzione di una chiesa cristiana in Arabia Saudita o Egitto o Pakistan o altrove?

Energia nucleare. L’Italia ha perso il treno

Martedì 13 Novembre 2007

Caro Dott. De Carlo,
L’altro giorno mi è capitato di leggere un’intervista a Michel Rocard. Suppongo che lei ricordi chi fosse. Era primo ministro francese alla fine degli anni Ottanta. E, mentre in Italia i verdi e i rossi promuovevano il referendum che avrebbe abolito le (poche) centrali nucleari in servizio, lui si dava da fare per costruirne di nuove in Francia. Con il risultato che ora la Francia è di fatto autosufficiente in fatto di energia e anzi la vende – a caro prezzo s’intende – ai Paesi vicini, Italia in testa.
Ebbene, Rocard, un socialista, ha usato parole di fuoco contro i compagni di fede (si fa per dire) italiani. La sinistra di casa nostra è stata accusata di avere fatto ‘’una scelta tremendamente sbagliata…’’ L’Italia ‘’allora non è stata seria…La questione non andava affrontata in modo emotivo come avete fatto all’indomani di Chenobyl. Nella centrale ucraina i controlli erano pessimi. I sovietici pagavano per la sicurezza meno della metà di quanto spendevamo noi francesi. Noi abbiamo 59 centrali nucleari e non c’è mai stato un solo vero incidente. Per forza! Per garantire la sicurezza abbiamo speso un mucchio di soldi’’.
Ma anche sul piano ecologico la via francese all’energia è più sana di quella italiana, rimasta al petrolio e al carbone che sono molto più inquinanti. Come nota Rocard, ‘’l’energia nucleare produce solo vapore d’acqua e non provoca dunque alcun danno ecologico’’. Quanto alle scorie, il problema è ‘’gestibile’’. La Francia insegna, ancora una volta.
E noi?
Marco Cabassi

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Noi siamo col sedere per terra, caro Cabassi. Verdi e rossi – come dice lei – hanno promosso quello sciagurato referendum, esattamente vent’anni fa, per due motivi. I verdi per paura. I rossi per ideologia. I primi guardavano al disastro ucraino. I secondi erano condizionati dal massimalismo antimercato che ancora oggi avvelena la sinistra radicale.

Risultato: siamo petrodipendenti come nessun altro in Europa. Siamo esposti al ricatto dei Paesi petroliferi. Siamo costretti a comprare altra energia carissima dalla Francia, senza nemmeno la consolazione di poter dire: pazienza per i costi, ma noi siamo al sicuro.
E infatti se per ipotesi una centrale nucleare dovesse scoppiare in Francia, le nubi radioattive investirebbero direttamente anche l’Italia, perchè i venti spirano da ovest a est e perchè ovviamente ad arrestarle non servono le frontiere tracciate sulla carta geografica.

Quel referendum ha inferto un colpo mortale allo sviluppo della tecnologia nucleare in Italia. A recuperare non basteranno altri vent’anni, ma intanto gli altri Paesi non staranno certo fermi. Per cui ben vengano le esortazioni, come quelle di Casini, in favore di un rilancio dell’energia nucleare anche in Italia. Ben vengano le benedizioni del Papa sul suo uso pacifico (anche in Iran se l’Iran si aprisse alle ispezioni internazionali).
Ma la mia impressione è che abbiamo perso il treno e che la crisi strutturale e la crisi di competività che attanagliano l’economia italiana non potranno che peggiorare ora che il barile di petrolio si avvicina di 100 dollari.