Chi ha il coraggio di toccare i fannulloni?

SARÀ STATA UNA RISPOSTA indiretta alla motivazione di Nicola Rossi, che nell’abbandonare i Ds parlava di una «immobilità sazia e disperata»? Certo è che la proposta del segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, di introdurre la mobilità nel settore pubblico ha suscitato un vespaio. Eppure si tratta di un’idea piccola piccola, talmente scontata che in Paese davvero ‘normale’ non si dovrebbe neanche discutere. Eppure da noi, viene definita addirittura «sconcertante». Ma di sconcertante c’è invece mantenere vita natural durante milioni di dipendenti pubblici che, soprattutto in alcuni ministeri ed in tutte le Regioni, rendono poco e costano molto. E che sono aumentati, in numero e in costi, da quando è in atto il processo di federalismo. Ma non si dovevano trasferire compiti e funzioni dal centro alla periferia per ridurre i costi e migliorare l’efficienza? Abbiamo invece duplicato funzioni, creato paralisi, ritardato soluzioni. E di questo nessuno oggi parla. Al di là del dibattito virtuale che appare sui giornali, animato dalla maggioranza parlamentare con il silenzio pressoché totale dell’opposizione, non esiste in realtà l’intenzione di fare davvero qualcosa, in quanto i protagonisti della contesta verbale da un lato rivolgono un occhio ai conti pubblici ma tutte e due ai consensi sindacali ed elettorali. Pertanto, non se ne farà nulla.

E DIRE CHE IL MONDO è cambiato profondamente negli ultimi anni e non può essere ancora interpretato con i codici dell’autunno caldo del 1969. Nella globalizzazione restare fermi significa accentuare il declino, che non è né di destra né di sinistra ma nazionale. Il ministro della funzione pubblica, Luigi Nicolais, parla di un paio di settimane per avviare entro la fine della legislatura una macchina pubblica «radicalmente cambiata». Che inguaribile ottimista. E dire che da decenni in Italia è più facile andare a cena con Carolina di Monaco che spostare un dipendente pubblico da una stanza all’altra. Adesso c’è anche il mobbing e pretori sempre equilibrati nel dare comunque torto ai datori di lavoro. Pietro Ichino ha ragione da vendere quando afferma che occorre «individuare i dipendenti pubblici totalmente improduttivi e di incominciare a tagliare lì, piuttosto che tagliare sugli investimenti o sui servizi pubblici che funzionano». Il problema però, secondo me, è rappresentato, non tanto da quelli che vengono definiti ‘fannulloni’, quanto da chi determina che questi lo siano. Cioè da parte di chi detta le regole: i politici. Per effettuare le riforme strutturali che tutti invocano ma nessuno ha il coraggio di fare, c’è bisogno di realismo e coraggio, doti poco praticate dai nostri ‘statisti’.

IN GRAN BRETAGNA, negli anni Ottanta, Margaret Thatcher avviò una profonda trasformazione della società inglese, i cui frutti si stanno dispiegando anche adesso, impegnandosi per cambiare sul serio ed in questo inevitabilmente dovette confrontarsi con i sindacati. Ve l’immaginate oggi Prodi o qualcun altro in Italia che incrocia le armi con le organizzazioni sindacali per invertire la rotta? Abbiamo finora assistito ad annunci, concertazioni, sistemazioni di ulteriori precari, aumento ulteriore della spesa pubblica improduttiva. Non c’è bisogno di interpretare pensosamente le Centurie di Nostradamus per prevedere quello che continuerà ad avvenire nei prossimi anni. Siamo davvero in buone mani.

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