La riforma che nessuno vuole

E’ INUTILE che parliamo dell’elefante. Per fare quadrare i conti dello Stato occorre ridurre subito la spesa pubblica. Che, nonostante gli annunci, allegramente galoppa, superando la metà del prodotto interno lordo, mentre, per esempio, in Spagna negli ultimi anni è scesa al 40.5%. Diciamola tutta: occorre avere il coraggio di intervenire in modo organico verso tutti i santuari delle rendite. Sindacati e pubblico impiego compresi. Non c’è dubbio che il ruolo svolto dai sindacati sia fondamentale, ma è proprio necessario che costi l’enormità di un miliardo di euro di trattenute sulle buste paga dei dipendenti? Può incidere benissimo di meno, facendo meritoriamente le stesse cose. Ed altri 116 milioni di euro costano i 3.007 sindacalisti distaccati dalla pubblica amministrazione e altre centinaia di milioni provengono direttamente o indirettamente dallo Stato. Non si potrebbe fare anche qua un ritocchino di qualche centinaio di milioni di euro e ridurre un pochino le tasse? Anche la spesa degli oltre tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici sta crescendo in modo sostenuto. E ancor di più quella degli oltre 165 mila dirigenti, che dal 2001 al 2005 è aumentata del 17,4%. Non facciamo antipolitica né siamo qualunquisti quando diciamo che sono troppi e molto spesso in gran parte fanno anche male. Basti pensare ai risultati dei manager delle aziende sanitarie che, nella prevalenza dei casi, invece di migliorare i servizi aumentano soltanto le spese. A chi fa comodo non evidenziare questi disastri? Inoltre, nei Palazzi che contano (Quirinale, Parlamento e dintorni) non si può continuare ad accettare che nella pubblica amministrazione i dipendenti, a parità di prestazioni lavorative, percepiscano un trattamento economico così diverso. Un classe politica responsabile penserebbe a riforme strutturali nella spesa pubblica, invece di dare spettacolo con intercettazioni telefoniche che confermano quello che ormai gli italiani stanno perfettamente capendo: che sono tutti una famiglia. E allora c’è bisogno di aprire le finestre e fare entrare aria nuova.

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3 Commenti a “La riforma che nessuno vuole”

  1. Alessandro Fini scrive:

    Buongiorno, Prof. Caligiuri,
    le ho già scritto un commento su di un altro articolo qualche tempo fa. Grazie della risposta.
    Volevo aggiungere alcune mie considerazioni:
    1) Sono un dipendente bancario, un quadro intermedio: anche nella mia azienda ci sono sprechi, ci sono privilegi e cose simili al pubblico impiego; ma esiste una grande differenza e cioè da una parte i dipendenti sono molto più controllati, devono portare risultati altrimenti niente premi, hanno anche un diverso senso di appartenenza all’Azienda. I Clienti, se non sono soddisfatti del servizio, possono tranquillamente andare in altro Istituto (noi invece non possiamo cambiare la P.A. con altra P.A…..)
    2) Lavoro nel centro della mia Città ed intorno ho numerosi uffici statali, regionali, provinciali e comunali: le posso assicurare che la maggior parte dei dipendenti di detti uffici sono sempre a zonzo, i loro pranzi durano ore, come le colazioni; addirittura adesso che le scuole sono terminate molti si portano i figli in ufficio….. Da anni sento sempre parlare di “sistema incentivante” per i dipendenti pubblici ma come al solito non viene mai fatto niente (anche se per me basterebbe attuare la formula “se lavori resti al tuo posto, se non lavori te ne vai” come incentivo).
    Purtroppo i Sindacati tutelano maggiormente questa categoria e lasciano andare a fondo le altre: andate a vedere la busta paga di un metalmeccanico!
    Insomma è vero che nessuno vuole la riforma, anche perchè la riforma coinvolgerebbe oltre 3 milioni di persone e si sa che tre milioni di voti….. fanno la differenza!
    Cordiali saluti e continui così.

  2. Filippo Guastini scrive:

    Nessuno “di loro”, aggiungo io, con la “complicità” di tanti di noi,
    vuole riformare nulla.
    “Se vuoi domare un matto mettilo a mangiare al suo sacco” recita un antico proverbio.
    In questo caso “la casta” (politici, sindacalisti e “cortigiani” vari compresi) è riuscita (e sta, ahinoi, sempre più perfezionando modo e metodo…) a “battere in testa” come un vecchio motore facendo, però, respirare a noi l’insana risulta.
    I “conducenti”, assolutamente “deresponsabilizzati a norma di Legge”,
    quasi sempre facoltosi grazie ai lauti stipendi da NOI pagati, non hanno sicuramente problemi economici per “fare e rifare il pieno” (pratica alla quale sembra proprio che non perdano mai l’abitudine….).
    Lavoriamo per lo Stato 8 mesi su 12 e, se continua così, ne lavoreremo sempre di più. Per loro, invece, è esattamente il contrario. E sarà sempre meglio (sempre per loro ovviamente…). È vero, Mario, quanto tu sostieni con la tua consueta ed efficace sintesi ma, purtroppo, nulla si muove e, per giunta chi, come me, quotidianamente, subisce l’incapacità e disonestà intellettuale (e talvolta oggettiva come dimostrano le cronache del dopo “tangentopoli” e di questi giorni) vede preclusa la possibilità di contribuire a porre rimedio a questa situazione.
    Sia chiaro. Non mi sto candidando proprio a nulla e sto troppo bene a fare il rompiscatole e a dire ciò che penso ma di una cosa sono certo: uno dei tanti giovani che sono costretti a emigrare all’estero per vedere riconosciuti i loro meriti in funzione meritocratica e non nepotistica o clientelare, sicuramente, non esiterebbe ad almeno copiare altri modelli amministrativi come quelli a cui tu ti riferisci per, almeno, non far ulteriormente peggiorare le cose.
    Questi giovani vedono sistematicamente preclusa la loro possibilità di agire e interagire nelle sedi istituzionali perché la “corazzata Potionky” del sistema partitocratrico, indipendentemente dal “colore”, impedisce a chi non è “normalizzato” l’accesso a qualsiasi
    “stanza dei bottoni”.
    Chi non soggiace agli “ordini di scuderia” anziché, come sarebbe normale, agli obblighi elettivi viene emarginato (quando non gli capita di peggio…..).
    Anche il poter scrivere liberamente in questo blog ha un “sapore amaro”. È sì un’espressione di democrazia e libertà della quale sono profondamente grato al giornale, a te Mario e soprattutto ai padri di queste libertà che mai e poi mai avrebbero pensato di veder così calpestate le loro lotte e le loro sofferenze!
    Questo mio sfogo, caro Mario e cari lettori, è anche dettato dal fatto che ho una figlia che proprio in questi giorni sta sostenendo l’esame di maturità e che si vedrà costretta, per lavorare, a subire l’umiliazione d’elemosinare un diritto costituzionalmente sancito, o a emigrare magari verso dittature esplicite (vedi Cina) dove, almeno, quando t’arriva una bastonata, girandoti, vedi UN volto e non diverse migliaia di volti indifferenti associati ad “un rotear di dito”.
    Guastini Filippo
    f.guastini@tin.it

  3. Silvano scrive:

    Certe riforme, la storia insegna, prima o poi avvengono.
    Ogni corda ha il suo punto di rottura.
    La sola filosofia delle belle parole ormai è diventata incredibile ai più.
    Quanto ai sindacati: Molti privilegi a loro e poco ai lavoratori.
    Credono ancora che più i lavoratori stanno male più i sindacati e la sinistra prosperano in quanto si propongono (solo a parole) a tutela degli ultimi.
    La cecità “mentale” porta ad improvvise cadute.

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