Ma dov’erano i predicatori?

NON SO SE oggi stiamo vivendo lo stesso clima che preparava il 1992. Ma quanto ha sostenuto ieri Massimo D’Alema deve fare seriamente riflettere. Con il crollo della prima Repubblica alla quale è succeduta una presunta seconda Repubblica che non ha risolto i problemi della prima, trovo infatti alcune somiglianze e alcune differenze. Le somiglianze sono rappresentate dall’indignazione crescente dei cittadini che scrivono lettere ai giornali, che animano i blog e che raccolgono firme per referendum. E sono molti di più di quanti si possa lontanamente immaginare. La differenza è che, in questo caso, nessun magistrato ha la possibilità di intervenire sui costi inauditi della politica, in quanto previsti da leggi dello Stato.
Che questi poi siano immorali e ingiustificati è un altro fatto. Secondo me, è proprio questo il problema: cosa fare per incidere concretamente, altrimenti si corre il rischio di banalizzare la questione, cosiché, dopo l’ondata di sdegno, tutto ritorni come prima: calciopoli, vallettopoli e la stessa tangentopoli forse non dimostrano in parte questo?
Adesso però il caso è troppo più serio perché riguarda direttamente la selezione della classe politica, influenzata in modo decisivo — per non dire esclusivo — dai costi della politica. Infatti, il sistema da un lato produce una maggioranza di funzionari di partito alla Camera, al Senato e al Governo e dall’altro respinge senza appello migliaia di italiani perbene, colti, che hanno il senso del bene comune e che potrebbero fare cose utili per il Paese.
Il tema allora non è continuare ad aggiungere ulteriori sprechi, assurdità e inefficienze all’interminabile lista. Sono più che sufficienti i dati già noti. occorre invece incidere rapidamente sulle cause. E non c’è dubbio che questo possa essere fatto, come abbiamo sempre sostenuto suq uesto giornale, solo con una pressione dall’esterno, per obbligare il sistema a riformarsi poiché dall’interno non c’è realisticamente alcuna possibilità. Infatti la storia ci insegna che le burocrazie non si autoriformano mai da sole. Ma dov’erano quei politici di primo piano che oggi rilasciano dichiarazioni mentre il costo della politica cresceva a dismisura? E possono risolverlo gli stessi che hanno determinato il problema? E’ giunto allora il momento di aprire nel paese una grande mobilitazione per ricercare una via d’uscita che dall’interno delle ‘‘segrete stanze’’ della politica non verrà mai. Prima che il declino sia senza ritorno.

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3 Commenti a “Ma dov’erano i predicatori?”

  1. Andreas scrive:

    A dire il vero, sono molto scettico riguardo le possibilità di forzare un cambiamento del sistema attraverso una pressione dall’esterno, laddove per “esterno” si intenda l’ambito pre-politico o non-politico.
    Abbiamo la cosiddetta “piazza”, spesso contrapposta al “palazzo”; la quale piazza però, non può che essere organizzata e mobilitata da altri poteri, laterali a quello più immediatamente politico: giornali, media in genere, sindacati, organizzazioni di consumatori, associazionismo il più vario. Tutti attori sociali ed economici che hanno profondamente a che fare con il politico. Non esiste in Italia angolo della cosiddetta “società civile” che non appartenga ad un area politica, o non sia addirittura diretta espressione di questo o quell’esponente politico, tanto a livello nazionale quanto a livello locale. Quanto ai media, sappiamo come stanno le cose: dipendono tutti da editori che rappresentano il capitalismo italiano, la volpe, che vive appoggiandosi alla politica, il gatto.

    La campagna sui costi della politica che è stata intrapresa dalla grande stampa rappresenta un tentativo di gettare fumo negli occhi per delegittimare questo ceto politico, che ha governato negli ultimi quindici anni, allo scopo di aprire la strada al nuovo che arriverà dopo Prodi, ma che necessariamente non rappesenterà un cambiamento del blocco di potere.

    L’insistenza nei confronti dei costi della politica e della burocrazia statale da parte del Corriere della Sera, di Repubblica, del Sole 24 Ore, ha in sé l’intento di gettare i politici e lo Stato “ufficiale” in pasto all’opinione pubblica, salvaguardando le altre caste: dalla grande finanza agli ordini professionali, passando dalla magistratura, fino alla funzione di nume tutelare dell’identità nazionale assegnato alla Chiesa.
    Come quindici anni fa, la delegittimazione della politica potrà portare solo all’assegnazione di maggior credito ad altri poteri.
    Poi, passati Prodi e Berlusconi, arriverà l’immaginifico Veltroni a rappresentare il “nuovo”, ma nel frattempo le cose si saranno già sistemate, con il riassestamento del sistema economico-finanziario, che si serve della politica, o meglio, della sua inconsistenza, per evolversi.
    Volendo forzare la situazione in termini marxiani, la sovrastruttura potrà anche cambiare, ma la struttura rimarrà la stessa.

    Avrà forse luogo un ricambio a livello parlamentare, ma caste e tribù resteranno. Il Mezzogiorno non diventerà la Florida d’Europa, ma rimarrà in mano ad un sistema mafioso e criminogeno; il centro non si risveglierà dal torpore in cui è caduto da tempo, liberandosi dalle strutture politico-clientelari della sinistra che lo governano. I ceti produttivi del nord non troveranno le risposte alla necessità di far camminiare l’economia, ma rimarranno prigionieri dei problemi della convivenza e della mancanza di infrastrutture, dell’assenza di una “cultura della crescita”, capace di accompagnare il benessere con un miglioramento della qualità della vita, delle città, di maggiori opportunità di sviluppo non solo ecomomico delle province. Colpa loro, in fondo, e della loro mentalità: dalle piccole e medie imprese della Pianura Padana sembra alzarsi forte la richiesta di un abbassamento delle tasse, più che quella di un incremento degli investimenti nella ricerca e di maggiore trasparenza nelle gare d’appalto.

    La questione dei costi della politica, quando sarà il momento, verrà messa a tacere con la chiusura di qualche giornaletto, qualche privilegio in meno, qualche decina di milioni di euro risparmiati, magari pure con qualche caprio espriatorio nella pubblica amministrazione. Ma il Corriere di Mieli, Stella e Ichino e la Repubblica di Mauro e Scalfari continueranno a prendere i corposi contributi pubblici di cui godono ora… scommettiamo?

    Il “distacco dei cittadini dalla politica” sarà colmato da oratori più abili di Prodi, più simpatici di D’Alema, meno arroganti di Berlusconi, meno intellettualoidi di Bertinotti. Sarà un semplice problema di marketing.
    E’ sempre andata così… perchè il trend dovrebbe cambiare ora? Dove sono i presupposti per cui il clima che si sta creando intorno al referendum elettorale di oggi non debba essere deluso come quello che ha accompagnato i referendum degli ultimi vent’anni?
    A ogni generazione le sue illusioni e le sue delusioni.

    Il cambiamento vero, nella misura in cui sarà possibile, verrà dall’esterno. La globalizzazione ci mette davanti al sempre valido “rinnovarsi o perire”, che Nenni riferiva al futuro della sua ideologia, ma che in realtà è valido in generale. Dovrà essere l’Unione Europea a lavorare per noi; nonostante ciò, non possiamo aspettarci troppo da un’istituzione, quella europea appunto, che sembra aver adottato dagli Stati che le danno vita soprattutto le peggiori abitudini, dall’eccesso di burocratizzazione all’”Europa dei banchieri”. Stati che invece hanno conservato per sé stessi, senza travasarne l’essenza nella struttura sovranazionale, la grande virtù che manca all’Italia: quel forte senso di responsabilità e quell’indiscutibile, rispettato, riconosciuto potere che legittima coloro che vengono investiti dal voto popolare.
    In Italia la politica è l’anticamera, la segretaria, dalla quale tutti devono obbligatoriamente passare, ma è, appunto, un’anticamera, non è l’ufficio, cioè il “capo”.
    Questione di cultura. La dialettica paese reale-paese legale è sempre stata utilizzata per interpretare e giustificare le specificità italiane di un ceto dirigente che si legittima da sé stesso; é incredibile constatare la capacità di cooptazione e di omologazione che i gruppi dirigenti hanno sempre avuto in questo paese, dalla metà dell’Ottocento in avanti. Ma il discorso ci porterebbe lontano….

  2. Filippo Guastini scrive:

    “Nessun magistrato ha la possibilità di intervenire sui costi inauditi della politica, in quanto previsti da leggi dello Stato”. Facciamo un “referendum on line” per richiedere al Presidente della Repubblica che invii alle Camere un disegno di Legge che preveda che la Corte dei conti possa intervenire.
    Che accadrà?
    Saluti a tutti

  3. ciccio scrive:

    Caro Andreas, la tua analisi è impeccabile… purtroppo. Però credo che bisognerebbe fare qualcosa per cambiare le cose. E’ vero quando dici che “la piazza è mobilitata dai poteri”. Su una cosa vorrei sapere cosa ne pensi; hai ragione ad affermare il cambiamento deve venire dall’esterno, ma sfruttando la rete (dove ci sono molti blog di protesta e denuncia) potremmo essere noi l’esterno. L’unione fa la forza, dobbiamo solo cercare di riunirci. Organizzare qualcosa di grande effetto, ovviamente rimanendo in tutti i limiti civili e legali, che rappresenti un inizio per il cambiamento di questo nostro paese. Ad esempio sarebbe stato bello avere un bello 0% di votanti alle ultime elezioni, con tanti pic-nic davanti ai vari municipi e palazzi della provincia. Se NESSUNO andasse a votare, capirebbero che è arrivato il momento di cambiare veramente!!!!!! Altro che indulto, pensassero a risolvere i problemi veri degli italiani.

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