Ma è dai prof che bisognerà ripartire

QUANTE RIFORME della scuola, tutte definite “rivoluzionarie”, abbiamo registrato negli ultimi anni? Almeno una a legislatura. E le cose sono andate sempre peggio. Un recente studio di Eurostat, l’istituto di statistica europeo, conferma cose che tutti sanno, ma sulle quali i nostri politici, come diceva Leo Longanesi, preferiscono “parlare dell’elefante”, cioè d’altro. Siamo un paese invecchiato: gli ultimi d’Europa con una popolazione al di sotto dei 15 anni. Su questa tendenza anche a livello scolastico, per non dire del versante previdenziale, nessuno si preoccupa ed uno degli ultimi provvedimenti del ministro Moratti fu quello di stabilizzare ulteriori precari. Poi la nostra percentuale dei diplomati si ferma al 73% a fronte del 90% dei paesi ex comunisti appena entrati nell’Unione. E se poi approfondissimo le medie abilità linguistiche, matematiche e cognitive di questi diplomati dovremmo preoccuparci ancora di più.

Infine, le competenze informatiche dei giovani italiani superano a fatica solo quelle dei bulgari, dei greci e dei maltesi. Lituani e lettoni neanche ci vedono. Certo sono sempre statistiche ma comunque indicative.

MARTEDI’ VERRANNO presentate le linee dell’ennesima riforma della scuola. Non bisogna ricorrere alla sibilla Cumana per comprendere che saranno prevedibilmente peggiorative. Non a caso, diceva un politico di altro livello: “In Italia è possibile fare meglio però è ancor più facile fare peggio”. Come sempre, a parole si ricomincia daccapo. Infatti, sarebbe educativo, per esempio, rileggere le dichiarazioni dei ministri e degli assessori regionali appena si insediano, che sono tra il comico e il penoso: è come se si partisse sistematicamente dall’anno zero. In questo caso specifico, riecheggiano i clichè vuoti di “autonomia scolastica” ed “alleanza educativa con i genitori”. Sostiene Mauro Ceruti, il padre della nuova riforma, che “oggi il 90% delle cose che un bambino sa, viene appresa fuori dalle aule”. E allora? E’ la dimostrazione evidente del fallimento dell’attuale sistema educativo. Le responsabilità sono chiare e sono di ordine politico. Da un lato l’inadeguatezza dei programmi e delle strutture e dall’altro le procedure di formazione e selezione degli insegnanti: troppi, mal pagati, demotivati e non verificati. Sui programmi ci si continua a sbizzarrire, mentre sugli insegnanti prudentemente si tace.

EPPURE è da loro che occorre partire. La riforma della scuola inizia con la riforma degli insegnanti. I sondaggi la sconsigliano e non porterà voti, ma è indispensabile per il Paese.

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2 Commenti a “Ma è dai prof che bisognerà ripartire”

  1. cerioni scrive:

    Con il suo articolo apparso su QN del 3 aprile, ha colto ancora una volta nel segno dei miei interessi.
    Il mio lavoro da 30 anni si svolge in un Istituto di Istruzione Superiore (una volta si chiamava Istituto Professionale) dove sono Assistente Tecnico (non sono quindi un insegnante bensì faccio parte di quel settore del personale scolastico indicato con la sigla ATA) nel laboratorio di chimica.
    La mia esperienza pluriennale è in una posizione professionale che sta esattamente a metà strada tra l’alunno e il docente, e poiché sono anche genitore ed ho partecipato attivamente all’interno degli Organi Collegiali della scuola ad ogni livello, credo di avere una visione abbastanza ampia per poter argomentare con la dovuta obiettività, senza generalizzare e soprattutto con la convinzione che esistono enormi potenzialità professionali e personali che purtroppo l’ambiente scolastico tende ad anestetizzare.
    Orbene, che la “resa” scolastica degli alunni diplomati sia, negli anni, un grafico calante è cosa arcinota tranne ai politici che si divertono a fare una riforma sull’altra, tant’è che ci si chiede: ma questi grandi riformatori, ci sono mai stati a scuola?
    D’altro canto gli insegnanti di oggi provengono dalla scuola di ieri e quelli di ieri da quella dell’altro ieri, ma se è vero che la scuola è sempre meno formativa, che tipo di preparazione ci si può aspettare dagli attuali proff? E da quelli di dopodomani?
    Peraltro chi stabilisce che un docente è in grado di fare il proprio lavoro da insegnante?
    Chi controlla l’operato di un docente al quale, oggi più che mai, viene chiesto molto di più che la stretta lezione?
    L’aver acquisito la laurea significa automaticamente avere la capacità di comunicare il proprio sapere?
    Siamo veramente sicuri che la funzione “educatrice” della scuola non dipende soprattutto dalla necessità di mantenere i posti di lavoro con la conseguente perdita della qualità dell’istruzione?
    Discorso a parte merita la questione “mal pagati” che Lei pone come peso sulla bassa redditività dei docenti.
    Le considerazioni che seguono tenteranno di dimostrare il contrario, e si riferiscono ad un insegnante “tipo” non in condizione di precariato e cioè:
    1.l’orario di lezione si svolge su 18 ore settimanali;
    2.l’ora di lezione, ormai da tanti anni, non è di 60 minuti ma di 50, per cui il tempo effettivo di lezione settimanale è di 15 ore;
    3.tra passaggi di aula, intervalli prolungati e perdite di tempo varie, la lezione si riduce almeno di altri 10 minuti;
    4.normalmente il suddetto orario viene svolto su cinque giorni perché è previsto il “giorno libero”;
    5.ammettiamo di aggiungere all’orario suddetto altre 5 ore date dai colloqui con le famiglie, le riunioni, i collegi, la correzione dei compiti e quant’altro;
    6.si giunge ad un totale di 20 ore settimanali per le quali il prof. all’inizio di carriera percepisce circa 1200 € mensili.
    Siamo veramente sicuri che sono pochi se:
    1.lo stipendio viene percepito per tredici mensilità e quindi anche per le vacanze natalizie, pasquali ed estive che sommate fanno circa quattro mesi di stipendio senza lavorare;
    2.qualsiasi benché minima attività in più che viene chiesta è profumatamente pagata oltre lo stipendio;
    3.contrariamente a tutto l’altro personale scolastico il docente può svolgere la libera professione;
    4.con la scuola dell’autonomia sono arrivati anche i “progetti” cioè tanti soldi da dividersi (meglio se tra pochi pretendenti) cosicché quelli che fino a ieri vagavano come anime perdute lungo i corridoi della scuola, oggi sono super attivi e corrono come pazzi e se si prova a chiedere il perché la risposta è: - c’ho da fa’ ‘l progetto!!!! Il tutto, chiaramente, rigorosamente durante l’orario di lezione.
    Ne risulta allora che mentre una volta si insegnava matematica, fisica, chimica, italiano, storia ecc. oggi si fanno i progetti che non c’entrano assolutamente né con i programmi da svolgere né con il mandato di “insegnate-educatore” che viene dato al prof il quale ora è più un calcolatore che insegnante.
    Allora sono in linea con Lei, ripartiamo da loro per riqualificare la scuola, affinché gli studenti diplomati non siano più contenitori pieni di niente. Si tolgano i progetti, si lavori 8 ore al giorno a scuola, cinque giorni a settimana, come fanno in fabbrica, per 11 mesi all’anno. Chi accetta queste condizioni saranno quei docenti che credono veramente nella loro missione, quelli che non considerano l’impegno scolastico come area di parcheggio tra un impegno personale l’altro, quelli che sono disposti a ripartire con il piede giusto per ottenere i buoni insegnanti per domani.
    La proposta, che danneggia anche me che l’ho fatta, non porterà voti al Partito del Buon Senso, “ma è indispensabile per il Paese”.
    lettera fimata

  2. paolo scrive:

    Ma come e’ possibile fare qualsiasi, anche la migliore riforma del mondo, se prima non si riformano gli insegnanti. Non per polemica ma mi pare che oggi buona parte del corpo insegnante italiano provenga da quella Universita’ che durante gli anni 60/70 “regalava” con il voto politico e gli esami di gruppo le Lauree agli amici politici. E non parliamo dei concorsi. Da scandalo. Mi date gentilmente una risposta. Grazie mille

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