Il referendum? No, grazie
Meglio la disobbedienza

IL REFERENDUM è completamente inutile. Per disegnare il nostro futuro non è tanto un problema di regole elettorali. In un contesto in cui prevalgono i partiti personali, se c’è chi decide che una velina o uno stretto congiunto deve sedere in Parlamento, ci entra con qualunque meccanismo: col maggioritario, col proporzionale, con le liste bloccate, con quelle sbloccate, e addirittura con il triplo salto carpiato con avvitamento a destra e con il triplo salto carpiato con avvitamento a sinistra. Ovvero in ogni caso. E’ un bel dire che si semplificano gli schieramenti: nella sostanza tutto è destinato a rimanere com’è. Infatti, basta riflettere su quanto è accaduto dal primo referendum elettorale in poi, quello del 1991. Si passò da quattro preferenze ad una. Successivamente, furono previsti i collegi maggioritari e con il proporzionale predeterminato, rafforzando il potere di partiti che stavano sparendo dal territorio. Infine, con forze politiche praticamente esistenti solo sui media e affidate alle strategie di marketing, c’è stata l’evoluzione della specie: proporzionale con le liste bloccate. Dobbiamo dire le cose come stanno: con qualunque legge, le liste saranno sempre loro a farle e quindi pochi intimi individueranno pochi intimi. E, ovviamente, con i criteri di sempre. Tutto questo provoca danni alla società. Non ci possiamo poi meravigliare che la classe politica sia incapace di risolvere i problemi del Paese: e come sarebbe possibile visto come viene sapientemente selezionata? Quello che oggi con urgenza occorre fare è aprire in Italia un grande dibattito al di fuori della politica militante che coinvolga quelle categorie costrette a pensare al futuro e che rischiano di essere travolte dalle mancate scelte. Bisogna promuovere presto una vasta mobilitazione civile per contrastare con i fatti un sistema politico immobile che assorbe solo risorse. Bisogna presto organizzare delle forme di disobbedienza civile per dire chiaramente che non tolleriamo più di essere governati da una ristretta elite che si è impossessata dei meccanismi elettorali e pretende di rappresentare le istituzioni democratiche con i risultati penosi che sono sotto gli occhi di tutti. Ghandi con la marcia del sale del 1930 e il boicottaggio contro gli abiti occidentali fece crollare in India il dominio coloniale inglese. Occorre dunque aggregare i cittadini comuni su una chiave, un simbolo, un’idea per scardinare un sistema politico irriformabile.

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6 Commenti a “Il referendum? No, grazie
Meglio la disobbedienza”

  1. Anna scrive:

    Carissimo Professore
    Ho letto con grande attenzione il Suo articolo pubblicato dal Quotidiano Nazionale e desidero esprimerLe la mia ammirazione per la straordinaria capacità che la contraddistingue di interpretare sapientemente il “sentire” dei cittadini italiani.
    Spero di aver, almeno in parte, “ispirato” questo Suo ultimo articolo, dal quale si rileva una grande lucidità nell’affrontare le questioni politiche più spinose e la capacità di parlare alla gente.
    Uomini come Lei, “mitico Professore”, hanno il “dovere” di “battersi” per i cittadini, di scendere “in campo”, di affrontare i “rischi” dell’agone politico, di provare a scardinare il “sistema” corrotto e fatiscente da tempo immemore.
    Sono certa che, nel prossimo fututo, il Suo impegno sarà determinante per avviare un nuovo corso nella politica italiana e confido nella sua determinazione a voler creare un “movimento politico nuovo” nel quale tutti i cittadini onesti si possano riconoscere.
    Con affetto e grande stima
    Anna

  2. Antonio scrive:

    Caro Mario,
    sono perfettamente d’accordo con quanto scritto sulla inutilità del referendum e sulle considerazioni relative all’immobilismo di una classe politica autoreferenziale e autoservente, distante, esclusiva ed escludente. Occorre un colpo di genio, una marcia del sale, ma chi e che osa è in grado di smantellare un potere politico consolidato da decenni? quando costoro mi permetteranno di decidere veramente da chi voglio essere rappresentato per costruire l’agognato futuro? disobbedisco a quelle leggi che governano la convivenza civile? o mi aggrego ad altre forze che a loro volta verranno fagocitate e soggiogate da quel potere indesiderato, lasciando tutto tale e quale, con una ulteriore mortificante delusione? forse allora meglio sarebbe cominciare proprio con il fare una seria legge elettorale che tolga di mezzo rappresentanze di se stessi e non degli interessi di tutti? Questa o quale, la via del sale? forse sono proprio i nostri dubbi che alimentano le loro certezze. Qullo che è certo, e in questo sono ancora daccordo con te, che dovremmo darci una mossa. un caro saluto. a presto
    Antonio

  3. dr. Iagher Francesco scrive:

    Egr. Mario Caligiuri,
    tra la scelta di un referendum e la disobbedienza oserei dire che il referendum è una strada percorribile anche se di dubbio risultato, la disobbedienza allo stato di fatto del popolo italico ho i miei fondati dubbi che ormai non hanno stimoli reattivi davanti l’arroganza di “ Politica SPA”.
    Portare avanti un progetto di disobbedienza civile nei confronti di chi : non eletto e né scelto per volontà popolare, per soli meriti di casta e di lobby ha ottenuto la sua poltrona e profumata prebenda.
    Leggere i vari progetti di riforma elettorale, oltre che far sorridere per i bizantismi, è uno sterile pannicello caldo a dare “ fumus” e lasciare il tutto più o meno nelle paritetiche condizioni.
    Ad oggi stiamo assistendo alla più alta espressione di arroganza del potere politico e non per ultimo un eclatante sistema “ d’inciucio” che nasconde lo scambio di piaceri.
    La stessa riforma a quel che ne ho letto non evidenzia la chiave di volta di avere un “Parlamento pulito”, inutile sottolineare quanti politici al momento attuale dovrebbero cambiare mestiere.
    In questa pletora di partiti e partitini diventa difficile capire le loro motivazioni politiche. L’unico dato di fatto certo, assoluto, incontrovertibile è avere lo scranno, stipendio, una lauta pensione con annesso vitalizio più gli altri benefit che gli competono di diritto.
    Lei cita un grande della storia del ‘900 che ha saputo, con la non violenza, far risorgere un paese come l’India vessata dal colonialismo inglese, trovare un Ghandi in Italia è impresa ardua ed impossibile.
    Un personaggio di tale peso e carisma forse in altri periodi storici, attualmente nell’apoteosi del qualunquismo userei la battuta di Sciascia : “ Ommeni, mezz’ommeni e quaquaraqua “ di quest’ultimi ne abbiamo un vasto campionario.
    La situazione che si sta deteriorando giorno dopo giorno nel rapporto del cittadino con le istituzioni, porterà solo un risultato che è quello del menefreghismo.
    Più che disobbedienza ci vorrebbe un forte movimento che prenda coscienza che l’Italia non può essere imbarbarita da questi rappresentanti di “Politica SPA “ .

  4. caterina scrive:

    egregio prof.caligiuri,
    leggo sempre i suoi articoli che condivido pienamente.ho letto i precedenti commenti a questo articolo che però non mi trovano d’accordo.
    E’ stata fatta una splendida politica di informazione soprattutto dal Resto del Carlino.
    La gente comune ha preso coscienza dei mali della politica. Non ci sono dubbi e non c’è menefreghismo, quello che manca a noi cittadini “non politicizzati” è sapere come muoversi poichè non possiamo contare su nessun partito che ci rappresenti.
    E’ questo l’unico grosso nodo.
    Confido prof.Caligiuri che saprà darci validi suggerimenti in proposito.

  5. Paola Navetta scrive:

    Evocare una rivolta ghandiana è sempre un’immagine suggestiva e utile, anche nella realtà nella quale siamo immersi. Di fatto, nelle società complesse la tecnologia ha sostituito l’agorà - quale luogo d’incontro di persone in carne ed ossa - con la ‘piazza’ virtuale: emails, forums, blogs, newsletters, newsgroup…Grazie ad Internet anche un piccolo numero di persone, ovvero un solo uomo, con idee attraenti in testa, può farsi conoscere, ottenere il consenso necessario ed ergersi a capofila del malcontento generale, potendo infine riuscire nell’impresa di rovesciare gli assetti di un regime corrotto, corruttore e corruttibile, ma rischiando di gettare, come usa dirsi, con l’acqua sporca anche il bambino.
    A mio parere (e, ahinoi, di pochi altri) in Italia un Ghandi esiste già e da molti lustri è sulla scena politica. Costui ha tentato a più riprese di incardinare nel nostro paese la rivoluzione liberale e ‘americana’. Lo ha fatto utilizzando lo strumento più democratico lasciatoci in eredità dai nostri padri costituenti: la seconda scheda elettorale, quella referendaria.
    Con i referendum degli anni ’70 sono stati resi fruibili dai cittadini italiani alcuni importanti diritti civili (divorzio, aborto…).
    Successivamente, anche sul versante istituzionale, gli elettori hanno potuto pronunciarsi contro il finanziamento pubblico ai partiti e vincere, con una standing ovation, il referendum che di fatto ha introdotto per la prima volta in Italia il sistema elettorale maggioritario a turno unico. Che sia stato poi stravolto in parlamento attraverso il ‘mattarellum’ (mantenimento di un buon 25% di proporzionale e invenzione dello “scorporo”, in base al quale i ‘trombati’ nei collegi uninominali poterono essere recuperati), il successo di quel referendum fu così inconfutabile che l’allora presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro disse alle camere di riscrivere la legge elettorale “sotto dettatura”, nel rispetto cioè dell’esito referendario.
    Ma l’esito non fu rispettato e, secondo me, da quel momento siamo caduti in depressione allontanandoci nuovamente dalla politica.
    Lasciamo stare poi, tra gli altri, il referendum, inutilmente vinto, sulla privatizzazione della rai. Nel ’99, sempre per iniziativa del nostro rivoluzionario ghandiano, un nuovo pacchetto di quesiti referendari fu posto all’attenzione di noi elettori. Erano in gioco temi ‘caldi’ quali la separazione delle carriere dei magistrati e, ancora una volta, il sistema elettorale maggioritario, cioè l’abolizione della quota proporzionale e dello ‘scorporo’. Stavamo rischiando di introdurre in Italia il bipartitismo all’anglosassone e, conseguentemente, l’elezione diretta del premier…mica cose da niente. Ebbene, questo pacchetto referendario non raggiunse il quorum (altra aberrazione solo italiana). Perché?
    Qualcuno, con grandi capacità comunicative e mediadiche, suggerì di disertare le urne in quanto, a suo dire, quelli erano “referendum comunisti”. Il popolo ubbidì.
    Non ho mai capito perché. Sono certa che l’ottimo Caligiuri conosce la risposta.
    A mio modesto avviso, oggi, noi (popolo italiano) non siamo diversi da quelli che eravamo qualche anno fa. E penso che un paese, che non fa massa critica sulle cose giuste da fare utilizzando gli strumenti democratici in essere, che non sa cogliere l’opportunità di cambiare le cose che è necessario cambiare, è un paese destinato alla deriva. Un paese senza cultura né memoria.
    Paola Navetta

  6. Filippo Guastini scrive:

    Caro Mario, come la penso in merito all’aspetto da Te trattato in quest’articolo è contenuto in alcuni dei miei precedenti commenti perciò non mi ripeto. Colgo però l’occasione per lanciare una provocazione che è, in sostanza, un auspicio e, forse, non così “sopra le righe”. Eccola. L’ONU persegue, con risoluzioni varie, tutti i Paesi che opprimono libertà e non applicano regole democratiche. Perchè escludere da questo tipo di sanzioni l’Italia? Non basta, come motivazione, il fatto che ogniuno di noi è, di fatto, costretto da un sistema sorretto da “incapaci capaci di tutto” (ricordi Leo Longanesi?) ad elemosinare, i nostri più elementari Diritti costituzionali? Signori dell’ONU, per cortesia, riflettete: forse una vostra iniziativa in questo senso ci auiterà a delegittimare una classe politica autoproclamata (proprio come nelle “migliori” dittature) che è al capolinea e non vuole “scendere”.
    Un caro saluto
    Filippo
    f.guastini@tin.it

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