I fragili progressi americani in Iraq

Di Lorenzo Bianchi

Dopo quattro anni e oltre tremila morti la strategia americana in Iraq ha virato di 180 gradi. Il fulcro non sono più gli sciiti, sempre più sospetti per i solidi e antichi legami con l’Iran dei loro capi politici, ma i sunniti, la comunità di Saddam Hussein che ha dominato il paese da quando fu fondato, nel 1920. Da marzo i generali hanno scoperto una antica tattica dell’impero britannico. Il controllo del territorio riesce molto meglio se è affidato a chi lo esercita da sempre, i capi tribali. Il primo marzo in un villaggio vicino a Fallujah, tradizionale roccaforte della resistenza assieme a Ramadi, l’esercito iracheno, la polizia e uomini del luogo in armi, hanno ingaggiato una battaglia di sei ore con i miliziani di “Al Qaeda”. Il bilancio finale dello scontro è stato particolarmente pesante per i guerriglieri che hanno lasciato 50 morti sul terreno. Altri ottanta sono stati catturati. Secondo Abdul Karim Khalaf, un portavoce del ministero degli interni, la lotta è cominciata perché i giovani del posto non volevano saperne di arruolarsi nelle file dei combattenti islamici. Il giorno dopo un boss di Ramadi, Abdul Sattar Buzaigh Al Rishawi, 35 anni, in una suite dell’hotel Mansour, vicinissimo alla fortificata “Zona Verde”, ha raccontato la lotta contro i fondamentalisti intrapresa da lui e dai capi di altre 25 tribù che hanno dato vita al “Consiglio per la salvezza dell’Anbar”, la provincia della sua città. Abdul Sattar ha una storia privata che lo spinge alla vendetta seguendo i canoni di una logica strettamente tribale. Sangue per sangue. “Al Qaeda” gli ha ucciso il padre nel 2004 solo perché si opponeva alla rigida regola islamica che i guerriglieri volevano imporre alla popolazione. Due suoi fratelli sono stati rapiti e non sono mai riapparsi. Il ras tribale e gli altri suoi colleghi hanno convinto seimila fedelissimi a entrare nei ranghi della polizia. A questa forza si è aggiunta una brigata di emergenza di 2500 guerrieri che risponde direttamente ad Attar. Secondo il capitano Travis L. Patriquin i combattenti delle tribù che indossano le mostrine delle forze dell’ordine sono la “prima larga forza di successo che abbiamo dall’inizio della guerra”. Naturalmente ci sono stati contraccolpi. Due calciatori sono stati uccisi a Ramadi da uomini mascherati davanti agli occhi dei loro compagni di squadra. La loro colpa? Avere avuto contatti con il “Consiglio per la salvezza dell’Iraq”. Poco dopo un camion - bomba carico di cloro è stato scagliato ad Abu Hissa, un villaggio a 5 chilometri da Falluja, contro l’abitazione dello sceicco Khamis Al Hasnawi, uno degli animatori del Consiglio. Ma la frattura si è estesa anche ai gruppi terroristici un tempo alleati di Al Qaeda. In aprile l’Esercito Islamico ha collocato su un sito internet frequentato dai “combattenti fondamentalisti” una lettera di nove facciate che invitava Osama Bin Laden a fermare le stragi perpetrate in suo nome. “Al Qaeda – spiega esterrefatto Abu Mohammad Al Salmani, un comandante del gruppo terroristico – in un solo mese ha ucciso più persone degli occupanti statunitensi in tre”. La tensione è dilagata anche nella provincia di Diyala. Sempre in aprile cento guerriglieri qaedisti sono stati catturati dall’ “Esercito dei Mujaheddin” a Buhriz e Tahrir. La rappresaglia successiva è costata la vita a un leader dell’ “Esercito Islamico” che viveva a Samarra. In maggio il generale statunitense James Conway ha denunciato un problema inusuale e imprevisto: “Le richieste di arruolamento nella polizia dell’ Al Anbar superano le nostre capacità di addestramento”. In giugno Ad Amiriya, una roccaforte sunnita di Bagdad, l’ ”Esercito Islamico” e i miliziani seguaci di Osama Bin Laden si sono sparati intensamente per due giorni. L’avversità dell’ “Esercito Islamico” per i fondamentalisti inquadrati nell’ “Organizzazione di Al Qaeda nella terra che sta fra i due fiumi” non è per nulla sorprendente. Nel gruppo armato sono confluiti ex militari, agenti dei servizi e funzionari che hanno lungamente servito il regime laico di Saddam Hussein. Alla fine del mese il tributo di sangue dei marines nella provincia di Al Anbar era crollato da una media di 30 a 3.
In agosto circa 500 uomini delle “Brigate rivoluzione del 1920 (ndr. la rivolta contro il dominio coloniale inglese)” hanno aiutato gli statunitensi nell’offensiva contro i guerriglieri di Al Qaeda a Baquba, la capitale provinciale di Diyala. Gli ex nemici si sono rivelati preziosi nell’individuare le mine stradali e nell’indicare gli arsenali segreti degli integralisti. Abu Lwat, capo di un drappello di 40 uomini, ha spiegato che la gente della zona era esasperata: “Abbiamo subito esecuzioni, decapitazioni dei leader locali, divieti di fumare, obbligo del velo per le donne, la cappa plumbea di un insieme di norme che qui ha ucciso la vita”.
La cartina di tornasole ancora una volta è Falluja, la città riottosa delle cento moschee che non è mai stata un’oasi di sicurezza neppure ai tempi di Saddam e che si è ribellata per prima agli americani. Ora i trecentomila abitanti possono uscire e rientrare nell’area urbana solo dopo essersi sottoposti al controllo delle impronte digitali e dell’iride. Dal 25 maggio è vietato muoversi all’interno dell’abitato con le auto. Gli attacchi alle forze della coalizione sono calati da 200 a 30 al mese. Gli autisti di bus per pendolari e i camionisti che trasportano generi alimentare sono dotati di badge speciali di riconoscimento. Nonostante tutte queste misure, la stabilizzazione della città è fragile. Il capo della polizia Faisal Ismail Hussein dice chiaro e tondo che il futuro sarà incerto senza i suoi “unici sostenitori”, i marines. Il colonnello Richard Simcock, comandante della “squadra di combattimento numero sei” dei fanti di Marina, riferisce un’opinione comune della gente: “Dicono che senza la nostra presenza il castello crollerà”.
Il generale David Petraeus, il numero uno dei militari statunitensi, ha cercato di esportare il modello anche nei quartieri sunniti di Bagdad. A Ghazaliya le strade vietate alla polizia, considerata il braccio delle rappresaglie sciite contro i sunniti, sono pattugliate dai 160 volontari iscritti nelle liste dei “Guardiani”. Sono dotati di semplici binocoli e vengono pagati dieci dollari al giorno dai militari statunitensi. Sottoponendosi alla pericolosa corvee i ragazzi del luogo sperano di conquistare un titolo preferenziale per essere assunti come poliziotti. Un contingente molto simile di sceriffi è stato schierato a Sadr Al Yousufia, nel famigerato “triangolo della morte”, visitato di recente da una delegazione del Congresso. Il deputato Brian Baird ha raccontato al ritorno un’incredibile emozione: “Mi hanno abbracciato sulla pubblica via uno sceicco sciita e un suo pari grado sunnita”.
Il caleidoscopio iracheno ha rivoluzionato di nuovo i suoi pezzetti di vetro. Il premier Nuri Al Maliki è in disgrazia. E’ stato abbandonato da diciassette ministri, non è riuscito a impedire che i deputati sunniti si ritirassero dal processo di riconciliazione nazionale e soprattutto non ha tagliato le unghie alle bande in armi della sua comunità religiosa. Due governatori del sud, Mohammed Alì Hassani, a capo della provincia di Muthanna, e Khalil Jalil Hamza, alla guida di quella di Qadisiah, sono stati uccisi. Entrambi erano esponenti del Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq (Sciri), il partito più importante degli sciiti ispirato dal Grande Ayatollah Alì Sistani. Allo Sciri si contrappone fieramente l’imam Muqtada Al Sadr. Avvertendo il peso del sospetto il giovane religioso legato agli ambienti più conservatori della teocrazia iraniana ha respinto le accuse e ha avuto la faccia tosta di denunciare “il complotto degli occupanti che non vogliono andarsene”.
Il problema di Petreus è il solito. Sul terreno ha ottenuto qualche risultato, ma è difficile dire quanto sia solido il suo “tactical momentum”, ossia vantaggio tattico. Di sicuro le sue forze dovranno essere ridotte. Il suo stesso vice, il generale Raymond Odierno, ammette che i 30 mila militari in più inviati per mettere sotto controllo Bagdad, dovranno essere ritirati entro aprile dell’anno prossimo. Per gli equilibri di carta velina dell’Iraq potrebbe essere troppo presto.

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