Miracolo a Gaza, Israele se ne accorgerà?

Di Lorenzo Bianchi
La guerra in Libano ha avuto un singolare effetto collaterale. Hamas, gli integralisti palestinesi che controllano il governo dei territori occupati, e il moderatissimo presidente Abu Mazen ora hanno riscoperto una singolare pulsione ad andare d’amore e d’accordo. Ieri hanno annunciato l’apertura di un negoziato per la costituzione di un governo di unità nazionale. Il cardine dell’intesa dovrebbe essere il “documento dei detenuti” siglato dai carcerati di tutte le fazioni armate con l’isolatissima eccezione della Jihad Islamica, il gruppuscolo fondamentalista troppo legato all’Iran e alla Siria per concedersi distrazioni pacifiste. Rivendicando la nascita di uno stato entro i confini del 1967 ( con Gerusalemme est capitale) al fianco di Israele il testo implicitamente rompe il tabù della dissoluzione dello stato ebraico contenuto nello statuto di Hamas.
E’ chiaro che a Gaza e dintorni serpeggia il timore di diventare il facile oggetto di una rivincita israeliana dopo la bastonata inferta dagli hezbollah all’esercito più forte del Medio Oriente sulle colline del Libano meridionale. Il premier Ismail Haniyeh, leader dell’ala politica di Hamas, ha confessato questa sua apprensione durante una riunione del gabinetto che presiede. L’altra paura è quella di essere dimenticati. I riflettori sono ormai puntati su un’altra guerra, quella fra l’Iran, e la sua appendice hezbollah, e Gerusalemme. Abu Mazen e Haniyeh sperano di rompere l’isolamento. E non nascondono la speranza che i buoni uffici dell’intelligence egiziana portino a uno scambio di prigionieri, primi fra tutti i ministri e i deputati fondamentalisti finiti nelle celle israeliane. Il capo di Hamas all’estero Khaled Meshaal, da anni ospite gradito della Siria, purtroppo tace. Fu lui a provocare la fragorosa rovina del primo negoziato per la liberazione di Shalit e le ire successive del presidente Mubarak. Se Israele fosse guidata dal leader politici lucidi, dovrebbe cogliere la palla al balzo. Ma non pare sia questa l’aria che tira nel partito di maggioranza Kadima. Una folta schiera di nemici del ritiro dalla Cisgiordania sta già gridando a gola spiegata che la bandiera del “ripiegamento unilaterale” deve essere ammainata.

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