La sfida, disarmare gli hezbollah

Di Lorenzo Bianchi
Il brivido dell’ultima ora è anche l’interrogativo che grava come una nuvola di piombo sul futuro del cessate il fuoco e del Libano. Gli hezbollah accetteranno di essere disarmati? E’ questo il motivo per il quale i due ministri del “Partito di Allah” hanno provocato il rinvio del consiglio dei ministri libanese che avrebbe dovuto votare la risoluzione dell’Onu numero 1701 che chiede la fine delle ostilità? Jamil Mrowa, editore e direttore del quotidiano in lingua inglese di Beirut “Daily Star”, colloca la resistenza dei miliziani al terzo posto nella graduatoria delle ragioni che hanno provocato la brusca frenata dell’esecutivo.
Quale è la prima Mrowa? “Due ore e mezzo prima della riunione il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni ha dichiarato, in una conferenza stampa, che la questione della sovranità sull’area delle fattorie Shaaba, rivendicata dal mio paese, non è compresa nella decisione 1701. Praticamente ha buttato l’argomento dalla finestra. Ora il governo vuole chiarire la questione con il Consiglio di sicurezza e con gli statunitensi…”.
Veniamo al secondo punto.
“E’ la proposta di schierare l’esercito al sud. E’ un dossier zeppo di dettagli tecnici. Restano da definire le unità interessate, gli armamenti dei quali saranno dotate, i tempi del dispiegamento delle forze e la logistica. I militari debbono precisare tutti i temi e debbono metterli a disposizione del governo”.
Siamo a quello che lei considera il terzo scoglio.
“Gli hezbollah hanno ripetuto il loro consueto quesito sul ruolo della forza internazionale e sul loro disarmo. Ma secondo me non è questo il tema centrale…”.
Lo pensa davvero?
“Siamo in un delicato gioco ad incastri. Non è possibile parlare della milizia, se prima non si sono verificati e certificati i due capitoli precedenti. Per riassumere. La restituzione di Shaaba deve essere nella risoluzione. Si debbono acquisire tutti i dettagli sui tempi e sulla composizione della nuova missione Unifil delle Nazioni Unite. Non si può saltare al terzo capitolo di un libro senza aver scritto i due che lo precedono”.
Come sta funzionando il cessate il fuoco? Tiene?
“Migliaia di sfollati si stanno precipitando verso i loro villaggi, le case dalle quali erano dovuti fuggire. E’ un’ondata di proporzioni bibliche. C’è da capirli. Da settimane aspettavano questo momento e ora si mettono a repentaglio. Corrono verso il pericolo. Non per i combattimenti al fronte, che, di fatto, sono congelati. Il rischio è il processo politico di queste ore. E’ intenso, ma ancora troppo indefinito “.
Che cosa succederà secondo lei nei prossimi giorni?
“In Israele c’è una forte pressione sul governo, si sono accese discussioni molto aspre fra i partiti, il rapporto con gli Stati Uniti è in tensione. E anche con la Francia non sono rose e fiori. Sul nostro versante si debbono prendere molte decisioni particolarmente delicate. La risoluzione numero 1701 è come l’indice di un libro che dovrà essere molto, molto voluminoso. Io temo che in cucina si agitino troppi cuochi”.
Pensa in particolare all’Iran? Domenica il ministro degli esteri Manusher Mottaki ha detto che la richiesta di disarmare il “Partito di Dio” è “illogica e di parte”.
“Non possiamo dimenticare anche il ruolo della Siria. C’è un gran bisogno di un miracolo. A volte però i miracoli si verificano”.
I mass media occidentali sono pieni di pareri di esperti che mettono in dubbio l’efficacia dell’esercito libanese. In teoria dovrebbe assumere il controllo di tutto il territorio del suo Paese.
“Dovrà combattere con il ‘Partito di Allah’ che ha rotto il naso all’esercito di Israele? Qualsiasi altro contingente, sia esso americano, francese o italiano, potrebbe rivelarsi altrettanto debole nello scontro con gli hezbollah. Sono molto forti. Ma, se avranno nella loro valigia la soluzione dei temi politici, le fattorie Shaaba, lo stop alle incursioni israeliane e lo scambio dei prigionieri, l’Unifil e i militari libanesi potranno andare anche a mani nude. Il tema sarà a quel punto come riassorbire i miliziani all’interno del nostro stato. La loro resistenza non avrà più ragione di esistere”.
(Ha collaborato Emanuela Ulivi)

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