Corsa all’oro nero nell’Iraq insanguinato

Di Lorenzo Bianchi
Nell’Iraq insanguinato è cominciata la corsa all’oro nero. Il disegno di legge che apre le porte agli investimenti stranieri nel settore sta per essere presentato al Parlamento. Il ministro competente, lo sciita Hussain Al Shahristani, ha comunicato che è pronto dopo mesi di gestazione oscura. Il consiglio dei ministri l’aveva approvato in febbraio. I quattro fondamentali allegati al testo principale sono ancora segreti. Quindici grandi compagnie internazionali, in sostanza tutti i maggiori gruppi petroliferi del mondo, sono state invitate a “perforazioni produttive” nei campi già noti del sud. Per le riserve dell’Ovest, i giacimenti tutti da scoprire vicino ai confini con la Giordania e l’Arabia Saudita, verrebbe adottata la formula Psa, Accordo di spartizione della produzione, suggerita nell’autunno del 2004 dallo “International tax and investment center”, un’influente lobby della quale fanno parte la Shell, la Total, la Bp, la Chevron, l’Eni e la Bechtel, il gigante statunitense delle costruzioni. I contratti di questo tipo affidano all’investitore straniero lo sfruttamento dei pozzi. Il governo del paese ospitante si limita a incassare una percentuale del greggio estratto. L’Itic ha sostenuto che in questo modo è possibile garantire almeno “qualche afflusso di reddito” all’Iraq mentre si avvia la produzione. I due miliardi e mezzo di dollari all’anno necessari per lo sfruttamento di 23 giacimenti classificati come “prioritari” potrebbero essere destinati ad altri capitoli del bilancio statale. Secondo le organizzazioni non governative “Platform” e “Un Ponte per”, scontando un prezzo medio di 40 dollari al barile, un Psa di trenta anni costerebbe a ogni cittadino iracheno una perdita compresa tra 2880 e 7400 dollari.
Il petrolio iracheno è nazionalizzato dal 1972. I sindacati dei lavoratori del settore si sono già schierati apertamente contro la rivoluzione suggerita dalle grandi compagnie appoggiate dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, i due paesi che schierano il maggior numero di soldati in Iraq. Il loro leader Hassan Juma’a Awad Al Assadi ha inventato un apologo tagliente: “Se ti fai ricostruire la casa non lasci il salotto all’architetto, la cucina al muratore… paghi per il lavoro e li rispedisci a casa”.
L’Arabia Saudita, il Kuwait e l’Iran non accettano la formula della compartecipazione alla produzione. La Russia di Eltsin, nei disperati anni novanta, si fece imporre tre contratti (poi contestati da Putin). Uno riguardava un campo al largo dell’isola di Sakhalin. Le trivelle avrebbero dovuto entrare in azione in un ambiente climatico rigido e caratterizzato da grandi incertezze sulle correnti. In altri accordi dello stesso genere, stipulati successivamente con la Shell, Mosca ha preteso il 51 per cento, una quota che permette almeno di decidere a quale ritmo debbano essere intaccate le risorse. Non a caso nel nuovo disegno di legge sullo sfruttamento dell’oro nero iracheno il termine Psa è sparito. Il testo prevede contratti di “Esplorazione e rischio”, parole fumose che non avrebbero cambiato la sostanza. I dettagli sono nei quattro allegati ancora coperti dal segreto. Le parti di pubblico dominio sembrano le meno significative. Una nuova compagnia nazionale, la holding Inoc, controllerà formalmente le esportazioni e la produzione. Le dispute fra le compagnie straniere e gli iracheni saranno risolte “con arbitrati o dalla competente autorità”. Toccherà a un nuovo “Consiglio federale per il petrolio e per il Gas” stabilire se i patti sono equi.
Nel nord praticamente autonomo dal 1991 i curdi mordono il freno. “Tutti i contratti che hanno stipulato sono del genere Psa”, spiega l’esperta di petrolio Margherita Paolini. Nel giugno del 2004 il governo regionale ha sottoscritto un accordo con la compagnia norvegese Dno. Nell’ottobre del 2005 lo stesso esecutivo ha firmato un memorandum di impegno con una joint venture fra la canadese Heritage Oil e la autoctona Eagle per i campi vicini a Taq Taq. L’ultimo è della settimana scorsa. La beneficiaria è la Dana Gas degli Emirati Arabi Uniti. L’Eni sembra più interessata al gas curdo che non al giacimento di Nassiriyah, oggetto di una intesa siglata nel 1997 con il governo di Saddam. La provincia che fu affidata agli italiani è sempre più feudo delle milizie sciite. L’amministratore delegato Paolo Scaroni ha annunciato l’inizio di test sismici nella regione autonoma curda e in altre zone pacificate. Alcuni studi vengono condotti assieme a “Gaz de France”.
L’attivismo del Governo regionale del Kurdistan irrita l’esecutivo centrale. Shahristani è sul piede di guerra. L’altolà è perentorio:“Fino all’entrata in vigore della nuova legge sugli idrocarburi, l’Iraq non accoglierà nessun contratto firmato al di fuori del quadro legislativo in vigore che assegna la ratifica al ministero iracheno del petrolio”. I curdi sospettano che gli allegati del progetto di legge contengano un rigido accentramento nella gestione delle risorse. “In questo caso – protestano – sarebbero in contrasto con la nostra costituzione federale”. Ashti Hawrami, ministro regionale curdo per le risorse naturali, sputa il rospo: “L’Iraq non ha risorse per gli investimenti che sono necessari per mettere a frutto i giacimenti”. Nel Paese lacerato dalle lotte fra sciiti e sunniti si rischia l’apertura di un terzo fronte.

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3 Commenti a “Corsa all’oro nero nell’Iraq insanguinato”

  1. paola gasparoli scrive:

    La notizia della presentazione della bozza di legge sugli idrocarburi è una delle più importranti e delle meno raccontate. E’ più facile raccontare l’autobomba quotidiana, più diffcile seguire i retroscena politici ed economici che si stanno sviluppando nel paese. Ringrazio quindi Lorenzo per l’ intelligenza con cui continua ad occuparsi dell’Iraq.
    La legge sta aumentando il contrasto tra i diversi gruppi politici del Paese, mentre i cittadini, che vivono nel terrore e in una crescente crisi umanitaria, hanno più volte espresso le loro priorità tra le quali non c’era ovviamente questa legge, che viene vista come un’esigenza ‘esterna’.

    Il petrolio rappresenta il il 95% delle entrate dell’erario iracheno ed è l’unica risorsa che può garantire la ricostruzione del paese annientato da guerre, embargo, occupazione e guerra civile.

  2. paola gasparoli scrive:

    In Iraq dall’inizio dell’occupazione soprattutto i sindacati del settore petrolifero del sud del Paese si stanno battendo perchè le risorse irachene rimangano controllate dagli iracheni. La paura dell’ingerenza delle compagnie petrolifere è drammaticamente confermata dalla bozza presentata al parlamento e in questi giorni assisteremo ad un ulteriore ‘mercanteggiamento’ per arrivare all’accordo sui 4 annessi mancanti che delinearanno i veri poteri e soprattutto chi avrà in mano la strategia per lo sviluppo futuro del settore e le tipologie di contratto. E’ importante tenere alta la questione e mobilitarci per appoggiare la società civile di quel paese che sta lottando per mantenere i controllo delle sue ricchezze. Anche noi possiamo fare la nostra parte, l’ENI è anche nostra (il ministero dell’ economia e della finanza detiene circa il 30% del pacchetto azionario) chiedendo al nostro governo un comportanmente morale. Chi firmerà contratti vantaggiosi lo potrà fare solo ed esclusivamente perchè il paese è stato occupato e perchè si trova in un momento di grave crisi politica, militare e umanitaria. Sarebbero contratti immorali, pagati da centinai di migliaia di civili uccisi. Sarebbe ‘farsesco’ inviare donazioni umanitarie da un lato e permettere il furto delle risorse irachene dall’altro.

    Se vuoi puoi firmare anche tu la lettera aperta scritta al nostro governo e all’ENI al sito www.unponteper.it/sositienici/eni.php

  3. 100 M.IL.IO.NI DI T.ONN.ELLATE scrive:

    KURDISTAN: SOLIDARIETA’ PER IL POPOLO CURDO

    Cosa pensi della situazione in Kurdistan?

    Il fatto che tu parli di Kurdistan e non di Turchia è interessante.

    In questo momento i curdi sono sotto attacco sia dall’Iraq che dalla Turchia. Tanto per cambiare, tra l’incudine e il martello. 100 mila soldati iracheni da una parte e 100 mila soldati turchi dall’altra che forse stanno già massacrando le popolazioni civili curde compiendo un massacro senza precedenti.

    Non si hanno informazioni precise, forse si contano già migliaia di vittime, forse decine di migliaia di vittime dopo pochi giorni dall’inizio degli scontri. I piani del Nuovo Ordine Mondiale prevedono l’eliminazione dei popoli tribali.

    Usano la tecnica di eliminare un popolo tribale per volta, cioè che con la propaganda si marchia di infamia un popolo che diventa “quel popolo di stronzi”, quel “covo di terroristi”.

    Gli altri popoli vengono tranquillizzati con la menzogna “voi non siete come loro, non preoccupatevi, non si tratta di pulizia etnica, ma di stronzi, una normale operazione di polizia contro alcuni terroristi”.

    In questo modo l’opinione pubblica non mette sul piatto l’attacco contemporaneo a mille popoli tribali, e non si formano coalizioni tra popoli tribali e nessuno interviene in solidarietà del popolo attaccato.

    Ma ricordatevi, quello che fanno agli altri alla prima occasione lo faranno anche a voi.

    Uno per volta hanno già eliminato per sempre oltre 200 etnie e ne hanno indebolite migliaia, come quelle italiane, tant’è che come sapete non si parla più il dialetto, e quasi neanche si parla più l’italiano.

    L’italiano è un passaggio verso la lingua ufficiale europea, dai dialetti, verso l’italiano, verso l’europeo.

    In questo momento la scusa dell’attacco al Kurdistan sono i giacimenti di petrolio, ma come sapete anche in Kurdistan 100 kg di foglie equivalgono a 50 kg di petrolio.

    Non serve distruggere tutto per mettere dei pozzi di petrolio, ma sfruttare razionalmente le coltivazioni razionali e le riserve estrattive di biomassa.

    Lo scopo quindi dell’aggressione ai curdi è di trarre piacere dalle sofferenze di questa povera gente, non c’è nessun interesse economico, nessun interesse energetico.

    Con la dinamite si può ottenere energia a prezzo mille volte inferiore del petrolio.

    Con i motori magnetici e il motore di Schietti si può ottenere energia senza consumare carburanti.

    Il petrolio non è il motivo, i soldi non sono il motivo dell’invasione del Kurdistan, perchè i padroni del mondo li stampano, il motivo sono il sadomasochismo e la selezione razziale.

    Poi però non chiedetemi niente sui particolari delle operazioni in Kurdistan perchè la propaganda distorce le informazioni, e anche fra i curdi molti, stupidamente, puntano al confronto armato basato sulla forza e non sull’intelligenza. Sicuramente ci saranno anche infiltrati.

    I curdi hanno già fatto vedere che sanno reagire e quindi se gli capiterà in mano una bomba atomica non vorrei essere nei paraggi di Ankara. Però se avete capito che lo scopo della guerra è anche quello di ridurre la popolazione, potrebbe essere un favore ai nemici dell’umanità.

    La vendetta è un piatto che va gustato freddo.

    100-milioni-di-tonnellate.blogspot.com/2007/12/solidarieta-per-il-popolo-curdo.html

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