Italiani più protetti, ma la Nato ha una strategia?

I 780 soldati italiani di Herat ora sono “tecnicamente”più sicuri. Cinque elicotteri di attacco Mangusta, otto cingolati Dardo e dieci Veicoli Tattici Multiruolo Leggeri “Lince” significano sicuramente più protezione negli spostamenti, maggiore controllo del territorio e anche una superiore capacità di deterrenza. E’ un passo in avanti, il minimo richiesto. Riconosciuta a Parisi la coerenza con le sue promesse di aiuto, resta il problema dei problemi. In Afghanistan la missione Isaf della Nato ha almeno due strategie, se non addirittura tre. Il blocco continentale, Germania, Francia, Italia e Spagna, continua a insistere sulla necessità di affiancare a una cornice generale di sicurezza gli strumenti della politica e del dialogo. Lo sbocco finale dovrebbe essere una conferenza internazionale di pace. Peccato che il nemico, ossia i talebani fedeli al mullah Omar, non abbiano la minima intenzione di sedersi a quel tavolo. Oltretutto la loro lotta non è quella dei classici movimenti di liberazione nazionale, ma si inserisce ampiamente nella Jihad globale, la guerra santa degli integralisti contro l’Occidente cristiano ed ebreo. L’alternativa è quella statunitense, la ricerca di una soluzione militare incarnata ora anche dal comandante dell’Isaf, il generale americano Dan McNeill, ribattezzato “the bomber” ovvero il “bombardiere”. Il nomignolo gli deriva dalla sua passione per il supporto aereo ravvicinato alle operazioni a terra, una modalità di intervento che mette in conto un alto numero di vittime civili. Su questo modo di procedere hanno dubbi consistenti perfino gli alleati più fedeli, gli inglesi. Gli ufficiali di Sua Maestà ritengono che sia più utile colpire solo i capi talebani per evitare i risentimenti della popolazione. L’uccisione del mullah Dadullah per mano dei commandos della Sas britannica sarebbe la prima, clamorosa, applicazione di questa strategia.
Purtroppo l’Afghanistan ha dimostrato ampiamente di essere refrattario a qualsiasi presenza straniera. L’opzione militare mostrerà la corda. E allora sarà il momento di fare fagotto, fingendo di avere vinto, e di ripercorrere la strada che ha già portato al successo contro i russi. La ricetta è quella di sempre: armare e finanziare gli amici e giocare sulla frammentazione tribale anche all’interno dell’etnia pashtun, il grembo materno dei talebani.

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1 Commento a “Italiani più protetti, ma la Nato ha una strategia?”

  1. Lorenzo Nannetti - Bologna scrive:

    Credo l’articolo manchi un punto fondamentale, che è la chiave di tutto e spiega anche il perché certe operazioni di peacekeeping/peaceenforcing vengano condotte in un certo modo e secondo certe modalità.
    Le truppe ISAF, e con loro le truppe dell’Operazione Enduring Freedom, partecipano alla medesima missione di “pacificazione” dell’Afghanistan. I nomi diversi delle operazione non ingannino, essi sono più ad uso delle forze sul campo che degli “spettatori” a casa, per quanto siano questi ultimi, non capendo, a usarli come giustificativi per le proprie considerazioni.
    Per pacificare una regione come l’Afghanistan la strategia NATO è su 2 fronti. Agire solo su uno è il modo migliore per fallire, giacché nessuno dei due ha speranza di riuscita senza l’altro.
    Il primo “fronte” è quello della ricostruzione e dell’aiuto umanitario: impegnati in questo fronte sono ad esempio gli Italiani, con gli aiuti per la ricostruzione, il supporto ai progetti umanitari, l’aiuto al governo e alle istituzioni locali perché si ricostituiscano, l’addestramento delle forze di polizia ed esercito che un giorno prenderanno il controllo, l’aiuto diretto alla popolazione.
    Il secondo “fronte” è quello militare per sconfiggere o almeno indebolire sensibilmente i Talebani.
    Perché servono tutti e due?
    Perché ovviamente l’opzione militare da sola non basta, bisogna dare al paese i mezzi per, in futuro, poter camminare da solo. Bisogna dare una speranza concreta alla popolazione.
    Ma allo stesso tempo non bastano solo opzioni come le azioni umanitarie o addirittura “la conferenza di pace”: a che servono se i Talebani uccidono o schiavizzano (come hanno già fatto in passato e fanno tuttora, ricordiamolo bene) chi non la pensa come loro anche e soprattutto nel popolo afgano. Se rapiscono e uccidono giornalisti e operatori delle ONG. Se sono pronti a schiacciare ogni diritto delle donne. Qualunque opera umanitaria verremme distrutta o anche solo scacciata dal paese (come, lo ricordo, è già successo…)
    Troppi scordano che la guerra in Afghanistan non è arrivata con l’invasione USA, ma esisteva anche prima, ricordate l’Alleanza del Nord di Massud? Non confondete mai il popolo Afgano con i Talebani: i due termini non coincidono, soprattutto da quando molti jihadisti esteri si sono uniti ai miliziani del Mullah Omar.
    Confondereste “gli Italiani” con le BR?

    Ovviamente le due cose devono essere bilanciate: l’intervento militare non deve compromettere lo sforzo umanitario e di ricostruzione, ma rimarreste stupiti da quanti in Afghanistan abbiano il terrore di vedere i soldati NATO ritirarsi, perché non avrebbero più altra difesa. Per loro, la maggior parte della popolazione, non siamo certo occupanti. Nonostante i tanti tragici errori, che comunque andranno ridotti (non dico eliminati perchè la perfezione non esiste).

    Se i Talebani verranno indeboliti così tanto da essere costretti a negoziare, la ricostruzione avrà molte più chance di successo, perchè potrà essere eseguita in sicurezza. E allo stesso tempo l’operazione militare avrà successo se lo sforzo di ricostruzione continuerà e sarà efficace là dove la pace già c’è, come modello per il resto del paese.

    Vi chiedete se la NATO ha una strategia? Ce l’ha eccome. E la sta eseguendo. Con tanti errori, certo, ma anche con molti più successi di quanto non sembri qui da casa. Da dove molta gente non ha la minima idea di cosa serva davvero laggiù in Asia.

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