Magdi Allam: ‘Ma oggi il Medio Oriente è più maturo’

di Lorenzo Bianchi
25 luglio 2006 - DUE CRISI a distanza di mezzo secolo. Nel ’56 la guerra per la nazionalizzazione del Canale di Suez e la stella nascente di Gamal Abdel Nasser, campione del panarabismo. Oggi l’integralismo pugnace degli Hezbollah libanesi alimentato dall’Iran e dalla Siria.

Magdi Allam, quali sono le analogie e le diversità fra le due vicende?
“Nel ’56 il Medio Oriente era in fase di decolonizzazione.
La nazionalizzazione del canale intendeva far primeggiare l’orgoglio del Cairo. Più che di una rivoluzione si trattò di una violazione dei trattati e degli accordi internazionali che prevedevano tempi e modalità diverse per il passaggio alla piena sovranità egiziana sulla infrastruttura.
La reazione della Francia e della Gran Bretagna fu il colpo di coda di due grandi ex potenze coloniali che si erano spartite il Medio Oriente con l’accordo Sykes – Picot.
La resistenza dell’esercito di Nasser fu pressoché nulla. Si opposero all’iniziativa militare, nella quale era stato coinvolto Israele, i due nuovi colossi mondiali, gli Stati Uniti e l’Urss. Francia, Gran Bretagna e Israele furono costretti a indietreggiare. A Nasser fu concessa una vittoria simbolica”.

Come si collocava l’Egitto di allora?
“In una sorta di zona grigia. Aveva cercato negli Stati Uniti i finanziamenti necessari per costruire la grande diga di Assuan. Ci fu un rifiuto. L’Urss colse la palla al balzo e strinse un’alleanza militare. Dopo una prima commessa di armi cecoslovacche l’Egitto entra nell’orbita sovietica…”.

Il Medio Oriente diventa teatro di una contrapposizione planetaria. In che cosa è diversa la situazione attuale?
“Paradossalmente la realtà di oggi è più promettente di quella di allora”.

Perché?
“C’è un terrorismo di matrice islamica impregnato nell’anima più profonda di preconcetti nei confronti del diritto di Israele ad esistere, di antiamericanismo e di ostilità per l’Occidente.
La guerra attuale in Libano vede nelle vesti di protagonisti due stati, la Siria e l’Iran, e due organizzazioni terroristiche, Hamas e gli Hezbollah. Certo, c’è indignazione e preoccupazione per le conseguenze dei bombardamenti israeliani che mietono vittime civili innocenti e distruggono abitazioni e infrastrutture civili.
Non intendo sminuire questo aspetto. Ma c’è anche una concordanza di valutazioni sul fatto che si deve contrastare la strategia della Siria e dell’Iran”.

Come descriverebbe la politica di Damasco e di Teheran?
“Usano il terrorismo per far esplodere il conflitto e imporre la propria egemonia”.

Le prime vittime finiscono per essere i palestinesi e i libanesi. Qualcuno ha capito il gioco?
“Nemer Hammad, attuale consigliere politico del presidente palestinese Abu Mazen, in una intervista a Repubblica denuncia la circostanza che una fazione radicale in seno ad Hamas si presta alla strategia dell’Iran intenzionato a dominare i paesi arabi e il Medio Oriente.
Saad Hariri, capo del partito di maggior seguito nel Paese dei cedri, descrive quello che sta accadendo come la vendetta della Siria. Sostiene che Damasco non ha accettato il fatto che i libanesi vogliano affrancarsi dalla sua tutela.
Il Libano, argomenta, paga il prezzo del regolamento di conti di altre potenze che usano il suo territorio”.

In definitiva il Medio Oriente di oggi è molto diverso.
“E’ più maturo. Capisce che per salvaguardare il bene della popolazione araba è necessario combattere il terrorismo e i suoi burattinai. Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Libano, Autorità Nazionale Palestinese sono preoccupati per quello che sta succedendo”.

Torniamo al ’56. Nasser è sulla cresta dell’onda. L’Egitto è il faro del mondo arabo.
“Inizia un ciclo deleterio per il Paese. Impera il mito della vittoria. Nasser si infogna nel conflitto dello Yemen e si mette contro l’Arabia Saudita.
La guerra dei sei giorni, cominciata il 5 giugno del 1967, è il colpo di grazia a un regime già provato. Declina il panarabismo che aveva coagulato le passioni delle masse e dei governi arabi, con l’unica eccezione dei regimi conservatori del Golfo che avevano preferito allearsi con gli Stati Uniti.
Dopo la morte di Nasser, nel 1970, e l’avvento di Sadat, che si allea con i Fratelli Musulmani per contrastare i nasseriani, i comunisti e la sinistra, il fulcro del potere appena scalzato, l’integralismo islamico conquista in Egitto fette sempre più ampie di influenza politica, economica e sociale.
Il mondo arabo del 1956 è laico. Il panarabismo è un’ideologia laica e socialista. Il mondo arabo dopo il 1967 a passi rapidi scivola nell’alveo dell’integralismo”.

Il mito della vittoria tradisce Nasser. Anche gli Hezbollah libanesi hanno un mito guerriero, il definitivo ritiro di Israele dal Libano meridionale nel 2000.
“Ha creato un fronte comune fra forze che finiscono per credere nelle armi e nel terrorismo come unici strumenti che possono sconfiggere Israele. Hamas afferma di essere riuscita per questa via a battere Gerusalemme.
Dopo il 2000 ha intensificato la sua attività nei territori occupati e ha fatto esplodere la seconda Intifada che, a differenza della prima, era armata.
Prima con i kalashnikov. Poi, dal 2001, prevalentemente affidata ai kamikaze monopolizzati da Hamas e dalla Jihad Islamica e successivamente adottati, come forma di lotta, anche da gruppi che si riconoscono in Arafat come le Brigate Martiri di Al Aqsa. L’Hezbollah di fatto ha trasformato la frontiera fra Israele e Libano in confine fra Israele e l’Iran”.

Le ideologie imperavano nel 1956. Il vuoto è stato riempito dal mito della guerra santa?
“L’obiettivo messianico e utopistico era la distruzione di Israele. Oggi da parte dei paesi arabi c’è una condivisione di fondo delle preoccupazioni israeliane.
E questo è vero anche per lo scacchiere iracheno trasformato nel fronte di prima linea della guerra globalizzata condotta dal terrorismo islamico.
La leadership non è irachena, ma usa il territorio e la popolazione dell’Iraq per sottometterli a una sorta di califfato islamico. Vuole partire da quel Paese per proseguire il conflitto in Arabia Saudita e in altri stati arabi e musulmani. Purtroppo resta la difficoltà di emanciparsi da una annosa cultura dell’odio”.

Un esempio?
“Il premier libanese Fouad Sinora dice che non sottoscriverà mai un accordo di pace unilaterale con Israele, un’intesa al di fuori del consesso arabo. Permane un pregiudizio, a dispetto della condivisione della analisi di fondo sulla radice del male”.

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1 Commento a “Magdi Allam: ‘Ma oggi il Medio Oriente è più maturo’”

  1. Antonella scrive:

    Non c’e’ peggior cieco di colui che non vuole vedere. E’ inutile parlare di religione Gesu’ non ha mai creato una religione ed e’ qui la differenza fondamentale tra cristianesimo ed islam. Il cristianesimo e’ una FEDE Gesu’ nostro Dio che si e’ incarnato e’ morto e resuscitato per liberarci dalla schiavitu’ del peccato e per renderci liberi. Ci ha dato i sacramenti per riparare al peccato originale e il suo corpo e il suo sangue tramite eucaristia cosi’ che ci uniamo a Lui come sua sposa. L’islam non ha niente a che vedere con la nostra fede e’ solo una religione un insieme di regole.

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