Polemica sul velo: perché la Gran Bretagna non può essere il nostro modello

Di Lorenzo Bianchi

Questo blog, la data fa fede, partendo dalla notizia sulla donna che portava il burka a Viganò, provincia di Como, ha anticipato di circa un mese il dibattito pubblico sul velo che ha poi preso quota con le dichiarazioni del presidente del consiglio Romano Prodi e del presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini. Su quella vicenda sono arrivati molti commenti dei frequentatori di “Oriente Vicino”. Come sempre li ho pubblicati tutti, anche quelli truculenti che assolutamente non condivido. Il blog si ispira al principio liberale che ogni opinione possa essere espressa, a patto che non offenda direttamente e ingiustamente qualcuno. In ogni caso sento il bisogno di approfondire il tema e anche i miei dubbi e personali convincimenti. Primo punto: la copertura totale del viso prevista dal burka e dal niqab è vietata dalla legge italiana. Io credo che le forze dell’ordine debbano far rispettare le regole fissate dal codice. Una delle cose che più mancano a questo paese è il culto della legalità. Ma non è questa l’unica ragione. La copertura totale del viso rimanda a una sottomissione della donna che non può essere accettata né giustificata. La parità dei diritti per le italiane è una conquista recente (si pensi al diritto di voto!) che deve essere ancora consolidata. La parità fra uomo e donna è un valore che l’Occidente dovrebbe spendere con decisione nelle società musulmane proprio per vincere quella battaglia delle idee che può schiodare molti paesi islamici dal loro ancoraggio a letture immobili e neotradizionaliste del Corano.
La questione del velo, lo hijab, che copre solo i capelli, è sicuramente più complessa. Potrebbe anche essere il simbolo di una rivolta delle giovani contro la generazione dei genitori. Immagino che abbiate visto tutti a “Porta a Porta” quella Sara diciannovenne che si rifiutava di condannare la lapidazione delle adultere. A me è parsa soprattutto una ragazza impaurita, quasi autistica. Io credo che imporle per legge di togliere il velo provochi solo frustrazione e ulteriori risentimenti. Sara ci grida che non possiamo più tollerare la nascita di comunità separate, di enclave nelle quali lo stato latita. di scuole clandestine, di centri culturali islamici spontanei nei quali predicano imam improvvisati. E’ ora di affrontare il tema con serietà, senza improvvisazioni, senza forzature inutili. Partendo dal principio fondamentale che la Costituzione è la bussola di tutte le persone che vivono sul territorio italiano, che lo stato laico è una conquista da difendere e che nel nostro paese i diritti degli individui prevalgono su quelli delle comunità, etniche o religiose.
Il velo di reazione ci dice anche che la nostra società ha un gran bisogno di valori positivi, che l’arricchimento e il consumo non possono essere l’unico idolo, il vitello d’oro, di un paese. In ogni caso il modello da rifiutare è quello britannico. Nel luglio 2005 è sfociato nelle bombe sui treni della metropolitana e su un autobus. Cinquantadue persone hanno perso la vita.

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4 Commenti a “Polemica sul velo: perché la Gran Bretagna non può essere il nostro modello”

  1. Antonio Buonanno scrive:

    Ciao, mi chiamo Antonio.
    E vivo da poco piu di un anno a Londra.
    E devo proprio dire questo, spero che il mio paese non diventi cosi.
    In questa citta c’e un odio fra le diverse culture, che e sempre piu vicino a esplodere.
    Riguardo al velo, i musulmani devono imparare a rispettare le altre culture
    e altre leggi (cosa che non sanno fare molto bene).
    Le nostre donne quando vanno in alcuni paesi del medioriente il velo lo devono portare per volere dei costumi locali.
    Non vedo perche loro non devono rispettare i nostri.
    (Ho lavorato per un anno con dei Turchi , e so come sono).
    Saluti a presto.

  2. Mirko scrive:

    Caro Lorenzo,
    il tuo articolo mi trova pienamente daccordo. Il velo è legale e potrebbe essere mille cose: da simbolo religioso, a modello di identificazione, a sottomissione, a rivolta contro i genitori. Ma la questione non può limitarsi solo al velo. Il Presidente del Consiglio e la stampa italiana hanno posto l’attenzione sul problema più irrilevante: il velo. Ma perchè non si parla di lapidazione, infibulazione, stupro d’onore, poligamia, inferiorità giuridica della donna. La donna sottomessa non ha bisogno di avere garantito un velo, ma un’esistenza.
    Grazie, Mirko

  3. stefania scrive:

    Carissimo Lorenzo,
    nel completo rispetto delle tue opinioni e sublime conoscenza politica e cultura medio-orientale, mi permetto di dissentire con il tuo ultimo paragrafo, quando dichiari che il modello da rifiutare e’ quello britannico. L’omissus che vorrei portare alla tua attenzione riguarda la difficolta’ di applicare il modello britannico nel contesto socio-politico e culturale italiano, ma non lo rifiuterei nel suo complesso. Vivo da 12 anni nel Regno Unito,un paese dai molti colori ed identita’ con una cultura pragmatica e commerciale ed un’etica protestante che la supporta. Un paese che si interroga certamente e vive le sue contraddizioni con sporadici casi di intolleranza razziale nei grandi centri urbani, ma quando si considera che la popolazione etnica britannica si aggira sul 10%-circa 6 milioni, molti dei quali provenienti dalle ex-colonie-mi sembra esagerato continuare a sottolineare le differenze ed ignorare l’enorme contributo economico di tali minoranze.Le donne che scelgono di coprire il volto con il velo lo fanno per scelta e non per sottomissione e ci chiedono rispetto per le loro scelte e dignita’. Questo puo’ o meno turbare il nostro accentuato senso estetico ma credo che il problema sia piu’ nostro che loro, nella nostra difficolta’ di assimilare l’alterita’ che incontriamo sul nostro quotidiano. Detto questo, non approvo, ma solo per motivi pratici l’utilizzo del velo durante le lezioni scolastiche-motivo della discordia qui in Gran Bretagna-ma non vedo il motivo di tanta ira nei confronti di chi per scelta decide di aderire a delle pratiche religiose/consuetudini diverse dalle nostre. E poi-ti invito a riflettere-, mi chiedo se le nostre svestite teenagers o modelle stecchino abbiano modelli femminili piu’ validi ed emancipati delle donne musulmane , se le nostre siano veramente piu’ libere per cosi’ dire. Ci sono donne nel profondo sud dell’Italia che si coprono il capo con il fazzoletto nero e infatti continuamo a vestire il colore nero, perche’ non aprire un dibattito sui residui della cultura araba in Italia? Vi invito a riflettere ed a ciascuno di noi a non cadere vittime dell’ isteria dei mass-media che molto spesso si cura dell’audience piu’ della necessita’ di capire ed armonizzare. C’e’ veramente spazio per tutti se solo riusciamo a capire che c’e’ necessita’ urgente di disarmare il cuore e la mente dalle trappole dell’ignoranza. Viva il Regno Unito con i suoi profumi, colori, humour e liberta’.Grazie dell’ascolto e dello spazio concessomi.

  4. Massimo scrive:

    Buongiorno Lorenzo,
    come specificato da Lei, per la legge italiana, bisogna risultare riconoscibili, quindi, di base, nulla che copra il viso è utilizzabile. Mi permetta di contestare l’ultima parte del Suo discorso dove afferma che la legge britannica ha portato la morte di 52 persone, notizie assolutamente vere, ma il dover modificare una legge italiana ad hoc per la paura di essere colpiti da attenti terroristici, ci porta a sottostare alle leggi della paura che il terrorismo islamico moderno ci impone. L’Italia ha delle leggi a cui tutti dobbiamo sottostare, immigrati inclusi. Si parla di modificare i loro usi e costumi? Anche io ho dovuto modificare i miei usi e costumi e nel mio paese per giunta. Negli asili e nelle scuole non ci sono più crocefissi, i canti natalizi sono visti come una offesa nei confronti di coloro che non sono cristiani, oltre una certa ora non posso più recarmi tranquillamente in centro o alla stazione dei bus, molti quartieri sono diventati off limits per la presenza di cittadini extracomunitari che, guarda caso, da quando sono arrivati, hanno trasformato questi posti in porcilaie, facendo nascere nuovi “Bronx” di quartiere.

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