Intervista a Paul Cayard.

 
28 Gennaio 2006 Articolo di Ubaldo Scanagatta
Author mug

di Ubaldo Scanagatta
28 gennaio 2006

MELBOURNE. Magro, elegante con la sua maglietta bianca da “Pirate of the Caribbean”, in grandissima forma, porta i 47 anni come i baffi, sempre neri come il carbone ed i capelli. Come un ragazzino insomma, anche dopo 6100 km in pieno Oceano e oltre venti giorni della seconda durissima tappa della Volvo Ocean Race, la Città del Capo-Melbourne.
L’ex Whitbread ora è la VOR, 31.250 miglia nautiche intorno al mondo, 8 mesi da novembre a giugno con scali in dieci porti. Per fare il giro del mondo quest’anno ci vorrà un terzo del tempo in meno rispetto a tre anni fa. Le barche sono molto più veloci.
Arriva pedalando disinvolto in bicicletta sulla banchina di Port Phillip dove il traguardo è stato tagliato per prima, come già per la prima tappa, da Abn Amro One dello skipper olandese Bouwe Bekking.
La barca sua e dei suoi Pirati, The Black Pearl, è invece arrivata solo quarta, dietro a Abn Amro Two e alla spagnola Movistar, in ritardo per l’avaria alla chiglia basculante, la grande novità tecnologica di questi 70 piedi (21,5 metri) che viaggiano a velocità mai raggiunte prima, spesso superiori ai 30 nodi (più di 70 km orari).
“E’ questo il motivo per cui queste barche nuove e “tirate” al massimo senza aver avuto tempo sufficiente per sperimentarle _ spiega Paul Canard, forse il più famoso velista del mondo (insieme a Russell Coutts e Mr.America’s Cup Denniss Conner) _ restano barche davvero fenomenali ma si rompono”.
In effetti due delle sette barche in gara, Brasil 1 di Torben Grael, il “tattico” di Luna Rossa che ha vinto più medaglie olimpiche di qualunque velista al mondo _ cinque _ e Ericsson Race Team del britannico Neil McDonald, a Melbourne sono arrivate o con un cargo e/o a motore (ovviamente ritirate) e tutte le altre hanno dovuto affrontare avarie più o meno serie.
Non mancano i critici severi di quest’edizione della VOR.
Sono quelli che parlano di “gara a chi spacca tutto per primo”, di “demolition derby, quelli che chiedono se valga la pena massacrare barche (e uomini che non sono più 12 come nella precedente edizioni ma 10, con turni molto più frequenti: non dormono mai…) in nome d’una velocità eccessiva… e con un dispendio economico non indifferente visto che ogni team deve poter contare su un budget che oscilla fra i 15 e i 20 milioni di dollari. Mica noccioline.
“Quando vinsi nel 1997 gareggiamo con vecchie barche, già sperimentate, mentre queste impiegano tutte design e tecnologia avveniristica…in queste prime tappe abbiamo bisogno di tempo per metterle a posto, la nostra vera sfida è quella.
Di vera vela, di vera regata, si potrà forse parlare a marzo, salvo che per ABN Amro che è l’unica barca già collaudata. Ma intanto abbiamo già battuto il record di velocità di miglia percorse in un giorno del Mari Cha, uno scooner (due alberi).
E’ molto eccitante, ti assicuro. Il confronto fra queste barche e quelle di Coppa America è come paragonare una Ferrari a un’Alfa Romeo 160.
Se tu mandi una Ferrari da corsa non completamente collaudata su una strada sterrata si rompono le marce, si spaccano le sospensioni, può crollare la struttura…insomma bisogna avere la pazienza di aspettare la fine del processo per giudicare. Ma nemmeno le barche a motore vanno a 38 nodi come siamo andati noi” dice ancora Cayard.
“ E la gente che guarda la F1 non si accontenta di vedere le macchine che girano attorno, ogni tanto vuole vederne anche qualcuna finire contro un muro! “ dice lì vicino il tattico kiwi di Team Ericsson Richard Mason.
Che cosa ti ha spinto a buttarti in questa nuova fatica, 9 mesi attorno al mondo per una gara che in fondo hai già vinto? Non sarà stato soltanto il milione di dollari che si dice sia il tuo ingaggio…
Un sorrisetto, una toccatina ai baffi, un’alzatina di spalle: “Ci sono almeno 3 motivi:
a) le regate che nella mia vita mi hanno dato le maggiori emozioni sono le traversate oceaniche, il giro del mondo, le balene, gli albatros, capo Horn, la voglia di vivere un po’ pericolosamente…sì sono un po’ malato, lo so;
b) essere partecipi e leader del progresso tecnologico dello sport che amo. Ormai l’America’s Cup lascia ben poco all’industria veristica: sono barche lente, pesanti, l’attrezzatura è la stessa, si spende tanto per ottenere poco, i progressi quasi zero.
Qui invece si sperimenta la tecnologia che è il futuro dell’industria veristica. Se il primo passo era il “water-ballast”, con l’acqua che potevi diminuire o aumentare a seconda delle circostanze per variare il dislocamento, oggi con la chiglia basculante la barca resta leggera ma aumenta la stabilità e stabilità è uguale a potenza.
Da questa scoperta discenderanno effetti a catena.
C) il coinvolgimento in questo sport di uno sponsor importante come la Walt Dysney Production. Sono stati loro a volere che la barca si chiamasse Black Pearl, che il nostro team fosse i Pirates of the Caribbean e promuovesse la serie dei tre film di cui sono protagonisti Johnny Depp, Orlando Bloom e Keira Knightley.
Ad agosto il secondo film della serie “Dead Man’s Chest” uscirà anche in Italia, un mese dopo l’America…dieci milioni di dollari per promuovere i suoi film, non sono molti per una società come la Disney. E noi facciamo il giro del mondo…
Non c’è solo Disney, poi, ma anche sponsor italiani in questo giro del mondo che è considerato un po’ l’Everest della vela, da Zegna a Maffioli che fa le scotte migliori del mondo, a Peloni che è un’azienda che produce Parmigiano Reggiano…
Se a tutto ciò aggiungi che il mare è il mio elemento, che non sono tipo da stare davanti alla tv, e che una Coppa America mi avrebbe costretto a stare a Valencia per anni proprio quando i miei figli hanno un’età, 15 anni Daniel e 16 Alexandra che hanno bisogno anche di vedermi, beh nove mesi di VOR è meglio che quattro anni…”
E il progetto di realizzare un circuito annuale tipo formula uno per barche da 30 metri e costi contenuti, insieme a Russell Coutts, con barche meno care (6-7 milioni di euro l’una) per 6-8 gare l’anno a che punto è?
“ Francamente non so…sono appena arrivato, devo ancora leggere le e.mail, eravamo vicini a due grandi sponsor, ma per ora non abbiamo conferme”.
E la Coppa America, hai rinunciato definitivamente? Con Larry Ellison e Oracle i rapporti sono definitivamente interrotti?
“L’ho fatta sei volte, non è poi così divertente, come dicevo devi vivere sul posto e i miei figli stanno facendo il liceo…Quanto a Ellison ogni tanto mi telefona…”
Ma possono vincerla questa Coppa o vincerà sempre Alinghi?
“Oracle avrà sempre problemi per fare andare d’accordo l’equipaggio, Chris Dickson è un tipo molto difficile. Se vincesse lo Yacht Club di San Francisco mi troverei la Coppa America in casa, non mi dispiacerebbe davvero. Ma Alinghi è certamente più coesa, più unita, anche se ad aver perso Coutts non ha perso poco e Bertarelli lo sa. Poi c’è Prada, credo che non sia mai stata forte come quest’anno…”
Contento della tua esperienza olimpica ad Atene?
“Sì, era dal 1984 che cercavo di partecipare…sono arrivato quinto e davanti a me c’erano campioni di valore assoluto come Torben Grael, ma alcuni mi sono arrivati anche dietro. Quinto è un bel piazzamento a 45 anni. Mi ero allenato come non avevo mai fatto, 3 ore al giorno in palestra, ero in una forma fisica eccezionale…ho investito anche 150.000 dollari per fare del mio meglio, noi in America non abbiamo il vostro Coni…Sono contento di averlo fatto, è stata un’esperienza bellissima”.
Quando ti rivederemo in Italia?
“A settembre, a Porto Cervo per la Swan Cup una manifestazione organizzata benissimo e cui tengo moltissimo, faccio parte del Board Nautor e Leonardo Ferragamo è un mio grande amico…”
Io l’ho rivisto invece prima, quando è venuto a alla Rod Laver Arena a vedere l’Australian Open e Roger Federer. “Non avevo mai visto un match di tennis dal vero, e Federer poi ha una classe impressionante…è stato bellissimo”.

Collegamenti sponsorizzati


Scrivi un commento