Birmania: ONU e il mondo impotenti.
Quei mercenari stranieri senza pietà.
Non rispettano più neanche i monaci.
Con i rullini fotografici nelle mutande

 
29 Settembre 2007 Articolo di Ubaldo Scanagatta
Author mug

(chiedo scusa a tutti per questo nuovo off-tennis, altre considerazioni e ricordi sulla tragedia birmana, pubblicato su QN. Lo inserisco un po’ perchè diversi hanno qui mostrato di apprezzare il precedente articolo pubblicato in un commento sotto al post “Il Sun, offerti i soldi a djokovic per perdere” e un po’ in segno di solidarietà a quel popolo disgraziato che chissà quando mai assaporerà la libertà)

La storia, tragica, si ripete. Esattamente come 19 anni fa per la Rivoluzione dei Cinque Otto (8-8-’88, inizio ore 8). Ieri come oggi le preoccupazioni principali della feroce giunta militare al potere in Myanmar erano tre: a) tenere all’oscuro il resto del mondo sulle spaventose efferatezze commesse; b) corollario di a): impedire ai poveri ribelli , inevitabilmente poco assistiti tecnologicamente (anche oggi), di rinfrancarsi alla notizia di qualsiasi manifestazione di solidarietà espressa dal resto del mondo, sì da farli sentire abbandonati a se stessi, nelle mani incontrollabili e incondizionabili dei generali per minarne convinzione e speranze di successo; c) tenere il più compatto possibile l’esercito mercenario assicurandosene con incentivi di vario tipo l’assoluta fedeltà per poter far eseguire anche gli ordini più crudeli.
Ecco perché sia il generale Ne Lwin sia il successore dopo 26 anni, Sein Lwin, avevano assoldato volontari laotiani, cambogiani, vietnamiti. Gente di ogni risma che non doveva aver legami di sangue, di patria, di qualunque affinità, con i contestatori del regime. I mercenari che intrecciassero matrimoni, amicizie, affari, con la popolazione indigena sarebbero stati rispediti a casa. Nel più fortunato dei casi.
Nel corso delle marce di protesta il problema non erano gli studenti, ma i monaci buddhisti al loro fianco. Le strade laterali che portavano al piazzale di Shwedagon, Pansodan Street, Bogyoke Aung San, erano strizzate fra due ali di camion carichi di soldati. Sguardi gelidi, impenetrabili, cattivi. Quelli a terra, col mitra spianato seguivano passo passo, ruotando platealmente sul busto _ un esercizio sadico? _ perfino i pochi innocui turisti entrati nel Paese col visto settimanale prima dell’improvviso blocco delle frontiere. La notte della rivolta e della strage più cruenta, per raggiungere a buio dal primo rifugio lo storico, decadente Strand Hotel _ dopo aver parlamentato _ potemmo camminare lentamente, a mani alzate, bene in mezzo alla strada in un silenzio assordante, le camicie intrise di sudore per la tensione. All’aeroporto perquisirono le nostre macchine fotografiche, non i rullini nelle mutande che, all’aeroporto di Bangkok, fecero la gioia di AP e UP, le agenzie di stampa venute a raccogliere informazioni e foto dagli ultimi 100 turisti, uniche fonti di notizie. Non esisteva Internet (e ora il regime fa di tutto per oscurarlo) né i satelliti che ieri hanno mostrato decine di villaggi bruciati, rasi al suolo. Da Rangoon (Yangon), la capitale, qualcosa in un modo o nell’altro trapela. Dal resto del Paese… buio.
Ma le scene sono le stesse di allora. All’arrivo dei primi autoblindo, centinaia di studenti, ragazzi, ragazze, si sdraiarono sull’asfalto. I mezzi corazzati, sorpresi dalla mossa, si fermatono giusto il tempo per chiedere che fare. Un piccolo stop sufficiente a suscitare entusiasmo, speranze, applausi, ingenui canti di vittoria. Finchè arrivò l’ordine di avanzare. I cingoli quasi li schiacciavano, loro si facevano coraggio cantando, gridando, inneggiando slogan. Li avrebbero spalmati come marmellate, non fosse stato per i monaci. Bhudda, unica “Affinità” trascurata, non potevano calpestarlo nemmeno laotiani, cambogiani, vietnamiti. Neanche loro avrebbero potuto sfuggire alle maledizioni celesti.

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4 Commenti a “Birmania: ONU e il mondo impotenti.
Quei mercenari stranieri senza pietà.
Non rispettano più neanche i monaci.
Con i rullini fotografici nelle mutande”

  1. Stefano Grazia scrive:

    non voglio innescare una polemica senza fine, ma mi chiedo a cosa serva in questi casi il pacifismo senza se e senza ma…purtroppo in birmania non c’è il petrolio e le grandi potenze non interverranno perchè non hanno interessi che lo giustifichino ma in questo caso come in innumerevoli casi in africa con le chiacchere (pardon,la diplomazia) non si cava un ragno dal buco e nel frattempo muoiono innocenti e migliaia di vite e destini vengono segnati… è tragico constatare come non sia assolutamente vero che tutti gli uomini vengano al mondo con le stesse opportunità ma che un bambino/a nato nel 55 o nel 97 in birmania o nel ruanda burundi o nel darfur o in corea del nord o a cuba o in iraq o in iran etc etc non abbia certo avuto,nella vita e nello sport, le mie stesse possibilità o quelle di mio figlio…ed è qui che mi perdo in campo religioso, di fronte al significato delle misteriose vie infinite…

  2. marcos scrive:

    in questi casi il pacifismo senza se e senza ma non c’entra.

    c’entra che cina e russia hanno posto freni a risoluzioni onu pesanti, avendo rapporti con la giunta militare. c’entra pure che i willings non hanno, in questo caso, alcun interesse geostrategico od economico/finanziario, pertanto, non intervengono.

    le sorti di un uomo (e del popolo a cui appartiene) vengono decise al momento del suo concepimento. tra le cause delle disparità di ricchezza nel mondo, quella geografica non può essere considerata minore. nel corso dei millenni, infatti, le ragioni geografiche hanno via via assunto una chiara valenza storica, sociale, politica ed economica.

    preferisco non perdermi nel campo religioso, che l’uomo ha meravigliosamente seminato proprio per sognare la presenza di vie infinite, in attesa di un riscatto ultraterreno, invece di prendere atto fino in fondo che la via è unica e termina per tutti: in terra, o nell’acqua.

    se prendessimo tutti coscienza della nostra piccolissima finitezza, forse, non potremmo più considerare ineluttabile o fatale il fatto che una minoranza esigua del mondo sia sottoposta alle peggiori ristrettezze, comprese quelle che riguardano la libertà, solo perchè nata sotto un cespuglio, invece che alla mangiagalli.

    è l’uomo che si fa giunta militare in birmania, è l’uomo che affida fucili ai propri figli, invece che semi per i propri campi; è l’uomo che quotidianamente chiude gli occhi (come me), per evitare di unirsi e gridare a gran voce che l’equilibrio del sistema, così com’è, grida vendetta alla sua intelligenza ed al suo cuore; è l’uomo che si è abituato a pensare che ciò che ha o ciò che non ha è il frutto del lascito della sua terra, benedetta da dio, o maledetta da dio. i peggiori esemplari degli umani non temono vendette ultraterrene; i migliori pregano per avere un premio finale.
    non ci sarà vendetta e non ci sarà premio: è solo nostro il giudizio finale, ma facciamo troppo poco per poterlo cambiare.

    se buddha, però, è in grado di fermare i carri armati mercenari, allora la sua saggezza vegli per sempre sulle genti del mondo.

  3. marco napo. scrive:

    cito un libro di un monaco zen ovvero :
    l’unica nostra arma è la pace.
    se non si sa gestire la rabbia e la violenza dentro di se è impossibile aiutare qualcun altro.
    compito della mente è di distinguere sempre piu chiaramente i diversi semi che vogliamo innaffiare.
    se daremo acqua e concime ai semi dell’odio e della rabbia non raccoglieremo mai i fiori della compassione e della generosità.
    in definitiva il buddismo è una delle poche religioni che non fomenta la violenza e l’odio .
    percio bisogna dar credito ai monaci perche difficilmente prendono posizioni ,anche se i loro stessi interessi personali sono in pericolo.
    un saluto

  4. lulù da bisceglie scrive:

    la birmania per molti anni è stata uno Stato in cui tutta l’ autorità politica è stataincentrata nelle mani di uno solo, sicchè la preposizione dei titolari ai vari organi statali è stata sottratta a qualsiasi sistema elettivo popolare. i monaci sono i protagonisti di questa lotta contro questa politica autoritaria per ottenere la democrazia. Infatti lo spirito buddista, anche se nega l’esistenza “dell’io” personale ed è atarassico e indifferente alla politica;considera la democrazia come una virtù anche se corrisponderebbe alla vocazione fondata sul concetto di persona. Secondo il mio punto di vista bisognerebbe ascoltare la voce di questo popolo e non rimanere indifferenti di fronte a questa situazione…

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