Il mio idolo non è Rosewall
Forse non sapevate che…
Loyo Mayo fue eliminado!
En su primer partido,
por el Italo Ubaldo Scanagatta

 
24 Novembre 2006 Articolo di Ubaldo Scanagatta
Author mug

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A seguito di questa scherzosa e.mail inviatami dal direttore di Matchpoint Daniele Azzolini….
Caro Ubaldo…se non mi trovi la data di nascita di Jimmy Evert ti ricatterò pubblicando la tua foto che ho trovato su un articolo di Tennis Club metà anni Settanta…DECIDI TU! Scherzi a parte, la cosa è carina… Perché non la pubblichi?Sa un po’ di autocitazione, ma ai lettori di un blog di solito piace sapere qualcosa dei giornalisti cui si affidano nelle loro letture. Ciao Daniele
….…ho deciso di dargli retta sperando di strapparvi un sorriso…
_ Tratto dalla rivista Tennis Club, diretta da Rino Tommasi, anno 1975 (ripreso dal quotidiano El Universal su 9 colonne, Pasqua 1973) _Titolo: Loyo Mayo fue eliminado! Occhiello: En su primer partido, por el Italo Ubaldo Scanagatta _

SAN LUIS POTOSI _ In casa Scanagatta il tennista più considerato (me escluso…), più idolatrato, persino più amato, non è Ken Rosewall o John Newcombe. E’ Joaquim Loyo-Mayo, chiamato affettuosamente dai messicani, e ora anche dalla mamma, la “Ranita” per la leggiadra _ e da noi leggendaria _ agilità con cui dicono “danzi” sul campo da tennis.
Con tanti “vecchi” fossilizzati su preferenze più o meno stantie _ e chissà, per loro, i più bravi sono sempre quelli della loro stessa epoca; Cucelli, Del Bello, Gardini, Merlo guai a discuterli…_ sono proprio orgoglioso dei “miei” che in fatto di elasticità dimostrano di essere all’avanguardia.
In fondo sono solo due anni che hanno preso la cotta per Joaquim Loyo-Mayo, un campione che non appartiene certo alla loro generazione. Non posso dire che sia andata unicamente allo scopo di conoscerlo di persona, ma la prima volta che la mamma ha varcato l’Atlantico è stato un anno fa, proprio per andare in Messico.
Città del Messico, Guadalajara, la civiltà dei Maya e degli Atzechi sono tutte belle cose ma anche gli amici meno invidiosi capirono che era solo una scusa. Il vero scopo di quella traversata era l’incontro con Joaquim e, tutt’alpiù, una visita al “tennis” di San Luis Potosi alla ricerca di qualche stele commemorativa delle imprese del figlio.
Fu proprio a San Luis Potosi, durante il tradizionale torneo della “Semana Santa” che accadde il fattaccio, quello che avrebbe tolto ogni tranquillità agli amici, intimi e meno intimi degli Scanagatta. Quello che costrinse qualche parente ad iscriversi ai corsi accelerati di spagnolo per meglio capire quello che era successo.
“Loyo Mayo fue eliminado, en su primer partido por el Italo Ubaldo Scanagatta! Ganador de los tres torneos pasados (en forma consecutiva) y No.1 de la “Siembra” Nacional, la “ranita” cayo ante el Italo quien perdiò el primer set por 2-6, apuntandos los dos restantes 6-2 y 6-2. Aunque la tecnica del mexicano fue nettamente superior, la fuerza dell’italo acabò imponiendose dejando fuera a la mejor carta mexicana. Su trionfo, en esta ocasion fue merecido…”. Sic!
Ma di quella giornata “trionfale” la “derrota” (sconfitta) della “Ranita” fu solo un episodio. Partecipavano a quel torneo gli americani Raz Reid (pupillo di Ion Tiriac, e lo vinse), Bill Brown (vincitore di Bertolucci a Parigi), Pancho Walthall (ottavi di finale a Wimbledon), Ken McMillan, Dick Bohrnstedt, l’australiano Ray Keldie, il venezolano Hosè e tutti i messicani più forti tranne Lara e Ramirez. Tutti questi giocatori erano in aspettito.
Prima di imbattermi in Loyo Mayo, infatti, dovetti passare due turni. Ad oltre 2.000 metri e con i campi in terra battuta, ma talmente “battuta”, da sembrare “sintetica, il controllo della palla era quasi impossibile e se un colpo di media forza si trasformava in una bordata, un buon servizio mutava la palla in proiettile.
Sempre fiducioso in me stesso non mi feci troppo impressionare dai primi due disastrosi giorni di allenamento: comprensivi e prudenti los condors “pasavan” a quote di tutta sicurezza.
Ignaro dei miei exploit quel poveraccio di Joaquim si era fatto eliminare al primo turno del torneo WCT di Denver (e pare non avesse dovuto sforzarsi troppo per ottenere quell’effetto, sebbene lui avesse raggiunto gli ottavi sia a Wimbledon sia all’US open) per raggiungere, in una volata di un paio di migliaia di chilometri, San Luis Potosi. Lì, almeno, era praticamente sicuro di passare il primo turno. Non sapeva, il tapino, che ad affrontarlo c’ero io.
Il match del secolo era fissato per le nove. Alle dieci c’ero ancora solo io. “Si fuera yo el faltista ya huberia ganado el Mexicano” (“se in ritardo fossi stato io a quest’ora Loyo Mayo avrebbe già vinto…”) dichiarai, con un certo tono, all’”enviado especial” de “El Universal”, il quotidiano di Città del Messico.
Sapevo che lo scratch alla testa di serie n.1 e all’idolo locale non me l’avrebbero mai dato. Non lo chiesi nemmeno. Era più divertente giocarla, quella partita. Visto che dovevo aspettare, però, almeno qualche soddisfazione volevo prendermela.
Si erano fatte le undici. Ed era un’ora e mezzo che Loyo-Mayo doveva venire fra…”cinco minutos”. Poiché il vincitore avrebbe dovuto incontrare l’ex campione junior britannico Ross Walker quello stesso pomeriggio, alle 14,30, osservai che la cosa non mi sembrava per nulla regolare: “Tra l’altro mentre contro Loyo Mayo sono chiuso (e ne ero convinto) contro Walker _ bluffai _ potrei invece anche vincere…Nei quarti di finale, ammesso che mi fermi lì, ci sono cento dollari di premio…”
Un giornalista, approfittando del fatto che ero disteso con ari annoiata su un praticello, mi chiesi di guardare l’orologio e di recitare prima la parte dell’arrabbiato e, poi, sdraiatomi, quella dell’addormentato. Potei così provare quel sottile fastidio che avvertono i campioni importunati dai giornalisti. Ma nobilmente accondiscesi. Risultato: il giorno dopo ecco una sequenza di tre foto sul giornale messicano più diffuso del Paese! Nemmeno fossi una star (…però all’indomani di un exploit a spese di Loyo Mayo un po’ star lo ero diventato per davvero, per mezza giornata).
Sensibilizzati dai miei problemi economici i dirigenti del club potosino chiesero la mia comprensione per l’organizzazione, mi elencarono i sacrifici compiuti, ripeterono in tutte le salse che il loro torneo senza la star (lui sì) Loyo Mayo sarebbe stato un disastro di pubblico e di spettacolo…Finchè io, impietosito, accettai i 100 dollari per aspettare Loyo-Mayo e dopo cinque minuti arrivò la “ranita”.
Entrai in campo, uno periferico perché l’incontro doveva durare quasi sicuramente poco, soddisfattissimo del mio piccolo prize-money. Lo avevo conquistato, è vero, in un modo un po’ particolare, ma si trattava pur sempre del mio esordio in campo professionistico..
Loyo Mayo, incattivito dalle poche ore di sonno _ era arrivato da Denver alle quattro di mattina dopo un viaggio catastrofico _ e da vera star altezzosa non mi rivolse nemmeno la parola per scusarsi del ritardo. Giurai di vendicarmi, non di batterlo. L’occasione si presentò subito: Joaquim, chissà perché, voleva fare il duro. Non avevamo nemmeno scambiato due palle di palleggio e lui mi fa: “Come on, io sono pronto!” con un tono alla Clint Eastwood. Non so perché, ma da quel momento a me per “scaldarmi” ci volle moltissimo. Lo costrinsi per tre volte a chiedermi se ero pronto. Poi, dopo aver provato non meno di sedici servizi, lo presi di sorpresa con il mio “ready!”. Era seccatissimo.
Il suo servizio mancino non era potente, ma aveva un diabolico effetto. E c’era l’altitudine a complicare le cose. Nel primo set risposi, di media, una volta a game. 6-2 per lui fu la più naturale conclusione. Nel secondo, però e sorprendentemente, il risultato si capovolse: La “Ranita” voleva fare _ come si dice a Firenze _ un po’ troppo il “topino”., ma a furia di tocchettare andò _ perlomeno credo _ completamente fuori palla. Io ero già contento così. Sul campetto laterale i “ninos” non ci stavano più, per riuscire a vedere un match scontato trasformatosi in battaglia, si arrampicavano sugli alberi. Ogni game che facevo credevo che fosse l’ultimo. Invece, non so come, mi trovai 5-2 per me nel terzo set. Serviva lui e decisi di mollare il game per tentare il tutto per tutto nel gioco successivo quando avrei battuto io. Tirai allora tanto per fare, da posizione incredibile per chi conoscesse la mia agilità, un dritto-bomba di risposta che lo lasciò secco. Sullo 0-15 incrociai la risposta di rovescio in un modo tale che io stesso mi sorpresi a guardare sul “segnapunti” se in campo ci fosse Rosewall o Scanagatta. Forse lessi Rosewall perché anche la successiva risposta finì sull’incrocio delle righe e, a 40-0, _ incredibile _ avevo tre matchballs sulla mia Dunlop di legno. All’improvviso, e solo allora, mi accorsi che avevo qualche possibilità di vincere e decisi che, forse, non era il caso di mollare. Ritornai così Scanagatta, me la feci addosso, e, mentre già mi lamentavo della grande occasione perduta mi ritrovai 40 pari. Altro mio punto imprevedibile di risposta, però, ed ecco un nuovo matchball. Questa volta cercai solo di tirarla di là. Risposi un po’ alto ma Loyo-Mayo sbagliò da pollo piuttosto che da rana.
Joqauim, certamente poco propenso a riconoscere la mia superiorità, mi strinse la mano di malavoglia, mentre dagli alberi scesero giù tutti i bambini per farmi firmare tanti di quegli autografi che se ci ripenso mi fa male ancora la mano (e mi si gonfia il petto).
Era quello il giorno della grande “Inauguracion”, della parata con fanfara musicale e bandiere. Unico italiano partecipante sfilai con la bandiera verdebiancorossa in pugno, orgoglioso come non mai, esattamente dieci minuti dopo la stupefacente “derrata” di Loyo Mayo. E c’era gente sugli spalti che gridava “Italia, Italia”.
Roba da stropicciarsi gli occhi, musica per le mie orecchie. Più tardi, esaltato da quel successo giocai benissimo contro Ross Walker ma francamente un po’ provato, persi 7-6,7-5 (chi sia Walker lo spiega anche il BP World of Tennis 1973) ma prima, sapendo dei rischi che correvo contro l’inglese e per non sciupare la notizia di una bella vittoria con quella di una successiva sconfitta, mi precipitai a telefonare a casa: “Ho battuto Loyo-Mayo! Ho battuto Loyo-Mayo! _ gridavo al telefono dello stesso ristorante presso cui si trovava, un tavolino più in là, proprio l’incavolatissimo messicano n.1 del suo Paese!
“Chi hai battuto? _ faceva papà che, come al solito, non sentiva niente _ Come?”
E io giù a urlare sempre più forte: “Loyo-Mayo papà, ho battuto Loyo-Mayo!” Ovvio che al ristorante tutti, tutti eccetto Joaquim nero come un calabrone, si facessero mate risate. La mia gioia era tale che, quando il presidente del club potosino mi disse che, avendo io battuto Loyo Mayo i 100 dollari promessi non me li avrebbe più dati, riuscii a tenere un comportamente distaccato, perfino signorile. Mi sarei rifatto con il contratto che mi propose al volo la Dunlop americana (sei racchette gratis, mica storie!).
Ma l’essere stato inserito nelle classifiche mondiali di fine anno da parte di Rino Tommasi, sia pure al n.302, non vale più di 100 dollari?
Quello che Tennis Club non avrebbe dovuto assolutamente fare era il pubblicare anche le statistiche dei tornei WCT. Da quelle risultava che Joaquim fino a quel momento non aveva ancora passato un turno. Meno male che ho rimediato descrivendo da Las Vegas la vittoria di Joaquim su Dick Stockton (che aveva battuto Borg).
Reagisco all’ingiustizia patita proponendovi l’albo d’oro dei campioni universitari americani (NCAA): 1943-‘44-‘45 Pancho Segura, 1951 Tony Trabert, 1956-‘58 Alex Olmedo, 1962 Rafael Osuna, 1963-‘64 Dennis Ralston, 1965 Arthur Ashe, 1966 Charlie Pasarell, 1967 Bob Lutz; 1968 Stan Smith, 1969 Joaquim Loyo-Mayo, 1970 Jeff Borowiak, 1971 Jimmy Connors, 1972 Roscoe Tanner, 1973-’74 Sandy Mayer.
Molti di questi hanno vinto Wimbledon. E io penso proprio che avrei potuto batterli tutti.
Ubaldo Scanagatta

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11 Commenti a “Il mio idolo non è Rosewall
Forse non sapevate che…
Loyo Mayo fue eliminado!
En su primer partido,
por el Italo Ubaldo Scanagatta

  1. Daniele Azzolini scrive:

    Ciao Ubaldo,
    Beh, complimenti… in primis per il capello fluente, da vero ganzo…
    In secundis, perché il buon Joaquin da Vera Cruz, classe 1945, non eraniente male davvero. Forse i tuoi amici blogghisti (blogganti? bloggers?) si
    chiederanno chi fosse la tua vittima… Bè, comincio a dirglielo io, ripescando nell’archivio di Matchpoint….
    Allora: Joaquin Loyo-Mayo ha cominciato a vincere nel 1963, a San Luis Potosi. Poi ha continuato nel 1966 a Chattanooga; nel 1967 a San Luis Potosi, Cincinnati e Palm Springs; nel 1968 a San Diego, San Luis Potosi, Ojai Valley, Montgomery e Chattanooga; nel 1969 ai Campionati NCAA e a Chattanooga; nel 1972 di nuovo a San Luis Potosi e Lagos; nel 1973 a Guadalajara; per concludere nel 1974 da dove aveva cominciato, cioè vincendo a San Luis Potosi. En passant ha raggiunto i quarti agli Us Nationals del 1968 in singolare, i quarti in doppio al Roland Garros 1970, ed ha giocato 45 match di Coppa Davis con 22 vittorie, 17-19 in singolare, 5-4 in doppio.
    Ora tocca a te… Buttati senza problemi. Secondo me chi ti legge è anche curioso di sapere da dove nasca la tua sapienza tennistica. E un po’ anch’io, che pure ti conosco bene.

    Daniele Azzolini

  2. flinders scrive:

    Ehila!!!! Ma che capellone che eri; e avevi anche il baffo alla John Newcombe!!
    Scherzi a parte caro Ubaldo, devo ammettere che in tanti anni che seguo te, ed il tennis, non mi era mai capitato di vedere una tua foto da giocatore.
    Per quel che riguarda Loyo Mayo: sinceramente non lo conoscevo prima di ora, ma visto che fece lo sbruffone facendoti aspettare, ben gli stà!!!

  3. alessio scrive:

    Complimenti per il risultato,importante perchè battere l’idolo di casa è sempre complicato e soprattutto per il ranking mondiale raggiunto.
    Leggendo il tuo racconto mi vengono alla mente certe atmosfere di tornei degli anni 80 dove il tennis,almeno da quello che si coglieva dalla tv, era meno programmato, meno commerciale di oggi e si viveva l’incontro e quello che lo circondava in modo diverso.
    Insomma vi era passione, che oggi in qualche tennistica mi pare un po sfumata a favore di altre cose.

  4. gianmarco tarantino scrive:

    grandeeeee!!!!!!!!
    certo che qualche annetto fa non eri per niente male…… :-)
    … ti immagino troppo alla fine del match tutto impettito a distribuire autografi a tutti tirandotela (giustamente) anche un pochino.
    partendo dal presupposto che vista la mia età non conosco neanche uno dei nomi che menzioni nell’articolo, suppongo che questo loyo mayo dovesse essere davvero forte, e quindi ancora vivissimi complimenti, anche se un po’ in ritardo…

  5. Ubaldo Scanagatta scrive:

    Ringrazio tutti quelli che mi hanno scritto (e ancor più quelli che sciveranno…i bloggers calciofili mi prendono in giro perchè ricevono molti più commenti di me e dicono “Vedi che il tennis interessa poco?”) ma al di là del pensiero anche per il contributo, Daniele perchè ha tirato giù la polvere dal suo archivio per rispolverare Loyo-Mayo, Alessio perchè ha colto il cotè naif del tennis d’un tempo, meno commercializzato, più genuino e vero _ ci si divertiva certo di più allora, ai tornei, di qaunto non accada oggi _ e a GianMarco, che poi altri non è che il mio kinesiologo di fiducia (quelo che si occupa della mia schiena malandata, afflitta da un’ernia del disco che mi tiene lontano dal tennis giocato e così amato…) oltre che un accanito partecipante ai tornei tennistici della Virgin Active. Spero soltanto che quando dice che, per via della sua età, non conosce nessuno dei nomi che ho citato nel mio articolo “messicano”, abbia almeno sentito nominare però alcuni di quelli che hanno vinto, come Loyo Mayo, i campionati universitari americani.
    Perchè anche se alcuni nomi citati sono davvero vecchiotti _ penso a Tony Trabert che nel ‘54 vinse tre Slam su 4 ed era il n.1 del mondo, penso ad Alex Olmedo il peruviano che vinse a Wimbledon nel ‘59, pensoa al messicano Rafael Osuna perito in un incidente aereo ma vincitore con Palafox (uno dei primi allenatori di McEnroe) del doppio a Wimbledon _ Stan Smith è un altro che ha vinto (fra l’altro) Wimbledon nel ‘72 battendo Nastase 7-5, al quinto e inoltre anche una Coppa Davis a Bucarest contro lo stesso Nastase (più difficile da battere sulla terra rossa che sull’erba). Così come Arthur Ashe vinse nel ‘68 il primo US Open e poi nel ‘75 a 32 anni anche Wimbledon sorprendendo il grande favorito Connors. Già, e in quella lista di campioni universitari, c’è anche Jimbo Connors: sono certo che questo nome Gianmarco lo ha sentito, e magari lo ha anche visto sebbene sia giovanissimo. A risentirci on line

  6. marcos scrive:

    empio d’orgoglio patriottico,
    esprimo tutti i miei sinceri complimenti per una prestazione che fece impallidire il sudamerica intero!
    loyo sbagliò da pollo sul match point perchè si rese improvvisamente conto che tu non avresti più mollato un punto: enorme ubaldo!!

    noi siamo contenti che nei forum di calcio ci sia molta partecipazione: sappiamo bene, però, che il mondo avanza solo per le qualità dei suoi abitanti e non per la loro quantità.

    ciao!

    marcos

  7. Ubaldo Scanagatta scrive:

    Ma lo sai Marcos che come blogger sei proprio bravo, e non per i complimenti francamente esagerati (te l’ho già detto…temo che tu mi prenda un po’ in giro, ma ci sto lo stesso… siamo tutti sensibili alle adulazioni, spesso finiamo per crederci, come insegnano i nostri piccoli grandi uomini del presente, politici, dirigenti, manager, quasi sempre circondati da stuoli di sviolinatori eccellenti e pochi, pochissimi collaboratori validi), ma per quella frase _ “il mondo avanza solo per le qualità dei suoi abitanti e non per la loro quantità” _ che da sola vale più di qualunque articolo.
    ciao ubs

  8. marcos scrive:

    grazie molte ubaldo!

    marcos

    ps. i miei complimenti sembrano formalmente esagerati, concordo…è un pò il mio stile, ma sono tutti profondamente misurati!

  9. pia de' lander scrive:

    Caro Scanagatta,
    anch’io mi ricordo di lei, quando giocava, con i capelli lunghi e i baffi. Rammento una sua esibizione nientemeno che alla Coppa Valerio, a Lesa, quando ancora il tennis era considerato uno sport d’eccellenza e i nostri giovani venivano coltivati con la massima cura. Poi lei si è perso, ha cambiato mestiere, e anche il nostro tennis si è avviato al declino.
    Non può immaginare quanta nostalgia mi abbia procurato la sua foto d’antan.
    Continuerò a seguirla, sperando che non cambi mestiere anche questa volta.
    Con tanta stima,
    Pia de’ Lander
    Ascona (Canton Ticino)

  10. Paolo Palma scrive:

    E chi l’aveva vista questa: COMPLIMENTI!!!!

  11. marcos scrive:

    in questo blog iniziano a raccogliersi delle vere e proprie chicche…basta cercarle!

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