Tutti quei soldi che nemmeno una laurea di Harvard ti può dare.

 
14 Novembre 2006 Articolo di Ubaldo Scanagatta
Author mug

di Ubaldo Scanagatta
14 novembre 2006

SHANGHAI. Per quasi un secolo è stato uno sport soprattutto per ricchi. Poi uno sport per tutti, capace di trasformare un povero in un ricco. Per quasi un secolo i migliori tennisti del mondo erano, se non laureati, almeno diplomati. Oggi non più. Chi arriva all’università, la frequenta per un biennio e riesce ugualmente a diventare un campione della racchetta è davvero una mosca bianca, soprattutto se l’Università ha il numero chiuso e il prestigio di Harvard.
Figurarsi poi se, in uno sport dominato dai bianchi, la mosca bianca in questione è _ paradossalmente _ un civilissimo ragazzo di colore, e per di più così bello e fascinoso che avrebbe potuto fare (ed ogni tanto lo fa) anche il modello. Si tratta, per inciso, del primo tennista nero capace di entrare tra i top-ten dai tempi di Yannick Noah (1983). Così come la mamma di Noah era una bionda signora francese, sposata a un calciatore del Camerun, quella di James Riley Blake _ è lui il soggetto della nostra piccola storia _ è un’inglese di pelle bianca, sposata a un
afroamericano newyorkese passato a miglior vita un paio d’anni fa.
Qui nel Masters cinese, in quella Shanghai che chiamano la New York dell’Asia, il newyorkese James Blake è entrato a malapena, da n.8.
A Parigi-Bercy aveva perso da Haas. “Ma Haas e Ancic hanno perso subito dopo…anche se non ce l’avessi fatta sarei stato ipercontento della mia annata” ha detto Blake che, n.24 a fine 2005, ha vinto 5 tornei in 7 finali, è salito a n.5 del mondo e oggi è n.8.
Ma era ancora più contento ieri sera. Ha messo k.o. per la terza volta in tre incontri il n.2 del mondo Rafa Nadal _ 6-4,7-6, rimontando da 0-4 nel secondo _ per sottolineare lui per primo con quel sorriso che gli è valso l’ingresso fra “i 50 uomini più belli d’America” (People Magazine): “Ma ho avuto la fortuna di incontrarlo sempre su campi veloci, sulla terra rossa sarebbe un’altra storia…”. Avrebbe parlato così anche Arthur Ashe, il suo idolo giovanile.
Buttalo via un exploit così per uno cui a 13 anni fu riscontrata una scoliosi così grave da costringerlo ad un busto 18 ore al giorno, per uno che nel maggio 2004 allenandosi a Roma finì contro un paletto della rete fracassandosi due vertebre, costretto al letto per due mesi per poi beccarsi ad autunno lo Zoster, un virus che gli appannò la vista e gli causò addirittura una paralisi (temporanea) ad una parte del viso. Riprese a giocare come poteva. Nell’aprile 2005 Blake era n.210.
Oggi non è pentito di aver lasciato gli studi di chimica e fisica: “Li riprenderò a fine carriera. Oggi ho quest’altro lavoro, mi diverte e oggi battendo Nadal ho guadagnato 120.000 dollari, anche per un laureato a Harvard non sarebbe facile”.

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