La Spagna non è uno spauracchio.
Ma gli head-to-head dicono prudenza.
Un po’ di fortuna non guasta

 
1 Febbraio 2008 Articolo di Rino Tommasi
Author mug

NAPOLI - Per fortuna ci sono le donne. Dopo aver subito per anni la supremazia del tennis spagnolo che nel settore maschile ci ha inflitto più di una sconfitta dolorosa nei confronti diretti ma soprattutto ci ha umiliato nella produzione di buoni giocatori, riceviamo a Napoli una Spagna che nella versione femminile è oggi molto ridimensionata.
Certo avessimo incontrato la Spagna quindici anni fa quando loro avevano due campionesse capaci di vincere cinque titoli del Grande Slam (quattro con Arancia Sanchez, uno, ma quello prestigioso di Wimbledon, con Conchita Martinez) avremmo imprecato contro la crudeltà del sorteggio.
Oggi invece possiamo permetterci di guardare con serenità ad un confronto nel quale valutazioni tecniche e matematiche (come quelle espresse dal computer) ci garantiscono buoni margini di tranquillità.
Con la Spagna in Federation Cup abbiamo vinto due anni fa a Saragozza con una Schiavone in cattiva condizione. Oggi invece la nostra più forte giocatrice è reduce da alcune buone prestazioni in Australia mentre dovrebbe avere completamente recuperato una condizione accettabile Flavia Pennetta, che ha ormai dimenticato i problemi che l’anno tormentata l’anno scorso.
Tra l’altro per una fortunata coincidenza, anche in questa occasione la nostra squadra può contare su favorevoli situazioni di partenza.
Due anni fa abbiamo vinto la Federation Cup perché il Belgio fu costretto a rinunciare a Kim Clijsters, l’anno scorso abbiamo affrontato la Cina che aveva lasciato a casa due delle sue migliori giocatrici e la Francia che aveva rinunciato alla Bartoli, finalista a Wimbledon. Questa volta il favore è di minore entità e probabilmente non decisivo. Infatti la Spagna ha rinunciato all’ultimo momento a Virginia Ruano Pascual, il cui apporto sarebbe stato probabilmente limitato al doppio, che in Federation Cup si gioca come ultimo incontro e quasi sempre a risultato già acquisito.
A parte l’assenza della Ruano Pascual, c’è stata un’altra variazione nel campo spagnolo per la scelta di Nuria Llagostera al posto di Lourdes Dominguez, meglio classificata.
Può darsi che il capitano spagnolo ci sia ricordato che due anni fa la Llagostera (n. 136) aveva battuto in Australia la nostra Schiavone mentre la Dominguez (n.89) era stata sconfitta da Francesca in un incontro di Federation Cup a Saragozza nell’estate del 2006.
Comunque i margini di classifica a favore delle nostre giocatrici dovrebbero garantirci il successo senza troppe complicazioni anche se l’esame dei confronti diretti potrebbe suggerire una maggiore prudenza.
Anabel Medina (n. 30) vanta due vittorie su due incontri con la Schiavone ma è invece in svantaggio per 1 a 2 con la Pennetta. E’ comunque la superiorità delle nostre giocatrici sulla numero due spagnola, Nuria Llagostera Vives, a lasciarci tranquilli. In quanto al doppio senza la Ruano Pascual, trattenuta a casa dalle cattive condizioni della mamma, le spagnole non appaiono temibili, inoltre mi piace sperare che i quattro singolari rendano inutile o superfluo l’ultimo incontro. Infatti per ragioni misteriose il doppio, che in Davis è l’incontro centrale e spesso decisivo, in Federation Cup è collocato alla fine quando ormai i giochi sono quasi sempre già fatti.

Rino Tommasi

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12 Commenti a “La Spagna non è uno spauracchio.
Ma gli head-to-head dicono prudenza.
Un po’ di fortuna non guasta”

  1. angelica scrive:

    E’ vero che il doppio come quinto incontro molto spesso non e’ decisivo.
    Ma quando lo è, si arriva a punte di spettacolo eccezionali.
    E le emozioni sono fortissime.

  2. Ubaldo Scanagatta scrive:

    Off topic: Fognini ha perso 6-3,6-3 da Santiago Ventura, mentre Bolelli ha vinto 7-6 al terzo a Wroclaw con Stakhovski.

  3. Enzo Cherici scrive:

    Che brutta sconfitta…non me l’aspettavo :-(
    Forza Fabio, non abbatterti!

  4. Roberto Commentucci scrive:

    Purtroppo Ventura è un giocatore che a Fabio da moltissimo fastidio, lo fa giocare molto male. Santiago Ventura è la versione spagnola di Santoro, un giocatore non potentissimo ma molto dotato nei cambi di ritmo, con una palla corta di diritto particolarmente precisa e un gioco basato su palle senza peso e improvvise accelerazioni.
    Ha avuto una carriera discontinua ma quando gioca bene vale di più della sua classifica.
    Ciò detto, la prestazione di Fabio è stata oggettivamente al di sotto delle aspettative: si è procurato una sola palla break in tutto il match (peraltro annullata nell’ultimo gioco) e ha sofferto in modo indicibile sui suoi turni di battuta.

  5. Nikolik scrive:

    Beh, direi che è piuttosto ingeneroso liquidare una vittoria ed una finale in Federation Cup con la frase “Due anni fa abbiamo vinto la Federation Cup perché il Belgio fu costretto a rinunciare a Kim Clijsters, l’anno scorso abbiamo affrontato la Cina che aveva lasciato a casa due delle sue migliori giocatrici e la Francia che aveva rinunciato alla Bartoli, finalista a Wimbledon”.
    Pazienza. Ormai con Tommasi è così. Peccato.

  6. Massimo scrive:

    Scusa Nikolik, potrà essere spiacevole, ma ciò che ha ricordato Tommasi è esattamente ciò che è accaduto. L’amor patrio non vorrà spero farti negare che senza infortuni le belghe avrebbero fatto di noi un sol boccone o che in un tennis iperprofessionistico come l’attuale l’abbaglio preso dalla federazione cinese ha dell’incredibile. Riconosciamo la buona sorte che ci è toccata e ringraziamo…

  7. Nikolik scrive:

    Massimo, non è quello il punto.
    Il punto è che, da un po’ di tempo a questa parte, ogni volta che leggo un articolo del Grande Rino, mi viene in mente sempre Catone, che, com’è noto, concludeva sempre ogni suo discorso, anche quelli che non c’entravano nulla, anche se parlava in pubblico, che ne so, di mele e susine, con la frase: Ceterum censeo Carthaginem esse delendam.
    Ora, in effetti, Catone aveva ragione: per la sicurezza di Roma, con ogni probabilità, Cartagine doveva in effetti essere distrutta.
    Ma il punto non è, infatti, chi abbia (o avesse ragione). Per il grande Rino, come per Catone, non si tratta più di fare una critica, questa è diventata un’ossessione.
    Come Catone, anche Tommasi non riesce quasi più a scrivere un articolo senza che ci sia un riferimento alla disastrosa, o presunta tale, situazione del tennis italiano; come Catone, in ogni suo scritto c’è un riferimento o una critica al tennis, o a un tennista, italiano.
    Sicuramente ciò che dice Tommasi ha un fondo di ragione, non voglio dire di no.
    Infatti, non ho detto che non avesse ragione, ho detto che le sue frasi sono un po’ ingenerose, nello specifico.
    Infatti, se ci si pensa, la Davis e la Federation Cup non dovrebbero premiare la squadra che mette in campo una sola campionessa, ma, al contrario, la squadra più completa, il movimento tennistico nazionale più completo.
    Il risultato bizzarro, da un punto di vista sportivo, in una competizione per nazioni, non è l’Italia che vince la Federation Cup, ma la Svezia che vince la Davis solo con un giocatore, con Borg, come è avvenuto; da un punto di vista sportivo, l’Italia di Federation Cup, con tutte le giocatrici che ha nei primi 100, dovrebbe battere, a giustizia, 5-0 il Belgio, visto che dopo la Henin c’è il vuoto fino alla Wickmayer; una competizione per nazioni dovrebbe premiare la squadra più completa, non quella che ha una sola giocatrice fortissima.
    In questo senso, quindi, le vittorie recenti dell’Italia in fed cup sono indiscutibili.
    Facciamo un esempio: se la nostra n. 1, la Schiavone, oggi non giocasse, l’italia sarebbe comunque favorita contro la Spagna, ma ti dirò di più: sarebbe favorita anche se non giocasse nemmeno la n. 2, la Pennetta.
    Giustamente, se hai una sola giocatrice, perdi se questa rinuncia.
    Comunque, al di là di tutto, è chiaro a tutti che minimizzare, con le assenze avversarie, le recenti prestazioni delle nostre ragazze, è, come ho detto io, ingeneroso.
    Vedi Massimo, io posso permettermi di criticare Tommasi, io non sono la FIT, io sono un suo affezionato lettore: da bambino, mi sono avvicinato al tennis guardando giocare Panatta e leggendo gli articoli di Tommasi, se sognavo di fare il tennista, volevo diventare come Panatta, se sognavo di fare il giornalista, volevo diventare come Tommasi.
    Mi dispiace, da suo lettore affezionato ed ultratrentennale, che lui abbia ora preso questa deriva, perché leggo con meno piacere i suoi articoli, sempre bellissimi quando parla di tennis vero.
    Del resto, questa sua deriva è evidente e non può essere contestata: se si leggono gli articoli dei suoi pari, cioè Ubaldo e Gianni Clerici, non si nota la stessa predisposizione catoniana.
    Certo, anche loro due sono giustamente critici verso il tennis ed i tennisti italiani, quando è opportuno, sono giornalisti, dovranno pur criticare.
    Montanelli diceva sempre di avere avuto, nella sua vita, solo un padrone: il lettore.
    Io sono un lettore.

  8. paolo v. scrive:

    Penso che Nikolic abbia sostanzialmente ragione: Tommasi dovrebbe sapere, se seguisse un poco più attentamente il tennis femminile, che quando vincemmo la Fed Cup battemmo nei quarti la Francia che schierava tutte le piu forti del tempo compresa la Mauresmo n.1 del mondo!!!! Al turno seguente Battemmo la Spagna in Spagna che schierava la sua miglior formazione ed in finale è vero che mancava la Clisters ma se ci fosse stata lei non avrebbe giocato la Henin. Anzi la Henin non la volevano convocare e non la convocavano perche avava rifiutato di giocare la semifinale. La Clisters sostanzialmente avava ragione a non volere la Henin a farle ombra in finale visto che la finale se la era conquistata lei sola. In sostanza se le altre litigano e noi abbiamo delle professioniste serie ed affiatate è una colpa?
    Con Tommasi concordo invece circa la Cina l’anno scorso. Li avemmo fortuna ma penso di poter dire che col senno di poi visto il 5 a 0 avremmo vinto anche se loro schieravano la prima squadra.

  9. paolo v. scrive:

    Aggiungo che mi sembra ridicolo dare tutta questa importanza al fatto che ancora una volta abbiamo la sorte dalla nostra parte perchè alla Spagna manca la Ruano, che avrebbe giocato al massimo il doppio e che ha 35 anni, manco fosse la scharapova, e non dire invece, una parola sul fatto che a noi mancano le nostre due migliori doppiste per infortunio.

  10. angelica scrive:

    paolo, credo che per quello che riguarda la finale Belgio Italia, c’e’ da dire forse qualcosa di più di come l’hai descritta.

    Quel anno, l’accordo chiesto dalla Henin fu: gioco solo se gioca anche la Clijsters. Anche perche’ al primo turno a Liegi (città natale delle Henin) dovevano affrontare la Russia. E se giochi contro la Russia e vuoi avere una chance di giocartela devi avere due giocatrici nelle prime 10 oppure perdi. Percio’ quell’anno la Henin e Clijster per il primo turno trovarono un accordo.
    Il secondo turno invece si gioco’ nella parte fiamminga del Belgio. La Henin non gioco’ con la motivazione che dopo Wimbledon era stanca. La Clijster non gradi’. Anzi tutta la squadra non gradì. Usci fuori una polemica, fomentata sopratutto dall’allenatore delle Henin che dichiarò che le altre ragazze non volevano neanche che la Henin andasse a sostenere la squadra.
    Poi però la questione si appianò.
    Ma Kim Clijsters avrebbe giocato la finale, se non ci fosse stato di mezzo l’infortunio al polso durante il torneo di Montreal che la costrinse a saltare gli USO e la finale di FedCup. E a dimostrazione di questo, Kim, era presente durante la finale.
    Per quanto rigurda la parole di Tommasi, c’e’ poco da lamentarsi.
    E’ un dato di fatto che l’Italia fu fortunata nel dover incontrare il Belgio con la sola Henin, ed e’ anche vero che la finale e la vittoria se la merito’ tutta vincendo tutti gli incontri fuori casa e dimostrando di essere una squadra senza punte ma molto solida.

    Spesso nelle competizioni a squadra, piu’ che avere una punta di diamante e poi 2 altre giocatrici classificate oltre la 90esima posizione mondiale ‘ molto meglio averne due o tre tra la ventesima e la trentesima posizione.

  11. remo scrive:

    Le variabili, in Federation come in Davis, sono tante (non ultime, naturalmente, la scelta della superficie da parte di chi gioca in casa e l’eventualità di dover disputare, in una stagione, tutti i match in casa o tutti in trasferta) ed è quindi a mio avviso parzialmente sbagliato identificare la manifestazione a squadre come il termometro dello stato di salute di un paese (tennisticamente parlando, è chiaro). Con questo, è pur vero che nella maggior parte dei casi (un po’ come succede nel calcio con la tanto bistrattata Coppa Italia che all’inizio non frega niente a nessuno e alla stretta finale la vincono sempre o quasi formazioni blasonate) alla fine la vittoria premia la nazionale più meritevole.
    E’ lecito affermare che gli Stati Uniti sono la miglior nazionale maschile del mondo quando non vincono uno Slam e non hanno un numero uno in classifica da anni? Certo che lo è, quando possono contare SEMPRE su due eccellenti singolaristi come Roddick e Blake (più qualche riserva discreta, vedi Fish, Ginepri o altri) e sul miglior doppio in circolazione. Ma è anche altrettanto lecito pensare che, in una annata particolare in cui la Spagna dovesse giocare tutti gli incontri in casa, chi potrebbe battere Nadal, Ferrer, Moya, Ferrero e compagnia bella sul rosso? E l’argentina, quando c’erano i vari Nalbandian, Gaudio, Coria e così via?
    Il caso della Svezia è piuttosto diverso: nel 1977 vinse la Davis potendo contare, è vero, su Bjorn Borg ma non è del tutto corretto ricordare solo il fuoriclasse quale unico protagonista dell’impresa. Senza il semi-sconosciuto Birger Andersson, infatti, difficilmente gli svedesi avrebbero portato a casa la loro prima insalatiera. Andersson (che chiuse la carriera con un record nel circuito di 28 vittorie a fronte di 62 sconfitte - 19-41 sulla terra -, con la finale di Royan nel 1979 e la semifinale di Baastad l’anno dopo quali migliori risultati), miglior classifica ATP n°88, sconfisse Drzymalski, Meiler, Anatoli Volkov, Josè Higueras e Cornejo nei cinque incontri che consentirono agli scandinavi di disputare la finale. Contro Polonia (4-1), Germania (3-2), URSS (3-2), Spagna (3-2) e Cile (4-1), la Svezia giocò sempre sulla terra e spesso il terzo punto lo fece proprio Andersson. Poi, sul sintetico di Stoccolma, Andersson non venne nemmeno convocato per la finale contro la Cecoslovacchia e Bjorn divenne l’eroe assoluto aggiudicandosi i suoi due singolari e trascinando Bengtson al successo nel doppio. Ma, quello del 1977, resta un caso isolato. Tanto più che la Svezia divenne poi, per circa quindici anni, una delle nazioni più forti e raggiunse, dal 1983 al 1998, undici finali vincendone sei. E quelli furono gli anni d’oro della Svezia, capace di sfornare un paio di fuoriclasse assoluti (Edberg, Wilander) e una folta schiera di tennisti eccellenti, la cui lista sarebbe troppo lunga.
    Comunque, tornando a noi, la bontà di un movimento lo si può vedere anche dai piazzamenti nel tempo nelle competizioni a squadre ed infatti nessuno discute (nemmeno Tommasi, mi pare) la discreta qualità delle nostre rappresentanti, anche se credo che una vittoria e una finale siano ancora troppo poco. Così come la squadra maschile, ahimè, esprime il nostro attuale reale valore: più che buono sulla terra, ma non tale da farci emergere, e molto modesto sulle altre superfici (Israele è solo l’ultimo esempio della nostra scarsa competitività).
    Credo che Tommasi, giustamente, abbia un metro di giudizio basato sulle prestazioni fornite dai singoli giocatori nei tornei del circuito e in quel caso è evidente che i buoni risultati in Federation Cup, la vittoria della Schiavone a Bad-Gastein o gli sporadici exploit dei nostri maschi (come la semifinale di Volandri a Roma) non possono mai compensare i consueti risultati negativi fatti registrare negli Slam e nei tornei che vanno per la maggiore. Non è disfattismo, è semplice realtà. Poi, come dice giustamente Nikolik, si potrebbe anche evitare di ripeterlo ogni volta, anche quando l’argomento non è proprio attinente. Ma poche volte non è attinente, è questo il punto.

  12. remo scrive:

    Come giustamente mi faceva notare Ubaldo, la Svezia di Borg vinse la Davis nel 1975 e non nel 1977, quando invece l’Australia battè proprio l’Italia sull’erba. Un refuso di cui faccio ammenda. Ma la sostanza resta quella.

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